CAMPANILE, Achille
Nacque a Roma il 28 sett. 1899, da padre napoletano, Gaetano Campanile Mancini, e madre toscana, Clotilde Fiore.
Caporedattore presso il quotidiano La Tribuna, intellettuale di notevoli interessi culturali, sceneggiatore e regista di cinema muto non ché critico teatrale, il padre conduceva un'intensa vita di relazione all'interno degli ambienti letterari della capitale. Il giovane C., che grazie a queste conoscenze frequentò personaggi come Pirandello, F.M. Martini, Rastignac, S. D'Amico ed E. Cecchi, dimostrò una precoce vena inventiva componendo a soli undici anni Rosmunda, parodia in cinque atti dell'omonima tragedia di Sem Benelli. Questa prova giovanile ebbe la ventura di essere declamata nel salotto letterario di Lucio D'Ambra, e di venire parzialmente pubblicata in un giornaletto di pettegolezzi letterari del caffè Aragno.
Dopo aver frequentato il liceo classico "T. Mamiani", il C. si iscrisse alla facolta di giurisprudenza, ed iniziò nel frattempo l'attività lavorativa. Attorno al 1920, dopo una brevissima parentesi al ministero della Marina come impiegato, entrò a La Tribuna come correttore di bozze. Di qui passo a L'Idea nazionale, prima come segretario di redazione e successivamente come redattore di cronaca. È qui che lo "scoprì" Silvio D'Amico, allora responsabile della terza pagina, folgorato da un titolo irriverente scelto dal giovane redattore per un patetico episodio di cronaca nera; iniziò così per il C. una intensa attività che lo vide collaborare a numerose testate con articoli, elzeviri e servizi: La Tribuna, La Stampa, L'Ambrosiano, Il Resto del carlino e La Gazzetta del popolo. All'attività giornalistica si affiancò comunque fin dall'inizio una vivacissima attività letteraria e teatrale; nel 1924 uscì la prima delle "tragedie in due battute" (Le due locomotive, sul Corriere italiano), e in successione inarrestabile ne comparvero molte altre su La Fiera letteraria, Il Dramma, 900.
Fu proprio questa forma particolarissima di teatro a procurare la prima notorietà allo scrittore: nella "tragedia in due battute", modulo drammaturgico brevissimo organizzato attorno a un dialogo fulminante, a una gag istantanea o ad una scena comica che si svolge velocissima dopo un congruo lavoro preparatorio di didascalie, il C. risente indubbiamente dei procedimenti sintetici e dinamici propugnati dal teatro futurista, mutuandone le caratteristiche di simultaneità, alogicità ed irrealtà, e ricalca probabilmente certe "sintesi mute" o affidate a una sola battuta che erano state sperimentate appunto dai seguaci di Marinetti. Tuttavia, al di là dell'indubbio antisentimentalismo e della beffarda dissacrazione delle tecniche tradizionali, non sembra presente in questo primo C. molto più che "l'eco di un futurismo disinnescato da qualsiasi miccia superoministica" (Siciliano). Egli infatti condensa in un dispositivo dei tutto personale la "scemenza istantanea", l'associazione irrazionale, la dissennata affettazione di alcuni meccanismi cornici che diventeranno tipici ed abbondantemente sfruttati nel decennio successivo: il topos letterario o la locuzione d'uso comune interpretati in senso letterale, il sillogismo strampalato, il gioco di annominazioni o polisemie in direzione straniante (a volte becera), l'iperbole normalizzata e così via.
È del 1924 anche il primo romanzo, Ma che cos'è quest'amore, uscito a puntate su Sereno, effimero giornaletto d'opposizione del tempo. L'opera uscì in volume a Milano nel 1927 per i tipi di Dall'Oglio, conoscendo un successo notevole quanto inaspettato, con molteplici ristampe e traduzioni in diverse lingue.
Si trovano qui esemplate con copia già tutte le caratteristiche dei successivi "romanzi" del C.: esilità della trama, pretestuosità delle divagazioni che assumono peraltro rilevanza dimensionale, protagonismo del narratore che si intromette nella diegesi senza il minimo complesso. Anche se gli ingredienti di base sono quelli tipici della commedia brillante alla Feydeau, del vaudeville e in genere dell'operetta, il consueto armamentario di situazioni (scambi di persona, agnizioni, equivoci, ecc.) è sottoposto a un trattamento di destabilizzazione attraverso la logica incongrua di dialoghi assurdi che rende pericolante la trama e al tempo stesso rilevante la vis comica delle disinvolture strutturali. Il romanzo risulta così composto per accostamento di scene e quadri dotati di notevole autonomia, e non è difficile concordare con chi ha visto proprio nella "tragedia in due battute" l'elemento modulare minimale delle costruzioni più articolate dei C., attraverso "un inesauribile processo di osmosi, di scambio e di ricollocamento di materiali e dei frammenti" (Calendoli, p. 403). Anche le ambientazioni maggiormente adibite in seguito dal C. narratore sono già abbondantemente presenti (scompartimenti ferroviari, interni di grand-hótel, località turistiche di élite, biblioteche e sale d'anni nobiliari, ecc.), ma lungi dall'adombrare precise scelte di topografia sociale queste sembrano piuttosto assolvere alla comoda funzione di "campi neutri" che, per quanto culturalmente frusti, si dimostrano ideali per i dissennati dialoghi dei personaggi. Alla fragilità dell'intreccio dunque (generato qui da una matrice quanto mai vieta: uno schiaffo che risuona in uno scompartimento ferroviario in cui sono presenti diversi uomini ed un'elegante signora, mentre il treno passa in galleria), si appoggiano divagazioni di grande estro, con l'innesto di vere e proprie battute di teatro.
Nel romanzo è già reperibile l'embrione di Centocinquanta la gallina canta, atto unico strutturato su di una lunga catena di battute elementari riportanti un ridicolo alterco tra coniugi a proposito dell'esatta versione di una filastrocca popolare, che il C. rielaborò nel 1925, su richiesta di A. G. Bragaglia, per il teatro degli Indipendenti. Nello stesso anno il C. scrisse di getto molti tra i suoi più celebri atti unici, tra cui Linventore del cavallo (poi pubblicato a Roma nel 1927, inarrivabile parodia di una serissima accademia scientifica in cui viene cooptato con solenne cerimonia l'inventore di un animale la cui preesistenza in natura viene rilevata con sbigottimento solo per fortuita combinazione), e Il ciambellone (pubbl. in Teatro completo, I, Milano 1931; un dolce casalingo la cui incredibile durezza provoca imprevedute conseguenze in occasione di un ricevimento di fidanzamento). Mentre le tragedie in due battute si moltiplicano vertiginosamente - l'autore ammetterà di averne scritte "circa duemila" - escono in rapida successione i romanzi più felici, a testimonianza di un periodo di massimo fervore creativo accompagnato da una prolifica vena inventiva. Nel 1928 a Milano venne pubblicato quello che probabilmente è il capolavoro del C., Se la luna mi porta fortuna, in cui una "storia d'amore" consente all'autore di sbeffeggiare il tradizionale "cozzare delle passioni" attraverso una finzione disincantata e surreale, utilizzando a pretesti d'intreccio le consuete divagazioni ipertrofiche; l'umorismo del C. si presenta qui distillato in forma di indubbia rilevanza letteraria, specie in alcune descrizioni di sapore rondesco e filtrate da un delicato scetticismo. Uscirono poi Giovinotti, non esageriamo! (ibid. 1929), romanzo di soggetto "calcistico" che contiene, fra l'altro, un'esilarante parodia dell'America, e Agosto, moglie mia non ti conosco (ibid. 1930).
Ristampato più volte con successo, in quest'ultimo le vicissitudini traggono pretesto da uno dei più consunti topoi del-romanzo d'avventure, il naufragio, rivisitato tuttavia in chiave umoristica attraverso l'equivoco di una associazione verbale: per un'imperdonabile svista del comandante, in luogo delle cinture di salvataggio i malgapitati passeggeri di una nave si trovano ad indossare cinture di castità, e dovranno attraversare mille peripezie prima di potersene liberare. I fraintendimenti, le recriminazioni, i battibecchi animano un succedersi di eventi inverosimile e di sbaragliante illogicità. Prima che la vicenda vada verso lo scioglimento canonico (le chiavi delle cinture verranno ritrovate, con sollievo generale, nella pancia delle triglie cucinate per festeggiare degnamente un casto fidanzamento), il C. riesce nelle consuete divagazioni laterali a parodiare con notevole efficacia alcuni riti sociali, come la nascente smania per le domeniche balneari, o burocratici, come la propensione per i comitati inutili, o letterari, come le ridicole ventate strapaesane dell'epoca. Questo romanzo è importante al di là dell'intrinseca ricchezza inventiva perché lo scrittore sembra voler sistematicamente approfondire e portare a conseguenze estreme il congegno dell'equivoco linguistico. Oltre allo spunto stesso della narrazione, che si basa come si è visto su un'incongrua associazione di parole, il libro annovera diverse ipotesi di applicazione pratica dei meccanismo: dalla macchinazione di un perfido precettore che "rovina" la sua pupilla, insegnandole le principali parole della lingua italiana in una forma errata, all'utilizzo in chiave antifrastica del linguaggio popolare, all'adozione di un gergo paradossale in ossequio ad alcune convenzioni letterarie. Si tratta, in sostanza, di procedure e stilemi tipici di un umorismo aereo e funambolico che troverà poi netta affermazione e larga applicazione soprattutto attraverso alcuni giornali umoristici come il romano Marc'Aurelio e il milanese Bertoldo. Anche se il C., attento ad evitare un'identificazione limitativa della propria immagine professionale, non collaborerà a queste testate (numerose invece le sue presenze negli anni Venti sul Caffè, "settimanale umoristico del Tevere" e sul celebre Travaso delle idee), eserciterà tuttavia su di esse un'influenza notevole, come è filologicamente documentabile senza difficoltà dal vero e proprio saccheggio delle trovate campaniliane da parte, ad esempio, di Vittorio Metz, di Carlo Manzoni o del vignettista Attalo.
Per completare l'esame della produzione del C. in questo periodo bisogna citare un altro romanzo di notevole successo, In campagna è un'altra cosa (c'è più gusto) (Milano 1931), e un volume in cui sono raccolte varie prose ed elzeviri apparsi tra il 1925 e il 1930 su vari quotidiani, Cantilena all'angolo della strada (ibid. 1933), con il quale lo scrittore si aggiudicò il premio Viareggio del 1933. Nel 1934, a Milano, uscì Chiarastella, in cui il C. non si dimostra immemore delle episodiche collaborazioni ai primi Cahiers di Bontempelli: il romanzo è permeato di un protosurrealismo di stampo novecentista, e sono rintracciabili in esso anche affinità con una certa produzione di Savinio. A di questa stagione, infine, l'intermezzo giornalistico di Battista al Giro d'Italia (ibid. 1932), resoconto in chiave umoristica delle tappe del giro d'Italia del 1932 seguite dall'autore in qualità di inviato della Gazzetta del popolo. Nel frattempo la produzione teatrale del C. si evolve verso forme più articolate: L'amore fa fare questo ed altro (1930, pubbl. in Teatro completo, I), L'anfora (1935, in L'inventore del cavallo e altre quindici commedie, Torino 1971), Il viaggio di Celestino (1936, ibid.) e altri, in cui il gusto dell'ironia e del paradosso, della battuta "idiota" e scatenante, il dialogo farsesco ed assurdo si dimostrano gli inesauribili ingredienti di una bizzarria disinvolta che smonta impietosamente le convenzioni di certa borghesia stereotipata e frivola in cui l'autore sembra essere il primo a riconoscersi con disarmante disincanto. Va notato che molte di queste pièces non vengono mai rappresentate, e che quando lo sono conoscono clamorosi insuccessi e furore di platee. La stessa sorte è riservata ad atti unici come Il delitto della villa Roung (in La Lettura, XXXIX [1939], pp. 1055-1060) o La spagnola (ibid., XI, [1940], pp. 357-362), la cui logica incongrua prefi gura (e sarà proprio Ionesco a riconoscerlo) certo teatro dell'assurdo degli anni Sessanta. Trasferitosi nel frattempo a Milano, il C. proseguì nella sua fitta attività giornalistica, scrivendo anche soggetti per il cinema (Animali pazzi, con Totò, 1939) e per il varietà (Dietro quel palazzo, 1946; Lo scandalo del giorno, 1947). La sua vita privata, piuttosto movimentata sentimentalmente, annovera un primo matrimonio nel 1940 con un'indossatrice, Maria Rosa Lisa, da cui si separò nel 1943, e una seconda unione un decennio più tardi con la diciottenne Giuseppina Bellavita, che gli fu sempre affettuosamente vicina e che gli dette un figlio, Gaetano.
Sono di questo periodo opere che ricalcano piuttosto meccanicamente le collaudate procedure del passato, come La moglie ingenua e il marito malato (Milano 1941), in cui si ipotizza che le conseguenze metaforiche dell'infedeltà coniugale si facciano repentinamente reali, Celestino e la famiglia Gentilissimi (ibid. 1942), romanzo articolato su scene e dialoghi di pretta impronta teatrale e vertente sui consueti riti sociali della villeggiatura, del palco a teatro, della partita di caccia, ecc., ed Il diario di Gino Cornabò (ibid. 1942), registrazione ironica delle considerazioni di un goffo intellettuale velleitario, condizionato dalla società del consenso organizzato; e si tratta forse dell'opera del C. in cui la satira sociale è maggiormente avvertibile.
Nel 1945, a Roma, uscì un romanzo "serio", elaborato diaristicamente fin dal 1924 dal C. a seguito della scomparsa improvvisa di un fratello e della madre, e già uscito parzialmente a puntate nel 1942 sulla Nuova Antologia: Avventura di un'anima. Nell'opera, che col titolo originario Benigno verrà poi riproposta da Rizzoli nel 1981, l'autore dibatte in chiave autobiografica i temi metafisici dell'esistenza, della vanità dell'operare umano e della morte. Eterogeneo e sorprendente rispetto al resto della produzione, anche se non vi mancano alcune divagazioni leggere, questo libro può essere senz'altro la spia per origliare all'interno della personalità dello scrittore, comprenderne la sensibilità, e forse individuare un preciso rovello filosofico che genera poi, con un'insofferente alzata di spalle, il conseguente scatto scaramantico dell'umorismo e della presa in giro.
Con Il povero Piero (Milano 1959), ha inizio una seconda fase della fortuna del Campanile. Il romanzo, che descrive i malintesi generati dalla supposizione che una locuzione d'uso comune come "morire di dolore" possa divenire concretamente operante, conobbe un immediato successo, e la stessa cosa avvenne con l'adattamento teatrale della trama. Mentre aveva inizio un'operazione editoriale di sistematica riproposta delle sue prime opere, il C. fece ritorno a Roma, preferendo però alla residenza cittadina di via del Babuino un operoso ritiro nella campagna di Velletri, e affiancando all'assidua attività giornalistica (sua era la rubrica di critica televisiva sulle colonne dell'Europeo) un rinnovato fervore creativo. Nel 1973 si aggiudicò un secondo premio Viareggio con Manuale di conversazione (Milano 1973), richiamando così su di sé l'attenzione di una critica militante che non poteva ormai esimersi dall'esaminare il "caso Campanile": l'anziano scrittore dimostrò infatti una vena inesauribile licenziando in successione le Vite degli uomini illustri (ibid. 1975), in cui il suo umorismo raggiunge probabilmente le vette più notevoli dopo le prove della gioventù, dissacrando attraverso l'anatomia del "detto celebre" la figura del "grand'uomo", e L'eroe (ibid. 1976), pamphlet dedicato a certe conversioni di fede politica con validità retroattiva assai in auge in determinati periodi storici, che gli valse il premio Forte dei Marmi per la satira politica. Ormai unanimemente riconosciuto maestro indiscusso dell'umorismo novecentesco, il C. morì il 4 genn. 1977 per collasso cardiaco, nella sua casa di Lariano, presso Velletri.
Oltre alle opere già citate nel testo si ricordano, per la narrativa: Amiamoci in fretta, Milano 1933; Viaggio di nozze in molti, ibid. 1946; Trac - Trac - Puf, ibid. 1956, Codice deifidanzati, ibid. 1958; Gli asparagi e l'immortalità dell'anima, ibid. 1974. Le raccolte teatrali: L'amore fa fare questo ed altro. Teatro completo, I, Milano 1931 (senza prosecuzione); L'inventore del cavallo e altre quindici commedie, Torino 1971; Tragedie in due battute, Milano 1978. Inoltre: L'umorismo dell'Ariosto, in L'ottava d'oro. La vita e l'opera di L. Ariosto, ibid. 1933, pp. 593-614; Il giro dei miracoli, ibid. 1949; Trattato delle barzellette, ibid. 1961.
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