SOLFORICO, ACIDO (fr. acide sulfurique; sp. ácido sulfúrico; ted. Schwefelsaüre; ingl. sulphuric acid)
Composto chimico, acido inorganico; formula H2SO4, peso mol. 98,02. Allo stato libero si trova in alcuni fiumi dell'America Meridionale (Rio Canea e Rio Vinagre) insieme con acido cloridrico; è contenuto in alcune acque minerali (Paramo de Ruiz 0,5%, Levico circa 8‰); sembra che venga elaborato pure da alcune lumache (Aplisia).
Allo stato di combinazione (solfati) è molto abbondante in natura. Ricorderemo, ad es., l'anglesite, la baritina, la celestina e anidrite (PbSO4, BaSO4, SrSO4, CaSO4, isomorfi), la tscheringite, mendozite, kalinite, costituenti la serie isomorfa degli allumi di ammonio, sodio e potassio [(NH4)2SO4 • Al2(SO4)3 • 24H2O; Na2SO4 • Al2(SO4)3 • 24H2O; K2SO4 • Al2(SO4)3 • 24H2O], la kieserite (MgSO4), la vanthoffite (MgSO4 • 3Na2SO4), la kainite (MgSO4 • KCl), abbondanti nei sali di Stassfurt, la epsomite (MgSO4 • 7H2O); l'alunogeno, l'aluminite e l'alunite [Al2(SO4)3 • 18H2O; Al2O3 • SO3 • 9H2O; K2O • 4Al2O3 • 4SO3 • 6H2O], la selenite o gesso (CaSO4 • 2H2O); la ilesite (MnSO4 • FeSO4 • ZnSO4), la brochantite [CuSO4 • 3Cu(OH)2]; la zincosite (ZnSO4); l'alotrichite e taniscite [Al2(SO4)3 • FeSO4 • 24H2O; FeSO4 • 7H2O]; la dolerofanite, l'idrocianite (Cu2O • SO4, CuSO4), ecc.
Preparazione. - Per preparare acido solforico si ossida l'anidride solforosa ad anidride solforica:
L'anidride solforosa si può ottenere dalla combustione dello zolfo (I) o dall'arrostimento di alcuni solfuri minerali, pirite FeS2 (II), o blenda ZnS (III):
La reazione di ossidazione dell'anidride solforosa (a) è però molto lenta, e per renderla praticamente utilizzabile è necessario ricorrere all'intervento di catalizzatori. Si prestano allo scopo gli ossidi superiori dell'azoto, il platino suddiviso, alcuni ossidi metallici come l'ossido ferrico (Fe2O3), il pentossido di vanadio, e alcuni vanadati metallici.
Gli ossidi superiori dell'azoto vengono impiegati nel processo delle camere di piombo, gli altri nel processo per contatto (v. oltre).
Il meccanismo delle reazioni, nel primo caso, può essere schematizzato nella maniera seguente:
Si ritiene che anche nel processo per contatto il meccanismo di azione dei catalizzatori sia di questo genere. Nel caso del platino si è pensato, ad es., alla formazione di prodotti di assorbimento superficiale con l'ossigeno, che reagirebbero con SO2 più facilmente dell'ossigeno stesso. Per il pentossido di vanadio e l'ossido ferrico è stato possibile invece ricostruire nella maniera seguente le reazioni che si compiono:
Nell'attuazione pratica dei due processi si deve tener conto di varî fattori. Nel caso del processo per contatto, ad es., bisogna usare gas molto puri e secchi per non "avvelenare" i catalizzatori, e operare a temperatura non superiore ai 500°, per avere una conveniente proporzione di anidride solforica nel miscuglio di reazione.
Col metodo delle camere di piombo contemporaneamente alla ossidazione ad anidride solforica si ha l'idratazione di questa ad acido solforico; col metodo catalitico, invece di procedere all'idratazione diretta della SO3, operazione che sarebbe oltre che pericolosa anche dispendiosa per le perdite che si avrebbero essendo la reazione fortemente esotermica, si preferisce far assorbire l'anidride solforica dallo stesso acido solforico, in cui è molto solubile.
L'acido solforico preparato nelle camere di piombo ha una concentrazione di circa il 66%, 52-53 Bé (acido delle camere) o del 78%, circa 60 Bé (acido della torre di Glover) e può essere portato a concentrazione superiore mediante opportuni processi.
Il metodo per contatto fornisce invece direttamente acido ad alta concentrazione, detto oleum o acido solforico fumante.
L'acido solforico fumante una volta veniva preparato sciogliendo nell'acido solforico l'anidride solforica ottenuta per calcinazione del solfato ferrico basico. Questa preparazione era effettuata in Sassonia (Nordhausen, onde il nome di acido di Nordhausen) e Boemia partendo da scisti piritosi.
Particolare importanza ha la fabbricazione dell'acido solforico dal gesso, realizzata in Germania nel periodo bellico; il metodo è fondato sulla dissociazione termica del solfato di calcio:
Praticamente, allo scopo di favorire lo svolgimento totale dell'anidride solforosa, si riscalda al calor bianco il gesso con carbone e argilla. L'anidride solforosa ottenuta viene poi trasformata in acido solforico come un gas di arrostimento di piriti.
Si può ottenere anidride solforosa per combustione di idrogeno solforato: 2H2S + 3O2 = 2H2O + SO2.
Come sorgenti di anidride solforosa si possono anche utilizzare la kieserite e le aluniti, che si decompongono verso i 700°.
L'acido solforico viene posto in commercio a differenti concentrazioni generalmente indicate in gradi Beaumé: 52-53, 60, 66 Bé, corrispondenti rispettivamente a circa il 66, 78,40, 95,60% in peso di acido; l'acido solforico concentrato del commercio è a 65,9 Bé, ed 1 litro contiene kg. 1,759 di acido. Inoltre sono posti in commercio i cosiddetti acidi fumanti, che eontengono disciolta SO3 libera in diverse concentrazioni (20-40-60-80%).
Proprietà fisiche. - L'acido solforico è un liquido incoloro, trasparente e se concentrato ha consistenza oleosa. Gli acidi che contengono oltre il 30% di anidride solforica libera sono solidi o semisolidi.
La densità dell'acido a 95,60% è 1,84, quella dell'acido al 100% 1,835 a 15°; negli acidi fumanti la densità cresce fino a circa il 55-56% di anidride libera, ma per concentrazioni superiori torna a diminuire fino a 1,837 (ac. al 100% di anidride libera).
La viscosità per l'acido puro a 15° è 0,2694 (cm-1 gr. sec-1).
Il calore di formazione dagli elementi è molto elevato:
Il calore specifico tra 18° e 22° è 0,3352 cal., e cresce col crescere della diluizione o con la concentrazione della SO3 libera.
Il calore di idratazione è anche molto alto:
e perciò mescolando l'acido concentrato con acqua si ha notevole sviluppo di calore.
La tensione di vapore dell'acido puro è trascurabile e cresce sia con la diluizione, sia col contenuto di SO3 libera; a pressione normale l'acido puro bolle intorno a 290°, l'acido al 98,94% bolle invece a circa 323°; le soluzioni acquose, o quelle di anidride nell'acido, bollono a temperature inferiori.
Con l'acqua dà luogo alla formazione di diversi idrati.
La conducibilità specifica e la conducibilità equivalente dell'acido a 99,40%, alla temperatura di 18° sono rispettivamente 0,0085 e 0,228 (cm-1 ohm-1).
Proprietà chimiche. - Allo stato di vapore è dissociato in acqua e anidride solforica, secondo la reazione:
la cui costante Kc di equilibrio
si può calcolare a diverse temperature applicando la formula di Nernst
A temperatura oltre i 500° si ha un miscuglio di acqua, anidride solforica e solforosa, e ossigeno.
L'acido solforico è un acido forte, ma meno dell'acido cloridrico (circa la metà).
In soluzione subisce le due seguenti dissociazioni:
alla (I) corrisponde la costante
alla (II) la costante
La elettrolisi delle soluzioni di acido solforico dà prodotti diversi, a seconda della concentrazione dell'acido e della temperatura a cui si opera. Con acido diluitissimo e freddo si ha idrogeno al catodo e ossigeno all'anodo:
insieme con tracce di ozono. Con acido al 40-55% a 30° si ha produzione di acido persolforico
mentre con acido al 60% a freddo si hanno buoni rendimenti in acido di Caro H2SO5.
Con acidi più concentrati e a caldo si forma idrogeno, zolfo, idrogeno solforato, anidride solforosa.
Essendo avidissimo di acqua, l'acido solforico carbonizza molte sostanze organiche con le quali viene a contatto, come lo zucchero, l'amido, il legno; è quindi fortemente caustico e distrugge i tessuti animali e vegetali e le mucose. A caldo, all'azione disidratante, si unisce quella ossidante e perciò le sostanze organiche generalmente sono distrutte dall'acido concentrato e bollente.
L'acido concentrato già verso i 150° ossida l'idrogeno con formazione di acqua, mentre esso si riduce ad anidride solforosa:
a temperature superiori, e specie in presenza di silice, la riduzione procede fino a zolfo e idrogeno solforato.
Tutti i metalli, meno l'oro, sono attaccati dall'acido solforico; l'attacco può procedere differentemente secondo il metallo, la concentrazione e la temperatura.
Alcuni metalloidi vengono ossidati dall'acido solforico che si riduce perciò ad anidride solforosa:
Gli alogeni non reagiscono; gli acidi iodidrico e bromidrico sono ossidati dall'acido concentrato:
Con le sostanze organiche, oltre che da disidratante e da ossidante l'acido solforico può agire in altro modo formando, ad es., composti di addizione con gl'idrocarburi non saturi, con alcuni eteri, ecc. Con i composti aromatici esso forma derivati solfonati R−SO3H, importanti per l'industria delle sostanze coloranti e farmaceutiche.
I sali dell'acido solforico sono i solfati, e poiché uno o entrambi gl'idrogeni possono essere sostituiti dai metalli si hanno solfati acidi e neutri del tipo MeHSO4 e Me2SO4.
In genere i solfati si ottengono per neutralizzazione delle basi con acido solforico, ma si possono anche preparare per ossidazione dei solfuri e solfiti. I solfati sono sali ben cristallizzati, contenenti spesso acqua di cristallizzazione; sono generalmente solubili in acqua (meno i solfati alcano-terrosi, di piombo, argento e mercurio mercuroso); i solfati dei metalli pesanti hanno in genere reazione acida per la scissione idrolitica che subiscono.
I solfati alcalini si volatilizzano senza decomporsi alla temperatura del rosso; il solfato di bario è stabile fino a 1200-1500°, i solfati di rame, piombo, magnesio, alluminio, si decompongono verso i 700°, svolgendo anidride solforosa con formazione dell'ossido metallico:
I solfati per arroventamento con carbone formano i solfuri, la riduzione è anche operata da alcuni bacterî.
Sono interessanti i solfati isomorfi della serie magnesiaca o vetrioli: MeSO4 • 7H2O (Me = ferro, cobalto, magnesio, zinco, nichelio); i solfati doppî (NH4)2SO4 • MeSO4 • 6H2O (Me = manganese, magnesio, zinco, nichelio, cobalto, cadmio, rame, ferro); e gli allumi Me2SO4 • Me′2(SO4)3 • 24H2O (Me = ammonio, sodio, potassio, cesio, rubidio; Me′ = alluminio, cromo, ferro, manganese) dei quali alcuni anche noti come minerali, come si è visto in principio.
I solfati tecnicamente più importanti sono i solfati alcalini, il solfato di calcio, di ferro e rame.
Riconoscimento e dosaggio. - La reazione generalmente usata per il riconoscimento dello ione solforico è basata sulla formazione del solfato di bario: la soluzione, in cui si deve ricercare l'acido solforico, viene acidificata con acido cloridrico diluito, e addizionata di cloruro di bario. Anche in presenza di tracce di acido solforico si forma un precipitato bianco polveroso di solfato di bario (solubilità 2 mmg. per litro):
Eventualmente si può confermare la presenza del gruppo SO4 nel precipitato ottenuto con la cosiddetta reazione dell'hepar: fondendo su carbone con carbonato sodico si forma solfuro sodico (per la riduzione del solfato) che se umettato su una lastra di argento con acqua produce una macchia nerastra di solfuro di argento (Ag2S).
Per i solfati insolubili in acqua si utilizza la reazione di Denigés, bagnando con soluzione nitrica di nitrato di miercurio: si ha colorazione gialla per formazione di solfato basico. L'acido solforico libero si può dosare alcalimetricamente in presenza di metilarancio come indicatore; nei solfati lo ione solforico è generalmente dosato per via ponderale come solfato di bario (precipitando come è stato prima indicato, o meglio in presenza di cloruro ammonico, raccogliendo su filtro il precipitato, e pesando dopo calcinazione in crogiolo). Per via volumetrica il dosaggio può farsi trattando la soluzione con benzidina (cloruro) con la quale l'acido solforico forma un precipitato pochissimo solubile di solfato di benzidina. In esso l'acido solforico viene titolato direttamente con soda a caldo in presenza di fenolfateina.
Usi. - L'acido solforico ha importanza pratica enorme: viene usato oltre che nei laboratorî chimici, in analisi e operazioni differentissime, in quasi tutte le industrie chimiche come mostra lo schema qui in alto.
Cenni storici. - Alcuni accenni di Geber hanno fatto ritenere che l'acido solforico fosse già noto nel Medioevo. Ma il primo a dimostrare con certezza di conoscerlo fu, nella seconda metà del sec. XV, Basilio Valentino il quale descrisse i due metodi di preparazione, per calcinazione del solfato ferroso (vetriolo di ferro) e per combustione di una miscela di zolfo e salnitro, ritenendo però che in tal modo si ottenessero sostanze diverse. Questo errore fu corretto da Libavio nel 1559.
Sembra che nel 1526 a Plzeň in Boemia si fabbricasse già col primo metodo l'acido solforico fumante detto olio di vetriolo, la cui fabbricazione più tardi passò in Germania e specialmente in Sassonia, sicché l'acido fu pure chiamato di Nordhausen.
Nel 1613 l'italiano Angelo Sala preparava acido solforico bruciando zolfo con eccesso d'aria entro vasi umidi. I parigini N. Lemery e N. Léfèbre aggiunsero allo zolfo il salnitro.
Nel 1740 Ward impiantò a Richmond presso Londra la prima fabbrica di acido solforico. Egli usava vasi di vetro di circa 300 litri, muniti di tubi orizzontali e disposti su un bagno di sabbia. Dopo avere messo un poco d'acqua in fondo ai vasi, collocava dentro i tubi una capsula di ferro scaldata al rosso, contenente 8 parti di zolfo e 1 di salnitro; chiudeva poi il tubo con un tappo di legno e, a combustione finita, ripeteva l'operazione fino a ottenere un acido, che concentrava in storte di vetro. Con questo processo, detto della campana, il prezzo dell'acido scese da 2 sterline a 2 scellini la libbra.
Nel 1746 Roebuck e Corbett costruirono a Prestonpans in Scozia la prima camera di piombo, di circa 2 mq. di superficie. Nel 1760 De la Follie in Francia migliorò il processo, introducendo vapor d'acqua nelle camere durante la combustione dello zolfo. Clement e Desormes riuscirono a risparmiare salnitro introducendo continuamente aria: si finì così per realizzare un processo continuo che sembra sia stato reso industriale da Holker. Intorno al 1810 s'impiantarono con questo processo molte fabbriche in Inghilterra, Francia e Germania. In Italia Francesco Fornara fondò a Milano, nel 1805, la prima fabbrica con camere di piombo, nella chiesa di S. Vincenzo al Prato, che gli era stata concessa gratuitamente da Napoleone; verso il 1815 la trasformò a lavoro continuo.
Nel 1817, poco dopo la scoperta dei giacimenti di nitrati di soda del Chile, Longchamp propose di sostituirlo al salnitro. Nel 1835 Michele Perret creò il primo forno pratico per l'arrostimento delle piriti e qualche anno dopo, in seguito a un brusco rialzo del prezzo dello zolfo siciliano, questo cominciò a essere abbandonato a favore delle piriti.
Nel 1835 L. Gay-Lussac costituì nella fabbrica di Chauny la prima torre per il ricupero dei vapori nitrosi. A Newcastle nel 1861 J. Glover applicò la prima torre di concentrazione e denitrazione dell'acido.
Frattanto l'industria dell'acido solforico fumante, od oleum, era tornata in Boemia, dove la materia prima si trovava in abbondanza, ed era stata praticamente monopolizzata dalla ditta J. D. Starck, che lo preparava distillando a secco il solfato di ferro, ottenendo come capomorto ossido di ferro, utilizzato come colorante. Quando, in seguito all'applicazione industriale della sintesi dell'alizarina, la richiesta di oleum aumentò, il suo prezzo salì rapidamente, sicché nel 1880 quello al 50% di SO3, costava 85 lire al quintale, e cioè 12 volte il prezzo dell'acido ordinario a 66° Bé. Questa situazione stimolò a perfezionare il processo di contatto grazie al quale la fabbricazione dell'oleum dal solfato di ferro, che era effettivamente costosa, fu presto abbandonata.
L'invenzione del processo di contatto risale a Peregrine Phillips jun., di Bristol, il quale nel 1831 brevettò un metodo di preparazione dell'anidride solforica, che consisteva nel far passare una miscela di anidride solforosa e di aria in un tubo di porcellana scaldato al giallo e contenente platino finemente suddiviso. Il chimico belga Schneider nel 1847 preparò acido solforico con un simile processo, usando come massa catalitica della pomice, probabilmente platinata. Lo stesso metodo fu poi impiegato dall'italiano Piria nel 1855, mentre R. Laming nel 1848 aveva usato pomice con biossido di manganese, a temperatura di 300°. F. Wohler e Mahla nel 1852 usarono ossidi di rame, di ferro o di cromo, scaldati al rosso scuro; Robb nel 1853 usò ceneri di pirite e ossido di manganese; Petrie nel 1852 e Thornthwaite nel 1854 usarono amianto platinato.
Nessuno di questi metodi ebbe applicazione pratica finché C. Winkler da una parte, W.S. Squire e R. Messel dall'altra, riuscirono a ottenere acido solforico con buona resa industriale, usando anidride solforosa pura e ossigeno nel rapporto stechiometrico e amianto platinato come massa catalica. Winkler pubblicò i suoi lavori nell'autunno 1875 e contemporaneamente Squire brevettò il suo processo, che fu presto applicato da Chapman Messel e Co. a Silvertown presso Londra e da Scheurer-Kestner a Thann; mentre il processo Winkler era applicato da Jacob e dalla Badische Anilin- und Sodafabrik di Ludwigshafen e dalle Farbwerke di Höchst. Dapprima, per ottenere anidride solforica pura, si partì dallo zolfo; ma nel 1899 la Badische, in seguito a studî di R. Knietsch e dei suoi collaboratori, riuscì a usare le piriti, purificando i gas solforosi. Frattanto erano stati creati altri processi di contatto. Nel 1900 E. De Haen propose per primo un catalizzatore a vanadio.
Materie prime. - Nelle fabbriche di acido solforico le materie prime maggiormente usate sono lo zolfo grezzo e le piriti; si usano pure la blenda e la massa di depurazione del gas illuminante. Nelle officine metallurgiche si utilizza per la fabbricazione dell'acido solforico l'anidride solforosa che si ottiene nell'arrostimento di altri solfuri metallici, come quelli dai quali si estrae il rame, il piombo e il nichelio.
Le piriti contengono dal 40 al 52% di zolfo, dal 35 al 45% di ferro, spesso anche rame, e diverse impurità, alcune delle quali (solfuri di zinco e di piombo, carbonato di calcio, silice, ecc.) sono causa di inconvenienti nell'arrostimento, mentre altre (arsenico, selenio, tellurio, fluoro) inquinano l'acido e nel processo di contatto agiscono da veleni sulle masse catalitiche. Il rame quando è in quantità sufficiente (1-5%) viene estratto per liseiviazione della pirite cruda (ottenendo le cosiddette piriti lavate), oppure da quelle arrostite o ceneri di pirite, le quali sono costituite da ossidi di ferro con piccole percentuali di zolfo e modernamente sono utilizzate come materia prima nell'industria siderurgica.
Lo zolfo grezzo del commercio contiene dal 96 al 99,5% e anche più di zolfo e - a eccezione di quello preparato dalle piriti - è esente da arsenico, selenio e tellurio. Presenta quindi vantaggi per il processo di contatto e in alcuni paesi è preferito per la preparazione di acido solforico destinato alla fabbricazione di prodotti alimentari. È possibile utilizzare anche il minerale di zolfo, che infatti ha servito per alcuni anni da materia prima nella fabbrica di Campofranco (Agrigento) situata nelle immediate vicinanze di una miniera.
Le blende contengono il 20-30% o poco più di zolfo, il 25-40% di zinco, ferro (in certi casi più del 15%), altri metalli e molte impurità, come le piriti. Mentre queste ultime hanno valore principalmente per il loro contenuto di zolfo e di rame, nel caso delle blende l'anidride solforosa non è che un prodotto secondario in confronto allo zinco.
Gli altri solfuri sono quasi tutti più poveri di zolfo e quindi meno convenienti come materie prime per la fabbricazione dell'acido solforico. Teoricamente, e considerando sostanze pure e acido solforico anidro, con 100 kg. di zolfo si ottengono 306 kg. di acido; se ne ottengono invece: 163 con la pirite FeS2; 118 con la pirrotite Fe11S12; 108 con la calcopirite CuFeS2; 101 con la blenda ZnS; 62 con la calcocite Cu2S; 41 con la galena PbS.
La massa di depurazione del gas illuminante (ted. Gasreinigermasse, ingl. spent oxide) eostituita da ossidi di ferro (limonite, cenere di piriti, ecc.) dopo esaurita e dopo che ne sono stati estratti i sali ammoniacali e i cianuri, contiene il 30-60% di zolfo insieme però con molte impurità.
Le diverse materie prime contribuiscono alla produzione dell'acido secondo proporzioni che variano molto da un paese all'altro. Lo zolfo, un tempo quasi completamente abbandonato, ha riacquistato molta della sua importanza in seguito all'introduzione del processo Frasch, che ne ha fatto ribassare il prezzo. Nel 1934 negli Stati Uniti il 65% dell'acido solforico è stato prodotto da zolfo e solo il 22% dalle piriti; ma in Germania l'81% è stato prodotto dalle piriti e praticamente niente dallo zolfo. In Italia, che è forte produttrice sia di zolfo sia di piriti (la cui esportazione supera di molto l'importazione), si usano quasi esclusivamente queste ultime. Nella Gran Bretagna la massa di depurazione del gas contribuisce con circa il 18% alla produzione dell'acido; negli altri paesi invece essa ha poca importanza.
Acqua. - Insieme allo zolfo e ai suoi composti, nella fabbricazione dell'acido solforico entra come materia prima l'acqua. In 100 kg. di acido a 60° Bé vi sono 36,3 kg. d'acqua e solo 25,5 di zolfo; in quello a 50° Bé ve ne sono rispettivamente 49 e 20,4. Da quanto si è detto sopra si rileva che lo zolfo grezzo e la pirite sono molto più ricchi di zolfo e quindi, tenuto anche conto dell'imballaggio, il trasporto dell'acido riesce molto più costoso che non quello di tali materie prime. Per questa ragione, le fabbriehe normalmente sorgono in prossimità del luogo di utilizzazione dell'acido anziché nei centri di produzione del minerale.
Produzione dell'anidride solforosa. - Forni da zolfo. - Lo zolfo del commercio brucia facilmente, lasciando pochissimi residui. Nei forni moderni la fusione avviene fuori della camera di combustione, nella quale lo si alimenta allo stato liquido.
Nel forno della Chemical Construction Co. di New York la caldaia di fusione è esterna e lo zolfo liquido, spinto da una pompa, entra nella camera di combustione per mezzo di un ugello (fig.1), simile per molti aspetti ai comuni bruciatori di olio, che lo suddivide in minutissime goccioline e lo mescola ad aria compressa. L'aria, perfettamente seccata passando attraverso un depuratore a torre alimentato con acido solforico concentrato e poi liberata da ogni nebbia di acido passando attraverso un filtro a torre, è forzata nella fornace con un ventilatore centrifugo. Questo ventilatore fornisce tutta l'aria alla pressione richiesta per spingere i gas attraverso il resto del sistema. Il tenore in anidride solforica del gas prodotto nella fornace può essere regolato perfettamente controllando l'aria fornita dal ventilatore; la quantità di zolfo è regolata variando la velocità della pompa dello zolfo.
Si sono anche usati forni rotativi. In qualche fabbrica, però, lo zolfo viene bruciato in forni meccanici da pirite, tipo Herreshoff, nei quali sono stati tolti alcuni piani.
Forni da pirite. - La pirite, una volta accesa, non ha bisogno di ricevere calore dall'esterno per continuare a bruciare. L'arrostimento del minerale è facile se in pezzi (diametro inferiore ai 20 mm.), ma riesce più completo quando è in granuli fini, non finissimi (diametro optimum 2-3 mm.). Si evita quindi di macinarlo troppo finemente tutte le volte che non è necessario per l'arricchimento (v. miniera, XXIII, pp. 387 segg.). Nella pratica moderna la pirite in pezzi e la pirite minuta si bruciano separatamente; la loro polvere dà luogo a inconvenienti, primo fra tutti la tendenza a intasarsi ostacolando la circolazione dell'aria con conseguente arresto della combustione.
L'arrostimento si compie in modo da lasciare nelle ceneri non più dell'1-2% di zolfo, a eccezione delle piriti cuprifere destinate alla lisciviazione per l'estrazione del rame nelle quali se ne lascia il 3-4%.
I forni per pirite in pezzi hanno forma di camera a pianta rettangolare, con pareti e vòlta di muratura. La pirite che viene caricata traverso una finestra della vòlta, normalmente chiusa da un coperchio, brucia in uno strato di 50-80 eentimetri sopra una griglia formata da barre quadrate che di tanto in tanto, manovrandole all'esterno, si fanno girare intorno al proprio asse, per far cadere la cenere di pirite nel cenerario. L'aria per la combustione entra da finestre munite di registri, che sono disposte una sull'altra lungo le pareti.
I forni per pirite minuta sono di tre tipi: 1. a piani sovrapposti; 2. rotativi; 3. a combustione istantanea.
Nei forni a piani sovrapposti la pirite brucia a strati sottili, rimescolati a intermittenza nei vecchi forni a mano, continuamente in quelli meccanici; viene caricata sul piano più elevato e, dopo essere stata riscaldata dai prodotti della combustione che salgono dai piani inferiori, viene fatta cadere successivamente su ciascuno di questi, dove brucia. I forni meccanici sono quelli attualmente più usati (Herreshoff, Wedge, Lurgi, ecc.; fig. 2).
I forni rotativi differiscono per diversi particolarì di grande importanza pratica da quelli impiegati per altre industrie. Internamente portano anelli e altri organi destinati ad arrestare e rimescolare la pirite, in modo da facilitare il suo contatto con l'aria. Sono chiusi alle due estremità ed è possibile mantenervi una pressione superiore oppure inferiore all'atmosferica, regolando facilmente anche la temperatura. Inoltre, profittando del fatto che l'arsenico si combina con l'ossigeno prima dello zolfo, è possibile estrarne i gas contenenti arsenico separatamente da quelli destinati alla fabbricazione dell'acido.
Nei forni a combustione istantanea (ingl. flashing), recentemente introdotti nell'industria, la pirite in polvere viene bruciata in modo analogo al carbone polverizzato e cioè facendo arrivare i granuli in aria ad alta temperatura.
Forni da blenda. - I forni per arrostire la blenda sono del tipo di quelli adoperati per la pirite; essendo però minore il calore sviluppato nella combustione, si ricorre ad accorgimenti speciali per ridurre l'irraggiamento e ricuperare il calore dei gas solforosi oppure si riscaldano con un focolare a carbone i piani inferiori del forno.
Composizione dei gas solforosi. - La composizione dei gas è molto diversa secondo che provengono dalla combustione dello zolfo, oppure dall'arrostimento della pirite o di altri solfuri. Infatti, parte dell'ossigeno dell'aria si combina col metallo del solfuro e i gas che escono dal forno sono diluiti dall'azoto e dagli altri costituenti dell'aria che accompagnavano l'ossigeno così combinato. Insieme con l'anidride solforosa, i gas debbono poi contenere l'ossigeno necessario per ossidarla ad anidride solforica nel suceessivo processo di fabbricazione dell'acido; contengono quindi anche la corrispondente quantità di azoto. Per queste ragioni, se fosse possibile lavorare senza eccesso d'aria, 100 volumi di gas dovrebbero contenere 14 volumi di anidride solforosa e 7 di ossigeno, se provenienti da zolfo; 11,7 e 5,8 rispettivamente, se provenienti da pirite; 11,1 e 5,5, se provenienti da blenda.
In pratica, però, essi contengono un eccesso d'aria, che è necessario sia per il buon funzionamento dei forni, sia per la fabbricazione dell'acido, specialmente col processo di contatto. E perciò contengono l'8-9% di anidride solforosa quando sono destinati al processo delle camere; il 6-7% quando sono destinati al processo di contatto.
Va osservato che l'ossidazione dell'anidride solforosa ad anidride solforica si inizia già nei gas che vengono dai forni, anche per effetto dell'azione catalitica degli ossidi metallici. I gas contengono una certa quantità di SO3 (corrispondente al 3-7% dell'SO2 originaria secondo A. Aita e H. Molinari).
I gas trascinano poi notevoli quantità di polvere della materia prima originaria (pirite, blenda, ecc.), alla quale si uniscono quei componenti della materia prima stessa che volatilizzano nei forni e tornano a condensarsi all'uscita di questi: arsenico, selenio, tellurio, antimonio, bismuto, zinco, ecc. Particolarmente dannosi sono l'arsenico e il selenio, sia perché inquinano l'acido, sia perché avvelenano le masse catalitiche nel processo di contatto. Si calcola che dal 60 al 90% dell'arsenico presente nel minerale passi nei gas, sotto forma di anidride arseniosa As2O3.
Purificazione dei gas. - Il metodo più semplice di eliminazione della polvere consiste nel far diminuire la velocità del gas che la trascina, di modo che l'azione della gravità prevalga sul trascinamento. A questo scopo i gas si fanno entrare in camere di sezione molto maggiore delle condotte di arrivo, oppure urtare contro diaframmi o circolare entro stretti corridoi, le cui pareti presentano un forte attrito. Con questo metodo, però, la purificazione riesce sempre incompleta, sicché, nell'ultimo ventennio, si è andato diffondendo sempre più il metodo elettrostatico applicato industrialmente da F. G. Cottrell e perfezionato da E. Moeller, col quale si hanno risultati molto migliori.
Una camera a polvere è illustrata nella fig. 3. I gas provenienti dai forni entrano per le finestre nel corridoio superiore 1; da questo passano nel corridoio inferiore 2, poi nelle camere 3, 4 e 5, cambiando parecchie volte direzione; dal cielo della camera 5 vanno alla fabbrica di acido solforico.
Differiscono notevolmente da quelle ora descritte le camere Howard (fig. 4) nelle quali i gas vengono fatti passare dentro larghe e basse celle, formate da una serie di lamiere di ferro distanti 5 cm. l'una dall'altra.
Con gli apparecchi di precipitazione elettrostatica si riesce a precipitare il 98% della polvere e anche più. Si separa anche l'arsenico e il selenio; ma per la completa precipitazione dell'arsenico occorre condensare l'anidride arseniosa, raffreddando i gas a 50-60%. Se l'acido solforico deve essere fabbricato col processo delle camere, per economia di calore e per evitare la corrosione degli apparecchi di precipitazione, si preferisce trattare gas a 250-300°, lasciandovi il 50% dell'arsenico.
Quando invece l'acido è fabbricato col processo di contatto è necessario liberare i gas completamente dall'arsenico, con apparecchi più complessi (v. oltre).
Processo delle camere di piombo. - Questo processo e la sua apparecchiatura normale sono illustrati nel diagramma della fig. 5.
L'impianto è costituito dalla torre di Glover (G), da tre o piu camere di piombo (C) e da due torri di Gay-Lussac (GL), oltre ai ventilatori (V) e alle pompe (p) che assicurano la circolazione sia dei gas sia dei liquidi. Nell'apparecchio entrano SO2, acqua, aria e acido nitrico e nitrati; ne escono acido solforico, aria e quelle piccole percentuali di SO2 e di ossidi di azoto che costituiscono le perdite di fabbricazione. I gas solforosi provenienti dai forni traversano tutto l'apparecchio, entrando dalla torre di Glover e uscendo dalla seconda torre di Gay-Lussac dopo aver ceduto quasi tutta la SO2 che contenevano. Gli ossidi di azoto circolano continuamente dentro l'apparecchio, nel quale circola pure gran parte dell'acido solforico che vi si forma.
I gas solforosi incontrano nella Glover la nitrosa proveniente dalle Gay-Lussac - e cioè acido solforico diluito contenente in soluzione ossidi di azoto - mescolata ad acido diluito proveniente dalle camere di piombo. Quest'acido cede ai gas gli ossidi di azoto e anche una parte dell'acqua che lo diluisce, concentrandosi fino a 60° Bé a spese del calore ceduto dai gas, i quali si raffreddano da 300-400° a 80-90° e passano nella prima camera di piombo insieme con gli ossidi di azoto, con il vapor d'acqua e con le piccole percentuali di SO3 formatasi nella Glover. Per supplire alle perdite di ossidi di azoto, s'introduce nella torre acido nitrico e una soluzione di nitrati, oppure vapori nitrosi. L'acido solforico a 60° Bé che esce dalla Glover va in parte alla pompa che lo rimanda alle Gay-Lussac per sciogliere nuovamente gli ossidi di azoto e tornare alla Glover; in parte esce dall'apparecchio come prodotto finito.
Nelle camere di piombo, che sono disposte in serie, oltre ai gas solforosi provenienti dalla Glover s'introduce acqua finemente suddivisa (oppure acido solforico diluito; un tempo s'introduceva vapor d'acqua). Fra l'anidride solforosa, gli ossidi di azoto, l'ossigeno e l'acqua avvengono complesse reazioni (v. sopra) che portano alla formazione di acido solforico diluito che va alla Glover, mescolato a quello proveniente dalle torri di Gay-Lussac, mentre gli ossidi di azoto vengono rigenerati. I gas che escono dall'ultima camera sono quasi esenti da SO2; contengono invece gli ossidi d'azoto.
Nelle torri di Gay-Lussac questi gas incontrano l'acido solforico concentrato proveniente dalla Glover e gli cedono gli ossidi di azoto, uscendo poi dall'apparecchio.
Dalle camere di piombo si ottiene, come si è detto, acido solforico diluito (acido delle camere) a 50-56° Bé, che trova impiego tal quale in diverse industrie (per esempio in quella dei perfosfati; v. concimi). Dalla torre di Glover invece si ottiene acido solforico a 60° Bé.
Torre di Glover. - È una torre dalle pareti, cielo e fondo di materiale inattaccabile dagli acidi, ordinariamente rivestita esternamente di piombo, riempita fino a una certa altezza di ciottoli o di elementi speciali, anche essi inattaccabili, destinati a suddividere l'acido che cola dall'alto della torre e facilitare il contatto coi gas solforosi, che penetrano dal basso. Alle torri si dà un volume di almeno 10 mc. per ogni tonnellata di zolfo bruciata nelle 24 ore.
Le torri di costruzione moderna hanno quasi sempre sezione circolare, con diametro che può arrivare a 9 m. e altezza 7-10 m.; però si usano anche sezioni rettangolari e poligonali.
Il rivestimento un tempo si faceva di lava di Volvic, ora si fa di mattoni resistenti all'acido (Stella, ecc.). Il fondo della torre è costituito da due bacinelle concentriche di piombo, poggiate sul basamento; lo spazio anulare fra le due bacinelle si riempie di acqua destinata a raffreddare la bacinella interna, nella quale si raccoglie l'acido. Il materiale di riempimento poggia sopra una griglia di barre incrociate, anch'esse di lava di Volvic. La tubazione di arrivo dei gas solforosi sbocca fra la griglia e il fondo.
Come materiale di riempimento una volta si usavano ciottoli di silice; modernamente si usano invece elementi di gres di forma speciale, che offrono il vantaggio di lasciare canali più ampî e meno irregolari per il passaggio dei gas (fig. 6). I più diffusi sono gli anelli Raschig che hanno altezza eguale al diametro e spessore relativamente piccolo. Essi talvolta vengono gettati alla rinfusa entro la torre; talvolta vengono disposti in strati regolari, facendo in modo che gli assi degli elementi dei diversi strati non coincidano. Si usano anche elementi di forma diversa: anelli a doppio cono, anelli con spirale interna.
Negli impianti Gaillard è soppresso il riempimento e l'acido viene introdotto per mezzo di un turbo-dispersore (v. avanti).
Torri di Gay-Lussac. - Un tempo si usava una sola torre di Gay-Lussac, con altezza di 20-25 m.; ora invece se ne usano due, a sezione circolare, diametro 2,50-3 m. e altezza 10-14 m. Nella tubazione che collega le due torri è inserito il ventilatore. Il volume della Gay-Lussac è di 30 mc. e più per 1 tonn. di zolfo bruciato in 24 ore. Si preferisce avere due torri sia perché in tal modo si ha un migliore contatto dei gas solforosi coll'acido, sia perché si può alimentare la seconda torre con acido vergine e la prima con quello che cola dalla seconda, ottenendo una nitrosa più concentrata.
Le torri di Gay-Lussac sono formate da un involucro di fogli di piombo sostenuto da una incastellatura (di legno, di cemento armato o di ferro) e rivestito internamente di mattoni di gres. Un tempo per il riempimento si usava il coke, ora si usano anelli come nella Glover.
Camere di piombo. - Le camere di vecchio tipo sono alte 5-6 m., larghe 6-8 m., hanno lunghezza decrescente nel senso della corrente dei gas, generalmente nel rapporto 4:2:1. Ciascuna camera è sostenuta da una incastellatura di legno ed è formata da una grande campana di piombo e da un fondo indipendente, esso pure di piombo, a forma di bacinella col bordo rialzato di 50-70 cm. che è sostenuto da un impiantito di legno. L'orlo inferiore della campana entra nella bacinella e l'acido fa da chiusura idraulica. Le camere comunicano l'una con l'altra per mezzo di tubi a collo di cigno, in modo che i gas escono dal basso ed entrano dall'alto. L' acqua è introdotta sotto forma di vapore, per mezzo d'iniettori. L'apparecchio funziona a tiraggio naturale. Queste camere hanno una produzione debole rispetto al volume: 2-3 kg. di acido a 50° Bé per mc. nelle 24 ore. Ormai non si trovano che nei vecchi impianti.
Per ridurre il costo di fabbricazione dell'acido solforico si è cercato di ridurre il costo degl'impianti, aumentando la produzione unitaria delle camere. Si è giunti così a produrre 20 kg. di acido a 50° Bé per mc. nelle 24 ore; in certe camere molto di più. Per accrescere la produzione unitaria si sono seguite diverse vie: si è accelerata la circolazione dei gas nell'interno delle camere, anche con l'impiego di ventilatori; si è migliorato il contatto fra gas e liquidi; si è facilitata la condensazione dell'acido, raffreddando energicamente le camere iniettando acqua polverizzata oppure acido diluito invece di vapore (che apporta calore) e assicurando un maggior disperdimento di calore attraverso le pareti.
In alcuni apparecchi si sono accelerate le reazioni adottando camere a riempimento, fra le quali ricordiamo le camere a torre di Opl, piene di materiale antiacido, come le ordinarie torri di Glover. Nel sistema Opl non ci sono torri di Glover e di Gay-Lussac. Un apparecchio è formato da 6 torri a sezione rettangolare e di altezza eguale, ma di lunghezze diverse: la torre n. i ha sezione eguale alla n. 6, la n. 2 alla n. 5, la n. 3 alla n. 4. I gas solforosi provenienti dal forno entrano nella torre n. 1 dal basso, ed escono dall'alto; un tubo a collo di cigno li porta alla base della n. 2 e così di seguito. La torre n. 1 riceve nitrosa dalla n. 6, la n. 2 dalla n. 5, la n. 3 dalla n. 4; l'acido in eccesso delle n. 2, 3, 4 e 5 si riunisce in un serbatoio e viene portato alla n. 1 per essere denitrato e concentrato a 60° Bé.
In altri apparecchi si è facilitato il disperdimento di calore nell'atmosfera, allontanando dalle pareti delle camere i materiali coibenti, come il legno, adottando anche, dove era possibile, il ferro; ma i risultati migliori si sono ottenuti aumentando la superficie esterna delle camere in rapporto al volume e raffreddandole per mezzo di un velo d'acqua scorrente sulla parete esterna (Mills-Packard) oppure di un velo di acido scorrente sulla parete interna (Gaillard). Si sono creati così diversi tipi di camere vuote.
Rientrano in questa categoria gli apparecchi Falding, costituiti da un'unica camera a sezione quadrata, con 15 m. di lato, alta 21 m., e da una torre entro la quale i gas si raffreddano prima di passare alla GayLussac.
Maggiori produzioni si ottengono con le camere vuote a pareti raffreddate. Le camere Moritz-Painbeuf, che si sono diffuse in Francia e in Italia, sono torri a sezione quadrata (di 5 m. di lato e 20 m. d'altezza), oppure circolare, sospese a un'incastellatura di ferro oppure di cemento armato. Un apparecchio generalmente è costituito da sette elementi, disposti tutti in serie oppure i primi due in parallelo, gli altri in serie. Comunicano fra loro mediante ampie tubazioni orizzontali disposte alternativamente in alto e in basso oppure, secondo un brevetto Sonnek-Montecatini, unicamente in basso.
Le camere Mills-Packard (fig. 7), diffuse in Inghilterra e negli Stati Uniti, hanno forma di tronco di cono; i gas entrano dal basso ed escono dal centro del cielo. Sulla parete esterna della campana scorre un velo d'acqua. La campana di piombo che forma la camera è sostenuta da una gabbia formata da montanti e anelli di cemento armato. Gli anelli portano passerelle di servizio e canali anulari di piombo a orli dentellati, che servono a raccogliere l'acqua che scorre dall'alto e distribuirla regolarmente verso il basso. Queste camere sono riunite in apparecchi di 4-8 elementi i quali, a differenza delle altre camere, vengono montati a cielo aperto.
Le camere Gaillard (figg. 8 e 9) hanno sezione circolare, diametro 6-7 metri, altezza 16-18 m. In esse i gas solforosi sono costretti a traversare una densa nebbia di acido solforico nitroso diluito mescolandosi intimamente con esso. Tale acido proviene dalle ultime camere dell'apparecchio e, dopo essere stato raffreddato in un refrigerante a doppio tubo, e mescolato con la quantità di acqua necessaria per la formazione dell'acido solforico (non vi è iniezione separata di acqua) viene introdotto per mezzo di un turbo-dispersore B, montato sul cielo della camera e comandato da un motore elettrico esterno, che lo proietta sulle pareti, sulle quali una parte di esso scorre in velo sottile, raffreddandole, mentre il resto rimbalza verso l'interno, suddiviso in minutissime goccioline e forma così una nebbia, che assume un movimento elicoidale. Nel bacino che forma il fondo della camera si raccoglie l'acido solforico, che nelle prime camere dell'apparecchio è ben denitrato, mentre i gas solforosi, insieme con gli ossidi di azoto, passano nelle successive camere dell'apparecchio e finalmente alle torri di Gay-Lussac.
Sistemi a dispersione meccanica. - In questi sistemi le camere di piombo sono costituite da casse di dimensioni relativamente piccole, dentro le quali i gas solforosi vengono intimamente in contatto con acido solforico nitroso finemente suddiviso da organi in movimento. La produzione unitaria è molto maggiore di quella delle camere; però si ha un forte dispendio di forza motrice.
Rientrano in questa categoria gli elementi Schmiedel (fig. 10), formati da una cassa rettangolare, larga 2 m., lunga 6,5 m., alta 1 m., sul fondo della quale si trova una certa quantità di acido, mantenuto a livello costante da un troppo-pieno. Trasversalmente alla cassa sono montati tre dispersori, alberi scanalati di ghisa oppure di piombo duro, diametro 20 cm., che pescano leggermente nell'acido e ruotano velocissimamente (5-6000 giri al minuto) spruzzando continuamente dell'acido finemente suddiviso sulla paite delle camere traversata dai gas solforosi i quali entrano ed escono dal cielo della cassa per mezzo di apposite tubazioni. Le casse sono disposte in serie; il loro numero varia con la potenzialità dell'impianto. La produzione è di 300-400 kg. di acido a 50° Bé per mc. nelle 24 ore.
Gli elementi Schmiedel sono usati anche in sostituzione delle torri di Glover.
La società Lurgi ha brevettato una combinazione di torri Opl con elementi Schmiedel, che servono ad avviare la reazione. Il sistema, detto Schmiedel- Klencke, nell'impianto doppio illustrato nella figura 11, è costituito da una Glover seguita da quattro Schmiedel, una torre di reazione, quattro altri Schmiedel, una seconda torre di reazione e due Gay-Lussac.
Sistema a gorgogliamento. - In questo sistema, della South Metropolitan Gas Co. e P. Parrish, invece delle camere di piombo si usano casse rettangolari piene di acido solforico nitroso fino a una certa altezza e, nella parte superiore, divise in compartimenti da diaframmi che pescano nell'acido. I gas solforosi entrano dal cielo a un'estremità del cassone ed escono pure dal cielo all'estremità opposta; sono perciò costretti a gorgogliare attraverso l'acido. Vi è naturalmente molto dispendio di forza motrice per il gorgogliamento dei gas.
Concentrazione dell'acido. - Ormai il processo di contatto fornisce a buon mercato l'acido solforico concentrato; per conseguenza la concentrazione dell'acido delle camere, che richiede un notevole consumo di combustibile, ha perduto l'antica importanza.
La concentrazione non si spinge al di là di 66° Bé (corrispondenti a poco più del 94% di H2SO4), perché a concentrazioni più elevate l'acqua di diluizione si separa difficilmente dall'acido. Al di sopra di 60° Bé non si possono più usare apparecchi di piombo: si usano invece leghe di ferro-silicio, quarzo fuso oppure vitreosil (miscela fusa di quarzo, ossido di zirconio e ossido di titanio).
Fra gli apparecchi di concentrazione, ricordiamo quello a cascata (fig. 1z), che è a riscaldamento diretto e costituito da un focolare e da una serie di capsule a o di recipienti di altra forma, disposti dentro una camera a galleria su una gradinata, di modo che l'acido, alimentato nel recipiente più alto, li percorre tutti, circolando in senso opposto ai prodotti di combustione provenienti dal focolare e scaricandosi, concentrato, dal recipiente più basso. Questi apparecchi forniscono acido limpido e incolore; ma il consumo di combustibile è relativamente alto; inoltre, le rotture di recipienti si traducono in perdite di acido.
Il concentratore Kessler (fig. 13) è formato sostanzialmente da un bacino e da una colonna a piatti, l'uno e l'altra di lava Volvic. I piatti della colonna hanno fori ovali, guarniti di manicotti di porcellana o di quarzo fuso; sopra i fori sono montate campane a orli ondulati, anch'esse di porcellana o di quarzo fuso. I gas provenienti da un gasogeno lambiscono l'acido del bacino e vi gorgogliano dentro, e insieme con i vapori che si svolgono dall'acido salgono nella colonna, gorgogliando dentro l'acido debole che questa contiene e concentrandolo. L'acido entra dall'alto nella colonna e, dopo concentrato, si scarica dal bacino in un apparecchio chiuso, nel quale si raffredda. Il vapor d'acqua, che trascina vapori di acido solforico, uscito dalla colonna percorre un tubo, nel quale un getto d'acqua favorisce la sua condensazione.
Per la concentrazione dell'acido solforico si usano anche torri vuote, nelle quali l'acido incontra in controcorrente gas caldi (Gaillard, fig. 14), e apparecchi di evaporazione nel vuoto (Simonson Mantius, ecc.) che differiscono da quelli usati in altre industrie per particolari costruttivi e perché sono fatti di materiale resistente all'acido.
Consumo di acido nitrico. - La perdita di prodotti nitrosi, che si ha nella fabbricazione, corrisponde a un consumo di acido nitrico che tende a crescere con la produzione unitaria delle camere. Negl'impianti ben disegnati e ben condotti è di 4-8 kg. per tonn. di acido solforico puro, pari a 5-10 kg. di acido nitrico a 36° Bé per tonn. di acido solforico a 50° Bé o poco più.
Processo per contatto.
Questo processo, come si è detto sopra, consiste sostanzialmente nella ossidazione catalitica dell'anidride solforosa ad anidride solforica e nell'assorbimento dell'anidride solforica da parte dell'acido precedentemente formato. L'applicazione del processo è complicata dal fatto che è necessario partire da gas solforosi esenti da polvere e dai cosiddetti veleni delle masse catalitiche e cioè sostanze che sono causa di un abbassamento dell'attività delle masse stesse: principalmente anidride arseniosa e acqua. Inoltre i gas debbono essere raffreddati. I processi industriali comprendono, quindi, tre fasi: 1. depurazione dei gas solforosi; 2. ossidazione catalitica dell'anidride solforosa; 3. assorbimento dell'anidride solforica. In quest'ultima fase si ottiene direttamente oleum al 20-25% di SO3, libera, oppure acido solforico al 98-100% di H2SO4.
Quando si vuole preparare oleum più ricco di SO3, si distilla quello al 20-25% proveniente dagli assorbitori; si ottiene come residuo acido solforico monoidrato e si svolge anidride solforica SO3, che si fa assorbire nell'oleum, il cui titolo in tal modo può arrivare al 60-65% di SO3; quando invece si vuole ottenere anidride solforica pura, quella che si svolge dalla distillazione viene condensata in appositi condensatori.
Nell'industria il processo per contatto viene applicato con masse catalitiche, apparecchiature e modalità molto diverse; si hanno così diversi sistemi che hanno preso il nome dalle fabbriche che li hanno applicati per prime (Badische Anilin und Sodafabrik, Tenteleva, Höchst, ecc.).
Depurazione dei gas solforosi. - La depurazione è preceduta da una separazione delle polveri che si compie di preferenza - come nel processo delle camere di piombo - col metodo elettrostatico Cottrell-Moeller, a temperatura di 360-450°. In tal modo si ottengono polveri allo stato secco (perché l'acido solforico non si condensa a quella temperatura), ma si elimina soltanto il 10-15% dell'anidride arseniosa.
Segue il raffreddamento dei gas fino quasi alla temperatura ordinaria, in apparecchi molto diversi: fasci tubolari raffreddati con acqua; apparecchi speciali nei quali i gas vengono in intimo contatto con acqua finemente suddivisa da un dispositivo meccanico; torri nelle quali circola acido solforico opportunamente raffreddato. Col raffreddamento, buona parte dell'anidride arseniosa e dell'acido solforico presenti nei gas si condensano e vengono eliminati; quelli che rimangono nei gas vengono poi separati mediante una serie di lavaggi e di filtrazioni. Il lavaggio si compie con acqua, nella quale l'anidride arseniosa si scioglie facilmente, oppure con soluzioni alcaline (solfito sodico, idrato di calcio) che si combinano con l'acido arsenioso e con quello solforico; oppure con acido solforico diluito. Nei primi due casi si usano apparecchi a gorgogliamento; nel terzo torri a riempimento. La filtrazione si compie su strati di ciottoli silicei o di coke metallurgico: i gas, che entrano nei filtri carichi di vapor d'acqua e di goccioline d'acido, debbono uscire completamente limpidi. Il vapor d'acqua che ancora contengono viene eliminato coll'essiccamento per circolazione dentro torri nelle quali incontrano acido solforico concentrato. Infine i gas vengono nuovamente filtrati per separarne le goccioline d'acido che trascinano.
Tutte queste operazioni si compiono in apparecchi di piombo oppure piombati, ermeticamente chiusi. Un apparecchio di lavaggio a gorgogliamento è quello Tenteleva (fig. 15), che è analogo ad uno della Badische. È di forma cilindrica e porta, fissato al coperchio, un diaframma circolare a forma di campana, i cui orli inferiori pescano nel liquido di lavaggio e sono forati e dentellati per facilitare il gorgogliamento. I gas entrano dal tubo centrale e, dopo aver attraversato il liquido, escono dai quattro tubi periferici. Nel sistema Tenteleva il lavaggio è completato (con acqua o con soluzione alcalina) in apparecchi dello stesso tipo dell'assorbitore omonimo (v. oltre).
Da qualche tempo anche per la separazione finale dell'arsenico si preferisce la precipitazione elettrostatica. Dapprima i gas vengono raffreddati a 40-50° facendoli circolare in controcorrente con acido solforico dentro due torri, una vuota e l'altra a riempimento; gran parte dell'anidride arseniosa si condensa ed esce dalla prima torre insieme con l'acido che, così inquinato, viene generalmente utilizzato tal quale per usi speciali: per es., nella fabbricazione di perfosfati. Dopo il lavaggio, i gas vengono sottoposti a una seconda precipitazione elettrica a freddo, con la quale si elimina ancora dell'anidride arseniosa; poi si fanno passare per un'altra torre, irrorata con acqua oppure con acido diluito, per raffreddarli a 30° e separarne il cloro. Un'ultima precipitazione elettrica serve a condensare il vapor d'acqua e le ultime tracce di anidride arseniosa. Si ottiene così un gas che non contiene nessuna impurità, all'infuori del vapor d'acqua che si elimina facendolo assorbire da acido solforico proveniente dagli assorbitori (vedi oltre) in altre due torri a riempimento.
Ossidazione. - Si compie in apparecchi di ferro, di acciaio o di ghisa, di disegno che varia notevolmente secondo i sistemi. A questi apparecchi vanno uniti ricuperatori di calore (detti anche regolatori) che consentono di mantenere la temperatura necessaria senza riscaldamento esterno, del quale si fa uso solo per l'avviamento. I gas vengono spinti in questi apparecchi da propulsori speciali.
Le masse catalitiche più usate sono a base di platino oppure di vanadio; con esse il rendimento della trasformazione da SO2 a SO3 si avvicina al 100%. In alcuni sistemi si usa l'ossido di ferro e precisamente le ceneri di pirite, ma il rendimento è solo del 50-65% ed è necessario completare la trasformazione con masse al platino. Si sono usate anche masse a base di solfato di nichelio, ossido di cromo, biossido di stagno, ecc.
Il platino si impiega molto finemente suddiviso (in modo da presentare ai gas la maggior superficie possibile) su diversi supporti: amianto in fiocchi, solfato di magnesio anidro granulato, farina fossile (kieselguhr) cementata con solfato di magnesio, ecc. Alcune masse moderne contengono solo il 2% di platino.
Negli ultimi anni si sono largamente diffuse le masse al vanadio, le quali, pur avendo un rendimento elevato quasi come quelle al platino, costano meno e non sono altrettanto sensibili ai veleni. Il vanadio entra in queste masse sotto forma di ossidi di vanadio, di solfato di vanadio, di vanadati di argento o di ammonio, ecc. Come supporti si usano amianto, pomice, farina fossile, zeolite artificiale, acido silicico, ecc.
L'attività catalitica delle masse si abbassa con l'uso e finisce quasi con lo scomparire, per effetto del cosiddetto avvelenamento. Quando si ha soltanto un abbassamento dell'attività, la si ripristina mediante la rigenerazione, la quale si compie, nel caso del platino, senza separarlo dal suo supporto, con metodi che variano secondo i casi: nell'avvelenamento per arsenico si tratta con acqua regia e poi si essicca; nell'avvelenamento per vapor d'acqua può bastare una semplice essiccazione con aria riscaldata a più di 350°. Quando invece la massa ha perduto completamente la sua attività non resta che ricuperare il platino e preparare una nuova massa.
Passando agli apparecchi di ossidazione, quello della Badische è costituito da un vaso cilindrico ad asse verticale, che porta internamente un fascio di tubi mandrinati a due piastre tubiere. La massa al platino è disposta dentro i tubi, su dischi forati sovrapposti e tenuti a distanza da peduncoli. Un modello recente di questo apparecchio è illustrato nella fig. 16. I gas freddi arrivano dal basso, circolano fra i tubi del fascio riscaldandosi a spese del calore di reazione e, arrivati nella camera superiore, dove eventualmente vengono diluiti con una certa quantità di gas freddi, ridiscendono percorrendo internamente i tubi nei quali si compie l'ossidazione e passano nella camera inferiore, uscendo per l'apposito tubo. La temperatura di regime della massa è di circa 450°; i gas escono a non più di 190°. L'apparecchio ha una doppia camicia di lamiera e un rivestimento isolante.
Nel sistema Tenteleva si usano apparecchi di due tipi: uno simile a quello della Badische ora descritto, però con ricuperatore di calore distinto dall'apparecchio di contatto; l'altro è costituito da due camere cilindriche sovrapposte, di diametro differente. Una parte della massa catalitica è disposta nella camera superiore sopra un disco di lamiera forata che porta piccoli elementi di lamiera, che hanno al centro un tubo a forma di camino e riempie lo spazio fra questi camini, formando uno strato di 10 cm. di spessore; il resto della massa è disposto nelle camere inferiori sopra una serie di dischi forati. I gas entrano dall'alto della camera superiore, si riscaldano per irradiazione della superficie della massa, traversano questa e poi entrano nella camera inferiore, traversando gli altri strati di massa e uscendo dal basso. Il ricupero del calore si compie in un apposito apparecchio a fascio tubolare.
Assorbimento. - Generalmente si compie in due fasi: nella prima, i gas contenenti l'anidride solforica incontrano oleum; nella seconda acido solforico al 98% di H2SO4, nel quale si esauriscono. L'acido solforico assorbe integralmente l'anidride solo quando la sua concentrazione è compresa fra il 97 e il 100% di H2SO4; diversamente una parte dell'anidride va perduta e forma densi fumi bianchi venendo a contatto con l'umidità atmosferica. Nell'assorbimento si riscontra inoltre un notevole sviluppo di calore e siccome si ha una perdita di anidride anche quando la temperatura supera un certo limite, sia i gas sia l'acido vengono continuamente raffreddati. Gli apparecchi nei quali l'assorbimento si compie sono generalmente dello stesso tipo di quelli che servono al lavaggio dei gas solforosi (v. sopra).
Così l'assorbitore della Badische è un vaso cilindrico di ghisa smaltata, oppure di acciaio fuso, pieno di acido, dentro il quale è costretto a gorgogliare il gas che arriva per mezzo di un tubo che termina in una campana dentellata, che pesca nel liquido. Il cilindro è disposto dentro un altro cilindro pieno d'acqua, che serve a raffreddarlo.
L'assorbitore Tenteleva (fig. 17), anch'esso di ghisa smaltata oppure di acciaio fuso, è una colonna formata da 3 o 4 elementi sovrapposti ed eguali fra loro. Il fondo di ciascun elemento porta un tubo centrale, che termina al disotto di una campana, forata nella sua parte periferica. Ciascun elemento comunica con l'elemento inferiore per mezzo anche di un tubo, che parte dal disopra della campana del primo e sbocca vicino al fondo del secondo. In tal modo l'acido scende lentamente dall'uno all'altro elemento della colonna mentre il gas sale attraverso i tubi centrali ed è costretto a gorgogliare dentro l'acido, passando per i fori delle campane e determinando una circolazione dell'acido dal centro della colonna verso le pareti, che sono raffreddate da una camicia d'acqua. I gas, prima di uscire, traversano una scatola disposta sul cielo della colonna, nella quale sono disposti dei diaframmi che servono a separare dai gas stessi le goccioline di acido che trascinano. L'acido arricchito di SO3 esce dal basso della colonna.
Negli assorbitori ora descritti i gas debbono superare una certa pressione della colonna di liquido, il che porta a un notevole consumo di forza motrice. Per risparmiare questa forza motrice, da qualche tempo secondo un metodo americano, si preferisce impiegare per l'assorbimento torri Glover, rivestite di materiale inattaccabile dall'acido e riempite generalmente di anelli Raschig. Normalmente si usano 4 torri: 2 delle quali per l'oleum e 2 per il monoidrato; eventualmente si completa l'assorbimento in un altro apparecchio. In condizioni normali si ottiene con queste torri oleum al 15-20% di SO3.
I gas, che lasciano gli apparecchi di ossidazione a più di 250°, vengono raffreddati a 40-60° prima di farli entrare nell'assorbitore, e si fa in modo che non escano da esso a più di 75°; all'uscita dall'apparecchio del monoidrato non debbono superare 40°. Il raffreddamento si compie in serpentine raffreddate esternamente con pioggia d'acqua. L'acido si raffredda in serpentine dello stesso tipo.
Macchinario accessorio delle fabbriche di acido solforico. - Propulsori dei gas. - Nelle camere di piombo a produzione intensiva la circolazione dei gas è assicurata da ventilatori di piombo. Nel processo per contatto i gas debbono vincere resistenze molto maggiori; si usano compressori a stantuffo, turbocompressori e, di preferenza, ventilatori a capsulismo o a stantuffo rotante. Questi propulsori vengono montati subito dopo gli apparecchi di depurazione; perciò i gas che li percorrono sono praticamente esenti da acido solforico; ma, per precauzione, nella condotta di arrivo del gas si inserisce un filtro da acido e nella condotta di compressione s'inserisce un altro filtro, destinato a trattenere l'olio lubrificante proveniente dal propulsore.
Pompe da acido solforico. - Nel processo delle camere di piombo un tempo si usavano montaliquidi ad aria compressa; modernamente si preferiscono speciali pompe, il cui esercizio riesce più economico. Una di queste è la pompa dell'italiano A. Ferraris (fig. 18), nella quale uno strato di olio di vaselina non emulsionabile (A) galleggia sull'acido (B), evitando il contatto di questo con le pareti del cilindro e con lo stantuffo. Nel processo per contatto si preferiscono pompe centrifughe di leghe resistenti all'acido (piombo antimoniato, bronzo fosforoso, ghisa al silicio) ad asse verticale oppure orizzontale, nelle quali è stato abolito il premistoppa, sostituendolo con dispositivi speciali.
Rendimento e costo dell'acido solforico nei due processi. Nel processo delle camere si arriva a trasformare in acido solforico il 99-99,5% dell'anidride solforosa; nel processo per contatto un rendimento del 95-96% è considerato soddisfacente.
Nel processo delle camere vi è una certa spesa per il consumo di acido nitrico che manca nel processo per contatto; per contro, non solo il rendimento è più elevato ma sono minori le spese per forza motrice e mano d'opera; e, soprattutto, il costo dell'impianto è molto minore.
Dal 1900 a oggi la differenza nel costo di produzione coi due processi ha subito continue variazioni, in dipendenza dei progressi tecnici che si andavano realizzando sia nell'uno sia nell'altro. Una ventina di anni fa sembrava che il processo per contatto si avvicinasse a diventare più economico; dieci anni dopo invece il processo delle camere presentava ancora un'economia di circa il 10% anche quando si doveva ricorrere alla concentrazione per produrre monoidrato; la sua convenienza era ancor maggiore quando si trattava di produrre acido a 53° Bé, che trova sbocco in molte importanti industrie. Per questa ragione, tuttora la maggior parte della produzione mondiale è ottenuta col processo delle camere. Recentemente l'introduzione delle masse al vanadio ha nuovamente modificato il margine a favore del processo per contatto.
Fabbricazione dell'acido solforico dall'idrogeno solforato. - Da qualche anno, adattando opportunamente il processo di contatto, si è cominciato a utilizzare per la fabbricazione dell'acido solforico l'idrogeno solforato H2S che si ottiene come sottoprodotto - e normalmente va perduto - nella depurazione del gas proveniente dalla distillazione del carbon fossile e delle ligniti, nell'idrogenazione dei catrami solforosi, nella fabbricazione del solfato di bario e del litopone, ecc.
Secondo il processo della società Lurgi, l'idrogeno solforato viene bruciato a 750-800°, con eccesso d'aria: si forma anidride solforosa e vapor d'acqua. La miscela gassosa viene fatta passare su una massa catalitica al vanadio - la cui azione non è ostacolata dalla presenza dell'acqua - in un apparecchio raffreddato ad aria, nel quale la temperatura viene mantenuta a 350-400°: il 98% dell'anidride solforosa si trasforma così in anidride solforica la quale però si combina con l'acqua per formare acido solforico solo nella fase successiva, quando la miscela viene raffreddata in un condensatore tubolare, nel quale circola acqua oppure olio, che porta la temperatura a 80-100°. Il tenore in anidride solforosa dei gas sottoposti all'ossidazione è del 4-7% in volume, ma l'apparecchio consente di scendere anche al 2% senza pregiudizio per la reazione. Dal condensatore si ottiene acido solforico a 63-65° Bé, limpido e puro. Quando si parte da gas già lavati non occorrono i complessi impianti di depurazione del normale processo di contatto e il costo di produzione dell'acido riesce molto basso. Così, partendo da gas di rifiuto della lavorazione del solfato ammonico, si è ottenuto l'acido con una spesa corrispondente a 1:15 del suo prezzo normale.
Produzione mondiale dell'acido solforico. - Ridotte tutte le cifre a monoidrato (1000 kg. di monoidrato = 1559,2 kg. di acido a 50° Bé) nel 1933 la produzione dell'acido solforico è stata: in Italia 678.000 t.; negli Stati Uniti 2.950.000; in Francia 540.000; in Germania 1.207.000; nella Gran Bretagna 868.000; nella Spagna 102.000; nella U.R.S.S. 570.000; nel Giappone 1.169.000; nel Canada 167.000; nella Svezia 127.000; in Polonia 100.000.
Bibl.: A. Aita e H. Molinari, Gli acidi inorganici, solforico, nitrico, clodridrico, Milano 1928; B. Waeser-Lunge, Handbuch der Schwefelsäurefabrikation, Brunswick 1930; A. M. Fairlie, Sulphuric Acid Manufacture, New York 1936.
Tossicologia. - L'acido solforico greggio (vetriolo) godette il suo periodo di triste fama quando sia i suicidî e sia gli omicidî avvenivano in grandissima parte per suo mezzo. Ormai l'avvelenamento da acido solforico è raro, accidentale o criminoso. La dose tossica di acido solforico concentrato, a stomaco vuoto, è di 4-5 grammi, di 5-6 per l'acido greggio. La sintomatologia è già stata descritta con l'avvelenamento da acidi; provoca causticazioni ed escare, di colorito nerastro, non molto profonde: la mucosa buccale cade in brandelli. Il vomito è caffeano e spesso incoercibile. I dolori sono violenti, spesso accompagnati da convulsioni. La morte avviene nei tre quarti dei casi, in molti per collasso, altre volte in seguito a perforazione dell'esofago con mediastinite, o dello stomaco con peritonite conseguente. V'è albuminuria. Anche nei casi non mortali si annoverano esiti gravissimi, quali le stenosi cicatriziali del primo tratto del canale digerente, le anchilosi per cicatrici cutanee retratte, nefrite interstiziale, gastrite cronica. La prontezza dell'intervento può scongiurare l'esito mortale. Si somministrino alcalini, magnesia, bicarbonato, soluzione acquosa concentrata di sapone, sciroppo di calce, o sostanze colloidi, mucillaggini, latte, albume d'uovo. Non mai emetici né lavaggi. Oppio e morfina, insieme con eccitanti generali sono gli unici sussidî sintomatici. Gli esiti sono spesso di pertinenza chirurgica.