MORENA, Acerbo
MORENA, Acerbo. – Nacque verso il 1120-25 dal giudice, console e cronista lodigiano Ottone.
È attestato, solo per la sua attività di giudice ed esperto di diritto, da diversi documenti, scritti tra il 1153 e il 1167, in cui è spesso insieme al padre (Vignati, I, n. 149, II, 5, 9, 18 = Grossi, nn. 65, 93, 95, 104, aa. 1159, 1160, 1165). Altre notizie su di lui vengono fornite dalla Cronaca iniziata dal padre e alla cui scrittura partecipò per alcuni anni.
La sua cultura giuridica si fonda sulla legge del Regno, ma presenta un’evoluzione formale, con un latino più corretto, frutto di accresciuti studi liberali. Lo stesso Acerbo nella Cronaca inquadrò il diritto all’interno di tali studi, parlando delle scuole bolognesi ormai avviate a considerarlo una scienza a sé: «Pollebat [...] tunc Bononia in litteralibus studiis pre ceteris Ytalie civitatibus, quattuor legum columnis inter ceteros magnifice tunc radiantibus » (Güterbock, 1930, pp. 163 s.; Schmale, 1986, p. 184).
Acerbo fu giudice e messo di Corrado III e, come e più del padre, fu vicino al vescovo di Lodi e al Barbarossa. Fu tra i consiglieri (pares) di Alberico, vescovo fedele all’imperatore e al suo papa (Vignati, II, 17 = Grossi, 104, a. 1165), e fu conosciuto e stimato da Federico, per il quale nel 1161 scrisse con il padre la carta di concordia con il vescovo di Padova. L’imperatore lo nominò giudice della Curia imperiale. Così appare nell’ultimo documento che lo citi (Muratori, Antiquitates, IV, coll. 39- 40, 17 gennaio 1167, Campremoldo, Piacenza): una sentenza del vescovo Daniele di Praga, assistito da giudici della Curia, tra cui un Acerbus, che deve essere il nostro, dato che l’ultimo autore della Cronaca dice che Acerbo Morena era imperialis curie iudex e aveva seguito Federico nel 1167 a Roma (Güterbock, 1930, p. 205; Schmale, 1986, p. 226). Acerbo, inoltre, risulta a due riprese (1160 e 1162) tra i podestà di Lodi, i quali – come scrive Ottone Morena parlando dell’azione di Federico dopo la seconda dieta di Roncaglia (1158) – erano di nomina imperiale, pur se scelti tra i cittadini, mentre fino allora: «tutte le città della Lombardia erano rette da consoli creati dagli stessi cittadini» (Güterbock, p. 64; Schmale, p. 92). Acerbo doveva quindi essere per Federico persona sicura e fedele. Lo stesso Acerbo riporta la notizia che nel 1162, dopo la resa di Milano, fu tra coloro che ricevettero i giuramenti di fedeltà dei Milanesi al Barbarossa (Güterbock, p. 154; Schmale, p. 176) e fu invitato al banchetto che la coppia imperiale offrì poco dopo in Pavia a tutte le autorità d’Italia (Güterbock, pp. 158 s.; Schmale, p. 180). Anche a Roma, nel 1167, come scrive il continuatore della Cronaca, Acerbo Morena raccolse i giuramenti che i Romani sconfitti prestarono a Federico (Güterbock, p. 205; Schmale, pp. 226- 228). Il testo parla di lui come di un uomo troppo onesto e veritiero, troppo timorato di Dio per trovarsi bene nell’esercito imperiale, dove tutti: «sia vescovi che conti e marchesi e altri chierici e i laici, vivevano ogni giorno più delle cose rapinate e tolte con la violenza agli altri che delle loro proprie ». Acerbo, che vietava ai suoi scudieri di rubare e viveva quasi monachus regularis: «amava molto l’imperatore e l’onore dell’imperatore in Deo; si doleva e trepidava molto di ubbidirgli extra Deum» (Güterbock, pp. 205 s.; Schmale, pp. 226- 228). Queste parole, scritte dal padre o comunque da qualcuno che lo aveva conosciuto bene e che forse sentiva di doverne giustificare la fedeltà all’imperatore nel momento in cui Lodi passava ai suoi avversari, sono su di lui la testimonianza più significativa che abbiamo.
Contagiato dall’epidemia che scoppiò a Roma ai primi di agosto, ottenne per questo motivo il permesso di rientrare a Lodi. Morì però a Siena Vecchia il 18 ottobre (Güterbock, pp. 207 s.; Schmale, p. 230).
Acerbo Morena ha proseguito la Cronaca del padre, nata da una precisa idea politica: lo ha fatto però quando il padre era ancora in vita, forse su sua richiesta (Ottone Morena stimava la testimonianza autoptica ed era stato Acerbo, non lui, a essere stato presente alla resa di Milano) e comunque per un tempo limitato. Non è detto quindi ci fosse un impulso storiografico autonomo in Acerbo, che, oltre tutto, deve aver utilizzato le note prese man mano dal padre: a lui gli editori, sulla base di (modeste) differenze stilistiche e di possibili cesure nella stesura del testo, assegnano gli anni 1162-64 (Schmale) o 1161-64 (Güterbock), cioè le pp. 146-176 o 130-176 dell’ed. di Güterbock e le pp. 170-196 o 154-196 dell’ed. Schmale; ma, dati i caratteri dell’opera e la diversa sensibilità mostrata da Acerbo nelle pagine certamente sue, è possibile che il suo apporto sia stato minore e abbia coperto solo gli anni 1162-63, dalla vittoria di Federico su Milano al suo ritorno oltre le Alpi per cercare di risolvere lo scisma papale con l’invio in Italia dei plenipotenziari Rainaldo di Dassel ed Ermanno di Verden. Seguono, senza rapporto diretto con i fatti, alcune pagine, forse le ultime composte da Acerbo Morena, che sono anch’esse una forma di testimonianza oculare, sottolineata da un appello diretto al lettore: una serie di ritratti, riguardanti Federico, sua moglie e i suoi maggiori principi e vassalli. Acerbo Morena non fa il proprio nome, ma la sua paternità del passo (Güterbock, pp. 166-171; Schmale, pp. 186-192) è certa, perché nella parte subito precedente si è indicato due volte come autore e perché il padre non mostra mai interesse per l’aspetto fisico delle persone: sembra quindi logico attribuirlo a chi aveva partecipato al banchetto imperiale, aveva visto da vicino questi potenti e aveva collaborato con loro. I suoi ritratti, fisici e morali insieme, utilizzano espressioni classiche o bibliche ma si basano su osservazioni dirette e rappresentano un elemento nuovo, essendo un frutto della crescita politica e culturale del mondo cittadino, che per la prima volta dopo secoli, consente ai laici di esprimere il proprio modo di vedere la realtà.
Della sua cultura Acerbo fa un uso non ostentato, scrive frasi brevi, di ritmo a volte sallustiano, in un latino comunque semplice e vicino al parlato; ma riesce a far emergere sentimenti (più che idee politiche), che sono personali: soprattutto nella parte sulla resa di Milano, molto più sobria di altri resoconti coevi, e come tale certo favorevole a Federico, si segnala per una moderazione umana e una capacità di non odiare e non insultare l’avversario umiliato, che non sono usuali nella storiografia comunale e appaiono in notevole armonia con il ritratto che di lui traccia l’ultimo scrittore della Cronaca.
Fonti e Bibl.: L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, IV, Milano 1741, Dissertatio quadragesimaquinta, coll. 39-40; Ottonis Morenae et continuatorum Historia Frederici I, a cura di F. Güterbock, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Germanicarum, n.s., VII, Berlin 1930; Ottonis Morenae eiusdemque continuatorum Libellus de rebus a Frederico imperatore gestis, a cura di F.J. Schmale, in Italische Quellen über die Taten kaiser Friedrichs I. in Italien und der Brief über den Kreuzzug Kaiser Friedrichs I., Darmstadt 1986, pp. 1-239 (Ausgewälte Quellen zur deutschen Geschichte des Mittelalters, XVIIa); C. Vignati, Codice diplomatico Laudense, Milano 1879-85 (Bibliotheca Historica Italica, cura et studio Societatis Longobardicae historiae studiis promovendis, 2-4); A. Grossi, Le Carte della Mensa vescovile di Lodi (883-1200), in Codice diplomatico della Lombardia medievale (secc. VIII-XII), a cura di M. Ansani, http://cdlm.unipv.it; G.M. Cantarella, I ritratti di A. M., in Milano e il suo territorio in età comunale, Atti dell’XI Congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo, Milano, ... 1987, I-II, 2 voll., Spoleto 1989, II, pp. 989-1010.