Achille
. Figlio di Peleo e della dea marina Teti, nacque a Ftia, in Tessaglia; la madre lo immerse nello Stige rendendolo invulnerabile, tranne che nel tallone per il quale ella lo teneva, rimasto perciò fuori dall'acqua. Teti tuttavia sapeva che al figlio sarebbe comunque toccata in sorte o una morte gloriosa sui campi di battaglia in età giovane o una vita lunga ma oscura; e quando scoppiò la guerra di Troia, per salvarlo dalla sicura morte, lo sottrasse al centauro Chirone, cui era stata affidata l'educazione di A., nascondendolo, sotto abiti femminili, tra le figlie di Licomede, re di Sciro: dove A. si innamorò di una delle giovinette, Deidamia, avendone un figlio, Pirro (altrimenti detto Neottolemo).
Il travestimento fu però reso vano da Ulisse, inviato con Diomede dai Greci alla ricerca dell'eroe: tra i monili portati in dono alle figlie di Licomede l'astuto Ulisse mise, come per dimenticanza, una spada, che attrasse l'attenzione curiosa del giovinetto, scoprendolo. L'eloquenza di Ulisse convinse A. ad accorrere nel campo greco; e sotto le mura di Troia l'eroe seminò strage tra i nemici, dimostrandosi di gran lunga il più strenuo guerriero greco, cui solo il troiano Ettore poteva ambire di opporsi. L'Iliade di Omero narra lo sdegno che colse A. spingendolo a ritirarsi dai combattimenti, quando Agamennone gli tolse la schiava Briseide; e solo la morte dell'amico Patroclo per mano di Ettore sciolse da quel proponimento l'eroe, che vendicò Patroclo uccidendo, dopo un lungo duello, Ettore il cui cadavere strascinò intorno alle mura di Troia. L'ira di A. si piegò tuttavia a pietà dinanzi al dolore di Priamo, cui restituì il misero corpo del figlio per la sepoltura. Innamoratosi di Polissena, figlia di Priamo, A., credendo di recarsi a un appuntamento d'amore, si lasciò attrarre in un agguato, e Paride gli scoccò la freccia fatale nel tallone (secondo Ovidio [Met. XII 597-606] la morte di A. sarebbe invece avvenuta sul campo di battaglia, sempre per mano di Paride). Sorse quindi disputa tra i capi greci per l'eredità delle sue famose armi, che vennero infine aggiudicate a Ulisse. Dopo la presa di Troia Polissena gli fu sacrificata sulla tomba.
D. potè averne ampie notizie da molti testi latini; soprattutto ebbe presenti l'Achilleide di Stazio (ove sono narrate diffusamente l'infanzia di A., la permanenza a Sciro, la partenza per Troia), perciò esplicitamente menzionata in Pg XXI 92, e le Metamorfosi di Ovidio (di qui potè apprendere vari particolari, sull'agguato di Paride [XII 584-611], sulla disputa per le armi [XIII 1 ss.], sul sacrificio di Polissena [XIII 439-480]). Il primo cenno all'eroe si trova nel Convivio, dove se ne dichiara la genealogia : [E]aco... fu padre di Telamon e di Foco, del quale Telamon nacque Aiace e Peleus e Achilles (IV XXVII 20); il passo è sembrato corrotto agli editori Milanesi, al Parodi, al Pellegrini e al Vandelli, che l'hanno così restaurato : Eaco... fu padre di Telamon, [di Peleus] e di Foco, del quale Telamon nacque Aiace, e di Peleus Achilles (cfr. infatti Met. VII 476-477); mantiene invece la lezione dei codici l'edizione Simonelli, sostenendo l'errore d'autore con la difficoltà che D. avrebbe incontrata nel ricordare precisamente l'albero genealogico di A.: che non è ipotesi da scartare (cfr. Met. XIII 31, dove Aiace si proclama fratello di A.: e vedi la proposta di G. Martellotti, Due noterelle su D. lettore dei classici, in " Giorn. stor. " CXLIV [1967] 481-486), per quanto sia arduo ammettere che il poeta, all'altezza del libro IV del Convivio, potesse cadere in confusione sul nome del padre di A., ripetutamente ricordato come Pelide nell'Eneide (II 548, V 808, XII 350), nelle Metamorfosi (XII 605, 619), ecc.; tanto più che gli amori di Peleo e di Teti sono narrati diffusamente da Ovidio (Met. XI 217-265), e le loro nozze, per le gravi conseguenze del mancato invito alla dea della Discordia, sono frequentemente citate dai mitografi medievali. A chi scrive pare che il guasto derivi probabilmente da un salto du même au même, causato dal ripetersi del nome ‛ Peleus ', cui il copista ha posto rimedio trascrivendo a margine le parole omesse (‛ e di Foco del quale Telamon nacque Aiace e '), successivamente reinserite nel testo con lieve spostamento.
Nel poema dantesco il grande Achille, / che con amore al fine combatteo, è tra i lussuriosi del secondo cerchio infernale (If V 65; per l'aggettivo grande, anche in Pg XXI 92, da intendersi nell'accezione di " valoroso ", " eroico ", cfr. Ach. I 19 e passim); fonte, diretta o di lì mediata da altro chiosatore di testi latini, della notizia della morte di A. in relazione all'amore per Polissena è Servio (ad Aen. III 321; è assai dubbio che D. conoscesse la Ephemeris belli Troiani attribuita a Ditti Cretese e la Historia de excidio Troiae di Darete Frigio), mentre alla lussuria dell'eroe, prendendo spunto dal suo incapricciamento per Briseide, accenna ripetutamente Ovidio (Ars am. II 711-714; Rem. am. 777; Her. III), da cui prende le mosse una ricca tradizione lungo tutto il Medioevo (cfr. " Bull. " VIII [1900] 254). Dall'Achilleide sono puntualmente riprese le notizie sull'educazione impartitagli da Chiròn (il qual nodrì Achille, If XII 71; cfr. Ach. I 104-277, e anche Ars am. I 11-17), sul suo trasporto all'isola di Schiro (cioè Sciro) ad opera della madre (Pg IX 34-39; cfr. Ach. I 247-250), sull'abbandono di Deidamia per recarsi a combattere Troia (If XXVI 62, e v. Pg IX 39; cfr. Ach. II 1-85, e anche Ars am. 1689-704). Un cenno particolare merita If XXXI 4-6, dove si ricorda che solea... la lancia / d'Achille e del suo padre esser cagione / prima di trista e poi di buona mancia, in quanto con un secondo colpo risanava le ferite che essa stessa aveva inferto. Si tratta di una notizia che i poeti latini classici ricordano fuggevolmente (cfr. Met. XII 112, XIII 171-172); il Toynbee rinvia in particolare a Rem. am. 47-48 (che sarebbe stato però interpretato da D. erroneamente). Ma i poteri portentosi della lancia di Peleo sono citati ripetutamente da autori dei secoli XIII e XIV, sì da divenire anzi un motivo topico della poesia amorosa.
Bibl. - Sulla fortuna del mito della lancia di Peleo nelle lingue romanze, v. P. Toynbee, Ricerche e note dantesche. Serie seconda, Bologna 1904, 53-57; M. De Riquer, La lanza de Pellés, in " Romance Philology " IX (1955) 187-196; A. Pézard, Manche et mancia, in Studi in onore di A. Monteverdi, Modena 1959, II 571. Sull'abbandono di Deidamia per consiglio fraudolento di Ulisse: G. Padoan, Ulisse " fandi fictor ", in " Studi d. " XXXVII (1960) 26-29.