ACHEROPITA (dal gr.: ἀ privativo e χειροποίητος, e cioè, letteralmente: "non fatturato da mano", sottintendi: "umana")
Nel vetusto oratorio pontificio del sancta Sanctorum nella Basilica Lateranense, in Roma, esiste ab immemorabili un'immagine del Salvatore che la pia leggenda vorrebbe compiuta da mano soprannaturale. È senza dubbio la più celebre del mondo, giacché vanta la più antica venerazione; ebbe parte in alcuni eventi straordinarî della città di Roma. P. es., quando Agilulfo la minacciava, papa Stefano II (752-757) impetrò la salvezza dalla protezione del Salvator Mundi, la cui immagine trasportò sulle proprie spalle, percorrendo a piedi nudi le vie dell'Urbe (Liber pontificalis, edizione Duchesne, I, p. 443). Dalla testimonianza di Niceforo Callisto (Antirrhetikos adv. Epiphanidem, c. 12, in Spicileg. Solesmense, IV, p. 332), si può argomentare che al principio del sec. IX (817) la fama della icone lateranense si era già affermata fra gli Orientali, e che la leggenda sulle origini divine era già in pieno sviluppo.
In tempo anteriore la parola ἀχειροποίητος dovette a un dipresso avere il significato corrente nella letteratura biblica e negli apocrifi giudaici: cioè quello di "non idolo", o "non falso". In epoca successiva si poté pensare ad un'immagine non falsa, perché riproducente le fattezze autentiche del Salvatore. Non è infatti senza significato che le più antiche e celebri iconi oltre quella del Sancta Sanctorum (la Camulianense, la Menfita, l'Edessena o di Abgar, il cosiddetto volto della Veronica conservato in S. Pietro) abbian tutte il tipo realistico del Cristo barbato. Ma, fra l'VIII e il IX secolo, è ormai corrente la leggenda sulla genesi divina delle acheropite.
L'immagine romana, che è coperta di un sontuoso rivestimento argenteo del tempo d'Innocenzo III (1198-1216), fu scoperta per la prima volta dal Wilpert nel 1907. Egli constatò che dell'immagine residuano poche tracce di colore, bastanti tuttavia a individuare la figura del Cristo (tipo barbato e nimbato) seduto in cattedra gemmata, benedicente e reggente il libro dell'Evangelo. Vi è, in alto, il resto di una iscrizione su fondo turchino: [Emmanu]EL. Lo stile della pittura non la fa posteriore alla metà del sec. VI; anzi alcuni caratteri la riporterebbero al secolo precedente.
Dei riti cui prendeva parte questa immagine, si può ricordare la solenne processione - descritta anche in un poemetto anonimo del tempo di Ottone III - della notte del 14 agosto (nella festa dell'Assunzione) quando l'immagine era portata a S. Maria Maggiore, per ravvicinare in quel fausto giorno il divin Figliuolo alla Madre.
Bibl.: C. Cecchelli, Il tesoro del Laterano, in Dedalo, VII (1926), p. 295 seguenti.