accorgere [accorgesse, I singol. cong. imperf.]
Nella consueta forma intransitiva pronominale e in numerosi luoghi di prosa e poesia equivale normalmente ad " avvedersi ", " rendersi conto ", " notare ", per significato fisico o spirituale, con subordinata retta da ‛ che ', ‛ come ' ecc. o la preposizione ‛ di ' e complemento indiretto o anche la particella pronominale ‛ ne ': Vn IV 2, V 2, IX 12 14, XIV 4 e 7, XXIII 18 7, XXXII 2, XXXV 2 e 6 5; Rime LXVII 76, XC 58, CII 4, CVI 151, Rime dubbie I 9, XIII 1 e 3; Cv II III 5, V 14, XI 3, III III 8, XV 9, IV XXIII 8, XXVII 14; If IV 16, IX 85, X 70, XIV 49 e 84, XVII 54 e 116, XXV 36, XXVI 32, Pg IV 16 e 102, V 25, VII 65, X 124, XVII 14, XVIII 7, XIX 128, XXII 43, Pd VIII 13, X 35 (due volte), XIV 85 e 124, XVII 79, XVIII 60-61, XXVI 53, XXXII 46; in qualche passo con ambedue le reggenze fondamentali e ‛ di ' prolettico: Vn XXIII 12, Pg II 67. In quest'ambito si colloca senza alcuna rilevanza l'unico esempio del Fiore (CXXXV 11).
Nella stessa accezione, può assumere un'apparente funzione neutra : le persone sarebbero accorte... de lo mio nascondere, in Vn VII 2; quando ella sarà de le sue adorneczze accorta, in Cv II X 11; fui accorto di sua arte, " compresi ciò che egli intendeva fare " (Pg I 126); infine Siete voi accorti, " vi siete resi conto " (If XII 80), con l'uso della forma piena del pronome: dove però il voi potrebbe essere pronome soggetto, posposto nell'interrogazione, come di norma già in antico francese, e a. stare per " accorgersi ".
A volte si coglie un'intenzionale brachilogia o un'espressività ellittica: Vn XXXIV 2 anzi che io me ne accorgesse, " prima che io ponessi attenzione alla loro presenza "; Pd III 19 di lor m'accorsi, " notai l'apparizione di quei volti "; XV 27 del figlio s'accorse, " s'avvide della presenza del figlio " o più semplicemente " lo scorse "; If XXX 19 del suo Polidoro in su la riva / del mar si fu la dolorosa accorta, " si rese conto che il suo P. giaceva morto... "; finalmente il più pregnante s'accorser d'esta innata libertate, " constatarono l'esistenza di... ", in Pg XVIII 68.
Un primo spostamento semantico si ravvisa nell'uso neutro sostantivato dell'infinito: l'accorger nostro di Pg VI 123, equivalente a "la nostra capacità d'intendere o di giudicare". Contiguamente a questo caso si colloca il se ben m'accorsi di Brunetto in If XV 57, " se il mio giudizio fu esatto, se giudicai rettamente ". Lo stesso riflessivo invade l'area semantica di " pensare ", " aver di mira ", almeno in due luoghi paralleli anche dal punto di vista stilematico (tale rapporto pare finora sfuggito): Di questa nobilitade nostra... s'accorse lo Salmista, quando... (Cv IV XIX 7), e Di voi pastor s'accorsa il Vangelista, / quando... (If XIX 106); e muta reggenza preposizionale in un altro, assumendo il valore di " porre attenzione ": a ciò s'accorse, If XXIII 14. Con aspetto neutro giunge al significato di " stare in guardia ": E non mi valse ch'io ne fossi accorta / che non mirasser (Cv II Voi che 'ntendendo 38, ripreso in IX 8). Inclina invece al piano aggettivale (" esperto ", " consapevole ") in Cv II Voi che 'ntendendo 58 persone... / d'essa [di tua ragione] bene accorte, con ellissi dell'infinito ‛ essere '.