ARDIGÒ, Achille
Nacque a San Daniele del Friuli (provincia di Udine) il 1° marzo 1921. Il padre, Mario, era nipote del filosofo positivista, dapprima prete e poi ateo, Roberto Ardigò (1828-1920). La madre, Adelaide Bertazzoni, era originaria di Gonzaga (Mantova).
Achille era il primogenito. Dopo di lui anche i fratelli Annibale e Aristide e le sorelle Luisa e Francesca riuscirono a laurearsi, nonostante le ristrettezze familiari. Achille si era diplomato presso l’Istituto magistrale di Modena e da privatista aveva conseguito anche la maturità classica.
Entrò nella Federazione universitaria cattolica italiana nel 1938 e prese parte a incontri in casa dell’ex deputato popolare Fulvio Milani, che gli parlò del Partito popolare italiano e di don Luigi Sturzo, cui Ardigò dedicò in seguito appena tre brevissimi scritti e una curatela, con Luigi Frudà, di alcune opere (La sociologia tra persona e storia. Opere scelte di Luigi Sturzo, Roma-Bari 1992). In casa Milani conobbe Angelo Salizzoni, promotore della prima formazione partigiana di cattolici e repubblicani.
Si formò sui testi del 'personalismo comunitario' di Emmanuel Mounier e dell’attenzione alla persona e al bene comune secondo l’'umanesimo integrale' di Jacques Maritain. Scrisse per la rivista Architrave: mensile di politica, letteratura e arte, pubblicata dal 1940 al 1943. La pubblicazione era del Gruppo universitario fascista, ma non sempre in linea con il regime, anzi prevalentemente orientata a una ripresa degli ideali originari di una rivoluzione sociale e, dai primi mesi del 1942, sempre più critica nei confronti della dittatura mussoliniana.
Ardigò conobbe Pier Paolo Pasolini, pure lui collaboratore della rivista, appassionato di estetica e influenzato dall’insegnamento di Roberto Longhi. I contributi di Ardigò al mensile furono piuttosto succinti e su un piano teorico-estetico: Il concetto dell’angoscia e Lineamenti sull’arte di Luigi Pirandello.
Si laureò nel 1942 in lettere classiche, a Bologna, con una tesi sull’anonimo Trattato del sublime, capolavoro dell’estetica antica.
Dopo l’8 settembre 1943 Ardigò (unitamente con i fratelli Annibale e Aristide, reduci dalla guerra) diventò partigiano e fece parte della VI brigata Giacomo (nome di battaglia del partigiano comunista Ferruccio Magnani, morto il 5 dicembre 1944), costituitasi per la fusione tra il battaglione Stelle verdi (che richiamava il nome delle formazioni partigiane d’ispirazione cattolica denominate Fiamme verdi) e il battaglione Mazzini.
Pur risiedendo a Bologna, Ardigò fece da staffetta e tramite in molti casi, tenendosi in contatto con il Comitato di liberazione nazionale.
Secondo una testimonianza di Giovanni Galloni, cugino di Ardigò, Achille, travestitosi da bambino, attraversò le linee tedesche per raggiungere Monte Fiorino, nella repubblica autonoma partigiana dov’era attivo Ermanno Gorrieri.
Aderì all’Azione cattolica (in particolare al Movimento laureati, poi divenuto Movimento ecclesiale di impegno culturale) e partecipò alla fondazione della Democrazia cristiana (DC) a Bologna. Dal dicembre 1944 al marzo 1945 fu redattore de La Punta (già nome del giornale clandestino romano dei giovani democristiani), «organo della gioventù democratica cristiana, edizione per l’Italia occupata», in cui egli narrava, fra l’altro, degli eccidi compiuti dalle SS (febbraio 1945) e giudicava la DC riformatrice e progressista (marzo 1945).
In seguito collaborò con l’Avvenire d’Italia fino al 1950. Nel 1947 divenne giornalista professionista ed entrò in contatto con Giuseppe Dossetti, che in quell’anno aveva fondato, con altri, la rivista Cronache sociali, espressione del movimento Civitas humana, promosso nel settembre 1946 da Dossetti, Amintore Fanfani e Giorgio La Pira. Ardigò contribuì intensamente a Cronache sociali dal 1947 al 1950, anno di chiusura della rivista, con articoli sul piano Marshall, sul laburismo, sul Patto Atlantico, sul sindacalismo e su altri temi del momento.
Si manifestava in tal modo la costante attenzione che Ardigò sempre mantenne alle questioni sociopolitiche sia interne sia internazionali.
Nel 1947 promosse i 'convegni di Faenza' (sulla DC e le questioni sociopolitiche) e vi tenne la relazione inaugurale. Nel 1949 al Congresso di Venezia della DC diventò consigliere nazionale del Partito, con Dossetti vicesegretario nazionale.
Ardigò si trasferì a Roma ed entrò nella Comunità del Porcellino, in via della Chiesa Nuova 14, insieme con Dossetti, La Pira, Giuseppe Lazzati, Fanfani, Gianni Baget Bozzo.
Incontrò un filosofo cattolico comunista 'di nobile stirpe', Felice Balbo, con cui strinse un sodalizio che lo portò a Matera, intravista come «Cronotopo storico situazionale della riforma agraria», in particolare nell’area della zona industriale, con il villaggio rurale denominato La Martella.
Nel 1951 si trasferì a Roma. Fu capo dell’Ufficio stampa dell’Ente Maremma e Fucino e nell’anno accademico 1952-53 tenne un corso di sociologia nell’Università internazionale degli studi sociali Pro Deo a Roma.
Rientrò a Bologna nel 1955, anche per preparare il programma elettorale in vista delle elezioni amministrative del 1956 e contribuire, in larga misura, a scrivere il Libro bianco (Bologna 1956) sul decentramento urbano.
Dal 1954 al 1959 pubblicò saggi sulla Rivista di politica agraria, per la quale curò la rubrica La società rurale.
Negli anni 1954-55 realizzò un’indagine sociologica a Cerveteri, in provincia di Roma.
Nel 1957 fu eletto consigliere comunale a Bologna. Divenne altresì, di nuovo, consigliere nazionale della DC. Collaborò pure con l’ILSES (Istituto Lombardo di Studi Economici e Sociali), operante a Milano dal 1960 al 1975, pubblicando studi sull’espansione metropolitana e sul decentramento urbano.
Dal 1956 al 1962 insegnò sociologia presso la Scuola di servizio sociale di Bologna. Nel 1957 fondò, con altri, la Società europea di sociologia rurale. Fu altresì tra i soci fondatori della Società italiana di sociologia rurale. Pubblicò sulla rivista Quaderni di sociologia rurale.
Sempre nel 1957 fu tra i promotori dell’Associazione italiana di scienze sociali (AISS), entrando nel direttivo. E per l’editrice Il Mulino diresse il Bollettino delle ricerche sociali. Intanto Dossetti aveva lasciato la politica e vestito l’abito clericale, nel 1958.
Nell’anno accademico 1958-59 Ardigò partecipò al concorso per la libera docenza. Nel 1959 ottenne il primo incarico ufficiale di insegnamento universitario: geografia politica ed economica presso l’Università di Urbino, sede di Ancona. Nel 1960 venne incaricato dell’insegnamento di economia e politica agraria. Dal 1961 al 1966 insegnò sociologia nella facoltà di magistero di Bologna.
Entrò nel Comitato ristretto di esperti e studiosi per lo studio delle migrazioni interne del CNEL (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro).
Apprezzò molto il pontificato di Giovanni XXIII, la realizzazione del Concilio ecumenico Vaticano II – seguito da vicino attraverso Dossetti, che faceva da consulente al cardinale Giacomo Lercaro – e l’'aggiornamento' che ne seguì. Partecipò più volte a iniziative parrocchiali a Bologna (dove fece parte del Consiglio pastorale) ma anche altrove, in varie diocesi d’Italia.
Tra il 1961 e il 1963 fu relatore ai Convegni nazionali della DC a San Pellegrino Terme, da lui promossi.
Nel 1962 andò a Washington per il V Congresso mondiale di sociologia dell’International sociological association, sul tema della sociologia dello sviluppo.
Nel 1964 divenne il primo direttore (lo fu sino al 1967) del nuovo Istituto di sociologia nella facoltà di magistero di Bologna.
La facoltà di scienze politiche di Bologna fu istituita nel 1964: Ardigò ne fu promotore con Giuseppe Alberigo, Beniamino Andreatta, Giorgio Freddi e Nicola Matteucci. Dal 1964 al 1966 l’insegnamento di sociologia di Achille Ardigò fu fatto valere presso la nuova facoltà di scienze politiche di Bologna. Nel medesimo periodo Ardigò fu incaricato di sociologia della famiglia e dell’educazione nell’Istituto universitario di scienze sociali di Trento.
Nel 1965 ottenne la conferma della libera docenza. Nel 1966 fu collocato nella terna di idonei nel concorso a cattedra di sociologia.
Nel 1967 gli fu dato l’incarico di sociologia presso la facoltà di magistero di Bologna. Poi fu nominato straordinario di sociologia presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Bologna. Nel 1970 divenne ordinario di sociologia. Dal 1970 al 1972 fu preside della medesima facoltà.
Nel 1973 lasciò il Consiglio nazionale della DC, lamentando l’allontanamento del Partito dalla sua base popolare. Nel medesimo anno fondò la rivista quadrimestrale La ricerca sociale, pubblicando vari saggi fino al 1994.
Nel 1975, dopo la sua dichiarazione per il no nel referendum del 1974 per l’abrogazione della legge sul divorzio, fu tra i fondatori della Lega democratica, insieme con Ermanno Gorrieri e Pietro Scoppola, con il quale però entrò in forte dialettica, da una posizione di minoranza, attraverso numerosi interventi sulla rivista Appunti di cultura e politica, per la quale scrisse dal 1976 sino al 2008.
Fu sensibile al pensiero politico di Aldo Moro. Collaborò con Giuseppe Medici per la riforma agraria, con Tina Anselmi e Rosy Bindi nel settore sanitario. Fu vicino ai giovani cattolici democratici della Rosa bianca, partecipando alla scuola di politica di Brentonico e agli incontri della sinistra democristiana a Lavarone.
Contribuì, insieme con Lazzati, Clemente Riva, Giuseppe De Rita, padre Bartolomeo Sorge, Domenico Rosati, Vittorio Bachelet e Giovanni Nervo, a preparare il primo convegno ecclesiale nazionale, indetto dalla Conferenza episcopale italiana (CEI), sul tema Evangelizzazione e promozione umana (1976).
Nel 1978, dopo l’approvazione della legge che introdusse il Servizio sanitario nazionale, Ardigò, come consigliere del ministro della Sanità Tina Anselmi, diede un importante contributo alla prima attuazione delle nuove norme, anche attraverso l’implementazione di varie iniziative in materia di salute. Nel 1982 attivò il Corso di perfezionamento in sociologia sanitaria presso il Dipartimento di sociologia dell’Università di Bologna. Il corso fu poi trasformato in Scuola di specializzazione.
Diede un rilevante apporto alla costituzione dell’Associazione italiana di sociologia (AIS) e ne fu il primo presidente dal 1983 al 1986.
Colse l’importanza strategica delle nuove tecnologie informatiche (in particolare del programma Java) e organizzò per i sociologi dell’AIS un convegno nazionale a fine novembre del 1984 presso l’Università di Bari e la nuova cittadella di Technopolis CSATA Novus Ortus, diretta da Gianfranco Dioguardi.
Dal 1982 al 1988 fu il primo direttore del nuovo Dipartimento di sociologia, che nel 2009 fu denominato Dipartimento di sociologia Achille Ardigò e successivamente accorpato con altro dipartimento, divenendo Dipartimento di sociologia e diritto dell’economia.
Il suo pensiero politico-religioso fu di fatto una proposta alternativa al marxismo e anche al socialismo di Bettino Craxi, nei suoi anni di maggior vigore e presenza, fra il 1983 e il 1987.
Nel 1985, insieme con l'anatomopatologo Anton Maria Mancini, con Paolo Mengoli (direttore della Caritas diocesana di Bologna) e Marco Cevenini (presidente della Confraternita della Misericordia a Bologna), scrisse un opuscolo dal titolo Avevo fame, dedicato all’assistenza sanitaria delle persone povere e malate.
Dal 1992 al 1995 fu presidente dell’Istituto trentino di cultura di Trento. Dal 1994 al 2001 fu commissario straordinario degli Istituti ortopedici Rizzoli di Bologna, dove avviò il Servizio di teleconsulto ortopedico.
Nell’ottobre 1995 si diede seguito alla rete informale di sociologi accademici italiani d’ispirazione cattolica (ma non solo), attiva già dagli anni Settanta. Nacque così il gruppo SPe, Sociologia per la Persona, «a partire dall’impegno pioneristico di Achille Ardigò» e condividendo «il primato della persona e della sua libertà» (www.sociologiaperlapersona.it).
Dal 1995 in poi come intellettuale cattolico militante sostenne dapprima l’esperienza politica di centro-sinistra de L’Ulivo (sfociata nel 2007 nel Partito democratico) e successivamente de I Democratici di Romano Prodi e del sociologo politico Arturo Parisi (ad Ardigò piaceva il simbolo dell’asinello). Nel contempo non risparmiò critiche al 'Progetto culturale' della Chiesa italiana, di cui era stato fautore il presidente della CEI, il cardinale Camillo Ruini. Mostrò il suo disaccordo pure nei confronti dei cardinali di Bologna Giacomo Biffi e Carlo Caffarra. E anche nei confronti di Benedetto XVI si mostrò perplesso, auspicando per la Chiesa l'abbandono della teologia razionalista.
Nel 1996 fu tra i soci fondatori di CUP 2000 SpA, servizio per il fascicolo sanitario elettronico, d’intesa con la Regione Emilia-Romagna e le aziende sanitarie della Regione. Fu due volte membro del Consiglio di amministrazione. Poi divenne presidente del Comitato scientifico e infine responsabile dei progetti di ricerca e-care.
In un primo momento appoggiò e poi contestò Sergio Cofferati sindaco di Bologna dal 2004. A Bologna Achille Ardigò affrontò confronti difficili con i comunisti e con gli intellettuali de Il Mulino, con la sua Chiesa diocesana e con la corporazione accademica. Non sempre fu capito.
Fu inoltre iscritto al Terz’Ordine secolare francescano.
Ancora nel 2004 partecipò alle Settimane sociali dei cattolici tenute a Bologna sul tema dei poteri. Ma successivamente si lamentò sostenendo che da anni non veniva più invitato ai convegni cattolici.
Morì il 10 settembre 2008 a Bologna, nella clinica intitolata al sociologo cattolico Giuseppe Toniolo, venerabile dal 1971 e poi beato dal 2012. Nel periodo di clandestinità partigiana, Ardigò aveva letto di Toniolo il Trattato di economia, completato nel 1921, l'anno della sua nascita.
Durante i funerali nella chiesa dei Padri cappuccini, nella sua città, un suo nipote sottolineò il fatto che 'lo zio Achille' criticava anche il pontefice. Prodi, dal canto suo, lo definì un appassionato partecipante e anticipatore delle evoluzioni e dei problemi della società e della politica italiana.
Le carte di Ardigò furono consegnate dalla famiglia all’Istituto Luigi Sturzo di Roma.
Il 6 maggio 2013 fu costituita l’Associazione Achille Ardigò, promossa dal Club metropolitano di Bologna, dai Sistemi e-care per l’assistenza agli anziani fragili e dal Fascicolo sanitario elettronico (http://www.associazioneachilleardigo.it), annoverando tra i soci onorari le sorelle Luisa e Francesca.
L’11 luglio 2013 presso la Camera dei deputati, su iniziativa degli onorevoli Renato Balduzzi e Gaetano Piepoli, fu fondata un’altra Associazione Achille Ardigò. Il 2015 è stato proclamato Anno di studi ardigoiani.
Le linee di riflessione scientifica di Ardigò sono diversificate in apparenza, ma si ricollegano in larga misura ad alcune costanti con carattere al tempo stesso etico e religioso. In effetti il suo rigore di scienziato sociale derivò da una forte matrice spirituale, e anche l’approccio alla globalizzazione mantenne una prospettiva peculiarmente ecclesiale.
Ritenne che la crisi dell’integrazione sociale fosse addebitabile al consumismo diffuso, al dominio da parte del mercato, alla pretesa flessibilità dell’occupazione. Le sole risposte in controtendenza gli parvero quella del volontariato, di uno scambio equo e solidale e di un sistema bancario di tipo etico.
La sua osservazione partecipante nel campo della sanità lo portò a constatare l’aumento delle solitudini involontarie di anziani e malati. E la sua esperienza universitaria lo indusse a rilevare il vuoto valoriale in molti giovani. Anche in campo ecclesiale non mancò di ritenere che la crisi investisse anche i presbiteri in molte diocesi, per inadeguatezza della proposta formativa.
La sua analisi sociologica ad ampio raggio mise sullo stesso piano sia il welfare state sia le buone pratiche di solidarietà e di diaconia ecclesiale, l’uno e le altre incapaci di offrire soluzioni valide al disagio. Gli interventi suggeriti furono essenzialmente l’iniziazione alla fede religiosa e il ricorso a temi e incontri interpersonali significativi, perché nella prossimità interpersonale, intergenerazionale e produttrice di senso condiviso si introducessero due momenti di coscientizzazione diversi: elementi di teologia mistica e aperture alla globalizzazione, in senso positivo e non solo critico, inclusa la new economy.
Ardigò esaminò gli sviluppi dell’economia globalizzata e ripropose un ritorno alla dimensione mistica, invero piuttosto lontana dalla sensibilità dei giovani contemporanei. Affrontò dunque il rischio del dissenso proprio perché a suo avviso gli interrogativi esistenziali non potevano essere fronteggiati solo richiamandosi alla tradizione della Chiesa.
Per lui la crisi si risolveva mostrando disponibilità a recepire senso (e grazia spirituale) proprio nei rapporti di prossimità interpersonali, nei cosiddetti mondi vitali quotidiani, filo rosso conduttore di molte sue pubblicazioni, che per tale concetto presero spunto dal pensiero di Edmund Husserl.
Insomma per Ardigò la chiave risolutrice fu la relazionalità intersoggettiva, intessuta con rapporti solidali, umani prima ancora che cristiani, prossimi sino a raggiungere il livello dell’interlocuzione io-tu. La sua idea fu di immergersi nel sociale anche a prescindere da talune prese ufficiali di posizione, dogmatiche e fondamentaliste, dunque non accontentandosi dello status quo. E gli parve del tutto necessario vivere in pieno la vita quotidiana, facendo leva appunto sui 'mondi vitali'.
Per Ardigò, infatti, la teoria del soggetto fu anche di fatto un approccio rispettoso della persona. Non a caso gli fu cara la figura di Edith Stein, insieme con il suo concetto di empatia, intesa come condivisione e compartecipazione totale.
Furono sostanzialmente due le sue indicazioni operative: il nuovo volontariato di advocacy (di patrocinio, propugnazione e sostegno a idee) per i valori di etica globale e il riconoscimento dei diritti umani ritenuti essenziali, anche sopra e prima degli stessi diritti nazionali di cittadinanza. In entrambi i casi la sua visione fu orientata verso il futuro. Secondo una simile ottica lo stesso problema dell’accoglienza degli immigrati in Italia e in Europa avrebbe potuto assumere connotati assai diversi. Ancora una volta dunque Ardigò si trovò ad anticipare questioni del futuro.
Si dedicò con passione alle questioni del welfare state, dei servizi sociali, delle problematiche sanitarie, dell’intervento dello Stato a favore delle classi sociali più disagiate, di un servizio della politica e della scienza all’interesse pubblico, di soluzioni nuove, adatte alle istanze emergenti.
Egli venne 'consumato' dal suo impegno nella sanità, soprattutto come commissario straordinario degli Istituti ortopedici Rizzoli di Bologna, dove cercò di portare cambiamenti sostanziali, organizzativi e tecnologici, sempre in un’ottica rispettosa del paziente e con l’obiettivo di rendere l’azione pubblica più efficiente e soprattutto più sensibile alle istanze dei sofferenti.
Negli studi sociologici Ardigò fece compiere in Italia il passaggio dalla sociologia della medicina e della sanità alla sociologia della salute, avente come base la centralità del soggetto-persona paziente. Del resto fece buon tesoro dell’esperienza della creazione del Servizio sanitario nazionale, del Comitato di difesa del malato, della rivista Salute e società fondata nel 2002 (e di cui Ardigò fu presidente del comitato scientifico): Ardigò fu anche definito un manager della solidarietà.
Con la medesima capacità cartesiana affrontò i temi sociologici più ardui, parlando 'a maglie strette', fitte e ricche di concetti. Il suo ricorso a sintesi fulminanti ne fece un interlocutore ostico perché preparato, difficilmente superabile sul piano dell’elaborazione teorica.
Il suo volto, la sua statura e la sua voce di 'eterno bambino' lo resero facilmente riconoscibile in ogni consesso. Fu un resistente al fascismo ma anche al dottrinarismo ecclesiale, un uomo di Chiesa ma altresì di partito, un promotore dell’agire sociale ma pure della mistica.
Ardigò con il suo 'ragionar parlando' fece tutto il possibile per far crescere in ogni ambito la partecipazione dal basso, la consultazione permanente della base, il riformismo derivante dal coinvolgimento pieno dei cittadini.
Conobbe bene anche le dinamiche dell’informazione globalizzata e avvertì la necessità di contrastare il centralismo burocratico per ridare invece libertà alle scelte personali. E dunque immaginò una net devolution 'dedicata' fra l’altro al governo della salute pubblica, anche per evitare che la tecnologia divorasse i valori.
In altri termini nel vissuto e nel profilo ardigoiano furono chiaramente delineati, magari pure attraverso segnali indiziari reconditi, i caratteri di un mondo vitale (Lebenswelt) non disgiunto altresì da un’esperienza vitale (Lebenserfahrung), quotidiana e allo stesso tempo metaquotidiana, in pari misura umana e metafisica (non a caso egli amava citare il kantiano 'cielo sopra di me'), in definitiva testimonianza anche dell’esperienza vissuta (Erlebnisbericht).
Elementi di sociologia generale, Roma 1952; Lineamenti di analisi strutturale delle famiglia, Milano 1957; Cerveteri tra vecchio e nuovo, Bologna 1958; Sociologi e centri di potere in Italia, Bari 1962; Emancipazione femminile e urbanesimo, Brescia 1964; Innovazione e Comunità, Milano 1964; La diffusione metropolitana in Italia, oggi. Differenziazioni morfologiche e funzionali, Milano 1966; La diffusione urbana, le aree metropolitane e i problemi del loro sviluppo, Roma 1967; La stratificazione sociale. Lezioni tenute nell’Università di Bologna durante l’anno accademico 1969-70, Bologna 1970; Crisi economica e sicurezza sociale, Napoli 1978; Toniolo: il primato della riforma sociale, Bologna 1978; Crisi di governabilità e mondi vitali, Bologna 1980; Per una sociologia oltre il post-moderno, Bari 1988; Società e salute. Lineamenti di sociologia sanitaria, Milano 1997; Dottrina, culture, senso. A proposito del 'progetto culturale della CEI', Bologna 1998; Volontariati e globalizzazione. Dal 'privato sociale' ai problemi dell’etica globale, Bologna 2001; Giuseppe Dossetti e il libro bianco su Bologna, Bologna 2002; Famiglia, solidarietà e nuovo welfare, Milano 2006. Furono numerose le opere scritte in collaborazione con altri colleghi e anche le curatele di libri, da solo o insieme con altri studiosi. I saggi su riviste furono di varia natura e peculiarmente attenti alle dinamiche sociali in atto. Il totale delle sue pubblicazioni ammonta a circa settecento.
Per una biografia cfr. T. Cavallaro - E. Porcu, Biografia di A. A. dal 1942 al 2008, in A. A. e la sociologia, a cura di C. Cipolla et al., Milano 2010, pp. 355-359. Per gli inediti si può fare riferimento al volume a cura di C. Cipolla - M. Moruzzi, A. A. nei suoi scritti inediti, Milano 2015. Per la bibliografia si veda E. Porcu - D. Nardelli, Per un percorso bibliografico di A. A., in A. A. e la sociologia, cit., pp. 315-354. Per le pubblicazioni sul pensiero di Ardigò si veda La sociologia di A. A., a cura di C. Cipolla - S. Porcu, Milano 1997; A. Papuzzi, A. il laburista cattolico, in La Stampa, 11 settembre 2008, p. 36; A. A. e la sociologia della salute, a cura di C. Cipolla - M. Moruzzi, Milano 2009; A. A. e la sociologia, cit.; Il federalismo: tra regolamentazione e solidarietà. Il caso dell’Umbria. L’attuazione della Legge Delega in materia di federalismo fiscale. Atti del Centro studi Ezio Vanoni. Terni, 21 novembre 2009. A. A.: sociologo e politico. Atti del Convegno del Dipartimento di Scienze Umane e della Formazione. Università degli Studi di Perugia. Perugia, 13 gennaio 2010, a cura di R.N. Micheli - M.C. Federici - E. Moroni, Roma 2010.