Acqua
Lo studio della funzione dell'a. va intrapreso, oltre che dal punto di vista dell'utilizzazione pratica, essenziale alla vita economica e sociale delle città e delle aree agricole, anche in riferimento alle sue significazioni simboliche. Sia come elemento reale sia come tema iconografico, l'a. ricoprì infatti un ruolo primario nella liturgia cristiana, soprattutto come simbolo di purificazione, determinando l'adozione e la produzione di alcuni tipi di suppellettili e arredi sacri e lo sviluppo di specifiche iconografie.
Sul piano della funzione sociale ed economica dell'a. - nonché delle tecniche connesse al suo uso e allo sfruttamento del relativo potenziale energetico - il mondo medievale seppe sviluppare l'eredità di quello antico con opere idrauliche di alto livello tecnico, per la realizzazione delle quali un contributo fondamentale fu apportato così dagli Ordini monastici come dalla cultura scientifica araba. *
di C. Frugoni
Moltissimi sono i luoghi in cui l'a. è citata nella Bibbia; ciò offrì l'opportunità agli esegeti cristiani di combinare i vari passi in cui essa è presente per dar luogo a svariate simbologie.
L'a., in particolare quella del fonte battesimale, assunse spesso il significato di fonte di vita. Nell'arte paleocristiana (pitture catacombali, sarcofagi e più tardi vasche battesimali) sono infatti rappresentati diversi animali - cervi (Sal. 41, 2-3), pavoni, simbolo di immortalità (Agostino, De civ. Dei, 21, 4), colombe, in quanto anime dei cristiani (Ambrogio, De Isaac vel de anima, 4, 34) - che bevono a una fontana o ai quattro fiumi del paradiso sgorganti da un colle, su cui può stare l'agnello o la croce a simboleggiare il refrigerio dell'anima nel paradiso o il Cristo dispensatore di dottrina e salvezza attraverso il battesimo.
Questo pensiero si ritrova anche nella benedictio fontis del Messale Romano e nell'architrave del battistero del Laterano a Roma dove compare l'iscrizione "Fons hic est vitae qui totum diluit orbem sumens de Christi vulnere principium", composta presumibilmente al tempo di Leone Magno. Simili riflessioni furono riprese in epoca carolingia soprattutto nella produzione della 'scuola di corte di Carlo Magno' (Evangeliario di Godescalco, ante 783, Parigi, BN, nouv. acq. lat. 1203, c. 3v; Evangeli di Saint-Médard di Soissons, inizio del sec. 9°, Parigi, BN, lat. 8850, c. 6v; Evangeli di St. Emmeram a Ratisbona, Codex Aureus, 870, Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 14000, c. 6r; Underwood, 1950; Elbern, 1963). Nella miniatura degli Evangeli di Saint-Médard la fontana di vita è rappresentata come un edificio a tholos, posto in un ambiente paradisiaco, con una cupola sostenuta da otto colonne che circondano una piscina verso la quale convergono cervi, uccelli acquatici (simboli degli apostoli pescatori d'uomini), pavoni. L'edificio riprende l'architettura del mausoleo imperiale, adottata a rappresentare il sepolcro di Cristo a Gerusalemme per lo stretto rapporto che lega la morte del Salvatore all'azione salvifica del battesimo (Rm. 6, 3-4). Una simile struttura ottagonale circonda la vasca del battistero del Laterano con la scritta sull'architrave sopra ricordata. Tale pensiero venne ripreso e sviluppato da Rabano Mauro che interpretò il fiume dell'Eden (Gn. 2, 10-14) come Cristo che sgorga dal fonte paterno, irrigando la Chiesa "verbo praedicationis et dono baptismi", mentre i quattro fiumi che ne derivano sono i quattro evangelisti (Commentaria in Genesim, 1, 12). Nella miniatura dell'Evangeliario di Godescalco dall'a. della vasca sorge un piccolo zampillo che si divide in quattro; sopra la fontana è posta la citazione (Mt. 1, 18-21) relativa al concepimento di Maria a opera dello Spirito Santo: è un'ulteriore simbologia connessa al battesimo come occasione di una nuova nascita, presente in molti esegeti cristiani (Ambrogio, De Virginibus, 1, 31, PL, XV, coll. 1635-1636; Ruperto di Deutz, De Trinitate, 3, 9) e nitidamente espressa da Leone Magno in un sermone dedicato alla Natività (In Nativitate Domini, 4, 24: "et omni homini renascenti aqua baptismatis instar est uter virginalis, eodem Spiritu Sancto replente fontem, qui replevit et Virginem, ut peccatum quod ibi vacuavit sacra conceptio, hic mystica tollat ablutio" (Underwood, 1950, p. 73 ss.). Intenzionale è il numero otto delle colonne, dato che l'ottavo giorno è quello in cui Cristo risuscitò (Ambrogio, Enarratio in psalmos, 47; Agostino, Epistola 55 ad inquisitiones Januarii); per questo la liturgia della benedizione dell'a. santa avviene alla vigilia di Pasqua o dell'Epifania (la vasca battesimale è sepolcro e grembo della nuova nascita; Danbolt, 1978).
Dal tempo degli Ottoni e fino al sec. 14° la rappresentazione della vasca battesimale, con la scritta costante "vita communis" (At. 2, 44-46), intorno alla quale si dispongono gli apostoli, è unita a quella della Pentecoste, dato che il fiume dell'Apocalisse (22, 1), fonte del paradiso celeste, è visto, da s. Ambrogio (De Spiritu Sancto, 1, 16, 157; PL, XVI, col. 770) in poi, come simbolo della terza persona dalla Trinità: così è per es. nel codice di Egberto (Treviri, Stadtbibl., 24, c. 103, intorno al 980; Schiel, 1960). Nell'Evangeliario di Kuno von Falkenstein (Treviri, Domschatz, 66, c. 121, intorno al 1380), nella parte superiore della miniatura è rappresentata la Pentecoste (gli Apostoli e Maria riuniti sotto le ali dello Spirito Santo che distribuisce le fiammelle di fuoco) e sotto una fontana, con la solita scritta "vita communis", sulla quale galleggiano delle ostie; tutt'intorno uomini e donne si vanno ad abbeverare; c'è anche un cane in riferimento a Mt. 15, 27 e alle umili parole della madre dell'indemoniata (Beissel, 1907). Un complesso significato simbolico è presente anche in fontane di pietra come, per es., la Fontana Maggiore a Perugia di Nicola e Giovanni Pisano (1278), dove l'articolatissimo programma religioso e politico ha il suo fulcro nell'Agnus Dei del bacino superiore, a ricordare il sacrificio di Cristo che annulla ogni peccato (Frugoni, 1983) o nella distrutta fontana di Arnolfo di Cambio a Perugia (intorno al 1280) di cui rimangono alcuni stupendi frammenti (Perugia, Gall. Naz. dell'Umbria) che permettono oggi di ricostruire il programma: al centro Cristo fons misericordiae, dalla cui ferita l'a. zampillava verso i quattro evangelisti, simbolo anche dei fiumi del paradiso, per raggiungere poi alcune figure di assetati che Reinle (1980) interpreta come la Maddalena, la Samaritana, il Paralitico guarito alla piscina di Betesda (Gv. 5-41) - secondo la critica corrente, rispettivamente: una vecchia, la donna con la brocca, il malato. Significato analogo aveva anche la distrutta fontana della seconda metà del sec. 12° a Treviri: qui l'a., che usciva dal costato di Cristo sostenuta da un tralcio di vite, aveva spiegazione nella scritta posta nel bacino inferiore: "Sacra virens vitis vas implens affluit uvis"; del resto un tralcio di acanto esce dal costato di Cristo nel pulpito del duomo di Siena di Nicola Pisano databile al 1266-1268 (Reinle, 1980). Anche nei bestiari la morale e le citazioni bibliche che accompagnano le storie dell'aquila, della fenice e del cervo con le relative miniature, rimandano alla simbologia del battesimo e dell'a. purificatrice, perché parola di Dio (Mc Culloch, 1962; Wadell, 1969).
L'a. ha però una duplice valenza, dato che simboleggia la fonte della vita eterna, ma è anche possibile intenderla come equivalente del mondo e del peccato; ai pesci simboli del cristiano - per la parabola di Mt. (13, 47-50) - e di Cristo, per il noto acrostico ἰχθύϚ, si contrappongono i pesci simbolo degli uomini peccatori che trovano la salvezza solo uscendo dall'a., catturati dai pescatori-apostoli. Gli esegeti cristiani hanno perciò affrontato il difficile compito di superare l'apparente contraddizione insita nel tema del pesce che muore, portatore però di un significato positivo. Se Tertulliano (De baptismo, 1, 3) chiama i cristiani pesciolini nati dal pesce, cioè Cristo, e afferma che la sola salvezza è quella di nuotare nell'a., per Clemente Alessandrino (Pedagogus, 3, 11) l'associazione è con il mare di questo mondo e cioè l'amara a. del peccato e dei vizi da cui i pesci virtuosi debbono essere tratti fuori. Anche per Ambrogio (De sacramentis, 3, 3) la vita su questa terra è un mare tempestoso che rischia di sommergere il pesce, cioè il cristiano, tema questo che Girolamo (In psalmum 41 ad Neophytos) sviluppa compiutamente. L'a. per Ambrogio diventa così l'immagine dell'insegnamento della Chiesa, il vangelo è la rete in cui gli uomini devono incappare, perché pesci nella fede (Hexaemeron, 5, 7, 17). Nel catino absidale del distrutto oratorio al Monte della Giustizia a Roma (presso la porta del Viminale, noto da un disegno del 1870) del sec. 4° erano raffigurati Cristo fra gli apostoli con i rotoli della legge (simbolo della trasmissione dell'insegnamento) e, sotto, una serie di pescatori con barche e reti (Drewer, 1981). I pesci appaiono in un contesto positivo in vari pavimenti a mosaico databili dal sec. 5° al 7° nel Nordafrica, in Grecia e in Turchia, in molti sarcofagi paleocristiani - dove l'immagine del pescatore si affianca a quella del Buon Pastore - e negli affreschi della pieve di S. Jacopo di Zambra (Pisa), forse del sec. 11°, dove alcuni pesci compaiono coronati e altri sono disposti in modo da formare una croce (Cristiani-Testi, 1971). Una sirena che suona il corno emerge dal mare, simbolo di peccato, in una miniatura di un salterio (Stoccarda, Württembergische Landesbibl., Bibl. fol. 23, c. 79r, 830 ca.) che commenta il salmo 69 (68), 2-3 (Frugoni, 1978; De Wald, 1930).
Significato ugualmente minaccioso ha la somministrazione delle a. amare (Nm. 6, 11-28) per la sospetta adultera. Nei vangeli apocrifi (Protovangelo di Giacomo, 16, 1) Maria incinta si sottopone alla prova dell'a. per i dubbi avanzati da Giuseppe (Mt. 1, 18-19); l'episodio venne rappresentato, alla metà del sec. 6°, in uno dei bassorilievi in avorio della cattedra di Massimiano a Ravenna (Mus. Arcivescovile) e negli affreschi di Castelseprio.
L'a. come processo di trasformazione da un contesto spirituale negativo a un altro positivo, in un susseguirsi di metafore, è pienamene spiegata nei bassorilievi del fonte battesimale della chiesa di S. Nilo a Grottaferrata (Roma), databile intorno al 1131. Da sinistra verso destra si vede un uomo nudo - la sua veste campeggia nell'aria - mentre si sta per tuffare dall'alto di una colonna. Dai flutti emerge una roccia con una porta chiusa, sugli scogli stanno alcuni pescatori con la canna, alcuni pesci hanno abboccato e stanno sospesi a mezz'aria, altri nuotano tranquilli. Da una fessura della roccia scaturisce una sorgente ad alimentare il fiume, mentre altra a. ancora è versata sulla superficie ondosa da un uomo nudo (che tiene una grande brocca), di spalle ma con la testa volta verso lo spettatore. Le parole della liturgia del battesimo e della benedizione dell'a. santa alla vigilia dell'Epifania spiegano tutti i dettagli della composizione: il tuffatore è il pagano e il peccatore, che si è spogliato della veste corporea del peccato per rivestirsi, dopo la nuova nascita, di quella incorruttibile dello spirito; i pescatori sono gli apostoli e i pesci i cristiani battezzati; la sorgente ricorda quella di Mosè, fatta scaturire nel deserto, simbolo a sua volta della ferita di Cristo a cui tutti si abbeverano; la porta chiusa è di nuovo Cristo nel ricordo di Giovanni (Gv. 10, 9). Infine l'uomo nudo con la brocca è il fiume Giordano, che si volge stupito al prodigio del battesimo del Salvatore. Al medesimo significato di morte e resurrezione rimanda anche la forma della vasca con la nota cupola a tholos su cui sono scolpiti altri pesci guizzanti nel mare (Danbolt, 1978).
La rappresentazione dell'a. assumeva poi un significato particolare nella raffigurazione dei fiumi del paradiso. Il fiume che si divide in quattro, di cui sono indicati i nomi Geon, Phison, Tigri ed Eufrate (Gn. 2, 10-14), è stato interpretato dagli esegeti cristiani come il messaggio di Cristo che si diffonde nel mondo attraverso i quattro evangelisti; così Cipriano (Epistola 73 ad Jubaianum), Agostino (De civ. Dei, 13, 21), Innocenzo III (Sermo III. In communi de Evangelistis) e Onorio Augustodunense (Spec. Eccl. In Nativitate Domini, qui come simboli di nutrimento spirituale e perciò interpretati anche come olio, vino, latte e miele). Altre analogie basate sul numero quattro fecero interpretare i fiumi come simboli delle virtù cardinali (Ambrogio, De Paradiso, 1, 3; Agostino, De Genesi contra Manichaeos, 2, 10; Gregorio Magno, Moralia in Job, 2, 44), dei quattro elementi (Sicardo, Mitrale, 6, 5), dei quattro punti cardinali (Onorio Augustodunense, Spec. Eccl.), delle quattro età del mondo (Ambrogio, De Paradiso, 1, 3).
Le più antiche rappresentazioni dei fiumi li connettono al mondo non terrestre ma celeste, rimandando al significato escatologico dell'Apocalisse (22, 1): colombe e cervi che si abbeverano nei mosaici del mausoleo di Galla Placidia a Ravenna (425-426); l'Agnello mistico sopra i quattro fiumi nel sarcofago c.d. di Onorio (m. 423), conservato nello stesso mausoleo; Cristo fra gli apostoli sopra i quattro fiumi, come nel mosaico absidale dell'antica basilica di S. Pietro a Roma (Matthiae, 1962; de Francovich, 1959). Il fatto che l'a. del paradiso celeste fosse intesa anche come l'a. del battesimo (già Gregorio di Nissa, De baptismo, lo indicò chiaramente), portò a unire le rappresentazioni dei quattro fiumi con quelle del Giordano, soprattutto in una serie di mosaici absidali romani dove compare anche Cristo con apostoli o santi (antica abside di S. Giovanni in Laterano, S. Prassede; Matthiae, 1962). Fiumi del paradiso terrestre sono rappresentati in un avorio della fine del sec. 4° conservato a Firenze (Mus. Naz. del Bargello; Volbach, 1952) e in una miniatura dell'Evangeliario di Rossano Calabro (Mus. Diocesano) del sec. 6°, accostati alla rappresentazione delle Vergini sagge e delle Vergini folli (Kömstedt, 1929); nella scena della Creazione di Adamo ed Eva, in una placchetta d'avorio nel paliotto di Salerno (Mus. del Duomo) del sec. 11° (Bergman, 1980). Le più antiche personificazioni dei fiumi come uomini, spesso succintamente vestiti, seduti o in piedi mentre versano a. da brocche, si ritrovano in un gruppo di mosaici pavimentali della Cirenaica databili al sec. 6° (Ward Perkins, 1958). Questa iconografia divenne poi dominante in Occidente e si diffuse soprattutto dal sec. 11° in poi: colonna trionfale di Bernoardo nella cattedrale di Hildesheim, sec. 11° (Wesenberg, 1955); mosaici della Genesi nell'atrio della basilica di S. Marco a Venezia, prima metà del sec. 13° (Demus, 1984). In contrapposizione alle virtù teologali dovevano essere rappresentati i fiumi nel ciclo dei capitelli del coro dell'abbazia di Cluny (Conant, 1930). All'interno di cicli assai complessi, i fiumi possono essere connessi con l'Anno e lo Zodiaco, come nel mosaico pavimentale del duomo di Aosta del sec. 12° (Kier, 1971) o con gli Evangelisti, o ancora con scene dell'Antico Testamento, oppure con le Arti meccaniche, i Vizi e le Virtù e lo Zodiaco, come per es. nel celebre candelabro 'dell'Albero' o 'Trivulzio' del duomo di Milano, di fattura mosana, databile intorno al 1200, anche se completato in qualche parte nel sec. 16° (Cattaneo, 1973), oppure con le Virtù cardinali, gli Evangelisti, i Profeti e i Re dell'Antico Testamento nella vasca battesimale della cattedrale di Hildesheim del sec. 12° (Kier, 1971).
Nel mondo medievale l'a. venne spesso associata al concetto di abisso. Nell'Antico Testamento si parla dell'immensità delle a. nella creazione (Gn. 1, 2) e nel diluvio universale (Gn. 7, 11; 8, 2); nel Nuovo Testamento, Abisso è il luogo dei morti (Rm. 10, 7), abitazione dei demoni (Lc. 8, 31), pozzo dell'abisso da cui escono terribili cavallette il cui re è detto 'sterminatore' (Ap. 9, 11), dove il diavolo e Satana sono rinchiusi per mille anni dall'angelo (Ap. 20, 3; 11, 7; 17, 8). I Padri della Chiesa ripresero queste interpretazioni (Kittel, 1953). Abisso viene rappresentato come la testa di un vecchio barbuto nel tema della Creazione - per es. nei mosaici della cattedrale di Monreale, in Sicilia (1174-1175) - riprendendo lo schema classico di Giove Pluvio, così come è individuato nella colonna coclide di Marco Aurelio a Roma (Kitzinger, 1960); è un bel viso dai lunghi capelli fra le onde a illustrare il passo biblico "tenebrae erant super faciem abyssi" (Gn. 1, 2) in una placchetta di avorio proveniente da Salerno, del sec. 11° (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz); è rappresentato come una testa mostruosa posta sulle onde raccolte a montagna, abitate da uccelli e pesci, in una serie di ottateuchi bizantini dal sec. 11° in poi e in due bibbie catalane, quella di Roda (ora a Parigi, BN, lat. 6, c. 6) e quella di Ripoll, passata attraverso il monastero di Farfa, ma oggi conservata in Vaticano (Roma, BAV, lat. 5729, c. 5v): qui la miniatura è commentata dalla scritta: "Abyssus retinens in se cuncta creata" (Neuss, 1922). Abisso è ancora rappresentato con un viso stravolto, nel luogo di perdizione del ricco epulone, nell'Evangeliario dell'imperatore Ottone della fine del sec. 10°, conservato nella Domschatzkammer di Aquisgrana (c. 164v; Erich, 1937); insieme a Bythos (gli abissi del mare) compare nella rappresentazione dell'attraversamento del mar Rosso in alcuni salteri bizantini (per es. Parigi, BN, gr. 139, c. 419v, metà del sec. 10°) nell'atto di travolgere il faraone. Una miniatura simile alla precedente è anche nel salterio bizantino nr. 3807, c. 231v di Berlino (già Christlicharchäologische Sammlung der Berliner Univ.; Stuhlfauth, 1933). Oltre che in contesti religiosi l'a. venne infine rappresentata in contesti profani in diverse accezioni.Il tema profano della fontana di giovinezza, dove si tuffano i vecchi e i malati per riacquistare bellezza e salute perdute, è chiaramente influenzato da quello sacro della fontana di vita. La prima menzione è nella lettera del Prete Gianni (o Giovanni) che avrebbe governato l'India ai tempi dell'imperatore Manuele I Comneno di Costantinopoli (1143-1180), la cui redazione si situa intorno al 1177 (Olschki, 1913). La fonte dista tre giorni dal paradiso terrestre e se per tre volte si gusta, sempre digiuni, di quell'a., non ci si ammala mai e si rimane all'età di trentadue anni (evidente è il legame con i fiumi del paradiso e con l'età di Cristo: anche i morti resuscitati nel giorno del Giudizio universale rimarranno a quell'età). Nel sec. 13° è citata in molti testi letterari francesi (la menzione più antica è nel Roman d'Alexandre di Lambert le Tort, 1170-1180), così come in testi della letteratura tedesca (Rapp, 1976). È citata anche nel componimento religioso Eructavit che commenta il salmo 44, scritto da Adam de Perseigne fra il 1180 e il 1187, e nel Pay de Coquaigne.
Altro tema strettamente imparentato è quello della fontana d'amore. Chi guarda in quest'a. è preso da amore; così è affermato per es. nel Roman de la Rose di Guillaume de Lorris e Jean de Meung del sec. 13° (Köhler, 1963). Illustrano il tema della fontana di giovinezza e di amore numerose miniature che adornano i manoscritti dei testi citati (per. es. Parigi, BN, fr. 14160, c. 42, 1316-1320). In una serie di cofanetti d'avorio conservati a Londra (Vict. and Alb. Mus.), databili all'inizio del sec. 14°, la fontana di giovinezza è unita all'illustrazione di varie storie d'amore: di Galvano e di Lancillotto, tratte dai romanzi di Chrétien de Troyes, Perceval e Le Chevalier de la Charette; di Aristotele cavalcato da Fillide, di Piramo e Tisbe, di Galahad (dalla Queste du Saint Graal), dell'Uomo selvaggio e la fanciulla (Loomis, 1917). Alcuni cofanetti sono dedicati all'episodio di Artù sull'albero: la sua immagine si specchia nell'a. della fontana, accanto alla quale siedono Tristano e Isotta che, accortisi della presenza del re, si trattengono da ogni gesto affettuoso. Infine la fontana di giovinezza appare anche nella scena della Corte d'amore come motivo allegorico a decorare tavolette scrittorie in avorio del sec. 14° (un bell'esempio è al Mus. de Cluny di Parigi) e in pettini d'avorio dispersi ora in una serie di musei (Köchlin, 1924). Spesso la forma della fontana assume quella assai realistica del bagno pubblico, una specie di piscina, come illustrano per es. le miniature del De Balneis Puteolanis di Pietro da Eboli, secc. 13° e 14° (Kauffmann, 1959), o del bagno domestico, una larga tinozza di legno tenuta insieme da cerchi di ferro, come negli affreschi del sec. 14° nel palazzo Comunale di San Gimignano, dove due amanti siedono nudi entro la vasca (Rapp, 1976). La forma può essere inoltre influenzata anche da quella del fonte battesimale (vasca ottagonale) o da quella che raccoglie i dannati all'inferno (un calderone circolare).In alcune rare rappresentazioni è Eva a prendere un bagno purificatore dopo la nascita di Caino, come nel portale dei Librai della cattedrale di Rouen (sec. 13°), in cui lo scultore mostra Eva che allatta e subito dopo fa il bagno in una tinozza di legno; questo tema, sconosciuto alla Bibbia, è tratto dalla Vita Adam et Evae (Réau, 1956).
Bibliografia
Fonti:
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di A. Berger
Per tutta l'Antichità e nell'Alto Medioevo fino alla comparsa dei mulini a vento l'a. era l'unica fonte di energia con cui si potesse svolgere un lavoro senza l'impiego della forza umana o di animali da soma. Soprattutto nell'area mediterranea e in Arabia per l'approvvigionamento idrico e per l'irrigazione dei campi occorreva spesso attingere l'a. con sistemi meccanici e convogliarla in canali; la costruzione di ruote idrauliche e di impianti di sollevamento di vario tipo fu quindi l'aspetto più importante dell'idraulica medievale. Le conoscenze tecniche in questo campo risalivano essenzialmente all'Antichità, in particolare all'epoca ellenistica, ed erano state tramandate anche in forma letteraria nelle opere di Erone di Alessandria, Filone di Bisanzio e Vitruvio. Le prime due ebbero grande influsso anche nell'ambito culturale islamico e l'opera di Filone sull'idraulica è addirittura nota solo nella traduzione araba. Nella sua scia si pone l'opera dell'arabo alJazarī (1260-1338), il quale, diversamente da Filone, non si limitò a descrivere modelli meccanici, ma illustrò anche impianti tecnici ricostruibili con precisione grazie ai disegni allegati al suo testo.
Nel corso di tutto il Medioevo la costruzione di gran lunga più comune fu la ruota verticale a pale radiali, che aveva la parte inferiore immersa nell'a. corrente. In uso nell'area mediterranea già in epoca antica, nel sec. 4° si diffuse dall'Italia in Gallia, poi in Germania, nei secc. 8° e 9° in Europa sudorientale e in Spagna e, dal sec. 11°, nelle Isole Britanniche, in Scandinavia e in Russia; una forma derivata, la ruota veloce con cucchiai, è testimoniata in Arabia a partire dal 9° secolo.
Semplici ruote idrauliche orizzontali, che sfruttavano l'energia cinetica di un getto d'a. e potevano essere utilizzate senza meccanismo di trasmissione direttamente per azionare mulini, sono menzionate in Irlanda e nel regno franco prima del sec. 9° nelle disposizioni di testi giuridici, ma furono in seguito soppiantate dalla ruota verticale, più efficace. Ruote idrauliche in cui l'a. è convogliata nel terzo superiore della ruota, a pale per lo più curve, sono documentate solo nel Tardo Medioevo; la più antica raffigurazione certa si trova nel Salterio di Luttrell, redatto intorno al 1340 (Londra, BL, Add. Ms 42130). Le ruote idrauliche servivano nell'età antica e altomedievale quasi esclusivamente ad azionare i mulini. Un meccanismo, consistente in una ruota dentata sull'asse orizzontale della ruota idraulica e un'altra sull'asse verticale della macina, consentiva il collegamento tra i diversi movimenti rotatori allineati. Nel tardo sec. 11° comparvero nella Francia settentrionale le prime follatrici, le cui vaste possibilità di impiego portarono in Inghilterra nel sec. 13° a una notevole razionalizzazione della produzione tessile. Invece della macina rotante, queste macchine erano dotate di meccanismi contundenti, i cui martelli venivano sollevati da camme poste sull'asse orizzontale della ruota idraulica. Dal sec. 12° sono attestate anche concerie, molazze e segherie idrauliche. Una segheria azionata ad a. nelle cave di marmo lungo la Mosella è menzionata intorno al 370 d.C. nel poemetto Mosella di Ausonio, ma l'autenticità di questa testimonianza è stata messa in dubbio. Una forma particolare di mulino ad a., ignota all'Antichità e in seguito diffusa in tutta l'Europa occidentale, è il mulino fluviale o galleggiante, azionato da una ruota idraulica con la parte inferiore immersa nella corrente del fiume. Il primo mulino fluviale sembra venisse impiantato sul Tevere nel 537, durante l'assedio di Roma da parte dei Goti, quando l'approvvigionamento idrico della città, garantito dagli acquedotti, fu interrotto.
Sistemi tecnici legati all'a. sono anche gli impianti di sollevamento e le pompe. L'elemento principale di quasi tutti gli impianti di sollevamento dell'a., dall'Antichità fino a oggi, è la noria, una grande ruota di legno con asse orizzontale, dotata di recipienti di terracotta lungo la sua circonferenza. La parte inferiore della ruota è immersa in un pozzo o in un canale; nel loro percorso circolare i recipienti si riempiono d'a. in basso, per svuotarsi del loro contenuto in un apposito bacino quando arrivano al vertice. In luogo dei recipienti la ruota poteva anche avere la circonferenza suddivisa in vasche con aperture verso la parte interna. L'impiego, al posto della noria, di una catena con secchie pendente dalla ruota che gira, consente un'altezza di trazione maggiore per una quantità in corrispondenza più modesta. Nel caso più semplice la noria era realizzata in modo da servire contemporaneamente da timpano e da essere azionata nello stesso modo. Se l'a. fluiva sufficientemente rapida e abbondante, la noria poteva anche essere mossa direttamente da pale, come una ruota idraulica con la parte inferiore immersa. L'impianto più famoso di questo tipo venne realizzato a Ḥamā in Siria, dove più norie sollevavano l'a. dell'Oronte fino a un acquedotto. La stessa tecnica trovò un vasto impiego negli impianti tardomedievali di sollevamento dell'a. delle città dell'Europa centrale e settentrionale, il più antico dei quali è documentato a Lubecca nel 1293. L'azionamento mediante animali aggiogati fu utilizzato soprattutto per raccogliere a. da pozzi sotterranei nelle regioni mediterranee poco piovose. L'asse orizzontale della noria era collegato tramite un congegno a un asse verticale cui venivano attaccate le stanghe per l'animale da tiro. Nella noria caratteristica della Spagna e del Marocco l'asse del giogo si trovava immediatamente vicino al pozzo nel quale girava la ruota con la catena e l'animale da tiro descriveva un movimento circolare intorno all'impianto. Nella sāqiya egiziana la noria o la ruota con catena si trovava al di fuori del giogo e la trasmissione della forza avveniva mediante un albero orizzontale posto sopra la testa dell'animale da tiro o sotto il livello del suolo.
Oltre a questi impianti usuali, nel Medioevo venne impiegata a volte anche la vite di Erone per il sollevamento di grandi quantità d'a. ad altezze modeste. Una nuova creazione degli Arabi fu la noria a spirale, documentabile a partire dal sec. 12° e derivata dal tympanon menzionato da Vitruvio. Si trattava di una noria priva di un bordo suddiviso, ma interamente articolata in vasche a settore da cui l'a. defluiva verso l'asse. Grazie alla forma a falce delle vasche il rendimento della noria a spirale è notevolmente maggiore; dato che la prevalenza geometrica della noria a spirale assomma solo alla metà del suo diametro, essa è particolarmente adatta, come la vite di Erone, per grandi quantità d'a. da sollevare ad altezze modeste. Anche la pompa a stantuffo, l'antico siphon, era nota nel Medioevo ed era costituita per lo più da due cilindri che venivano alternativamente compressi da una leva a due bracci. Dato che prima della scoperta della biella, nel sec. 13°, non era possibile azionare meccanicamente le pompe a stantuffo, le loro possibilità di impiego rimasero molto limitate, nonostante l'elevato rendimento; furono utilizzate soprattutto come pompe per spegnere incendi. Con questa funzione sono per es. documentati siphones intorno all'800 a Bisanzio.
L'uso dell'a. era alla base anche di altri sistemi tecnici. Orologi ad a. noti fin dall'Antichità venivano utilizzati per misurare il tempo anche a Bisanzio e nel mondo islamico; al-Jazarī ne fa menzione nella sua opera. La componente principale dell'orologio era un vaso cilindrico, dal quale l'a. defluiva lentamente attraverso una piccola apertura; mediante un galleggiante, un'asta e una ruota dentata, le variazioni del livello dell'a. venivano indicate su un quadrante, segnando il trascorrere del tempo.
L'antico organo idraulico (hydraulis) deve il suo nome a un recipiente a pressione riempito in parte d'a., grazie al quale veniva immessa nelle canne una corrente d'aria costante. Non è possibile stabilire in base alle fonti se l'organo inviato a Pipino da Bisanzio nel 757, quello costruito a Venezia nell'822 per il duomo di Aquisgrana e altri strumenti analoghi fossero davvero organi idraulici; i più recenti, del sec. 14°, la cui struttura è nota più in dettaglio, erano privi del recipiente a pressione pieno d'acqua.
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