CASTAGNOLI, Achille
Sarebbe nato a Cervia nel 1810 (secondo altri, a Lugo o a Ferrara nel 1811) da Antonio, colonnello della guardia civica riminese, che, divenuto in seguito armatore, andò in rovina per il naufragio di due imbarcazioni. Nulla risulta dei suoi primi studi. né della sua formazione politica. Nel 1831, allo scoppio dei moti, a Ferrara, dove si era trasferito, egli si arruolava fra i volontari e combatteva contro le truppe pontificie. Restaurato il governo papale, dovette emigrare in Savoia, donde, certamente prima del 1835, ritornò in Ferrara. Laureatosi in matematica e trasferitosi nel 1837 in Bologna, vi sposò una veneziana probabilmente esule per motivi politici, certa Olimpia, dalla quale nel '41 aveva già avuto due figli, Aristide e Leonida, ai quali nel marzo 1842 se ne aggiungeva un terzo, subito morto.
A Bologna visse vendendo i figurini di moda del Petit Courrier des Dames, finché il 4 luglio 1838, colla garanzia politica del prof. F. Barilli, essendo il C. agli occhi del governo "tinto di una pece che non si monda mai", iniziò a pubblicare un settimanale scientifico letterario, intitolato Il Solerte, che parve capace con i suoi 1.700 abbonati - come scriveva a S. Betti (citato in Sacchetti- Sassetti) - di "assicurare un pane" a lui e alla sua famiglia. Il foglio invece non ebbe vita facile e, anche se talvolta rifiutò di pubblicare testi che parvero al suo redattore politicamente compromettenti, legato di Bologna, card. V. Macchi, nel gennaio 1840 ne sospese le pubblicazioni. Il C. interessava subito alla vicenda molti amici influenti, come il Betti, redattore del Giornale Arcadico, il poligrafo aquilano Angelo M. Ricci e il letterato perugino A. Mezzanotte, e nel marzo si recava anche a Roma, finché nel maggio Il Solerte poté di nuovo uscire continuando ininterrottamente fino al settembre 1841, allorché il C. venne arrestato perché carbonaro. Nel '40 aveva diretto anche un altro periodico, L'Istitutore, in cui ristampava la tragedia Sofonisba scritta da E. Fabbri nel 1821.
Il Solerte, anche se, come scriveva il C. al Betti, si proponeva di "diffondere i principi del bene" e di opporsi alle "stravaganze della romanticheria", fu un convinto "propugnatore di italianità" (De Maria, Un romagnolo ...); annoverò tra i collaboratori persone poco gradite al potere politico quali il giovane M. Minghetti e il patriota, letterato e uomo politico cesenate E. Fabbri conosciuto dal C. a Ferrara nel 1835, e soprattutto non mancò di assumere posizioni coraggiose come quando, nel giugno 1839, rispose a una minaccia di sospensione con un testamento politico in cui paragonava la propria sorte a quella del Conciliatore milanese, soppresso dalla censura per aver voluto "proclamare apertamente la verità".
Il C., di cui un testimone, il Costetti, ricorda "alta e irruente la voce, impetuosa la frase", si gettò anche in violente polemiche, che gli alienarono molti animi e suscitarono nel mondo giornalistico bolognese odi e livori e ne affrettarono la rovina. Nel 1841 IlFelsineo rimetteva in circolazione voci già diffuse in Ferrara sette anni prima all'indomani del suo ritorno dall'esilio, accusando il direttore del Solerte di essere delatore della polizia. Il C. espresse però sempre, sia in pubblico sia in privato, opinioni patriottiche e antigovernative; nelle lettere all'amico Fabbri affermò, per esempio, di avere in animo di scrivere una "Lucrezia Borgia" per "uno scopo politico contro i papi", e non mancò di rallegrarsi nel 1841 della ventilata cessazione del periodico reazionario La Voce della verità. Certamente il C. si era legato molto presto all'organizzazione settaria diffusissima in Romagna. Negli interrogatori che seguirono al suo arresto, provocato dalla tentata aggregazione alla carboneria del giovane medico di Loreto Giovanni Olivi, risultarono i suoi legami con la Giovine Italia e altre sette, ma non con la Ferdinandea, della cui diffusione era sospettato il barone F. Baratelli per provocare l'annessione all'Austria di Bologna e della Romagna. Secondo molti patrioti contemporanei il C. invece sarebbe stato agente principale della setta austriacante e confidente della polizia, e già subito dopo il suo arresto il Mazzini, scrivendo da Londra al Lamberti, lo definì "tristo uomo". L'Orsini che lo ebbe a lungo compagno di prigionia, lo infamò come "delatore"; F. Comandini lo chiamò "poetastro" e "agente" dell'Austria; il Metelli "camaleonte che lavorava per la Giovine Italia e per la Società Ferdinandea" e il d'Azeglio, infine, lo accomunò al Baratelli come "ribaldo" e agente dello straniero.
I suoi stessi amici più intimi, all'indomani dell'arresto, dissentirono tra loro nel giudicarlo. La fedele collaboratrice del Solerte, Claudia Borzaghi Vesi, che si impegnerà a soccorrerne la faniiglia ridotta sul lastrico e a pubblicame le opere poetiche e teatrali, scrisse al Fabbri (29 maggio del 1842, Cesena, Bibl. com.) che il C. era stato ingiustamente "assassinato", ma presto avrebbe potuto "al cospetto dei suoi nemici mostrarsi, quale era in sostanza, un uomo d'onore"; Margherita d'Altemps e il marito della Borzaghi, Antonio Vesi, invece, riferivano sempre al Fabbri che era stato loro confidato da personaggi influenti che, ritornato dall'esilio in Savoia, il C. era divenuto delatore della polizia, finché era stato arrestato per l'appoggio fornito alle trame austriache in Emilia. E le accuse di delazione sembrano trovare conferma negli atti della causa, secondo i quali il C., dopo il suo trasferimento a Bologna, fu messo in contatto dal card. Macchi con l'ufficiale dei carabinieri S. Freddi per riferirgli su sette e settari, ma non fornì che informazioni del tutto irrilevanti.
Certo è che il C. venne condannato nel maggio 1842 a venti anni di reclusione . e trasferito dal carcere di Imola a quello di Civita Castellana, mentre a Bologna e in Romagna circolava una sua lettera nella quale con nobiltà e fierezza di accenti raccomandava agli amici la propria famiglia e la propria fama (A. Castagnoli agli amici, dal carcere di Imola, 29 maggio 1842, ms. presso la Bibl. nazionale di Roma, segn. R. 8.54).
Gli anni bolognesi erano stati per il C. anche un periodo di intensa attività letteraria. Già nel 1838 aveva pubblicato a Bologna un poemetto in tre canti a forti tinte patriottiche ed antifrancesi intitolato I borghigiani di Faenza e, fra il '39 e il '40, numerose liriche, quali l'Ode per Claudia Vesi, l'Ode in morte del Recchi ferrarese, e la nobile Epistola al conte Gio. Antonio Roverella (edita nel '39 e nel '40 a Bologna e nel '43 a Parigi) in cui biasimava la presente "serva etade", mentre la censura intervenne per vietargli di stampare l'Epistola in versi a Giuseppe Ignazio Montanari.
Nel 1841 uscì a Firenze integralmente e sul bolognese Giornale letterario scientifico italiano in brani scelti, una sua tragedia lirica intitolata Francesca da Rimini, un soggetto che aveva conosciuto largo successo anche nel mondo letterario romagnolo da quando, nel 1822, il Fabbri lo aveva utilizzato per una tragedia, riedita nel '41 su Il Solerte dal C., che la giudicava migliore di quella del Pellico.
Il C. si era proposto, come dichiarò nella prefazione dell'edizione definitiva del 1841 a Firenze per interessamento della Borzaghi, di riformare con la sua opera il melodramma, limitando l'abuso dei pezzi concertati a due voci, riservando le arie ai soli momenti di grande tensione emotiva e valorizzando invece il recitativo per ridare spazio, accanto alla musica e al canto, alla poesia e all'azione tragica: il Mazzoni lo annovera infatti tra i librettisti d'opera. Si era anche consultato con famosi musicisti come G. Rossinì, G. Pacini, che alla vigilia dell'arresto gli aveva promesso di rappresentare la sua Francesca alla Fenice di Venezia, e, come pare possa dedursi da una dedica autografa apposta a una copia di una prima edizione del dramma conservata alla Classense di Ravenna, G. Donizetti. Durante la detenzione proseguì alacremente per questa via con una produzione intensissima di drammi lirici - dal Giorgione di Castelfranco (Firenze 1843) e Gli eroi di Suli (ibid. 1843) a I figli di David (Napoli 1846) -, di commedie e di farse.
Il 16 luglio 1846, in seguito all'amnistia concessa da Pio IX, uscì dal carcere e si trasferì a Napoli, ove sperò inutilmente di poter richiamare accanto a sé la famiglia. Qui, secondo alcuni (Sacchetti-Sassetti), visse di espedienti, ma, come dimostrano alcune edizioni napoletane di sue opere, egli proseguì nell'attività letteraria.
Le circostanze della sua morte sono, come quelle dell'impegno politico, poco chiare, ma tali comunque da riscattarne pienamente la fama. Secondo il Mazzoni - che eliminò dalla seconda edizione del suo Ottocento ogni accenno al discusso personaggio - sarebbe morto nel 1849 a Roma combattendo in difesa della Repubblica contro i Francesi; un'anonima storia popolare dei fatti del 1860 lo vuole vittima, nel 1848, di sicari borbonici a Napoli, ma altri lo dicono caduto per la libertà nel maggio del 1848 a Napoli (Sacchetti-Sassetti) o a Messina (Pesci, Ercole). Pare invece più probabile che sia morto, come vogliono il Comandini e il De Maria, combattendo contro i soldati napoletani nel sett. 1848 a Messina, dove si trovava nell'aprile, quando aveva pronunciato l'elogio funebre del colonnello Romey ucciso dai colpi dell'artiglieria borbonica della cittadella (Orazione funebre di A. Castagnoli per il col. Romey, volantino a stampa cons. a Palermo, Bibl. della Deput. di st. patria, n. 2665).
Altri scritti: Il consiglio e la gratitudine, Odi, Roma 1840; Vari componimenti poetici, Firenze 1840; Brevi componimenti poetici, Bologna 1840; Biografia dell'avvocato Lorenzo Origli, ibid. 1840; Nuovo viaggio poetico al regno della gloria. Versi di A. Castagnoli al suo amico Gio. cav. Pacini, armonista di grande fama, Lucca 1841; Florilegio per le gentili donne. Serie prima e seconda, voll. 6, Napoli 1847.
Fonti e Bibl.: Cesena, Bibl. comun., mss. II, 8, nn. 508, 518, 520, 528, 531, 535, 566, 575 (lettere di vari a E. Fabbri) e nn. 410, 419, 436, 458, 471, 586, 629, 632 (lettere dei C. a E. Fabbri), Perugia, Biblioteca comunale, Carteggio Mezzanotte, lettere del C.; M. d'Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna, Italia 1846, p. 37; Edizione nazionale degli scritti di G. Mazzini, Epist., X, p. 329; Prospetto delle risultanze processuali nella causa commissaria: I, Di aggregazione d'un individuo alla Società segreta appellata Carboneria; II, Di ritenzione d'arma vietata. Contro C. A. ... arrestato nel 2 settembre 1841, Bologna, 13 nov. 1841; F. Orsini, Memorie polit. scritte da lui medesimo, Torino 1858, p. 38; L. E. T., L'insurrezione sicil. (1860) e la spediz. di Garibaldi. Storia popolare cronol. aneddotica, Milano 1860, pp. 2326; L. Anelli, Storia d'Italia dal 1814 al 1867, I, Milano 1864, p. 305; D. Pesci, Statistica del Comune di Ferrara compilata sopra documenti storici, Ferrara 1869, p. 193; A. Metelli, Sommario delle cose più notevoli contenute nei distinti volumi della storia di Brisighella e Val d'Amone, II, Firenze 1884, pp. 204 s.; G. Arenaprino, La rivoluz. del 1848 in Messina, Palermo 1893, p. 68; A. Comandini, Cospirazioni di Romagna e Bologna nelle memorie di F. Comandini e di altri patriotti del tempo (1831-1857), Bologna 1899, pp. 72, 611;Id., L'Italia nei cento anni del sec. XIX, II, Milano 1902-1907, p. 958; U. De Maria, "Francesca da Rimini" nel teatro da E. Fabbri a G. A. Cesareo, in Romagna, III (1906), pp. 64-87, 147-167, 193-224; G. Costetti, La setta Ferdinandea, in Nuova Antologia, 1° sett. 1913, pp. 81-85; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1913, pp. 750, 960;U. De Maria, Della vita e degli scritti del conte Edoardo Fabbri, Bologna 1921, p. 180; A. M. Ghisalberti, Ireclusi di Civitacastellana, in Rass. stor. del Risorg., XXVII(1940), p. 880-881; Patrioti e legittimisti delle Romagne..., a cura di G. Maioli-P. Zama, Roma 1935, pp. XIX s.; A. Sacchetti Sassetti, A. C. e la sospensione del "Solerte", in L'Archiginnasio, XXXIII (1938), pp. 88-104; U. De Maria, Un romagnolo da riabilitare: il poeta e giornalista cervese A. C., ibid., XXXIV (1939), pp. 269-281;XXXV(1940), pp. 29-43; Il Risorgimento ital., I, I martiri, a cura di F. Ercole, Milano 1939, p. 92; Diz. del Risor gimento naz., II, p. 592.