ACERENZA (A. T. 27-28-29)
Città della Basilicata (provincia di Potenza), situata a 833 m. s. m., su un altipiano tra il Bradano e il suo affluente Fiumasella, sul sito dell'antica Acheruntia. Orazio la chiama celsa; e per la sua forma di amba, con ripidi fianchi, fu sempre un validum propugnaculum negli avvenimenti della Lucania. Sull'unico lato facilmente accessibile, va stendendosi il paese moderno. È sede di archidiocesi e di pretura.
La popolazione di Acerenza era già di circa 2000 ab. nel 1561, e si calcolava intorno a 4000 nel 1800; altrettanti, presso a poco (3955), erano nel 1861. In seguito l'aumento fu debolissimo fino al 1901: seguì una forte diminuzione, determinata dall'emigrazione oltre oceano, onde nel 1921 gli abitanti erano ridotti a 4323, come settant'anni prima. Essi vivono quasi tutti accentrati. Il territorio del comune è esteso per kmq. 77,13; produce grano, olio e soprattutto vino di qualità assai pregiate (moscato).
D'inverno le frequenti interruzioni della strada carrozzabile, dovute alla furia di disordinate acque in piena, isolano talvolta per settimane intere l'alta Acerenza. Potenti opere di rinsaldo, lavori di bonifica, lotta contro la malaria, negli anni più vicini a noi, hanno assicurata la stabilità dell'abitato e migliorata la salute cittadina.
Nell'antichità, fu chiamata Acerentia, Acheruntia, Acherontia, ma l'ultima forma, specialmente, sembra tarda, mentre le prime sono attestate da Orazio e da epigrafi. Queste tuttavia (Corp. Inscr. Latinarum, IX, nn. 417-20, 6193-4; X, 482) sono piuttosto scarse. Per la sua posizione sul confine tra l'Apulia Daunia e la Lucania, è incerto se appartenesse all'una o all'altra; ma alla seconda l'attribuiscono Porfirione (ad Horat., Carm.,1. 3, 4, 14) e Procopio (B. Goth., 3, 23). Fu colonia romana alla fine della repubblica. Notevole il culto di Hercules Acheruntinus (cfr. Corp. Inscr. Lat., IX, 947).
Acerenza vanta una cattedrale del sec. XI, fondata dall'arcivescovo Arnoldo. La decorazione esterna è di carattere lombardo ma alcuni particolari della costruzione, come il presbiterio con ambulacro e le cappelle a raggiera, seguono norme d'architettura francese, che si ritrovano nella chiesa della Trinità di Venosa del 1150 e in quella di S. Maria a piè di Chienti. Interessante è la cripta del sec. XI. Sulla cuspide della facciata è un busto colossale di Giuliano l'Apostata, la cui immagine è venerata in Acerenza come quella del santo protettore della città. Due frammenti d'iscrizioni relative allo stesso imperatore sono conservati nell'interno della cattedrale.
Grazie alla sua posizione strategica, la città fu, per buona parte del Medioevo, valido arnese di guerra nella lotta pel dominio dell'Italia meridionale. Durante la lunga contesa fra Goti e Greci, Totila vi tenne un forte presidio, e più volte i Greci l'assaltarono vanamente: compreso l'imperatore Costanzo, sceso con grandi forze contro i Longobardi nel 662. Aggregata fin da principio al ducato di Benevento, Aderenza, tuttavia, data la sua lontananza dai centro, aspirò ad una vita propria. Sebbene Carlo Magno imponesse ai Longobardi di distruggerne le fortificazioni, i suoi funzionarî appaiono assai influenti: e uno di essi, il gastaldo Sicone, già emigrato spoletino, usurpa nell'818 il titolo e il principato di Benevento. A datare dal suo successore Sicardo, l'unità del grosso principato è appena nominale: il gastaldo di Acerenza partecipa alle lotte tra i principi di Benevento e di Salerno piuttosto da alleato che da dipendente. Divise nell'849 le terre longobarde del Mezzogiorno fra i due principati, il grosso gastaldato fu ripartito in modo che città e gran parte del territorio rimanessero a Salerno, il resto a Benevento. Ma, nel fatto mantenne la sua indipendenza da Salerno. Invece, per la sua vicinanza a Greci e ad Arabi, non poté sottrarsi all'azione degli uni e degli altri; anzi, gli antichi ufficiali longobardi divennero in un certo senso collaboratori dei funzionarî bizantini, e, a poco a poco, agenti diretti del basileus d'Oriente e del suo rappresentante in Italia, lo stratego di Bari. A metà del sec. IX, Acerenza è tutta ormai entrata nell'àmbito d'interessi greci: la battaglia al Basentello, tra Acerenza e Venosa, unico ricordo preciso documentario delle oscure vicende guerresche tra Bizantini e Longobardi di Capua fra il 923 e il 934, ci mostra Acerenza a fianco dello stratego. Anche il suo vescovado è fatto suffraganeo della metrnpoli di Otranto: il che segnò il trionfo in terra latina del culto e del rito greco, contro cui si reagì poi con l'istituzione della provincia ecclesiastica di Salerno. Una delle poste, nell'Italia meridionale, della lotta d'influenza fra Roma e Bisanzio, fra gl'imperatori tedeschi e il basileus, fu per l'appunto Acerenza. Vivamente contesa fra le due metropoli ecclesiastiche, rimase unita a Salerno (993). Ma per poco; ché verso Otranto gravitava per posizione geografica più favorevole di traffici, per frequenti rapporti culturali, pel monachesimo. Un suo vescovo fautore del catapano di Bari iontro i primi Normanni che avevano conquistato il Melfese, morì combattemo fra Greci e Arabi a Montemaggiore sull'Ofanto. In seguito a questa battaglia e a quella successiva del settemhre 1041, la città cadde nelle mani dei nuovi dominatori. Sottomessa ad un conte, munita di nuove fortificazioni, fu da Roberto Guiscardo, dopo il tentativo di riscossa del basilio Costantino Duca, eretta baluardo di offesa e di conquista della rimanente Lucania e della Puglia. Elevata, avanti il concilio di Melfi (1059), al grado di archidiocesi di metropoli ecclesiastica con 5 vescovadi suffraganei, si mantenne fedele, salvo la parentesi del 1133, alla causa normanna, e fu, nella seconda metà del sec. XII, arricchita della magnifica cattedrale a croce latina con tre navate, orlata di merli: duomo insieme e roccaforte. Dopo entrata nello stato unitario, il suo nome quasi più non compare. Città regia, una delle pochissime di Basilicata fino al sec. XVI (spesso si ricorda nei registri della Cancelleria reale la nomina del castellano), tenne per Manfredi contro il papa, determinando così la vittoria degli Svevi in tutto il Melfese; fu per Renato d'Angiò contro Alfonso d'Aragona, e per la sua devozione si ebbe più tardi da Ferdinando I d'Aragona un nuovo stemma. Nei secoli successivi, seguì la sorte comune delle altre città feudali del regno e decadde sempre più: avidità di feudatarî (un suo duca, nel 1600, percepiva 40 mila ducati di rendita annua, "né si contentaia": Archivio stor. napol., XXIV, 1899, p. 128); ribellioni di vassalli, controversie per l'esercizio di usi civici; liti giurisdizionali fra l'arcivescovo di Acerenza, quello di Matera, il vescovo suffraganeo di Tricarico e il feudatario di Stigliano. E questo, fino all'abolizione della feudalità e all'unificazione italiana.
Bibl.: E. De Ruggiero, Dizionario epigrafico di antichità romane, I, Roma 1895; E. Berteaux, I monumenti medioevali della regione del Vulture, Napoli 1897.
Numerosi scritti più o meno polemici toccano della controversia giurisdizionale tra la chiesa di Acerenza e quelle di Matera, Tricarico, ecc. (per i varî lati della polemica, cfr. P. Vosa, Chiesa metropolitana e Seminario diocesano di Acerenza, Napoli 1906). Manca una storia della città. Notizie possono trovarsi, oltre che in G. Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Roma 1890, nelle opere di storia generale dell'Italia meridionale, quali: Gay, L'Italie mérid. et l'empire byzantin depuis l'avènement de Basile I jusqu'à la prise de Bari par les Normands (807-1071), Parigi 1904; Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, Parigi 1907; Yver, Le commerce et les marchands dans l'Italie méridion. au XIII et au XIV siècle, Parigi 1903; Kehr, Die Urkunden der normannisch-sicilischen Königen, Innsbruck 1902, ecc.