Accordi globali e regionalismo economico
Il presente contributo si propone di offrire un’analisi aggiornata della sorte dei principali accordi internazionali di libero scambio (TTIP – Transatlantic Trade and Investment Partnership e TPP – Trans Pacific Partnership) stipulati dall’amministrazione di Barack Obama nonché del CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement), l’accordo economico e commerciale tra l’UE e il Canada recentemente ratificato dal Parlamento europeo. L’accento sarà principalmente posto su due profili: da un lato, la scarsa trasparenza degli iter formativi dei predetti accordi internazionali e i suoi riflessi fortemente negativi sulla legalità internazionale e unionista; dall’altro lato, il marcato contrasto tra gli accordi internazionali in parola e i diritti sociali, compresi i diritti e le libertà fondamentali dei lavoratori.
Cercherò di raccontare questa storia dal suo inizio. Occuparsi nell’ultimo scorcio del 2017 del declino dei cd. “mega trade agreements” (o “mega trattati”) richiede una riflessione su quello che, almeno a mio parere, costituisce un curioso fraintendimento nella lettura di quella parte del programma dei primi cento giorni del Presidente Trump alla Casa Bianca (l’ormai celebre “Contratto con l’elettore americano”)1 concernente lo “smantellamento” dei trattati internazionali di libero scambio stipulati dalla precedente amministrazione di Barack Obama ovvero precisamente del TPP, l’accordo di libero scambio tra USA e 11 Paesi del Pacifico, del TTIP con l’Unione europea (inizialmente definito Zona di libero scambio transatlantica – Trans Atlantic Free Trade Area, TAFTA) e del NAFTA (North American Free Trade Agreement) con il Messico. Ma in che cosa consiste esattamente il fraintendimento a cui qui si fa riferimento? In sintesi, direi che esso consiste nella ricorrente prospettazione non soltanto nei blogs ma anche nella stampa altamente specializzata dello “smantellamento” dei trattati commerciali internazionali di cui sopra come una “perdita” cagionata, secondo la logica stringente del principio di causa-effetto, dal neo protezionismo economico e fiscale degli Stati Uniti2 ovvero come una “perdita” da ricondursi pressoché esclusivamente alla nuova dottrina USA (se è lecito così definirla considerati i suoi contenuti piuttosto elementari!) del “Trump Trade” e dell’“America First”3. Sennonché ci sembra che più di una ragione possa essere utilmente addotta a contestazione di una siffatta conclusione ed inquadramento sistematico “elementare”. Una prima ragione, direi scarsamente rilevante per il giurista e su cui pertanto non ci si soffermerà a lungo, concerne l’importante deflazione dei flussi di interscambio commerciale con l’estero nel corso dell’ultimo decennio e oltre puntualmente documentata con cifre attendibili da numerosi osservatori economici4. È infatti evidente che anche questa circostanza così come pure l’esclusione della Cina, seconda potenza economica mondiale, dai negoziati sul TTIP e l’insostenibile lunghezza e farraginosità di questi ultimi abbia avuto un peso notevole sull’attuale “declino” quantomeno del TTIP. Una seconda ragione, egualmente direi di non apprezzabile rilevanza in questa sede, attiene al ruolo decisivo che l’opposizione franco-tedesca motivata essenzialmente dai possibili effetti negativi del TTIP sul settore agricolo ha avuto sulle sorti, che ad oggi parrebbero nefaste, di questo accordo commerciale5, «il più grande accordo commerciale del mondo» secondo le stime della Commissione europea. Una terza ragione, quest’ultima invece di sicuro interesse e significato per il giurista, ha a che fare con le gravi incertezze e perplessità che la descrizione delle conseguenze dello “smantellamento” dei sopra indicati trattati internazionali voluto dalla neonata amministrazione di Donald Trump in termini di “perdite” per gli altri Stati interessati e coinvolti nelle negoziazioni dei medesimi immancabilmente solleva. Non è naturalmente questione di interpretazioni ideologiche: è soltanto che risulta piuttosto difficile, se non addirittura impossibile, esprimersi nei predetti termini negativi a proposito del “declino” dei sopra menzionati “mega-agreements” almeno per chi con serietà e impegno voglia procedere ad una valutazione, sia pure in termini astratti e aprioristici, dei potenziali effetti pregiudizievoli che dall’entrata in vigore del TTIP, del TPP ma anche del CETA verosimilmente si produrrebbero sulla democrazia partecipativa, la sovranità popolare, i diritti sociali (in primis il diritto al lavoro, il diritto ad un uno sviluppo sostenibile, il diritto alla salute e il diritto all’ambiente), eccetera degli Stati contraenti6. Il punto in parola richiede naturalmente alcune delucidazioni e approfondimenti. In particolare occorre fare chiarezza, e lo si farà nei paragrafi successivi, su alcuni effetti negativi derivanti dall’iter formativo, dalla struttura e dai principali contenuti sostanziali dei “mega trade agreements” attualmente osteggiati con grande veemenza dall’amministrazione di Donald Trump.
Uno sguardo sia pure sommario agli iter procedimentali seguiti nelle negoziazioni dei vari “mega trade agreements” (tra loro fortemente similari sul piano della struttura e dei principali contenuti) facilmente evidenzia l’esistenza di alcuni trends comuni ovvero l’emersione di un, seppure ancora embrionale, “ius particolare” applicabile ai medesimi.
Quanto all’iter procedimentale, il riferimento è in particolare all’eccessivo grado di segretezza – o, se si preferisce utilizzare un’altra espressione meno forte, alla trasparenza “tardiva” e soltanto “parziale” realizzata mediante il coinvolgimento di un numero ristretto di cd. Stakeholders per giunta esclusivamente in una fase avanzata dell’iter di formazione del TTIP7 – che ha contraddistinto le negoziazioni del TTIP e del TPP ma anche del CETA. A proposito del TTIP, è vicenda ormai ampiamente nota che l’alone di segretezza che ha circondato il procedimento gestazionale di questo accordo di libero scambio, il più noto tra i “mega trade agreements”, non ha risparmiato nemmeno lo stesso Parlamento europeo8. Quanto invece al TTIP, come non ricordare che solamente grazie al provvidenziale intervento di WikiLeaks è finalmente diventato di dominio pubblico il capitolo sugli investimenti stranieri?9 A proposito del CETA, accordo internazionale di libero scambio tra l’Unione europea e il Canada, giova rammentare che esso è stato ratificato dal Parlamento europeo soltanto mediante una votazione priva di trasparenza all’esterno10. Naturalmente, e per questo precisamente se ne tratta in questa sede, l’eccessiva segretezza degli iter procedimentali utilizzati nei tre casi sopra indicati non è affatto scevra di conseguenze anche serie, presenti se si pensa al CETA o soltanto potenziali se si pensa al TTIP e TPP non ancora in vigore sul piano internazionale.
Al fine di cogliere adeguatamente quest’ultimo aspetto basti, a titolo esemplificativo, richiamare lo stridente contrasto tra quanto realizzato (accordi commerciali internazionali conclusi in forma segreta rectius in maniera non trasparente o trasparente soltanto in parte) e quanto prescritto invece dal diritto dell’Unione europea, rispettivamente all’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che sancisce con chiarezza il diritto, in capo a: «qualsiasi cittadino dell’Unione o qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro», «di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione» e all’art. 15 del TFUE (ex art. 255 del TCE) che, con altrettanta chiarezza e puntualità, prevede rispettivamente, nel primo comma, che: «Al fine di promuovere il buon governo e garantire la partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione operano nel modo più trasparente possibile» e, nel successivo comma, che: «Il Parlamento europeo si riunisce in seduta pubblica, così come il Consiglio allorché delibera e vota in relazione ad un progetto di atto legislativo»11. Ancora, sempre a titolo esemplificativo e conclusivo, è altresì importante rammentare il contrasto tra quanto realizzato nei casi del TTIP, TPP e CETA e il diritto internazionale generale, un contrasto da ritenersi sussistente però all’unica condizione che si accetti, come si fa qui, che il generale principio di trasparenza: «has firmly acquired a role of key concept and in statu nascendi principle in international relations and for the international community»12.
Partirò adesso da un’osservazione di Michele Faioli apparsa recentemente sulle pagine della Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale. L’osservazione è la seguente: il TTIP rappresenta una novità rispetto ad altre esperienze di partenariato internazionale in ragione del fatto che esso «non regola il commercio tra economie «dis-pari» – paese emergente e paese sviluppato – con sistemi giuridici e giurisdizionali “non comparabili” evidenziando situazioni di “quasi-coincidenza” in molti ambiti quali il sistema di contrattazione decentrata, il regime rimediale dei licenziamenti, gli schemi protettivi del lavoro atipico»13. Mutatis mutandis, l’osservazione di Faioli è estensibile non solamente al CETA ma anche al recentissimo JEFTA (Japan-Eu Free Trade Agreement) attualmente in negoziazione tra l’Unione europea e il Giappone14. La continuazione del discorso può invece essere il noto Parere della Commissione per l’occupazione e gli affari sociali contenuto nella «Relazione recante le raccomandazioni del Parlamento europeo alla Commissione sui negoziati riguardanti il partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP)» in cui trova spazio il seguente monito: «il TTIP non deve aumentare la pressione esercitata sugli Stati membri per ridurre la spesa pubblica utilizzandola come facile espediente per diventare più competitivi sotto il profilo economico e offrire agli investitori un clima imprenditoriale allettante»15.
A questo punto però sorge spontanea una domanda: perché allora gli osservatori, a larghissima maggioranza se non addirittura all’unanimità, insistono invece sul fatto che i “mega trade agreements” in generale e il TTIP e il CETA nello specifico risultano potenzialmente lesivi dei diritti e delle libertà fondamentali dei lavoratori?16 La risposta, a nostro parere, è alquanto semplice: lo fanno perché tutti i sopra menzionati accordi commerciali sono, a dispetto di quanto pure sarebbe stato lecito attendersi per almeno le ragioni minime sopra esposte, in effetti lesivi di tali diritti così come del resto anche di numerosi altri diritti sociali. Evidentemente il condizionale è d’obbligo quando questo discorso è riferito al TTIP poiché, come è noto ai più, manca ancora un testo definitivo. Nondimeno questa è comunque la conclusione che con sicurezza si desume dai documenti reperibili sul sito ufficiale della Commissione europea come è stato spiegato, tra gli altri, da Tiziano Treu in un suo recente e bello scritto sulle clausole sociali negli accordi internazionali di libero scambio17.
A quanto riportato fino ad ora preme aggiungere soltanto una sintetica osservazione sulla pervicace resistenza del modello di accordo di libero scambio “TTIP/TPP/CETA” corredato da troppo scarne tutele e garanzie per i lavoratori subordinati e l’ambiente – si pensi a quest’ultimo proposito soprattutto ai pregiudizi che il TTIP e il CETA sono suscettibili di arrecare al principio precauzionale e al diritto umano ad uno sviluppo sostenibile per fare soltanto due esempi e più in generale agli stessi interessi dell’Unione europea sicuramente non “parte forte” dei predetti accordi commerciali18 – indirettamente suggerita dalle negoziazioni in atto sul JEFTA (ultimo “mega trade agreement” in ordine cronologico) palesemente ispirate alle precedenti negoziazioni del TTIP, del TPP e del CETA19.
1 In argomento v. per tutti Ligustro, A., La politica commerciale del Presidente Trump: bilancio dei primi cento giorni, in DPCE on line, 2017, 2, disponibile all’indirizzo www.dpceonline.it.
2 V. ad esempio Zotti, A., Quel che resta del partenariato strategico. Prospettive frustrate e tensioni riemergenti nei rapporti fra Unione Europea e Stati Uniti all’ombra della paralisi del TTIP, in Quaderni di Scienze Politiche, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2017, vol. 12, 103128.
3 Amplius Solman, P., What is the Trump trade doctrine? His economic adviser explains, in The PBS Newshour, 2014, 3 ss.
4 V. ex multis Levchenko, A.Lewis, L.T.Tesar, L.L., The collapse of international trade during the 2008–09 crisis: in search of the smoking gun, in IMF Economic review, 214253.
5 V. Fabry, E., France: A Hotbed of Opposition to the TTIP?, in www.zukunftsdialog.eu.
6 V. Volpe, F.Leoncini, S.Montini, M., Il Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti (TTIP): quali garanzie per lo sviluppo sostenibile?, in Riv. giur. amb., 2016, 371383.
7 V. ex multis Caruso, C.Morvillo, M., Procedural strengths, political weaknesses? Transparency and parliamentary oversight in TTIP negotiations, in Rivista AIC, 2016, 24; Ruotolo, G.M., Gli accordi commerciali di ultima generazione dell’Unione europea e i loro rapporti col sistema multilaterale degli scambi, in Studi sull’integrazione europea, 2016, 329354.
8 V. altresì Algostino, A., Transatlantic Trade and Investment Partnership: quando l’impero colpisce ancora?, in www.costituzionalismo.it, 2014, la quale sottolinea come: «il trattato sia stato negoziato fra esperti della Commissione dell’Unione europea e del governo degli Stati Uniti con competenza sul commercio, dunque, esclusivamente all’interno dell’esecutivo».
9 V. in argomento Calvano, R., Chi ha paura dei “TTIP Leaks”? Brevi spunti sulla tutela dell’ambiente e di altri “beni comuni” tra prospettiva europea, internazionale e problemi di riassetto del regionalismo, in Osservatorio costituzionale, 2016, 8.
10 V. Il Parlamento Europeo ha approvato il CETA, disponibile in www.ilpost.it.
11 V. altresì Algostino, A., Transatlantic Trade, cit.
12 V. sul punto anche le considerazioni di Peters, A., The Transparency Turn of International Law, in The Chinese Journal of Global Governance, 2015, 315.
13 V. Faioli, M., Libero scambio, tutele e sostenibilità. Su cosa il Ttip interroga il (nuovo) diritto del lavoro, in Riv. giur. lav., 2016, 781 ss.
14 Informazioni sulle negoziazioni dell’accordo JEFTA sono reperibili all’indirizzo https://.ec.europa.eu.
15 V. Parere della Commissione per l’occupazione e gli affari sociali nella «Relazione recante le raccomandazioni del Parlamento europeo alla Commissione sui negoziati riguardanti il partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP)», in www.europarl.europa.eu.
16 V. ex multis Perulli, A., Sostenibilità, diritti sociali e commercio internazionale: la prospettiva del Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), in W.P. Csdle «Massimo D’Antona».INT, 2015, n. 115, in http://csdle.lex.unict.it; Compa, L., Labor Rights and Labor Standards in Transatlantic Trade and Investment Negotiations: A U.S. Perspective, in Economia & Lavoro, 2015, 87; Scherrer, C., The Covert Assault on Labor by Mega-Regional Trade Agreements, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2016, 343363.
17 V. sul punto Treu, T., Globalizzazione e diritti umani. Le clausole sociali dei trattati commerciali e negli scambi internazionali fra imprese, in Stato merc., 2017, 750.
18 V. sul punto Balestreri, G., I documenti del Ttip diventano pubblici. L’accordo però resta difficile, in La Repubblica Economia & Finanza, www.repubblica.it.
19 V. Balzer, A.S., EU-Japan trade deal learns nothing from ‘TTIP mistakes’, in www.euractiv.com.