capitale, accumulazione di
Processo in virtù del quale la quantità data dei fattori produttivi (mezzi di produzione e forza lavoro) non è soltanto sostituita ma anche incrementata, attraverso il reinvestimento nel processo produttivo della parte di reddito sociale, individuale o dell’impresa, non destinata al consumo. Tale processo assume tuttavia una determinazione specificamente capitalistica quando l’incremento dei fattori produttivi è direttamente funzionalizzato all’espansione del c. e alla crescita del profitto (➔ anche forza lavoro).
Sebbene già D. Ricardo e A. Smith individuino alcuni tratti specifici del processo di accumulazione di c., considerandolo soprattutto dal lato del costante mutamento quantitativo della produzione e della popolazione che esso implica, è a K. Marx che si deve il primo tentativo di studiarne la forma generale e le proprietà specifiche (➔ capitalismo; marxista teoria). Marx, infatti, ha, per un verso, reso il processo di accumulazione dei fattori produttivi consustanziale alla stessa ‘formula generale’ del c., e cioè alla sua stessa definizione in quanto valore autovalorizzantesi. Per altro verso, ha individuato l’insieme dei fenomeni che si collegano al processo di accumulazione: incremento demografico e aumento dei salari e della domanda di forza lavoro nella fase di espansione del modo di produzione capitalistico, formazione di un esercito industriale di riserva (➔ sfruttamento del lavoro), aumento della produttività e del c. fisso nella fase di assestamento del sistema. Lo sviluppo del processo di accumulazione attraverso la sostituzione dei mezzi di produzione alla forza lavoro è in Marx posto in stretta congiunzione con l’intensificazione della concorrenza: è per conseguire l’extraprofitto determinato dalla differenza fra valore sociale medio e valore individuale di quella merce prodotta in condizioni di maggiore produttività che il capitalista sottopone il processo produttivo a cambiamenti tecnologico-organizzativi.
A questo aspetto dell’analisi marxiana si ricollega anche la teoria dell’accumulazione di c. presentata da J. Schumpeter, che sottolinea che la concorrenza elimina il profitto a vantaggio del consumatore, giacché spinge ogni imprenditore capitalistico a imitare chi ha innovato. Per mantenere il vantaggio competitivo, e i profitti che ne conseguono, l’imprenditore-innovatore deve perciò proseguire sul terreno della variazione dei metodi produttivi. Le innovazioni tendono, per Schumpeter, a disporsi ‘a grappolo’, e ciò anche a causa della interazione con il mercato monetario: il successo di una innovazione stimola il sistema creditizio a concedere con più facilità credito agli altri imprenditori-innovatori (➔ anche innovazione p).
Nel secondo dopoguerra, i problemi legati al processo di accumulazione del c. sono stati affrontati dai modelli elaborati da R. Harrod ed E.Domar e dalla scuola di J. Robinson e L. Pasinetti, mentre sul versante neoclassico ha dominato la scena il modello di R. Solow.