GENNARELLI, Achille
Nacque a Napoli il 17 marzo 1817 da Gregorio, ufficiale dell'esercito napoletano, e da Giuditta Marcelli di Fermo (come attesta l'estratto dell'atto di nascita rilasciato dall'Ufficio di stato civile, Sezione di Montecalvario, Corpo della città di Napoli), e non nel 1819, come riportano altre fonti.
Nel Fondo Gennarelli (Bibl. nazionale di Firenze, mss. da ordinare, 39 e 124) non esistono documenti sulla prima formazione del G. e sulla vicende della sua famiglia. Solo da sue brevissime note si può ipotizzare che, forse in seguito agli eventi politici del 1820-21, la famiglia fu costretta in data imprecisata a lasciare Napoli; è però certo che nel 1827 il G. risiedeva a Fermo, dove compì gli studi inferiori.
Anche le notizie a questo proposito non sono ben documentate, benché dalla nutrita corrispondenza del G. con Giuseppe Fracassetti (Fondo Gennarelli; Fondo Fracassetti della Bibl. comunale di Fermo) emergano i rapporti che egli strinse con alcuni coetanei appartenenti ai ceti più elevati della città e, soprattutto, con lo stesso Fracassetti, sua guida preziosa negli studi letterari, storici e archeologici. Nel 1839, il G. si trasferì a Roma, dove nel 1846 si laureò in giurisprudenza, senza però che lo studio del diritto gl'impedisse di coltivare i suoi interessi classici e archeologici e di seguire, in particolare, le lezioni di lingua greca tenute da M. Sarti. Né, più tardi, gli impegni di avvocato rotale lo tratterranno dal dedicarsi con entusiasmo agli studi storici e a un'intensa attività pubblicistica e giornalistica.
Nel 1839 usciva, nel Bullettino dell'Instituto di corrispondenza archeologica (XI, pp. 53-63, 86-92), un suo primo lavoro sui Marmi ottovirali editi e inediti e sopra alcuni monumenti ed iscrizioni fermane, dedicato al Fracassetti. Frutto della stessa passione furono poi vari altri studi: Di alcuni specchi etruschi graffiti, Roma 1840; Intorno ad un anello di Flavio Valerio Severo e ad una sextula d'oro, Roma 1841; La moneta primitiva e i monumenti dell'Italia antica messi in rapporto cronologico e ravvicinamento all'opera d'arte delle altre nazioni civili dell'antichità per dedurne onde fosse l'origine delle arti e dell'incivilimento, Roma 1843 (con questa dissertazione aveva partecipato al concorso indetto dall'Accademia archeologica romana, vincendo la medaglia d'oro); Museum Gregorianum ex monumentis Etruscis, ibid. 1843 (2 voll. illustrati); Le iscrizioni bilingui etrusche e latine, ibid. 1844. Collaboratore delle Dissertazioni dell'Accademia romana di archeologia e del Tiberino, il G. scrisse anche di questioni letterarie su altri periodici: il Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti, L'Album, L'Ape italiana delle belle lettere. Nel 1840, a Perugia, aveva già pubblicato Sull'Italiade del cav. Angelo Maria Ricci e sulla necessità ed utilità di un poema epico. Discorso con la giunta di alcune lettere di romani celebri intorno all'Italiade.
Questa intensa e precoce attività, che gli permise di stringere rapporti con ambienti e personalità romane e straniere interessate agli studi archeologici e storici, valse al G. altri riconoscimenti e onorificenze: socio residente dell'Accademia romana di archeologia, fu insignito dal re di Prussia della medaglia al merito e da Gregorio XVI della croce di cavaliere di S. Gregorio Magno. Invero, l'impegno profuso nella ricerca archeologica - come scriveva il 13 ag. 1839 al Fracassetti - era per lui la via maestra per risalire alle origini della storia italiana e intendere se gli italiani fossero stati "maestri di civiltà a tutto il mondo", o se e da chi avessero ricevuto il loro "incivilimento". La sua concezione organica e unitaria del passato più lontano era, infatti, strettamente connessa al progetto di una ricerca che ripercorresse tutti i tempi e i momenti essenziali della storia della civiltà italiana. Non stupisce, quindi, che egli si dedicasse, con altrettanto zelo, agli studi storici, stimolato anche dalla forte ripresa d'interesse per l'erudizione storica e l'indagine documentaria che si manifestava in quegli anni in vari ambienti intellettuali italiani.
Già nel 1841 si era costituita la Società storica romana, sotto gli auspici del console statunitense G.W. Greene, nella cui abitazione si riunivano i soci, tra quali era il Gennarelli. Fidando nell'aiuto finanziario della nobiltà romana o nel successo editoriale dell'impresa, la Società progettò una nuova edizione dei Rerum Italicarum scriptores di L.A. Muratori, aggiornata con la collazione di nuovi manoscritti e l'aggiunta di altri materiali scoperti più tardi e corredata di note e indici. La speranza nei finanziamenti dell'aristocrazia fu presto delusa, e non tutte le istituzioni o società delle quali era stata richiesta la cooperazione risposero positivamente. Poi, la notizia che G. La Farina si proponeva un'impresa analoga fece tramontare l'ambizioso progetto. Nondimeno, il 1° genn. 1844 apparve Il Saggiatore, fondato e diretto da P. Mazio e dal G., che, benché sottotitolato Giornale romano di storia letteratura belle arti filologia e varietà, si proponeva in realtà di dedicarsi alla rassegna di studi storici e all'edizione di materiale documentario. Nei sei volumi usciti del periodico vennero infatti pubblicati importanti documenti tratti soprattutto dagli archivi di antiche famiglie nobili romane. I redattori ottennero la collaborazione sia di noti archeologi, come G. Melchiorri e B. Borghesi, sia di eminenti personalità come G. Fracassetti, C. Troya, M. d'Ayala e L. Cibrario. Sul piano editoriale, inoltre, dopo un iniziale contrasto con G.P. Vieusseux si giunse a un accordo di collaborazione per il quale Il Saggiatore e l'Antologia si impegnavano a dare annunzio delle rispettive pubblicazioni documentarie; più tardi lo stesso G. avrebbe collaborato all'Archivio storico italiano pubblicandovi, tra l'altro, vari necrologi di studiosi romani e una rassegna critica dell'edizione Regesta pontificum Romanorum curata da Ph. Jaffé.
L'articolo del G. Sulle condizioni attuali della storia, apparso nel primo numero del Saggiatore, è indicativo delle tendenze del periodico, comuni, del resto, alla storiografia romantica, ossia la rivalutazione del mondo medievale e delle tradizioni linguistiche e culturali della civiltà italiana, e la necessità di ricercare, sulla scorta di G. Vico, i "principii della storia ideale eterna, mostrando il ricorso continuo delle cose". Il che spiega perché egli curasse l'edizione delle Opere complete del "vichiano" E. Duni (Roma 1845), che completò con una biografia dell'autore e un discorso sullo stato degli studi storici.
Il Saggiatore ebbe vita breve. Ritiratosi il Mazio, dal secondo semestre del 1846 il G., rimasto unico direttore, volle aprire il periodico alla trattazione di problemi sociali ed economici; ma il VI volume risultò piuttosto improvvisato e composto di materiale modesto. Con la fine dell'anno cessarono le pubblicazioni.
L'elezione di Pio IX, segnando l'inizio di un periodo di riforme, accese entusiasmi e speranze di rinnovamento di cui anche il G. fu subito partecipe con due scritti: Festa del giorno 8 settembre in Roma narrata da A. Gennarelli con la giunta di un salmo dell'avv. G. Fracassetti (Roma 1846) e Feste celebrate nella città di Fermo in onore dell'immortale Pio IX nel sett. MDCCCXLVI (Loreto 1846). Promotore di altre iniziative atte a creare il mito del papa riformatore, come membro di una delegazione incaricata di offrire a Bologna un busto marmoreo di Pio IX pronunziò un discorso in cui esprimeva piena fiducia nell'azione del pontefice a favore della libertà e della nazionalità italiana (Discorso di A. Gennarelli ai Bolognesi neldì 10 ottobre 1847, Macerata 1847). Soprattutto, iniziò una più intensa attività giornalistica, collaborando alla Bilancia, al Contemporaneo e al Popolo romano, partecipando alla fondazione dell'Unione, foglio moderatamente progressista, e operando come redattore del Giornale del Pontificio Istituto statistico agrario e d'incoraggiamento, che si proponeva di studiare e promuovere riforme nell'ambito dell'agricoltura. Intanto figurava anche tra i collaboratori del periodico (e poi quotidiano) fiorentino Il Popolano, nettamente anticlericale.
La caduta delle speranze riposte in Pio IX, dopo l'allocuzione del 29 apr. 1848 e il ritiro delle truppe pontificie dal Veneto, non allontanò il G. dall'impegno politico. Anzi, il 3 ottobre, a pochi giorni dalla formazione del governo di Pellegrino Rossi, assunse la direzione de La Speranza, imprimendogli, contro gli eccessi delle fazioni più estreme, una linea politica moderata, di concordia tra sovrano e popolo, ma anche di risoluto sostegno a una ripresa della lotta per l'indipendenza a fianco di Carlo Alberto. Dopo l'uccisione del Rossi, la fuga del papa, e in vista delle elezioni per la Costituente, il G. fondò e diresse La Speranza italiana (13 gennaio - 11 luglio 1849), che nel marzo del 1849 si fuse con L'Epoca, assumendo il titolo La Speranza dell'epoca e, avvalendosi della collaborazione di T. Mamiani, D. Pantaleoni e L.C. Farini, si dichiarò favorevole alla decadenza del potere temporale, ma contrario all'instaurazione della repubblica. Lo stesso G., eletto nelle elezioni suppletive per la Costituente nel collegio di Ascoli Piceno (aprile 1849), sedette all'opposizione.
La moderazione di cui aveva dato prova non gli evitò le censure del restaurato governo pontificio, che ne decretò l'espulsione come ex deputato della Costituente, anche se non aveva preso parte alle sue deliberazioni. Gli interventi di nobili, alti prelati e dello stesso ambasciatore di Francia ritardarono ma non evitarono la partenza entro otto giorni intimatagli il 13 genn. 1852, pena l'arresto. Chiesto asilo alla Toscana, dopo un breve soggiorno a Livorno il G. fu autorizzato a stabilirsi a Firenze, dove portò anche la sua biblioteca ricca di libri, manoscritti e incunaboli. Stampò subito una relazione storica, Della sfida di Barletta, e, nel 1854, il Processo a carico del p. Francesco Pisani e dei suoi confratelli della Compagnia di Gesù, compilato per ordine di s.s. Clemente XIV. I suoi progetti erano però assai più ambiziosi, perché, costituendo un'apposita società, si proponeva di pubblicare una monumentale collezione, "Gli scrittori e i monumenti della Storia Italiana editi e inediti dal VI al XVI secolo". Ma per l'intervento del governo che, secondo quanto scrisse più tardi (Capitoli per la libertà religiosa…, p. 4), dietro richiesta della S. Sede bloccò l'iniziativa, poté stampare, sempre nel 1854, solo una parte del Diarium di J. Burckard. Quanto all'attività giornalistica, oltre a collaborare al Passatempo, periodico umoristico che assunse poi un carattere letterario e artistico, e al Carlo Goldoni, giornale teatrale, diresse con C. Bianchi Le Arti del disegno e, con il Bianchi e C. Donati, Lo Spettatore, rassegna letteraria, artistica e storica più tardi diventata Lo Spettatore italiano e affidata alle sole cure del G. che, per avervi alluso all'indipendenza nazionale, si vide privato dal 5 apr. 1859 del rinnovo del permesso di soggiorno: la fine del regime granducale (27 apr. 1859) risparmiò al G. una nuova espulsione.
Il periodo successivo fu, per il G., il più congeniale alle sue idee e il più propizio alla sua natura di pubblicista. Sebbene il governo provvisorio avesse mantenuto in vigore le leggi eccezionali sulla stampa, B. Ricasoli non vietò la fondazione di giornali politici. Già gli ultimi numeri dello Spettatore italiano assunsero un carattere politico. Soprattutto, fu autorizzata una nuova testata, Il Risorgimento italiano, "espressione della Giunta superiore delle Marche e dell'Umbria", che, sotto la sua direzione, iniziò le pubblicazioni il 6 ag. 1859. Il G., che della giunta era autorevole esponente, mirò soprattutto a porre nella massima evidenza il problema del potere temporale e del malgoverno pontificio che denunciò con particolare energia, convinto che l'indipendenza e libertà italiana dipendessero dalla loro definitiva scomparsa. Uguale tesi sostenne nella memoria Intorno all'allocuzione ed alla lettera enciclica di s. santità e alle teorie di diritto pubblico della corte di Roma (Firenze 1859), in cui proponeva che la sovranità pontificia fosse limitata alla "Città Leonina". Quanto all'assetto da dare all'Italia, il G. propendeva per una federazione composta da tre Stati, Alta Italia, Regno di Etruria (comprendente anche tutto lo Stato Pontificio), e Regno delle Due Sicilie, ciascuno con un proprio parlamento ma con un'assemblea nazionale unica, diplomazia ed esercito comuni e uguale legislazione. L'armistizio di Villafranca lo costrinse a una prospettiva diversa, sintetizzata nell'opuscolo I pericoli dell'Italia centrale in risposta al libro "La politica napoleonica e quella del governo toscano" di E. Alberi (Firenze 1860) che auspicava l'annessione al Piemonte degli Stati già liberatisi dell'Italia centrale, perché la nazionalità italiana poteva "prepararsi" e "ordinarsi" solo "creando un forte regno che ne fosse come lo schema, che affrettasse l'elaborazione e l'incarnazione del fine". Tale atteggiamento era contrastante con la politica di rigoroso unitarismo perseguita da Ricasoli. Questi tuttavia aveva permesso che Il Risorgimento italiano continuasse a uscire e si fondesse (novembre 1859) con Il Secolo, guardandosi bene dal sopprimere un foglio che confermava di fronte all'opinione pubblica la libertà di stampa di cui godeva la Toscana. Ma il G. aveva già lasciato la direzione perché costrettovi da altri onerosi impegni.
Incaricato ufficiosamente da L. Cipriani, e poi ufficialmente da L.C. Farini (decreto del 16 nov. 1859), di procedere all'edizione di documenti raccolti negli archivi delle Legazioni, per denunciare di fronte al futuro congresso delle potenze europee la politica oppressiva e arbitraria del governo pontificio, il G. lasciò il giornale e preparò, con molta fretta e scarsa precisione, la raccolta intitolata Il governo pontificio e lo Stato romano. Documenti preceduti da una esposizione storica e raccolti per decreto del governo delle Romagne (I-II, Prato 1860), che tuttavia costituisce una preziosa documentazione storica. Utilizzando materiali pervenutigli successivamente, pubblicò quindi I lutti dello Stato romanoel'avvenire della corte romana. Rivelazioni storiche, Firenze 1860; Il governo pontificio surrogato nel decennio da quello imperiale d'Austria nelle Romagne. Rivelazioni storiche (ibid. 1860) e il Processo di morte compilato dalla S. Consulta contro Cesare Lucatelli di Roma (ibid. 1862), altro materiale dando alle stampe nei giornali a cui collaborava. Intanto, incaricato dell'insegnamento di diplomatica e paleografia nell'Università di Bologna per l'anno 1859-60, fu confermato anche per quello successivo.
Bastano i titoli di questi scritti a mostrare che il G. continuava a sostenere la necessità della totale abolizione del potere temporale. Ma era altrettanto convinto che il nuovo Stato italiano avrebbe dovuto assicurare al pontefice e alla Chiesa la massima libertà e fornire adeguate garanzie di ordine politico ed economico, in modo da realizzare, secondo la concezione liberale propugnata dal Cavour, la reciproca autonomia e piena indipendenza dei due poteri. Ciò spiega perché nella primavera del 1861, dopo la proclamazione del Regno d'Italia, mentre il Cavour tentava la via delle trattative con Pio IX per giungere alla soluzione della questione romana, il G. avesse con lui a Torino due colloqui - avvenuti, come scrisse in una memoria ancora inedita del Fondo Gennarelli (e cfr. Spadolini, pp. 535 ss.), poco prima e poco dopo la seduta della Camera del 27 marzo che, acclamando Roma capitale, aveva affermato l'obbligo di "assicurare la dignità, il decoro e l'indipendenza del Pontefice" - e fosse da lui incaricato di raccogliere e tradurre in francese la documentazione più idonea a divulgare il principio del separatismo liberale cui la politica cavouriana si era ispirata. Di lì a poco la morte del Cavour vanificò il progetto.
Un altro fondo archivistico doveva però fornire al G. nuovo e ampio materiale documentario: le carte della segreteria di gabinetto lasciate dal granduca Leopoldo II quando aveva abbandonato Firenze. Informato da L. Passerini della grande importanza dei documenti, chiese l'autorizzazione governativa a esaminarli e a trarre copia di alcuni di essi. Si trattava di carte che concernevano soprattutto la Toscana, ma che servirono al G. per denunciare le responsabilità del papa e attribuire alla sua influenza gli errori e i tradimenti di Leopoldo II. Uscirono così, entrambe a Firenze nel 1862, le raccolte su La politica della S. Sede e gli atti dei Buonaparte. Esposizione e documenti…, e Le dottrine civili e religiose della corte di Roma in ordine al dominio temporale. Considerazioni e documenti accompagnati da una proposta per risolvere la questione romana, seguite l'anno dopo da Le sventure italiane durante il pontificato di Pio IX…, dall'Epistolario politico toscano ed atti diversi da servire di illustrazione e di complemento alla storia della restaurazione granducale e al volume delle "Sventure italiane"…, e dagli Atti e documenti diversi da servire di illustrazione e di complemento ai volumi delle "Sventure italiane"… e dell'"Epistolario politico toscano" (editi tutti a Firenze): a questi ultimi premise l'"Atto di consegna degli oggetti di privata proprietà agli Incaricati di S.A.I. Leopoldo II". Queste pubblicazioni suscitarono molto scalpore e anche proteste per la presunta violazione di carte segrete e personali del granduca, ma il G. respinse l'accusa dichiarando di aver utilizzato "documenti concernenti le cose dello Stato… col principale concetto di giovare alla causa nazionale". Nel febbraio 1864 apparve sulla Nazione, e poi in un opuscolo anonimo ma attribuito al G., uno scritto dal titolo La missione a Roma del comm. G. Baldasseroni nel 1851, che, servendosi dei documenti granducali, denunciava in particolare il progetto di un accordo politico tra i sovrani italiani che, se fosse andato in porto, avrebbe significato il definitivo asservimento dell'Italia all'Austria. Nelle sue Memorie, rimaste a lungo inedite, e nel libro Leopoldo II di Toscana e i suoi tempi (Firenze 1871), il Baldasseroni avrebbe definito "gratuito" e "infondato" il giudizio del Gennarelli.
Sempre nel 1863 e poi negli anni seguenti, il G. dedicò altri scritti polemici alla questione romana: Dell'indipendenza della Santa Sede; Delle proteste dello Stato romano contro il governo della Santa Sede; Della incompatibilità dei due poteri spirituale e temporale nel S. Padre; La Roma degli Italiani e la Roma dei cattolici. Osservazioni e risposta… alla lettera del sig. duca di Persigny indirizzata al presidente del Senato francese (Firenze 1865); Capitoli per la libertà religiosa e pontificia e per la reciproca indipendenza del re d'Italia e del sommo pontefice in Roma (ibid. 1870); Il Quirinale e i palazzi pontifici in Roma. Osservazioni storiche e risposte alla nota del cardinale Giacomo Antonelli (ibid. 1870), ove sostenne che il palazzo del Quirinale doveva essere la sede del re, perché lo era già stato del papa, in quanto sovrano temporale, e non come capo della Chiesa; Il diritto pubblico e la libertà religiosa applicati alla questione romana (Firenze 1871). Appose inoltre alcune aggiunte alla Storia dei papi esposta al popolo italiano di S. Bianciardi (Firenze, 1861-66), e scrisse la memoria legale Della condizione giuridica e de' diritti degli israeliti in Toscana (Firenze 1864). Intanto, dal 1861-62 aveva trovato una stabile condizione accademica in qualità di professore ordinario di archeologia presso il R. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze.
Dopo l'annessione di Roma e l'emanazione della legge delle guarentigie, che era in sintonia con alcune delle sue proposte, il G. tornò a occuparsi, in modo prevalente, di questioni più propriamente culturali, senza trascurare però i suoi interessi di pubblicista politico. Né cessò di occuparsi della spinosa questione dei rapporti tra lo Stato italiano e la S. Sede, come appare da alcune sue relazioni con importanti personalità del mondo cattolico quali il card. Camillo Di Pietro, decano del S. Collegio, e il segretario di Stato, card. Lorenzo Nina, con cui nel 1879 ebbe un interessante colloquio su Leone XIII e il suo atteggiamento intransigente. Nel 1881 mostrò viva attenzione alle proposte di un modus vivendi avanzate da un rappresentante del laicato cattolico, Camillo Baccelli, promotore della Società romana per gli interessi cattolici. Non a caso, nel 1884 tornò a parlare di Pio IX e del cardinale Antonelli disegnandone due brevi medaglioni per Il Risorgimento italiano. Biografie d'illustri italiani contemporanei, per cura di L. Carpi, I, Milano 1884, pp. 165-204; II, ibid. 1886, pp. 223-236.
Tra gli anni Sessanta e Settanta il G. collaborò con notevole frequenza alla Nazione, che accolse suoi articoli di attualità e anche di carattere scientifico. Vari altri scritti apparvero in giornali e periodici, tra i quali si ricordano La Nuova Roma, La Nuova Antologia (dove, nel 1879, pubblicò Pietro Maroncelli e i carbonari dal 1815 al 1821. Su documenti inediti degli archivi romani), la Rivista internazionale britannica, germanica, slava, ecc. di scienze, lettere ed arti, Il Bibliofilo, la Rivista europea, La Voce della verità.
Tra gli scritti di carattere artistico e culturale vanno citati, in particolare: L'istituzione del Museo etrusco di Firenze (Firenze 1871); Sopra una statuina in marmo di Raffaello Sanzio e sopra un giudizio di dieci membri dell'Accademia di belle arti in Firenze (ibid. 1873); Sopra una scultura di Raffaello Sanzio. Poche osservazioni (ibid. 1873); La villa Pinciana fuori della porta Flaminia e i diritti del popolo romano e dello Stato sulla medesima. Memoria (Roma 1885); La villa Pinciana e i diritti del popolo romano sulla medesima. Nuova memoria e documenti (ibid. 1885); La raccolta di lord Ashburnham acquistata dal governo italiano (ibid. 1885, estr. da Il Buonarroti, s. 3, vol. II); Imonumenti storici nelle chiese di Roma e la violazione dei sepolcri (ibid. 1885, estr. da Il Buonarroti, ibid.).
Aveva pure tentato di ottenere una sua personale affermazione politica, presentandosi, nel collegio di Volterra, alle elezioni per l'VIII legislatura (27 gennaio - 3 febbr. 1861). Fu eletto, ma l'elezione fu annullata per l'eccedenza del numero dei professori universitari. Nel 1863 si presentò di nuovo alle elezioni suppletive per il collegio di Borgo a Mozzano e fu nuovamente eletto. Ma nella seduta del 20 nov. 1863 l'elezione venne annullata dalla Camera per irregolarità.
Nominato cavaliere ufficiale della Corona d'Italia, il G. continuò a insegnare sino all'anno accademico 1893-94, quando fu collocato a riposo. Già costretto a vendere, in più riprese, la propria pregevole biblioteca, tra la metà degli anni Ottanta e il 1894 cedette allo Stato anche le carte costituenti l'attuale Fondo Gennarelli.
Morì a Firenze il 22 ott. 1902. Aveva sposato Maria Magrini di Anghiari e dal matrimonio erano nati quattro figli.
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