MARTELLI, Achille
– Figlio di Francesco Saverio e Paolina Paucci, nacque a Catanzaro il 16 genn. 1834, come attestano il certificato di battesimo e altri documenti conservati nell’archivio dell’Accademia di belle arti a Napoli (serie Alunni, sottoserie Documenti, lettera «M», c. 4).
Le prime notizie su di lui sono riferite dalla principessa Maria Della Rocca (1883) e risalgono al 1848, anno in cui il M. arrivò a Napoli per la prima volta, il 12 maggio, dove prese parte alla difesa delle barricate del 15 maggio.
Sebbene scarsissime siano le informazioni relative ai primi anni di permanenza a Napoli, è ipotizzabile che il M. fosse arrivato nella capitale del Regno delle Due Sicilie sotto l’incitamento di A. Cefaly, pittore dal forte temperamento patriottico e rivoluzionario, che da Cortale, nel Catanzarese, era passato a Napoli nel 1842, ma che era stato costretto dal padre a ritornare in Calabria dove partecipò ai moti di Filadelfia, per cui fu condannato per attentato alla sicurezza dello Stato durante gli avvenimenti politici del 1848. La conoscenza e l’intima amicizia con Cefaly e la sua famiglia già negli anni precedenti al trasferimento napoletano, il conseguente coinvolgimento politico del M. nella rivolta del 1848 e la stretta condivisione con Cefaly della prima formazione artistica a Napoli sono elementi desumibili da un gruppo di lettere conservate nell’Archivio Cefaly di Cortale (in parte pubblicate da Frangipane, 1932). Le prime, indirizzate da Napoli alla madre di Cefaly, donna Carolina Pigonati-Ducos, risalgono al maggio-luglio del 1854.
Per il periodo precedente al 1854 è noto solo che il M. cominciò a studiare disegno sotto la direzione di G. Mancinelli, il quale, non potendosi muovere da Napoli perché vincitore della cattedra di professore di disegno al Reale Istituto di belle arti, lo incaricò nel 1851 di accompagnare a Tripoli una copia del quadro da lui dipinto, La Madonna degli Angeli, per l’altare maggiore della chiesa dei Francescani (Della Rocca).
Il 25 genn. 1855 l’intendenza della Provincia di Catanzaro gli approvò un assegno mensile di 9 ducati per quattro anni, dopo che la domanda di sussidio effettuata l’anno precedente era stata rigettata (forse per la sua partecipazione ai moti del 1848). La prosecuzione del discepolato presso lo studio di Mancinelli anche nel 1855 è confermata dalle lettere inviate dal M. alla madre di Cefaly nel giugno di quell’anno (Frangipane, 1932).
Nell’autunno del 1856, dopo aver alternato, insieme con Cefaly, lo studio di disegno e pittura da Mancinelli a soggiorni presso Catanzaro, il M. si apprestò a compiere l’esame di ammissione al Real Istituto di belle arti di Napoli per continuare a seguire là i corsi del maestro. Nonostante avesse superato di due anni l’età consentita per l’accesso, il 19 novembre venne accettato, essendo già molto avanti nella pratica del disegno (Napoli, Arch. dell’Accademia di belle arti, serie Alunni, sottoserie Documenti, lettera «M», c. 1). L’anno successivo il M. lo trascorse interamente a Napoli frequentando i corsi all’Accademia e continuando a tenere un’intensa corrispondenza con la famiglia di Cefaly. Parallelamente ai corsi in Accademia, dal 1856 al 1859 Cefaly nel suo studio di vicolo S. Mattia costituì un gruppo di giovani artisti polemicamente rivolto all’arte e alla politica, il cui scopo era quello di seguire il realismo di F. Palizzi, che frequentava il gruppo, spingendolo però in una direzione di verismo sociale. Di esso facevano parte anche, oltre al M., altri corregionali (A. Migliaccio, A. Talarico, M. Tedesco, F. Sagliano) e compagni come S. Cucinotta e M. Lenzi.
Nel gennaio del 1858 il M. tornò a Catanzaro; nel 1859 esordì con un Ritratto virile in uniforme (ubicazione ignota), che meritò l’apprezzamento di C.T. Dalbono (1859). Nel 1860 prese parte ai combattimenti dei garibaldini – insieme con Cefaly, Lenzi e con altri suoi compagni di vicolo S. Mattia contro le truppe borboniche – a Soveria Mannelli, Napoli e a Santa Maria di Capua.
In seguito a questi eventi, il M. partecipò alla I Esposizione nazionale di Firenze con L’alloggio del garibaldino o Racconto dell’ospite garibaldino (poi acquistata dal Municipio di Napoli, ma di cui non si ha più traccia) e Scena domestica (ubicazione ignota). I due dipinti rientravano nel cosiddetto «filone garibaldino» al quale aderirono tutti gli artisti che parteciparono ai moti unitari: esso combinava la descrizione di episodi intimi della vita garibaldina con l’attenzione al vero derivante dalla frequentazione di Palizzi, in contrasto con i toni celebrativi dei dipinti ufficiali.
Oltre all’esperienza di vicolo S. Mattia, il M. ebbe occasione di studiare con Palizzi dopo la guerra in un piccolo studio affittato con altri corregionali a S. Pasquale a Chiaia, diretti dal maestro con «tanta amorevolezza», nelle sedute effettuate tre volte a settimana, come scrisse in una lettera del 29 luglio 1862 (Frangipane, 1932). In quello stesso anno prese parte alla prima mostra della Promotrice napoletana presentando nuovamente i due dipinti a soggetto garibaldino più un’altra Scena di famiglia (ubicazione ignota). Divenuto socio sin dalla fondazione della Società promotrice, vi partecipò piuttosto regolarmente fino al 1881.
L’orientamento verso il quale il M. indirizzò la sua opera si manifestò attraverso i dipinti presentati alle varie mostre della Promotrice napoletana (per tutte le opere esposte, si veda Valente). Partendo dalla tematica garibaldina dei primi anni Sessanta, la sua pittura fu in seguito improntata alle scene domestiche di «bambocciate» – descritte con quel verismo palizziano perseguito anche dai suoi compagni Cefaly e Lenzi, e molto apprezzato da V. Imbriani, come nell’Oroscopo amoroso (Avellino, palazzo della Provincia) esposto nel 1877 – accostate alle scene di interni appartenenti al filone di «narrativa del quotidiano» (Valente), come il dipinto più riuscito O tempora! O mores! (Catanzaro, Museo provinciale), esposto nel 1869 e inviato l’anno successivo alla Mostra nazionale di Parma. Il M. non trascurò neanche soggetti ispirati alla letteratura popolare, come Don Chisciotte e il suo scudiere Sancho Panza e Don Chisciotte nell’osteria ha creduto di ammazzare un terribile gigante (ubicazione ignota), con i quali guadagnò un premio nel 1866. Fu presente anche alle esposizioni delle Promotrici di Genova (1864) e Torino (1863, 1865), alle Esposizioni nazionali di Torino (1880) e Milano (1881) e alla Esposizione nazionale d’arte contemporanea di Palermo (1892).
Dopo il rientro di Cefaly nel 1862 a Cortale, dove fondò con l’aiuto di Lenzi la cosiddetta «Scuola di Cortale», i rapporti tra il M. e i due artisti, fortificati dalla condivisione delle esperienze garibaldine, continuarono a essere molto stretti nonostante il M. fosse rimasto a Napoli. In particolare, il M. stabilì con Lenzi un rapporto profondo di amicizia che, anche per ragioni economiche, si spinse alla convivenza durata fino alla morte dell’amico nel 1886, alternando i soggiorni tra lo studio di Avellino, quello di Bagnoli Irpino, paese natale di Lenzi, e quello di Napoli (Frangipane, 1942). La forte comunione d’intenti spinse entrambi a condividere il nuovo interesse per la ceramica, alla quale i due si avvicinarono sulla scorta di Palizzi probabilmente da prima del 1860 (Sica). I primi esperimenti condotti in una fabbrica di stoviglie di Borgo Loreto (Napoli) non diedero risultati soddisfacenti per la difficoltà di mantenere tutti i passaggi tonali dei colori, soprattutto quelli più delicati, durante la cottura a fuoco. In breve tempo il M. riuscì però a impadronirsi della tecnica e divenne presto uno tra i migliori artisti in questo genere, tanto da poter lavorare successivamente nello stabilimento manifatturiero della fabbrica Giustiniani a Napoli.
Il suo interesse per la decorazione su ceramica lo spinse a recarsi nel 1873 alla Esposizione universale di Vienna per ammirare Il Colosso, un grande vaso in maiolica dipinto dal suo conterraneo G. Benassai, di formazione palizziana, chiamato a dirigere il reparto pittori della maiolica nelle manifatture Ginori a Doccia. Come ceramisti il M. e Lenzi esordirono all’Esposizione nazionale di Napoli del 1877, riscuotendo lodi e apprezzamenti dalla critica. Tra i lavori del M. figurava un piatto col ritratto di Palizzi nel fondo e con la tesa decorata da otto scomparti con animali tratti dai quadri dello stesso Palizzi, cui il piatto fu regalato in occasione di un pranzo offerto a Bagnoli dai due artisti ad alcuni amici che, a loro volta, ricevettero in dono ciascuno un piatto diverso dipinti da entrambi (Imbriani).
Il successo ottenuto in questo genere spinse il M. a presentarsi nelle mostre successive come pittore ceramista: a Napoli partecipò nel 1878 a una esposizione allestita in palazzo Siracusa presentando alcune maioliche tra le quali una copia del Salve Regina! di D. Morelli (ubicazione ignota) e la riproduzione del suo dipinto O tempora! O mores! su una placca delle stesse proporzioni dell’originale, realizzata nelle manifatture Giustiniani; mentre nel 1881 si presentò per l’ultima volta alla Promotrice con un gruppo di otto maioliche dipinte, tra le quali due piatti con Gruppo di animali da Palizzi, e i Bevitori tratto da D. Velázquez (Avellino, palazzo della Provincia). Furono, probabilmente, le stesse a essere presentate a Torino per l’Esposizione nazionale del 1880. Si cimentò anche nella scultura ed espose due saggi alla Mostra nazionale di Milano nel 1881, Giuoco infantile e Sorriso d’innocenza, statuetta in bronzo (ubicazione ignota).
Nel 1882 il M. si trasferì definitivamente ad Avellino, dove diresse fino alla morte la scuola serale applicata all’industria Paolo Anania De Luca, aperta in quell’anno grazie al sostegno della Camera di commercio della città (Monetti).
Per la didattica del disegno e della pittura il M. chiese la collaborazione di G. Toma, il quale gli procurò una cartella di suoi disegni, acquerelli e tempere, che sarebbero serviti da modelli per gli alunni (Sica), e scrisse il testo Elementi pratici del disegno, geometrico-lineare per le scuole elementari e serali, pubblicato nel 1883 ad Avellino. Diversi lavori della scuola furono esposti con successo alla Mostra industriale di Torino del 1884.
Il M. morì ad Avellino il 12 dic. 1903.
Lasciò in segno di gratitudine alla Provincia di Avellino e al Comune di Bagnoli Irpino diverse opere che erano in suo possesso, mediante testamento redatto il 16 ag. 1896 (Sica), tra le quali: Oroscopo amoroso, La paurosa, Prima del veglione, ’O galantariaro (sartoria per donne) e il piatto con la raffigurazione dei Bevitori di Velázquez.
A Catanzaro, nel Museo provinciale, si conservano Paesaggio con figure di popolane e Attesa. Nella I Mostra d’arte calabrese, organizzata da A. Frangipane a Catanzaro nel 1912 con l’intento di valorizzare gli artisti calabresi dell’Ottocento, furono esposte trentotto opere del Martelli. Altri suoi lavori furono presentati alle Biennali di Reggio del 1920 e del 1931.
Fonti e Bibl.: Cortale, Arch. Andrea Cefaly, Documenti e carteggi (lettere pubblicate in parte da A. Frangipane nella rivista Brutium citata più avanti); C.T. Dalbono, Ultima mostra di belle arti in Napoli, Napoli 1859, p. 58; V. Imbriani, in Gazzetta di Avellino, 9 giugno 1877; M. Della Rocca, L’arte moderna in Italia. Studi, biografie e schizzi, Milano 1883, pp. 69-72; A. Frangipane, Lettere di A. M., in Brutium, XI (1932), 5, pp. 2 s.; Id., Notizie su artisti catanzaresi, ibid., XV (1936), 6, p. 91, 93; Id., Lettere di M. Lenzi, ibid., XXI (1942), 2, pp. 13-15; R. Sica, M. Lenzi, Napoli 1986, pp. 19 s., 24, 27, 30, 37, 101, 181-188, 224 s. e passim; M. Picone, in La pittura in Italia. L’Ottocento, Milano 1991, II, pp. 508, 907; I. Valente, Il naturalismo e l’immaginario storico ed esotico nella pittura napoletana del secondo Ottocento, in La pittura napoletana dell’Ottocento, a cura di F.C. Greco, Napoli 1993, pp. 48, 50, 53, 142 s.; M. Picone Petrusa, Le arti visive in Campania nell’Ottocento, in Storia e civiltà della Campania. L’Ottocento, a cura di G. Pugliese Carratelli, Napoli 1996, pp. 226, 240, 256 s.; S. Bosco, Le «Bambocciate» di A. M., in Andrea Cefaly e la scuola di Cortale (catal.), a cura di T. Sicoli - I. Valente, Catanzaro 1998, pp. 90 s.; M. Brunetti, ibid., pp. 101, 105 s.; A. Porzio, La quadreria di palazzo Reale nell’Ottocento. Inventari e museografia, Napoli 1999, p. 154; M.T. Sorrenti, Artisti calabresi all’Acc. di belle arti di Napoli: V. Morani, A. Mazzia e A. M., in I Borbone e la Calabria: 1734-1861 (catal., Catanzaro), a cura di R.M. Cagliostro Quattrone, Roma 2000, pp. 107-111, fig. 9; E. Le Pera, Arte di Calabria tra Otto e Novecento. Diz. degli artisti calabresi nati nell’Ottocento, Soveria Mannelli 2001, pp. 125-127; F. Franco, Lenzi, Michele, in Diz. biografico degli Italiani, LXIV, Roma 2005, pp. 393-395; U. Campisani, Artisti calabresi: Otto-Novecento. Pittori, scultori, storia, opere, Cosenza 2005, p. 96; G. Monetti, La raccolta d’arte della Provincia di Avellino. Opere dell’Ottocento e del primo Novecento, 2006, edizione elettronica, http://www.iconauta.it/raccolta.html.