CLORIDRICO, ACIDO
. È l'unico composto del cloro con l'idrogeno, HCl, chiamato in commercio acido muriatico. Si ritrova nelle emanazioni gassose vulcaniche e nel succo gastrico degli animali: quello dell'uomo ne contiene 0,2-0,4%, ed è noto che esso ha un'importanza notevole nel fenomeno della digestione. Si può formare per unione diretta dei due elementi, lentamente alla luce diffusa, rapidamente alla luce viva, ed anche con l'esplosione a luce molto intensa. L'azione catalitica della luce sulla reazione tra cloro e idrogeno è stata studiata quantitativamente e i risultati sono interessantissimi per la conoscenza delle reazioni fotochimiche.
L'acido cloridrico è un gas incoloro, che fuma fortemente all'aria umida e ha odore irritante. Ha elevato calore di formazione (22,0 Calorie); gli animali esposti all'aria contenente 3-4% di HCl per mezz'ora, sono gravemente attaccati; un uomo sano può stare, per poco tempo, in ambiente di aria contenente 0,05% di acido cloridrico e il limite consentito per i lavoratori abituati è 0,1%. Fu ottenuto liquido da Faraday nel 1823 e solido da Olschewsky nel 1884: solido o liquido, è incoloro. Il punto di ebollizione è −89°,9, quello di fusione −112°. È fortemente solubile in acqua; alla pressione atmosferica e a 0°, un volume di acqua assorbe 500 volumi, circa, di acido cloridrico; con acqua forma tre idrati distinti, HCl•3H2O; HCl•2H2O; HCl•H2O, tutti stabili sotto 0°. Il punto di ebollizione di una sostanza acquosa di acido cloridrico, alla pressione atmosferica, varia col variare della concentrazione, e, come mostra la fig. 1, raggiunge un massimo di 110° per una soluzione che contiene 20,24% di HCl. Si era pensato che, in corrispondenza a tale massimo, vi fosse un composto HCl•8HfO; ma si è dimostrato che esso non resiste al frazionamento per distillazione a diverse pressioni. È assorbito dal carbone di legno con notevole svolgimento di calore.
Fabbricazione industriale. - Iudustrialmente l'acido cloridrico si ottiene sia per trattamento del cloruro sodico (sale marino) o del cloruro potassico (silvina) con acido solforico, sia per sintesi dal cloro elettrolitico, bruciando questo in un'atmosfera d'idrogeno oppure facendolo passare assieme con vapor d'acqua su carbone rovente.
La reazione fra il cloruro alcalino e l'acido solforico può essere effettuata in due tempi, oppure, come oggi si preferisce, in un solo tempo. Nel primo caso si parte da una molecola di cloruro e una di acido solforico, giungendo in una prima fase al bisolfato (temperatura circa 250° C.):
e facendo poi reagire, alla temperatura di circa 500°, una molecola di bisolfato con una di sale:
Nel secondo caso si attua la reazione in una unica fase, alla temperatura di circa 500° C.:
La reazione fra idrogeno e cloro è reversibile:
e sviluppa 44.000 cal quando avviene nel senso della formazione dell'acido cloridrico. Si calcola che la fiamma della combustione del cloro in seno all'idrogeno raggiunga una temperatura dell'ordine di 2400°: un eccesso d'idrogeno fa abbassare notevolmente questa temperatura. La velocità di reazione è inoltre influenzata dalla presenza di catalizzatori: così tracce di umidità accelerano la combinazione al punto di renderla esplosiva; i corpi porosi, come spugna di platino, carbone di legna, ecc., esercitano lo stesso effetto acceleratore.
Il meccanismo della trasformazione del cloro in acido cloridrico in presenza di vapor d'acqua su carbone rovente è stato chiarito dagli studî di B. Neumann e R. Domke (1925); esso si svolge nel modo seguente:
Il carbone serve a legare l'ossigeno del vapor d'acqua e non vi ha formazione vera e propria di gas d'acqua: in un primo tempo si forma CO2, che viene poi parzialmente ridotto a CO. La trasformazione completa si verifica a 600° con carbone di legna, a 450° con coke: la migliore riuscita con carbone coke si deve all'azione catalitica dell'ossido di ferro sempre presente nelle ceneri, il che è provato dal fatto che si raggiunge la trasformazione completa a 350° anche con carbone di legna cui venga aggiunto dell'ossido di ferro. La reazione si può scrivere schematicamente nel seguente modo:
L'impianto, sia che si parta dal sale sia che si utilizzi il cloro, comprende: il forno di reazione, che può essere a mano o meccanico, i dispositivi di condensazione e di assorbimento del gas cloridrico.
Forni a bisolfato. - La preparazione del bisolfato si compie in una storta di ghisa collocata entro un massiccio di muratura e riscaldata da un focolaio a carbone (fig. 2). Il sale marino che scende dalla tramoggia A viene caricato nella storta in modo continuo a mezzo di un alimentatore automatico, o a mezzo di una vite senza fine orizzontale, a velocità variabile, per rendere possibile la dosatuia esatta del sale. L'acido solforico entra pure in modo continuo e regolato da B, mentre il gas che si sviluppa esce da C. Le proporzioni del sale e dell'acido solforico si regolano in maniera da avere un bisolfato con 36 a 38% di H2SO4. Il sale marino è generalmente introdotto umido; talvolta viene asciugato entro un essiccatoio che utilizza il calore dei fumi del forno. L'acido solforico impiegato ha una concentrazione che varia dal 94 al 98%. In queste condizioni si ricava un gas a 90-95% di HCl sufficientemente puro per molti usi diretti, come nella fabbricazione della canfora sintetica, dell'acido clorosolfonico (cloridrina solforica), ecc.
Il bisolfato fuso cola continuamente dal troppo pieno pescante D sopra un tamburo rotante raffreddato all'interno da una corrente d'acqua, dal quale viene staccato in forme di piccole scaglie. Altre volte il bisolfato fuso viene raccolto entro carrelli a cassa, ove si lascia raffreddare per poi spezzettarlo e passarlo al frantoio. Così preparato viene mescolato con la quantità richiesta di sale marino entro un trasportatore a coclea, che alimenta il forno a solfato.
Forno a solfato. - Nella tecnica moderna il forno a mano è sostituito dal forno meccanico, non solo per compiere la seconda fase della reazione fra bisolfato e sale, ma anche per attuare la reazione in un unico tempo fra sale e acido solforico. Il forno (fig. 3) consiste in una muffola in refrattario a forma lenticolare del diametro di 4 metri, collocata entro un corpo di muratura che consente che essa venga avvolta sia superiormente sia inferiormente dai gas caldi provenienti da un focolaio o meglio da un gassogeno a coke. La miscela di bisolfato e sale, oppure il sale, entra in modo continuo dalla tramoggia A, cadendo al centro della muffola, l'acido solforico, nel caso che la reazione si compia in una fase, è immesso da apposito tubo pure nel centro della muffola. La mescolanza delle sostanze è ottenuta per mezzo di denti o raschiatori in ghisa, portati da quattro robusti bracci a croce, fissi ad un albero comandato inferiormente da un sistema di ruote dentate. L'albero fa mezzo giro al minuto: i denti che hanno sagome speciali, trasportano la massa in reazione dal centro verso la periferia della muffola e scaricano da B il solfato. Il gas cloridrico, che esce dalla muffola, è inviato ai dispositivi di condensazione e d'assorbimento.
Il gassogeno a coke, alimentato da una corrente determinata d'aria, genera una corrente continua di gas ricco di CO, che viene hruciato nello spazio sovrastante alla muffola per aggiunta di una certa quantità d'aria, detta secondaria, che talvolta viene riscaldata, entro ricuperatori di calore costruiti a forma di alveare, a spese dei gas caldi uscenti dal forno. La temperatura entro la muffola è mantenuta intorno a 500° C.; il consumo di coke varia dal 10 al 20% del solfato prodotto a seconda che si parte dal bisolfato o dal sale. Il solfato che si ricava ha una purezza del 94-96% e può contenere da 1 a 2% di cloruro indecomposto e da 1 a 2% di acido solforico libero, oltre alle impurezze contenute nel sale di partenza.
Forni per la sintesi dell'acido cloridrico. - Il dispositivo della Griesheim G, ideato per preparare l'acido cloridrico puro, è costruito interamente in quarzo e comprende (fig. 4): un bruciatore consistente in una piccola coppa di 2 cm. di diametro e 4 d'altezza, che viene collocata entro un tubo di cm. 50 di diametro e m. 2 di altezza; un gioco di tubi ad organo disposto orizzontalmente; una serie di elementi Cellarius. Tutti i tubi sono circondati da robuste reti per proteggere l'operaio da eventuali esplosioni.
Nel forno Niccoli (fig. 5) l'idrogeno entra dal tubo A alla pressione di 5-20 mm. d'acqua, mentre il cloro è introdotto a debole pressione dal tubo B. Per innescare la combustione si adopera un becco Bunsen C alimentato con idrogeno ed aria a mezzo del tubo D. Quando la combustione è normale si spegne la fiamma Bunsen. Per ottener una perfetta mescolanza, i due gas, idrogeno e cloro, sono distribuiti in tanti ugelli E-F disposti gli uni di fronte agli altri e diretti verso il centro. Il gas acido cloridrico esce dal tubo G e va ai dispositivi di condensazione usuali.
Un tipo di forno per la trasformazione del cloro in acido cloridrico con vapor d'acqua su carbone rovente è illustrato dalla figura 6. Esso consta di due camere FF rivestite internamente da materiale antiacido, munite di griglie dello stesso materiale, sulle quali è disposto uno strato di coke; di una camera a polvere C, dalla quale si diparte il collettore del gas D, che va ai dispositivi di condensazione. Il gas cloro proveniente dalla tubazione in grès A, entra lateralmente alla base dello strato di coke assieme con un piccolo getto di vapore portato dalla tubazione V. Il coke si carica dall'alto ogni otto ore e le ceneri si estraggono, ad intervalli, dalla porticina inferiore.
Dispositivi di condensazione e di assorbimento. - Il gas acido cloridrico proveniente dai diversi forni ha temperatura differente: 170° all'uscita dalla storta a bisolfato, 400° all'uscita dalla muffola a solfato o dal forno a coke.
Nei dispositivi di condensazione e di assorbimento i gas subiscono: a) un preliminare raffreddamento entro tubazioni leggermente inclinate, lunghe da 10 a 15 metri, del diametro di 30 cm., formate per un primo tratto di tubi di ghisa e poi di tubi conici d'argilla non vetrificata (specie di chamotte) previamente bolliti in catrame denso: dette tubazioni immettono in una o più casse costruite in pietra di volvic a tenuta di liquido; b) l'assorbimento propriamente detto in lunghe batterie di giare, o di torri in grès; c) l'assorbimento finale entro torri di grès da m. 7 a 8 di altezza e m. 0,80 a 1 di diametro riempite di anelli o altro materiale resistente agli acidi; le torri sono irrorate con acqua, la quale può percorrere la batteria di giare in controcorrente coi gas, regolata in maniera da raccogliere in testa alla batteria una soluzione a 20-22 Bé (30-35% di HCl).
Il tipo classico di giara generalmente adottato è quello proposto da Cellarius (897), perfezionato da Th. Meyer (1901): l'elemento viene formato da due capsule concentriche che presentano una grande superficie di raffreddamento in rapporto alla capacità: il tipo normale ha m. 1 di lunghezza, 0,66 di larghezza e 0,38 d'altezza e la capacità di l. 110. Sulla vòlta inferiore e internamente si eleva per l'altezza di pochi centimetri e per due terzi della lunghezza un bordo a cresta che obbliga il liquido a percorrere l'elemento prima in un senso, poi nel senso opposto. Il liquido passa da un elemento all'altro attraverso tubi di vetro congiunti fra loro con tubi di gomma; i gas entrano ed escono dalle larghe bocche superiori collegate fra loro da curve in grès. D'ordinario gli elementi Cellarius sono collocati all'aperto sopra un basamento in muratura o sopra un impiantito di legno asfaltato: talvolta vengono immersi in un bagno di acqua corrente entro casse di legno.
Di recente le batterie Cellarius sono state vantaggiosamente sostituite da torri in grès riempite da materiali di forme svariate (anelli, prismi, ecc.), che vengono alimentate abbondantemente da soluzioni acide distribuite alla sommità della torre da un distributore a doccia mentre i gas salgono dal basso (fig. 7). Il liquido caldo che scende dalla torre A è raccolto entro il vaso B ove viene raffreddato da un serpentino in greès ad acqua corrente: dal vaso il liquido passa nella pompa centrifuga C in grès che lo rimonta sulla torre. La torre ha m. 1,20 di diametro e 7-8 metri di altezza. Il sistema comprende tre o più torri disposte in serie. Il percorso dei gas è in controcorrente rispetto al liquido: l'ultima torre dal sistema riceve la quantità d'acqua necessaria oltre al proprio liquido di circolazione; l'eccesso di soluzione passa alla torre che immediatamente precede attraverso tubazione di collegamento opportunamente regolata a mezzo valvola, e così di seguito fino alla torre di testa, dalla quale viene estratta la soluzione a 20-22 Bé. Evidentemente l'alimentazione dell'acqua in coda è regolata in modo da avere in testa al sistema la soluzione della concentrazione voluta in rapporto alla quantità di gas cloridrico da condensare.
Per avere un perfetto assorbimento è necessario condurre il sistema in maniera che i gas siano alla più alta concentrazione e che il liquido in circolazione sia energicamente raffreddato: dalla temperatura del liquido e dalla diluizione dei gas dipende la concentrazione finale della soluzione d'acido cloridrico: quanto più elevata è la temperatura e più diluito il gas, tanto più debole risulta la soluzione finale.
La fabbricazione dell'acido cloridrico è effettuata in Italia, in gran parte, trattando il cloruro sodico con l'acido solforico. Qualche fabbrica di soda caustica elettrolitica trasforma in acido cloridrico il cloro della lavorazione.
Il numero di ditte produttrici si calcola a 20 circa, di cui qualcuna con 20 più stabilimenti. La produzione, che era di 18.000 quintali nell'anteguerra ha raggiunto i 458.000 quintali nel 1926 e i 433.400 quintali nel 1927. La potenzialità degl'impianti è però molto superiore, valutandosi attualmente intorno agli 800.000 quintali. La produzione è sufficiente al consumo interno. Infatti l'importazione è minima (608 quintali nel 1929) e trova compenso nell'esportazione (461 quintali nel 1929).
Bibl.: E. Molinari, trattato di Chimica generale ed applicata all'industria, Milano 1924; A. Aita e H. Molinari, Gli acidi inorganici, Milano 1928; P. Pascal, Synthèses et catalyses industrielles, Parigi 1925; Ullmann, Encyclopädie der technischen Chemie, Berlino 1929.
Medicina. - L'acido cloridrico è fisiologicamente importantissimo come costituente del succo gastrico; anche i suoi composti, specialmente il cloruro di sodio, hanno uffici fisiologici essenziali (v. sodio; calcio; potassio).
La reazione del contenuto gastrico e intestinale ha grande influenza sull'attività motoria del tubo digerente e sull'efficacia dei fermenti che servono alla trasformazione degli alimenti. L'acido cloridrico è indispensabile alla digestione delle sostanze proteiche nello stomaco e al retto funzionamento del riflesso pilorico. La presenza di acido cloridrico libero nello stomaco accresce la peristalsi pilorica; si chiude il cardias e s'apre lo sfintere pilorico. L'opposto accade per la presenza di acido nel duodeno poiché in questo caso il piloro si chiude finché i succhi intestinali non abbiano neutralizzata l'acidità del contenuto. Cosi accade che una moderata acidità del contenuto gastrico facilita il passaggio degli alimenti dallo stomaco nell'intestino, mentre un'aumentata acidità lo rallenta, non potendo avvenire rapidamente la necessaria neutralizzazione nell'intestino.
L'acidità normale del succo gastrico umano che corrisponderebbe ad un pH = 0,95 è mantenuta entro limiti normali dalla continua neutralizzazione dell'acido per opera della saliva e del muco e per il riflusso che fisiologicamente dal duodeno avviene nello stomaco (Boldyreff). Se questo meccanismo è alterato, l'acidità del succo gastrico può aumentare e allora si ha l'iperacidità che si corregge con l'uso di alcalini, o può diminuire e allora si ricorre alla somministrazione di acidi e precisamente di acido cloridrico in forma di limonea cloridrica (acido cloridrico cmc. 20, sciroppo cmc. 90, acqua quanto basta per arrivare a 1000 cmc.) che si dà a cucchiai e si usa da sola o associata ad amari. Soprattutto nelle dispepsie accompagnate a ipocloridria, nelle fermentazioni anormali, nelle diarree infantili ed estive l'acido cloridrico trova la sua indicazione. Esperienze fatte su cani operati di piccolo stomaco, secondo Pawlow, dimostrerebbero un'aumentata secrezione di succo gastrico per opera degli acidi. In base a queste esperienze sarebbe giustificato l'uso della limonea cloridrica come eupeptico.
La somministrazione di quantità un poco rilevanti di acido cloridrico può aumentare l'acidità delle urine, acidità che verrebbe neutralizzata per una maggiore formazione d'ammoniaca a spese dell'urea. Basandosi su questa sottrazione di alcali che avverrebbe nei tessuti e anche sul lieve aumento d'eliminazione delle sostanze azotate che accompagna l'acidosi s'è attribuito all'uso dell'acido cloridrico un'azione sul ricambio materiale che condurrebbe a un lento e progressivo dimagrimento. La cosa non è ben dimostrata, ma si sa che il volgo usa l'aceto per dimagrire. Contro l'alcalescenza delle urine serve l'acido cloridrico associato all'urotropina.
Alle soluzioni molto diluite di acido cloridrico è stata attribuita anche un'azione antitermica e diuretica, cosicché esso è usato in alcune malattie febbrili quale bevanda e specialmente nella scarlattina e nel morbillo. All'esterno l'acido cloridico è poco usato. Concentrato serve a cauterizzare verruche, vegetazioni polipose, ecc.; diluito si adopera come lieve antisettico per gargarismi e collutorio nelle stomatiti, nelle gengiviti; talora è proposto come lieve rubefaciente.