SCLAVO, Achille
SCLAVO, Achille. – Nacque il 21 marzo 1861 ad Alessandria, dove il padre era capostazione, da Eugenio e Rosa Sclavo (non parente, ma originaria dello stesso paese, Lesegno).
Terzo dei cinque figli della coppia, fu battezzato Vincenzo: tale nome risulta nell’archivio dell’Ateneo di Torino, dove si iscrisse nel 1881 alla facoltà di medicina. Laureatosi nel luglio del 1886, tre mesi dopo sposò Eugenia Pertusio, da cui ebbe Maria Teresa (1892), Rosalia (1884), Eugenio (1898), Piero (1900) e Matilde (1902).
Suo maestro a Torino fu l’igienista Luigi Pagliani (1847-1932), dal 1887 primo responsabile della direzione generale di Sanità pubblica (alle dipendenze del ministero dell’Interno) e chiamato da Francesco Crispi a organizzare i servizi sanitari dell’Italia unita: uno sforzo che produsse la legge 5849 del 1888. Pagliani chiamò alla direzione generale di Sanità anche l’allievo Sclavo, il quale dopo la laurea aveva brevemente lavorato nell’istituto di farmacologia dell’Ateneo torinese.
Già nel 1892 Sclavo divenne direttore del laboratorio batteriologico all’interno della direzione di Sanità Pubblica e docente presso la Scuola superiore di igiene. Da 'tecnico' della sanità pubblica, si occupò di problemi di bromatologia (per la salubrità degli alimenti e contro la loro sofisticazione), e del miglioramento delle condizioni igieniche della nazione, implementando finalmente i principi della microbiologia. Armato dei nuovi precetti (Robert Koch aveva scoperto il vibrione solo nel 1884), affrontò le epidemie di colera del 1893-94, in particolare nelle province di Alessandria e Campobasso, studiando anche le differenze tra i ceppi batterici implicati in queste epidemie.
Sempre al fine di migliorare l’igiene degli italiani, Sclavo intraprese ricerche originali sui sieri antidifterico e anticarbonchioso. Quest’ultimo fu oggetto di esperimenti che lo portarono nel 1895 alla messa a punto di un nuovo metodo per ottenere l’immunità negli animali e negli umani: invece del vaccino pasteuriano, si utilizzava il siero ottenuto da pecore infettate dalla malattia «cui il nostro paese paga ogni anno un forte tributo di vittime umane» (Sclavo, 1895, p. 5). Il preparato, contrariamente al vaccino, poteva inoltre essere usato sia per la prevenzione che per la terapia.
Nel 1896 il nuovo corso politico del governo Di Rudinì portò alla soppressione della direzione di Sanità Pubblica. Molti degli igienisti che vi lavoravano si mossero verso il mondo accademico, contribuendo a rinnovare le facoltà di medicina. Sclavo fu tra i protagonisti di questa modernizzazione e del movimento igienista che investì la medicina italiana: con la libera docenza in igiene ottenuta a Torino pochi anni prima, fu prima incaricato all’Università di Siena, per poi salire in cattedra a Sassari nel febbraio del 1898. Tornò in Toscana dopo soli sei mesi, con il ruolo di professore straordinario di igiene e direttore del laboratorio di igiene. Le ricerche sul siero anticarbonchioso, ora prodotto non più dalle pecore ma dagli asini, non tardarono a dare frutti sia medici che finanziari. L’efficacia del prodotto era ormai comprovata e nel 1903 a Sclavo fu conferito il premio Riberi dell’Accademia medica di Torino. Con la somma ricevuta, acquistò una piccola proprietà di campagna poco lontano da Siena, dove nel 1904 nacque ufficialmente l’Istituto sieroterapico e vaccinogeno toscano, fondato come società a nome collettivo da Sclavo e dal collega igienista d’Ateneo Ivo Bandi (1867-1926). L’Istituto prese poi il suo nome e negli anni divenne una delle più importante aziende farmaceutiche italiane, riconosciuta a livello internazionale.
Rispetto al tipico sviluppo della farmaceutica italiana, che vide il passaggio dai piccoli laboratori galenici delle farmacie alla produzione su scala industriale, l’Istituto Sclavo seguì una strada diversa, integrando l’impresa con la ricerca accademica, in nome di una decisa azione a favore dell’igiene degli italiani. La carriera universitaria – che lo portò ad essere rettore nell’Ateneo senese in tre diversi mandati: 1914-1917, 1924-1926, 1927-1929 – si intrecciò all’impegno in altri organismi statali. Tra questi incarichi va sottolineato quello di direttore della Scuola di sanità militare a Firenze durante la prima guerra mondiale, che lo vide impegnato a diffondere attraverso numerosi corsi le misure profilattiche necessarie per contenere le malattie infettive tipiche delle condizioni di conflitto. Le vicende belliche influenzarono ovviamente anche l’azienda di Sclavo, che si impegnò nella produzione di preparati contro il tifo e il colera destinati alle Forze armate. Alla fine del conflitto, Sclavo rimase nel capoluogo toscano come professore del Regio Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento (che poco dopo ricevette la denominazione ufficiale di Università), dove insegnò fino al 1924, anno del ritorno a Siena per il secondo mandato da rettore.
L’impegno per la sanità pubblica di Sclavo non si limitò ai compiti istituzionali sopra ricordati. Costante fu il suo sforzo 'sul campo', in campagne per l’igiene messe in atto in diversi contesti. Nel 1905 realizzò le prime vaccinazioni antitifiche italiane (a Certaldo e Poggibonsi) con il vaccino messo a punto da Almroth E. Wright (1861-1847) e prodotto nell’Istituto senese. Nel 1910 fu messo a capo, insieme al patologo Alessandro Lustig (1856-1937), della prima campagna antimalarica in Sardegna, specificatamente nella provincia di Sassari. L’indagine promosse non solo la riorganizzazione della sanità con presìdi locali addetti alla terapia e alla profilassi per mezzo del chinino di Stato, ma anche opere di bonifica ambientale e di educazione all’igiene. Nello stesso anno fece parte della commissione ministeriale per lo studio della pellagra. Nel 1911 fu inviato in Puglia per debellare un’epidemia di colera, evidenziando l’importanza di opere urbanistiche quali le fognature, e delle misure di isolamento per i soggetti colpiti.
Negli anni successivi sostenne sempre di più l’importanza di occuparsi dell’infanzia, sia per migliorarne la salute e quindi diminuire la mortalità nei primi anni di vita, sia come obiettivo primario di una educazione volta alla creazione di una coscienza igienica nella popolazione. Di qui il suo impegno nella realizzazione di strutture per l’edilizia scolastica che si confacessero ai principi dell’igiene, e che a Siena si concretizzarono in un asilo e una scuola all’aperto realizzata sugli spalti della Fortezza Medicea. Lo scopo era quello di creare ambienti salubri dove crescere e integrare l’educazione fisica nei precetti igienici, implementando così anche i principi della lotta antitubercolare.
Sclavo ricoprì numerosi ruoli tra gli igienisti e nella società senese: fondatore nel 1921 della Associazione italiana per l’igiene (che sostituì la Società italiana di igiene fondata nel 1878 da Gaetano Pini), fu presidente dell’Associazione ginnastica senese nonché promotore dell’Associazione amici della Regia Università di Siena, con lo scopo di pubblicizzare in Italia e all’estero il nome della città, sempre in bilico tra tradizione e progresso. Nel 1926 ricevette, ultima dopo tante onorificenze nazionali e internazionali, la nomina a grande ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia. Finito il terzo mandato da rettore il 31 ottobre 1929, morì il 2 giugno del 1930 a Genova.
Opere principali. Sulla preparazione del siero anticarbonchioso, Roma 1895; Sullo stato presente della sieroterapia anticarbonchiosa, in Rivista di igiene e sanità pubblica, XIV (1903), pp. 519-587; La campagna antimalarica in Sardegna nel 1911 diretta da A. Lustig e A. Sclavo (con A. Lustig), Firenze 1912; Igiene ed edilizia scolastica, Siena 1914; Per l'educazione fisica, Siena 1914; Per la propaganda igienica. Scuola ed igiene, Torino 1924.
Fonti e Bibl.: G. Mazzetti, La vita e l'opera di A. S., Siena 1949; F. Vannozzi, A. S. e la società del suo tempo, in Cittadella della scienza: l’Istituto S. a Siena nei cento anni della sua storia (1904-2004), a cura di S. Maggi, Milano 2004, pp. 21-37; S. Battente - S. Maggi, Salute e igiene pubblica tra impresa e ricerca. A. S. e l'Università di Siena, in Rassegna storica toscana, LI (2005), pp. 165-184.