FONTANELLI, Achille
Nacque a Modena il 18 nov. 1775 dal marchese Alfonso e da Paolina Cervi. Il padre, generale e ministro della Guerra del Ducato estense, morì nel 1777. Per i primi studi fu affidato all'abate G. Zironi, poi, il 30 luglio 1787, fu ammesso, con i fratelli Alfonso e Giulio, nel collegio "S. Carlo". Qui il F. mostrò una particolare predisposizione per le scienze positive e negli esami finali del 1792 sostenne un pubblico saggio di meccanica. Il 1° luglio 1793 lasciò il collegio insieme al fratello maggiore Alfonso (che morì di lì a breve, l'8 agosto).
Nulla si sa del F. da questa data fino all'ottobre 1796, quando le armate francesi giunsero a Modena. Il congresso per la federazione cispadana (16-18 ott. 1796) decise la costituzione di una legione cispadana, organizzata in cinque coorti (cui di lì a poco si sarebbe aggiunta una sesta coorte emiliana), poi costituite in legione sotto il comando di A. Scarabelli Pedoca, già generale del duca di Modena.Il F., che sin dai primi momenti aveva mostrato propensione per le nuove idee di libertà ed eguaglianza, accettò dal corpo municipale prima la nomina a uno dei quattro deputati al patrimonio degli studi (21 ottobre), poi optò per la carica di comandante della prima coorte, col grado di capo battaglione.
Con la sua coorte fu chiamato a reprimere il moto scoppiato alla Concordia (8 dic. 1796) e, unitamente con la legione lombarda di G. Lahoz, la sollevazione in Garfagnana (12 dicembre). La legione cispadana, quella lombarda e la coorte bolognese affiancarono quindi la brigata francese di J. Lannes nell'occupazione della Romagna e delle coste adriatiche: in particolare il F. partecipò allo scontro del Senio contro le truppe pontificie (2 febbr. 1797) e il 7 febbraio si impadronì del forte di S. Elpidio.
Quando, dopo la caduta della Repubblica di Venezia, Bonaparte decise l'occupazione delle isole Ionie, nell'operazione fu coinvolta la terza legione, costituita il 13 giugno 1797 (che raccoglieva le coorti cispadane) e di cui il F. ebbe di fatto il comando. Egli partecipò alla presa di Corfù, ove ebbe modo di conoscere il futuro viceré del Regno d'Italia, Eugenio di Beauharnais.
Nel 1798 la legione del F., incorporata ormai nella milizia cisalpina, fu unita alla brigata Lechi, incaricata di raggiungere Roma, dove già era entrato il generale L.-A. Berthier. Bloccata l'operazione, il F. rimase di stanza a Pesaro. Qui sposò Cristina Lorini, di Fano, che morirà dopo pochi anni, il 22 nov. 1802 (era morto in tenera età anche l'unico figlio da lei avuto).
Alla discesa in Italia degli Austro-russi, nel 1799, la terza legione del F., divenuta terza mezza brigata all'atto dell'incorporazione dell'esercito cisalpino nell'Armée d'Italie (29 nov. 1798), riuscì a ritirarsi nella piazza di Ancona, dove si trovò coinvolta, insieme alle truppe francesi del generale J.-C. Monnier, nell'assedio. Dopo la capitolazione (13 nov. 1799), si imbarcò per Marsiglia e da lì passò a Bourg-en-Bresse. In Francia fu incaricato dell'organizzazione di un battaglione di fanteria leggera nel contesto della legione italica voluta dal Bonaparte dopo il rientro dall'Egitto.
Poiché, sulla base del capitolato di resa di Ancona, non era concesso al F. - come agli altri ufficiali ai quali era stato consentito l'imbarco per la Francia - di portare le armi, nel luglio 1800, egli fu fatto sottoispettore alle rassegne, impiego amministrativo anche se accompagnato dalla funzione di capo brigata col grado di colonnello (18 ag. 1800). Ma, fatto prigioniero dagli Austriaci in Toscana, mentre effettuava la rassegna della divisione Pino, rischiò di essere condotto innanzi a una corte marziale sotto l'accusa di avere violato la promessa del capitolato: solo il deciso intervento del generale G.-M.-A. Brune consentì che il F. fosse compreso nel rilascio disposto dalla pace di Lunéville (9 febbr. 1801).
Rientrato a Milano, le sue grandi capacità organizzative trovarono riconoscimento nell'incarico affidatogli dal ministero della Guerra di riordinare reparti dell'esercito cisalpino, e nella direzione della divisione del personale all'interno dello stesso ministero (20 dic. 1801).
Nel passaggio dalla Cisalpina alla Repubblica Italiana, al F. fu affidato il delicato compito della presidenza della commissione militare chiamata a giudicare gli imputati della sollevazione bolognese dell'estate 1802. La repressione della rivolta, mal gestita dalla prefettura del Reno, aveva di fatto creato una profonda frattura tra l'ambiente politico bolognese e quello della capitale Milano, e il processo rischiava di tradursi in un fatto politico. Il F. si comportò con grande equilibrio, comminando blande condanne per pochi imputati e molte assoluzioni, con imbarazzo del governo ma con risultati pacificatori nell'ambiente bolognese.
Il F. fu ben presto apprezzato dal vicepresidente della Repubblica Italiana, F. Melzi d'Eril. Già le note personali compilate all'indomani di Marengo lo indicavano "ottimo militare, istruito, morale ... il meglio capo brigata cisalpino" (Arch. di Stato di Milano, Ministero della Guerra, Registri, Matricole ufficiali, r. 132); valutazioni subito fatte proprie dal vicepresidente. Nonostante la giovane età fu dunque avanzata l'ipotesi di una sua nomina a ministro della Guerra della Repubblica Italiana.
Il Melzi era infatti a ogni costo deciso a evitare la nomina a ministro di generali come D. Pino o G. Lechi, valorosi ma pessimi amministratori, per giunta legati strettamente al generale in capo G. Murat, sempre pronto a denunciare al Bonaparte come atto antifrancese ogni scelta operata dal governo della Repubblica. Tramontato il primo timido tentativo di imporre il F. quale ministro, la scelta era caduta su un personaggio di secondo piano quale il milanese A.T. Trivulzio. Sperimentata però presto l'inadeguatezza del personaggio, il Melzi era tornato alla carica, nel 1803, per la nomina a ministro del F., che nel frattempo aveva prescelto quale suo primo aiutante di campo e aveva incaricato di mansioni delicate come l'arresto del prefetto P. Magenta (marzo 1803), coinvolto in quella deliberata montatura voluta dal Murat per delegittimare il governo di Milano che fu l'"affare Ceroni". Il Melzi confessava a Napoleone di non poter proporre a ministro nessuno dei generali in carica "sans crainte de tomber plus mal" (lettera del 22 luglio 1803, in I carteggi, V, p. 45) e chiedeva dunque la nomina del F., benché giovane e di grado inferiore.
Il Bonaparte non approvò però il progetto e decise di mantenere ancora in carica il ministro Trivulzio. Fu allora che il Melzi decise di preparare con più cura il suo disegno. Nel settembre 1803 affidò al F. il compito di portare a termine l'organizzazione della guardia presidenziale, o italiana, della quale fu poi posto a capo per condurla a Parigi. Nel dicembre 1803, mentre lo stesso Melzi si trovava a Parigi con il F., inviò questo presso Napoleone, raccomandandolo come ottimo ufficiale desideroso di seguire "la Grande Expédition" (ibid., V, p. 373) che si andava apprestando contro l'Inghilterra. Napoleone accettò con benevolenza la raccomandazione e, nel gennaio 1804, fece del F. il suo aiutante di campo italiano.
Il F. accompagnò il Bonaparte sia nelle ispezioni al campo di Boulogne, sia nella visita ai dipartimenti belgi e renani. Avuto modo di farsi apprezzare, alla fine del 1804, nel quadro dei provvedimenti che accompagnarono l'incoronazione del Bonaparte a imperatore, fu promosso generale di brigata e ottenne la stella della Legion d'onore. Intanto, la nomina nell'estate del 1804 del generale Pino a ministro della Guerra aveva rappresentato per il Melzi il tramonto delle speranze di avere nell'immediato il F. ministro e un segno inequivocabile del venir meno del rapporto di fiducia con Napoleone. Questa circostanza non compromise, comunque, la carriera del F., ormai stimato e conosciuto nell'entourage dell'imperatore.
Nel febbraio 1805, in previsione della venuta di Napoleone a Milano per l'incoronazione a re d'Italia, il F. ebbe la nomina a governatore del palazzo reale, con il compito di sovrintendere ai preparativi. Ai primi di marzo 1805 rientrò dunque a Milano. Il giorno della cerimonia, il 27 maggio, guidava la guardia italiana, rientrata da Parigi, mentre Eugenio di Beauharnais, designato viceré, comandava la guardia imperiale.
Il F. fu quindi incaricato da Napoleone di preparare un progetto di scuola per ufficiali e sottufficiali, ed egli propose l'organizzazione di due reggimenti di guardie d'onore e di veliti reali, nei quali si sarebbero potuti addestrare nell'arte della guerra i rampolli del notabilato napoleonico. Il progetto fu accolto e il F. fu posto a capo dei veliti, carica che mantenne anche quando, nel 1806, i due reparti furono uniti alla guardia di linea (la già guardia italiana), venendo a costituire la guardia reale, posta in quell'anno sotto gli ordini del Pino che aveva lasciato il ministero della Guerra. Nel 1807, partito il generale Pino per la Pomerania, egli assunse il comando della guardia.
Nel 1809, promosso generale di divisione, fu in campagna con l'esercito vicereale, prima a sostegno di L. Baraguay d'Hilliers contro gli insorgenti del Tirolo, quindi, chiamato dal viceré dopo la sconfitta di Sacile (16 aprile) a capo della divisione comandata da F. Severoli (temporaneamente inabile per una ferita), contro le truppe austriache dell'arciduca Giovanni. Numerosi furono gli scontri nei quali il F. fu coinvolto. In particolare il 16 e il 17 maggio, a Tarvisio, attaccò e sconfisse postazioni fortificate austriache, aprendo la strada verso la Carinzia: il 20 era a Klagenfurt, e a quel punto il Severoli riprese il comando della divisione, mentre il F. passò alla guardia reale. Il 14 giugno il F. prese parte alla battaglia della Raab, mentre nella decisiva giornata di Wagram (5-6 luglio) fu, con la sua guardia e la guardia imperiale, in posizione di riserva.
Terminata la campagna, il 10 ott. 1809 il F. fu compreso nelle nomine al Consiglio di Stato, nel Consiglio degli uditori; quindi fu grande ufficiale della Legion d'onore, gran dignitario della Corona ferrea (dal 1806 ne era già commendatore), conte dell'Impero e del Regno d'Italia. Rientrato in Italia dopo la pace di Vienna, si recò poco dopo a Parigi per le nozze di Napoleone con Maria Luisa d'Austria (2 apr. 1810), restandovi per qualche mese. Tornerà a Parigi nel 1811 in occasione della nascita del principe imperiale.
Nel 1810 il F. fu incaricato di occupare militarmente Lugano, Bellinzona e il Vallese. L'azione fu condotta con mano morbida e non provocò alcun incidente diplomatico; anzi, egli riuscì ad avviare le trattative per un ingresso del Ticinese nel Regno d'Italia. Finalmente, con decreto 10 ag. 1811, il F. fu nominato ministro della Guerra e Marina, in sostituzione di G. Danna. Fu in questa carica che ebbe modo di manifestare appieno le notevoli capacità organizzative e politiche.
In primo luogo va ascritta a suo merito una razionalizzazione profonda degli uffici ministeriali che eliminò sovrapposizioni di competenze e incertezze operative; a ciò si aggiunse la concentrazione degli affari nella segreteria generale, con un'accresciuta rapidità nell'esecuzione degli ordini ministeriali. Poi si occupò di redigere sotto forma di codici le disposizioni normative accumulatesi negli anni relativamente ad alcuni specifici aspetti (in particolare alla coscrizione) e volle che fossero portate a compimento le matricole dell'esercito. Riorganizzò completamente gli uffici contabili, con notevoli risparmi di spesa e con riconoscimento di crediti pregressi che fu così possibile esigere. Più in generale, è caratteristica del periodo del F. al ministero l'enorme produzione di dati statistici relativi a tutti i settori di competenza, alla cui base fu anche una completa risistemazione dell'imponente archivio. Infine va anche segnalata la prudente azione di sganciamento del ministero della Guerra italico dalla ferrea tutela dagli apparati militari francesi. Dal 1812, però, l'attività del F. fu necessariamente deviata dall'impegno organizzativo verso le pressanti esigenze di uomini e mezzi a sostegno dello sforzo bellico di Napoleone.
Dopo la disfatta di Russia il viceré Eugenio, rientrato in Italia per provvedere alle difese del Regno (maggio 1813), ordinò al F. di riorganizzare, assumendone il comando, la divisione Peyri, che aveva sofferto gravi perdite contro i Russi; la divisione fu inserita nell'esercito del Nord, sotto il comando del maresciallo N.-Ch. Oudinot e combatté a Gross-Beeren (23 ag. 1813). Il F. prese poi parte alle successive difficili fasi della ritirata, dopo la sconfitta di Dennewitz (10 settembre), e infine, tra il 15 e il 18 ott. 1813, al decisivo scontro di Lipsia; dopo la disfatta, mantenne costantemente la retroguardia, difendendo a lungo la posizione di Hanau. Convocato a Magonza da Napoleone ai primi di novembre, ebbe l'ordine di rientrare in Italia per riprendere le redini del ministero e organizzare nuovi reparti.
L'11 nov. 1813 il F. raggiungeva Eugenio a Verona e passava quindi a Milano. Nei giorni seguenti egli di fatto divenne il numero uno del governo milanese: il viceré dispose il 16 novembre che la presidenza del Consiglio dei ministri fosse assunta da "celui des ministres plus particulièrement chargé de veiller à la súreté du royaume", cioè dallo stesso F. Oettera da Caldiero al Melzi, in I carteggi VIII, p. 460). Tra la fine del 1813 e l'inizio del 1814 l'azione del F. fu tutta volta a predisporre una leva anticipata e a convogliare nell'esercito uomini già adibiti ad altri servizi: riuscì cosi a organizzare qualche reparto per la difesa del Regno.
Il 16 apr. 1814 fu convocato al quartier generale in Mantova. Sottoscritto a Schiarino Rizzino l'armistizio con gli Austriaci, Eugenio di Beauharnais si affidò ancora una volta al F. per un incarico di massima fiducia e delicatezza: recarsi a Parigi per raggiungere la deputazione che il 17 aprile il Senato italico aveva formato allo scopo di ottenere dagli alleati l'indipendenza del Regno Italico. Il F., che avrebbe dovuto agire come rappresentante dell'esercito, affiancato nella missione dal generale A. Bertoletti, non poté in realtà fare alcunché né a favore della sorte del Regno né, tanto meno, di quella di Eugenio come sovrano: infatti le vicende milanesi del 20 aprile avevano fatto crollare qualsiasi progetto indipendentista e lo stesso invio della deputazione del Senato era stato bloccato. Giunto a Parigi, il F. non poté che porgere gli omaggi dell'esercito italico ai comandi alleati.
Il 26 aprile Eugenio di Beauharnais abbandonava l'Italia, mentre il feldmaresciallo A. Sorrirnariva prendeva possesso della Lombardia come commissario plenipotenziario dell'Impero. Mentre il F. era ancora a Parigi, il 10 maggio fu di fatto rimosso da ministro, della Guerra, senza che l'atto formale gli venisse neppure comunicato. Rientrato in Italia, si fermò per qualche mese a Milano.
Uno dei problemi apparso subito delicato e di difficile soluzione per gli Austriaci era stato quello della collocazione degli ufficiali e sottufficiali dell'esercito italico. La congiura militare bresciano-milanese, avviata nella tarda estate 1814, fu il primo tangibile segnale della portata del problema. Nella congiura ebbe un ruolo lo stesso F.: egli fu infatti senza dubbio contattato dai congiurati, e pare che dapprima si fosse reso disponibile all'azione una volta che il piano fosse giunto alla fase realizzativa, ma poi si fosse tirato risolutamente da parte. Quando il progetto di rivolta venne alla luce, a Vienna sorse il dilemma se procedere all'arresto del F.: la notorietà e il prestigio del personaggio, come pure l'incertezza sul livello del suo effettivo coinvolgimento, fecero prevalere la tesi del plenipotenziario a Milano, H.J. Bellegarde, secondo cui il problema dovesse essere risolto in forma privata, senza alcuna pubblicità. Il F., naturalmente, negò qualsiasi coinvolgimento nella congiura, ma l'imperatore Francesco volle che l'ufficiale fosse comunque allontanato da Milano. Fu così che egli fu chiamato a Vienna: gli vennero attribuiti alcunì incarichi più fittizi che reali (preparazione di un regolamento che uniformasse il sistema austriaco e italico di chiamata alle armi; rassegna dei reggimenti di presidio), ma ciò che più conta, fu inserito nell'esercito austriaco col grado di luogotenente maresciallo. Lo si tenne così sotto controllo, senza scalfire il prestigio che circondava la sua figura.
Ben presto il F. ottenne il collocamento a riposo: nel 1816 era ormai rientrato nella villa di Marzaglia, presso Modena. Qui prese a condurre una vita riservata, dedita ai giovanili studi di matematica e meccanica e alla cura delle sue terre (con particolare attenzione agli aspetti idraulici). Dalla bellissima seconda moglie, Lucia Frapolli (sposata il 17 nov. 1813), nota per l'amicizia che l'aveva legata a U. Foscolo, ebbe sei figli (Carlo Francesco, Cesare, Camillo - che sarà aiutante di campo di Vittorio Emanuele II e senatore del Regno -, Giulietta, Carolina, Elisabetta).
Gli anni conclusivi della vita del F. non furono sereni. Il 22genn. 1831 morì la seconda moglie. Pochi giorni dopo, a conferma del sospetto col quale continuava a essere riguardato dalle autorità restaurate, si trovò involontariamente coinvolto nella repressione della congiura preparata da Ciro Menotti. Infatti il 2febbraio gli giunse dalla segreteria del Gabinetto ducale di Modena un messaggio, che lo invitava a trasferirsi immediatamente a Milano per evitare che i congiurati utilizzassero strumentalmente il suo nome. Il F. obbedì partendo la sera stessa. A Milano trascorse gli ultimi anni, sotto la vigilanza della polizia e con la compagnia di pochi amici.
Attaccato nel 1837 da un tumore osseo, si spense a Milano il 22luglio 1838.
Oltre alle onorificenze sopra ricordate, fu nominato nel 1809 benemerito tra gli italiani. Godette anche di due dotazioni: una di 4.000franchi su alcune terre conquistate nell'Hannover; l'altra di 10.000 franchi, trasmissibile, sul Monte Napoleone.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Ministero della Guerra. Registri, r. 130 (registro del 23 pratile a. VI); r. 132; Ministero della Guerra, b. 1029; ibid., Archivio Marescalchi, b. 38; Modena, Bibl. Estense, Raccolta Ferrari Moreni. Famiglie modenesi, cassetta 49; F. Coraccini [G. Valeriani], Storia dell'amministrazione del Regno d'Italia, Lugano 1823, p. LXXXVI; G. De Filippi, Orazione funebre recitata la sera del 25 lug. su la tomba del tenente maresciallo F., in Gazzetta privilegiata di Milano, 26 luglio 1838; I carteggi di F. Melzi d'Eril, a cura di C. Zaghi, V, Milano 1961; VIII, ibid. 1965, ad Indices; G. Jacopetti, Biografie di A. F., di F. T. Arese e di P. Teuliè, Milano 1845; A. Roncaglia, Elogio del maresciallo conte A. F. dedicato a S.M. Umberto I re d'Italia, Modena 1879; S. Mainoni, Vita e campagne del generale A. F., Roma 1883; T. Casini, I modenesi nel Regno italico, in Ritratti e studi moderni, Milano-Roma-Napoli 1914, pp. 378-382; A. Pingaud, Les hommes d'état de la Rèpublique italienne 1802-1805..., Paris 1914, pp. 166 s.; C. Cesari, A. F., in Rass. stor. del Risorgimento, XIX (1932), 4, pp. 315-327; N. Giacchi, Gli uomini d'arme nelle campagne napoleoniche, Roma 1940, passim; V. Adami, I ministri della Guerra ital. durante il periodo napoleonico, Milano s.d., pp. 47 s.; J.-M. Champion, F., in Dictionnaire Napoléon, a cura di J. Tulard, Paris 1987, p. 743; F. Della Peruta, Esercito e società nell'Italia napoleonica, Milano 1988, passim. Per i provvedimenti presi dal F. ministro della Guerra, A. Zanoli, Sulla milizia cisalpino-italiana. Cenni storico statistici dal 1796 al 1814, Milano 1845, I, pp. 80 s., 249-307, 335-339; relativamente al coinvolgimento nella congiura militare del 1814, R.J. Rath, The Provisional Austrian Regime in Lombardy-Venetia 1814-1815, Austin-London 1969, pp. 251-253, 305 s., 317; D. Spadoni, Milano e la congiura militare del 1814 per l'indipendenza italiana, Modena 1936-37, II, pp. 9-18; III, pp. 112-125; M.-H. Weil, Joachini Murat, roi de Naples. La dernière année de règne (mai 1814-mai 1815), Paris 1909-10, II, pp. 484-486.