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FABRI, Achille

di Fabrizio Mengoli - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 43 (1993)
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FABRI, Achille

Fabrizio Mengoli

Nacque a Bologna il 23 ott. 1654, nella parrocchia dei Ss. Filippo e Giacomo dei Piatesi, da Fabio Antonio, dottore in utroque, e da Ginevra di Achille Canonici, già vedova di Giulio Borzani. Non segui la professione paterna: venuto in possesso nel 1679 della cospicua eredità lasciatagli dal padre, si dedicò ad un'attività economica a carattere prevalentemente creditizio. Nel 1680 ricopriva la prima carica pubblica, nell'ufficio dei Tribuni della plebe.

Nell'agosto del 1681 il F. intraprese un lungo viaggio che nell'arco di oltre un anno lo avrebbe portato dapprima in Francia, poi, attraverso la Fiandra, in Olanda ed infine in Inghilterra; gli erano compagni il conte Camillo Zambeccari e il marchese Ippolito Marsigli. Di questo viaggio rimane un diario redatto a turno dai tre.

Il manoscritto, che si estende per più di 200 pagine di fitta e minuta grafia, era conservato nella biblioteca Malvezzi de' Medici ed è ora nel fondo che porta lo stesso nome presso l'Archivio di Stato di Bologna. Una nota autografa ci consente di distinguere facilmente le parti redatte dal Fabri.

I tre "Europeam circumeuntes", come essi stessi si amavano definire, dopo numerose tappe, giunsero a Genova da dove si imbarcarono alla volta di Marsiglia. Arrivati in Francia, dopo brevi soggiorni nelle città di Avignone, Lione, Orléans e Chartres, nel novembre del 1681 giunsero a Parigi. Durante questa sosta perì il Marsigli, colpito da una febbre terzana. Il F. e lo Zambeccari proseguirono ugualmente: le annotazioni e gli appunti di viaggio successivi documentano le tappe di Bruxelles, Amsterdam, Anversa, Leida, Dunkerque e Londra. I due rientrarono a Bologna nell'inverno del 1682. In rendimento di grazie per i pericoli scampati durante il viaggio il F. fece porre una lapide in un arco del portico di S. Luca.

Per ciò che riguarda il contenuto del giornale di viaggio, questo non si discosta dalla tipologia dei racconti di viaggiatori seicenteschi. Particolare attenzione i tre bolognesi prestano alla geografia dei luoghi, descrivono minuziosamente le chiese, le fabbriche dei palazzi e le quadrerie visitate, non trascurano le differenze di usi e costumi dei popoli incontrati. Durante i due lunghi soggiorni a Parigi e Londra curiose, particolareggiate e vivaci sono le descrizioni delle istituzioni nonché della vita cittadina e di corte delle due capitali.

Il rientro a Bologna coincise con il reinserimento del F. nella vita sociale e politica cittadina. Nell'anno accademico 1684-85 fu eletto tra i Riformatori dello Studio bolognese, carica che ricoprì anche nel 1701-02. Nel 1688 sposò la contessa Felicita, figlia del conte Vincenzo Giovagnoni. Da questo matrimonio nacquero nel febbraio 1689 Ginevra e l'anno successivo Fabio Antonio. Partecipe della vita culturale cittadina, il F. ospitava nella sua casa di via S. Stefano le adunanze dell'Accadernia degli Indivisi, della quale entrò a far parte nel 1697 e di cui tenne per lungo tempo la carica di conservatore. Su sua proposta gli accademici scelsero come santo protettore S. Filippo Neri.

Il F. era infatti particolarmente devoto a questo santo, come già suo padre, che era stato fra i fondatori della Congregazione dell'oratorio a Bologna. La cappella dei Fabri nella chiesa di S. Barbara accoglieva due statue rappresentanti S. Filippo Neri e S. Carlo Borromeo, opere dello scultore A. Algardi. Egli stesso commissionò opere ad affermati pittori bolognesi, fra cui Marco Antonio Franceschini e Anna Maria Sirani, e talvolta incluse nella sua attività quella di mercante d'arte.

Rimasto vedovo, nel 1711, a cinquantasette anni, il F. sposò in seconde nozze la venticinquenne Maria Caterina, primogenita del conte Alessandro Fibbia. In questa scelta giocarono molto probabilmente considerazioni legate al cospicuo patrimonio della famiglia Fibbia: parimenti suo figlio Fabio Antonio, due anni prima, aveva sposato Camilla, l'altra figlia del conte Alessandro. Non esistendo eredi maschi, il nobile cognome Fibbia venne da allora legato a quello dei Fabri. Negli ultimi anni della sua vita il F. cedette al figlio la gestione del patrimonio, da lui considerevolmente aumentato in breve volgere d'anni. Lontano dagli affari pote così trascorrere lunghi periodi a Venezia.

Il F. morì il 3 febbr. 1727 e fu sepolto nella chiesa di S. Biagio.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Riformatori dello Studio, Rotuli dei lettori, a.a. 1684-85 e 1701-02; Tribuni della plebe, Memoriali, libro V; Archivio privato Fibbia Fabri, Instrumenti, bb. 11-18; Archivio privato Aldobrandino Malvezzi de' Medici, b. 7: "Diario di 3 bolognesi"; Nobile famiglia Fabri di Bologna, Bologna 1738, pp. 10-23; M. Medici, Mem. stor. intorno le accad. scientifiche e letter. della città di Bologna, Bologna 1852, p. 64; G. Guidicini, Cose notabili della citta di Bologna, II, Bologna 1869, p. 174; A. Cavazza, Notizie intorno alle famiglie Fibbia, Fabri, d'Arco, Fava e Pallavicini, Bologna 1901, pp. 10-22; M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, III, Bologna 1929, p. 231; A. Malvezzi, Bolognesi a Parigi nel 1682, in Strenna storica bolognese, V (1955), pp. 159-163.

Vedi anche
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