ACERRA
. Si dava dai Romani il nome di acerra alla cassetta in cui era deposto l'incenso pei sacrifizî (arcula turaria, arca turalis, λιβανωτρίς). Un giovinetto addetto alle cerimonie sacrificali in qualid di aiuto - un camillus - portava nelle occasioni solenni l'acerra, e la presentava al sacerdote, perché ne prendesse i grani da spandere e bruciar sulla fiamma. L'acerra, per lo più di bronzo o di metallo nobile, ma anche di marmo o di legno (molto dubbia è l'etimologia da acer), ha forma quadrata o rettangolare o cilindrica; e appare assai frequentemente nei monumenti figurati dell'età romana, e in quelli dell'età greca: poiché i Greci, quanto e prima ancora dei Romani, fecero nei sacrifizî uso di cofanetti destinati a portare incenso. La forma dell'acerra risulta dalla figura che diamo qui accanto traendola da un rilievo dell'Ara Pacis.
L'uso dell'acerra fu conservato nelle chiese cristiane, dove ebbe però generalmente forma cilindrica o di pisside. E anche il nome fu mutato, poiché negli antichi scrittori ecclesiastici essa viene variamente denominata thymiaterium, turicremium, incensarium, ecc. Oggi l'acerra sopravvive nella navicella, detta così dalla forma che essa ha abitualmente assunta. Nei primi tempi di Roma, veniva anche detta acerra una piccola ara portatile, che soleva porsi innanzi al letto in cui il morto era esposto: e sulla quale si bruciavano profumi. Una disposizione delle Dodici Tavole interdisse come spesa suntuaria l'uso di tali acerrae nei funerali.
Bibl.: E. Vinet, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq. grecques et romaines, I, Parigi 1877; P. Habel, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, Stoccarda 1894; E. Forcellini, Lexicon totius latinitatis, s. v.; H. Leclercq in F. Cabrol, Dict. d'archéol. chrétienne, Parigi 1903.