Acqua
Elemento fondamentale della vita, l'acqua contribuisce direttamente all'elaborazione dei sistemi sociali, come hanno dimostrato, per esempio, sia Marx, evidenziando il ruolo che essa ha svolto nell'organizzazione delle società asiatiche (nelle sezioni dei Grundrisse dedicate alle società precapitalistiche), che Glick (v., 1970), studiando i canali d'irrigazione della Spagna mozarabica. L'acqua ha sacralizzato lo spazio prima di formarlo, e ha strutturato le città più che le campagne. La storia dell'Europa occidentale può fungere da modello.Il mondo indoeuropeo possiede una moltitudine di miti relativi all'acqua che non sono appannaggio di una singola divinità, ma di più divinità raffiguranti le varie funzioni svolte dall'acqua: Esus, Indra e forse Marte proteggono il trasporto fluviale, Giove Taranis e Varuna controllano la traversata dei guadi e la regolazione dei fiumi. Ogni regione è ricca di divinità locali: ogni fonte, ogni corso d'acqua possiede un suo nume tutelare - Matrona (la Marna), Sequana (la Senna), Samara (la Somma) - che spesso ha dato il nome al primo agglomerato. La maggior parte di queste divinità permane in epoca cristiana, che le ha santificate o sostituite con un apostolo locale mitico (ad esempio san Dionigi di Parigi ricorda Dioniso, san Taurino d'Evreux, Taranis). Nonostante l'opposizione della Chiesa nei confronti dei costumi pagani, si è continuato, talvolta fino ai nostri giorni, a conferire a determinate fonti un valore psicoterapeutico. Nel XVIII secolo la medicina ne ha riconosciuto solo il potere fisiologico, lasciando all'esoterismo il loro effetto psichico.
Il sacro conferisce all'acqua un ruolo protettore: il battesimo cristiano cancella il peccato originale, l'acqua benedetta caccia gli spiriti maligni, il bagno rituale del futuro cavaliere lo immunizza, alla maniera di Sigfrido, contro le forze del male. Tale protezione non è riservata solo agli individui, ma si estende agli insediamenti umani e in particolare alle città. Un tempo queste si circondavano di fossati quando si sentivano in pericolo e, una volta terminati i grandi lavori militari, tutta la comunità religiosa locale si recava a marcare con il sigillo cristiano le acque calme dei fossati. Ancora più anticamente i Gallo-romani, traumatizzati dalle rivolte popolari, proteggevano la loro città con un doppio baluardo: una muraglia di pietra e un ampio fossato nel quale andava a riversarsi il fiume più sacro dei dintorni, perché da sempre la protezione sacra è stata ritenuta più efficace della semplice protezione militare. Ma se l'acqua protegge, può anche distruggere: il diluvio mitico, la tempesta sul lago di Tiberiade, le inondazioni locali hanno terrorizzato intere generazioni. Per far fronte a simili catastrofi naturali si faceva ricorso alla preghiera collettiva e alle processioni penitenziali, tra cui le più importanti erano quelle delle feste delle Rogazioni e dell'Ascensione, ideate nel corso dell'alto Medioevo in sostituzione di una festa pagana di quattro giorni dedicata alla grande divinità gallo-romana Giove-Taranis. Ogni città nascondeva in una delle sue paludi un drago, simbolo di allagamento catastrofico, che i Galli placavano con libazioni e offerte. Di alcuni vescovi, che tentarono invano di eliminare questo rito pagano, la memoria orale fece dei santi e la statuaria medievale li rappresenta mentre abbattono il loro drago (san Marcello a Parigi, san Clemente a Metz, ecc.). Più il drago è potente, più grande è la fede del suo vincitore e più il cristianesimo rafforza la propria posizione territoriale.
Le rese agricole dipendono in gran parte dalla quantità d'acqua disponibile: sono scarse quando la siccità perdura o l'acqua ristagna, aumentano quando il contadino è in grado di gestire l'acqua, sia piovana che fluviale. Molto presto, fin dal IV millennio prima della nostra era, le civiltà manifestano la loro grandezza con l'organizzazione territoriale del patrimonio idrografico, e i surplus agrari così ottenuti permettono ad alcuni tra i non nobili di distaccarsi dalla gleba e di dedicarsi ad altri lavori più artigianali e più 'urbani'.
La deviazione dei corsi d'acqua per fini agricoli non compare a caso. Senza far ricorso alle teorie obsolete di Childe riprese da Toynbee, secondo le quali la desertificazione post-glaciale avrebbe causato l'occupazione dei luoghi vicini all'acqua da parte di orde primitive in cerca di vegetazione, bisogna tuttavia ammettere che le etnie dovevano aver praticato il raccolto più che la caccia e, conoscendo lo sviluppo delle piante, dovevano aver percepito l'utilità di selezionarle e di moltiplicarle. In realtà tali popolazioni non erano mai nomadi, ma occupavano i fianchi delle grandi vallate, le regioni pedemontane.Le società primitive passano allo stadio della coltivazione in epoche diverse. Nell'Asia sudorientale, e innanzitutto in Thailandia, il riso sembra essere stato coltivato fin dal IV millennio su piccoli appezzamenti piani, non irrigati ma cinti da piccole dighe destinate a trattenere le acque piovane. In America si inizia a coltivare il mais verso il V millennio, ma esso diviene importante per l'alimentazione solo nell'ultimo millennio, contemporaneamente alla coltura in irrigazione soprattutto nella valle di Tehuacán (200 km a sud di Città del Messico) e in quella di Chillón (a nord di Lima). Quanto al grano, esso appare in Mesopotamia poco prima che si realizzino le prime derivazioni dei bracci dell'Eufrate e della Gangir, in località a insediamento raggruppato che implicano un livello di organizzazione sociale già complessa.Di fatto, il ricorso alle tecniche idrauliche, che va sempre più affermandosi, concentra la coltivazione su una parte ristretta del territorio, dove si sviluppano in modo particolare le innovazioni tecnologiche (l'aratro, che compare fin dal III millennio), economiche (la contabilità e il catasto), politiche (lo sviluppo di una classe di amministratori sostenuta dall'esercito). Appaiono in tal modo quelle che Wittfogel (v., 1957) chiama "società idrauliche" e Clastres "società di Stato", nelle quali si instaura un potere forte basato su una rigida costrizione religiosa degli individui.A dire il vero, questo passaggio non è ineluttabile (la civiltà nordamericana dei Pueblos realizza fra il X e il XII secolo dei sistemi d'irrigazione complessi senza introdurre strutture gerarchizzate nello spazio e nella società) e non sempre implica la forma coercitiva che Marx ha indicato con il termine "dispotismo orientale". Se l'irrigazione necessita di un'azione cooperativa a causa dell'enorme volume dei terrazzamenti e per la manutenzione del sistema, quest'azione può essere gestita democraticamente - come nella Spagna mozarabica o nella valle del Tennessee - o messa in moto autoritariamente con una corvée imposta a ogni affittuario, come nell'antico Egitto o nell'antica Cina, o infine imposta militarmente agli schiavi o ai prigionieri di guerra, come nella bassa valle della Somma sotto Napoleone. L'irrigazione e il drenaggio interessano sia i despoti che le democrazie.
"Ho costretto i fiumi a scorrere nei letti che avevo tracciato per essi; li ho portati dovunque potessero essere utili; ho fecondato la terra sterile con l'acqua dei miei fiumi", dice Semiramide, fondatrice di Babilonia, in un'iscrizione posta all'ingresso dei suoi giardini pensili. Nell'antico Egitto i re sono direttamente responsabili della costruzione e della manutenzione delle reti idriche. Con l'ausilio di Hapi, la divinità del Nilo, e di Osiride, identificato con le acque fertili delle inondazioni, gli Egizi conquistano la terra con l'acqua. I lavori hanno inizio con molta probabilità fin dal III millennio, sotto la prima dinastia, con il consolidamento della riva sinistra, la più popolata, mentre la riva destra viene consolidata sotto il regno di Sesostri (XII dinastia), che crea a monte del fiume l'immensa riserva del lago Meride. I suoi successori mettono a punto, dalla sorgente alla foce, una serie di bacini regolatori collegati da una rete di canali che in tal modo mantengono una carica idraulica costante nelle condotte.
L'organizzazione amministrativa è minuziosamente codificata. Fin dall'inizio esiste un ministero incaricato esclusivamente delle irrigazioni, i cui funzionari hanno il compito di osservare le fluttuazioni giornaliere del Nilo e di diffondere rapidamente a valle le informazioni raccolte, in modo da proteggere tempestivamente le popolazioni dall'aumento improvviso delle acque e ripartire le erogazioni necessarie al carico della rete. In ogni provincia vi è una direzione dell'acqua, incaricata di ispezionare le piene, le dighe, le corvées, di portare avanti i lavori idraulici, di creare sbarramenti in caso di piena; un esercito di schiavi è a sua disposizione. Un tribunale dell'acqua gestisce i conflitti fra rivieraschi, fiancheggiato da una sorta di ufficio di registrazione delle terre che ogni due anni controlla il catasto, perché le forti inondazioni possono spostare i segnali di confine. In Cina l'irrigazione si sviluppa fin dall'avvento del fondatore della dinastia Han, Liu Bang, padrone di immense proprietà agricole nell'attuale regione del Chiang su, che sale al potere nel 202 a.C. Essa è avvantaggiata dall'efficienza del macchinario in ferro che allora si andava diffondendo. Si abbandona la tecnica del terreno debbiato, si costruiscono gli argini per il Fiume Giallo, si scavano canali, si trivellano pozzi per irrigare le colture ad uso alimentare, i cui alti rendimenti favoriscono la crescita demografica (57 milioni di abitanti nell'anno 2 della nostra era). Contemporaneamente si mettono in opera gli strumenti di un governo molto centralizzato, mentre una classe di grandi proprietari fondiari subentra alla vecchia aristocrazia e una classe importante di mandarini si dedica alla codificazione minuziosa del diritto.In Indocina la sistemazione idraulica delle vallate appare all'inizio del IX secolo, con l'energico innovatore moghūl Jayavarman II, che stabilisce la sua corte non lontano dal centro attuale di Angkor. Per lui si tratta, idealmente, di ricreare il paradiso terrestre, la cui abbondanza di viveri dipende essenzialmente dallo sviluppo delle risaie. Si costruiscono immensi serbatoi alimentati da canali che simboleggiano il lago che circonda Meru, la montagna in cui vivono gli dei della cosmologia indù. L'acqua raccolta serve a irrigare la risicoltura fino all'arrivo delle piogge monsoniche; il re, padrone delle grandi acque, svolge le funzioni del dio, cioè garantisce la sussistenza della popolazione (è una tradizione che si perpetua ancora oggi, visto che le magnifiche terre della pianura del Chao Phraya in Thailandia sono irrigate per mezzo di immense dighe che portano il nome del re e della regina). In Spagna, e soprattutto nel principato mozarabico di Valencia, l'uso intensivo dell'acqua viene gradualmente introdotto sotto gli Omayyadi fin dall'VIII secolo, ed è al tempo stesso trasferimento dell'idraulica mediorientale - il Codice di Hammurabi che legifera sulle acque del Tigri e dell'Eufrate - e rinnovamento dei sistemi amministrativi romani, secondo i quali il proprietario rivierasco ha tutti i diritti sull'acqua purché non causi alcun danno agli utenti a valle. Alla base dell'amministrazione locale ci sono tre principî di derivazione babilonese: la distribuzione proporzionale alle superfici coltivate, la responsabilità individuale dell'utente nei confronti delle comunità, la gestione collettiva. Derivano dal diritto romano il concetto della priorità d'uso e la considerazione dell'effetto delle variazioni climatiche sull'irrigazione. L'unità di base è la comunità degli utenti (cioè di tutti coloro che prendono l'acqua da un canale principale). L'obiettivo essenziale di queste comunità consiste nel ripartire in maniera equa il flusso d'acqua fra tutti i rivieraschi in modo da evitare i conflitti - che a dire il vero avvengono quotidianamente. Di fatto, queste comunità sono accettate e rispettate a tutti i livelli del potere e fanno parte dei costumi locali: per tutto il Medioevo le città non intaccano mai la loro autonomia.
Il modello ispano-moresco viene applicato negli anni fra il 1870 e il 1880 in Algeria sotto l'occupazione francese, in India sotto l'occupazione britannica e in California. Ma è necessario, prima di affrontare questi temi più recenti, soffermarsi sull'Olanda, che ha svolto un ruolo fondamentale nella gestione socioeconomica degli estuari e ha portato nelle sue vecchie colonie - Indonesia, Suriname, ecc. -, e anche nei paesi limitrofi come il Giappone, i propri sistemi di controllo delle acque marittime e fluviali.A partire dal Rinascimento l'Olanda viene suddivisa in distretti, ciascuno dei quali ha il proprio 'collegio delle dighe', composto di ispettori e di sottoispettori. La manutenzione è gestita in comune e a spese dei distretti. D'inverno e nel periodo delle tempeste la sorveglianza è raddoppiata grazie alla presenza di guardie. La campana a martello avverte del pericolo e chiama gli abitanti, "per i quali il suono dell'allarme costituisce una precettazione imperiosa. Tutti si affrettano a portare soccorso. Ciascuno è munito dei propri utensili, conosce in anticipo il proprio punto di riunione, i capi ai quali deve obbedire e il tipo di lavoro che deve svolgere. Presso le dighe più esposte si trovano, a intervalli regolari, dei depositi degli strumenti necessari, dove si trova subito quello che può servire più efficacemente per limitare i danni. Se la diga comincia appena a essere intaccata, la si ricopre con vele di vascelli ben catramate, sulle quali l'acqua scorre senza poter esercitare la sua azione distruttrice; se compare una breccia, si cerca di non farla ingrandire gettandovi fascine, sacchi di terra, letame. L'amministrazione delle dighe è realmente il genio tutelare dell'Olanda. La grande importanza dei suoi regolamenti, in uno Stato del quale esse garantiscono la conservazione, e la lunga esperienza che certamente li ha modificati, sono due delle ragioni della loro perfezione. Hanno infatti fama di capolavori ', conclude un Rapport a Napoleone steso da due ingegneri del Genio civile francese nel 1806.
Il modello olandese serve per regolamentare anche le zone marittime francesi. Il suo principio democratico viene esportato all'inizio del XX secolo negli Stati Uniti, nella valle del Tennessee, dove viene instaurato un sistema di consulenza e di formazione dei coloni, con lo scopo di gestire gli spazi recuperati dall'autorità federale in quest'immensa palude negli anni che vanno dal 1920 al 1930. La Tennessee Valley Authority resta comunque pioniera per quanto riguarda l'integrazione di ogni progetto locale in un programma più ampio, progetto che viene dilazionato a seconda della sua utilità - immediata o futura - relativa all'irrigazione, alla bonifica, all'elettrificazione, alla regolazione delle piene di primavera. Questo modello di sistemazione pianificata è stato largamente esportato dopo il 1945. Lo si trova applicato in Nordafrica fra il 1946 e il 1960: in Egitto e in Sudan nell'area irrigata dalla diga di Assuan che ripartisce 22 chilometri cubi d'acqua fra 1,2 milioni di contadini, in Mauritania, Senegal e Mali per la regolazione del corso del Senegal che deve irrigare più di 100.000 ettari.I principali problemi dell'irrigazione e del drenaggio restano la colmata e l'alluvionamento, responsabili in gran parte della scomparsa delle civiltà che li avevano messi in opera: ipotizzando un deposito annuo di un millimetro, un secolo è sufficiente per ostruire gli ultimi canaletti di bonifica e ridurre al minimo i rendimenti agricoli. Oggi la capacità degli invasi costruiti in Algeria fra il 1950 e il 1960 è stata colmata per un terzo dalle alluvioni, che hanno ridotto nella stessa misura la produttività delle terre.
Senza risalire alle più antiche civiltà urbane - dell'Indo, del Tigri e dell'Eufrate, e naturalmente del Nilo - quelle che ci interessano mantengono e ampliano un uso molteplice dell'idraulica, di cui troviamo dopo secoli la contabilità negli archivi municipali: acqua per il trasporto, che richiede, per le operazioni di carico e scarico, la costruzione di depositi che a loro volta generano città; acqua per la difesa, che protegge dalle incursioni nemiche, incanalata in un fossato di circonvallazione oggi scomparso o integrato nell'antico centro; acqua 'chimica', le cui qualità intrinseche, dando proprietà seriche a un certo tessuto o riflessi cangianti a una certa tintura, fanno la reputazione e la ricchezza della città; acqua 'energetica', la cui potenza serve per macinare il grano, feltrare il panno, ammorbidire il cuoio, azionare pompe, prima di essere addetta alla produzione dell'elettricità di cui la città sarà l'utente principale; acqua alimentare, che offre al cittadino il suo consumo e i suoi pesci. Infine l'acqua dal grande valore igienico - tutte le civiltà hanno optato per il suo potere purificatore -, l'acqua che libera il corpo urbano dalle sue impurità. Queste costanti si ritroveranno per secoli, in maniera più o meno evidente, all'origine della crescita delle città, e in primo luogo di quelle occidentali.
Dumézil ha mostrato efficacemente il timore che provavano i Romani per le acque selvagge (cfr. Fêtes romaines d'été et d'automne, Paris 1975). In verità l'acqua si rivela utile all'uomo soltanto se domata, guidata, diretta. I torrenti alpini vengono spesso regolati perché le acque possano servire all'irrigazione, e le paludi sono prosciugate per potervi sviluppare l'agricoltura. Le città, poiché si teme il corruccio della natura, sono edificate vicino ai fiumi e ai corsi d'acqua, ma un po' indietro, così da poter praticare la navigazione, che garantisce il grosso del commercio, ma evitare le inondazioni. L'artigianato e le manifatture, che sono più dispersi nelle campagne, non beneficiano direttamente dei corsi d'acqua, e consumano quindi energia di origine essenzialmente animale. Le terme o bagni pubblici sono i grandi centri della vita sociale romana. Spesso situati in prossimità del foro, questi monumenti all'acqua (composti di cinque sale) fungono da luogo di riunione quotidiano per il patriziato, in cui si commentano o determinano gli avvenimenti politici. Le terme sono un indice di urbanità e la loro costruzione fa parte dei primi doni degli imperatori e dei senatori. A questi luoghi d'incontro essenzialmente maschili si contrappongono le fontane pubbliche, punto focale della socialità femminile.L'acquedotto fornisce l'acqua a terme, teatri, fontane monumentali e privati cittadini. Vitruvio ci dice che questa è una delle prime infrastrutture che si edificano nelle città nuove ed è un segno di urbanizzazione, poiché la sua portata riflette in una certa misura la demografia: le piccole città ne possiedono uno solo, le capitali regionali due o tre, le metropoli quattro o più. La metà di essi funziona ancora nel V secolo, ma nel corso del basso Impero le classi dirigenti abbandonano poco a poco l'ambiente urbano, si impoveriscono, contribuiscono alla privatizzazione dello spazio, al 'grande ripiegamento' che caratterizza questo periodo: le terme, non più frequentate, vanno in rovina, le fontane pubbliche vengono sostituite da luoghi più privati e discreti, pozzi e fontane naturali. L'agiografia cristiana e l'archeologia mostrano in maniera esauriente questi nuovi bisogni che richiedono molto meno apparato e più modestia (cfr. P. Brown, The making of late antiquity, Boston 1978).La fine della dominazione romana in Occidente rivela l'importanza della sacralità dell'acqua: di fronte alla crisi economica, politica e religiosa della seconda metà del III secolo, le città si circondano di una muraglia e di un fossato pieno dell'acqua proveniente dal fiume più sacro dei dintorni.
La prima urbanizzazione medievale (X-XI secolo) occupa innanzitutto le rive dei corsi d'acqua e poi penetra nelle paludi. I Romani avevano preferito allontanarsi dagli oppida galli, spesso ubicati negli acquitrini, e avevano lasciato ai fiumi alla periferia delle città solo una funzione portuale, conservata e sviluppata nel Medioevo.Più precisamente, è l'acqua il nerbo economico dell'urbanizzazione preindustriale: senza di essa non ci sono mugnai e tessitori, tintori e conciatori, non ci sono comuni. Partito dal castrum e da luoghi sperduti tra le rovine romane, l'uomo del X secolo riconquista lo spazio abbandonato in direzione del fiume e della palude, avvolti durante il basso Impero da una forte sacralità.
Per tre secoli la città medievale forgerà i caratteri peculiari dell'Occidente assumendo poco per volta l'economia come base della sua specificità. Questa economia non si può sviluppare senza una concentrazione dell'abitato e un'infrastruttura artigianale che attinge le sue risorse dall'acqua dei fiumi. La sistemazione e il deviamento dei corsi d'acqua si accompagnano alla costruzione dei castelli. Le sagome romaniche e gotiche si riflettono negli specchi d'acqua di queste piccole Venezie concepite dall'urbanizzazione.In un primo momento, tuttavia, la motivazione economica non è determinante per la nascita della rete idrografica. All'inizio l'aristocrazia motiva con la commoditas l'attrattiva dell'acqua. Così, quando la regina Costanza, sposa del re di Francia Roberto il Pio, decide intorno al 1015 di costruire a Étampes il suo nuovo palazzo, sceglie un luogo vicino al fiume affinché all'edificio possano affiancarsi dei giardini e sia possibile godere di tutte le comodità.Dalla genealogia delle infrastrutture idrauliche, fra l'inizio del X secolo e la metà dell'XI, risulta che questa prima fase di urbanizzazione concerne principalmente l'industria molitoria. Ciò si spiega innanzitutto con considerazioni attinenti alla natura del terreno e al clima: la produzione di cereali è in questo periodo sicuramente elevata, viste le condizioni climatiche eccezionali - temperature molto elevate negli ultimi trent'anni del X secolo - e il rinnovamento delle tecniche agrarie. La sistemazione delle gore traccia sul suolo la rete idraulica sulla quale verrà a innestarsi un po' più tardi l'artigianato. In questo senso l'industria molitoria prende parte alla 'prima urbanizzazione', quella che vede arrivare un flusso di mano d'opera destinata ai grandi lavori.
La sistemazione dei porti resta essenzialmente affare dei Normanni (Rouen, Caen, Londra). Altrove, dopo l'occupazione del suolo da parte degli artigiani, essa è inesistente fino alla metà del XII secolo, il che dimostra che la base dell'urbanizzazione medievale non è, almeno per l'Europa settentrionale, la realizzazione di un porto.L'industria molitoria si interessa solo dell'energia potenziale proveniente da una cascata o dalle acque correnti, e raramente si avvicina alle paludi, dato che queste non sono in grado di fornirle la differenza di potenziale necessaria al funzionamento delle sue ruote. In compenso, quelli che nel XIII secolo saranno chiamati 'mestieri del fiume' non richiedono una forte carica idraulica naturale: a coloro che devono vivere della macellazione delle bestie, del trattamento della lana, del cuoio e delle materie prime che sono loro necessarie è indispensabile un flusso d'acqua abbondante e continuo. Le paludi abbandonate dai Romani divengono, una volta bonificate, il sito prediletto dell'artigianato, motore dell'urbanizzazione medievale, che si svilupperà in vicinanza di corsi d'acqua e mulini fin dalla metà dell'XI secolo.
La conquista della palude periurbana resta uno dei principali obiettivi delle autorità feudali. Il terreno umido dei dintorni del castrum viene prosciugato drenando e sollevando l'acqua stagnante della palude in modo da procurarle la dinamica necessaria al suo scorrimento, così utile ai mestieri del fiume e all'alimentazione dei mulini. Dinamizzare le energie potenziali - idraulica ed eolica - con tutti i mezzi possibili, sembra essere il Leitmotiv del feudalesimo. Lo sfruttamento dell'acqua in movimento è una delle caratteristiche di quest'epoca, situata fra tarda antichità e alto Medioevo da una parte (che vedono nelle paludi una potenza divina), e il Rinascimento e l'ancien régime dall'altra, che baseranno la loro economia urbana sulla stagnazione dell'acqua.La politica idraulica che va elaborandosi nelle città nel corso dell'XI e del XII secolo trova la sua contropartita in campagna nei dissodamenti. All'espansione delle terre coltivabili si aggiunge la moltiplicazione dei canali artificiali, all'aumento dei rendimenti cerealicoli si accompagna la 'dinamizzazione' delle energie, alla varietà dei paesaggi generati dall'agricoltura corrisponde l'eterogeneità dell'idrografia. L'acqua è per la città quello che la terra è per la campagna.Un terzo delle città possiedono, intra muros, una superficie acquatica paragonabile a quella di Venezia; circa due terzi, se si tiene conto dei fossati. "Piccola Venezia", così si esprime Luigi XI rivolgendosi alla città di Amiens. Venezia non è soltanto un modello, ma anche una realtà tangibile che si può ritrovare in molte città del Medioevo: Guglielmo dalle Bianche Mani non chiama forse con questo nome uno dei quartieri di Reims quando la suddivide nel 1205?
L'acqua segna in maniera indelebile la città medievale, la sottomette alla sua potenza, la veste a sua misura, costringe le strade e i fabbricati a seguire le sue sinuosità. È questa la specificità del paesaggio urbano medievale.
L'organizzazione della rete idrografica inizia nei primi anni dell'XI secolo e termina tra il 1150 e il 1175. Un secolo e mezzo è stato sufficiente per elaborare infrastrutture che resteranno invariate per sette secoli.Base topografica, questi canali costituiscono anche una base sociale nella misura in cui sono il crogiolo dei comuni medievali, e spesso testimoniano l'unione dei borghesi contro l'aristocrazia al potere. Base economica, infine, poiché accolgono i mestieri del fiume. La densità della rete idraulica testimonia la ricchezza urbana: le più grandi città medievali sono quelle che possiedono la rete più vasta, e questa prosperità si nota nei 'borghi ricchi', edificati non lontano dai canali, in siti ariosi tra giardini irrigati alle spalle dei 'mestieri vili'. Sono quartieri occupati da macellai e mugnai, piccoli lotti venduti a tessitori e negozianti, strade fuori della cinta in cui abitano soprattutto drappieri o possessori di mulini. I toponimi inseriscono questi isolati all'interno di una duplice opposizione sociale: nei confronti della città vecchia, residenza del clero e dell'aristocrazia laica, e nei confronti della città bassa irrigata, occupata da cittadini di modeste condizioni.
I mulini idraulici. - Secondo Vitruvio (De architectura, X, 5) e alcuni storici delle tecniche, si dovrebbe al genio greco l'invenzione del mulino ad acqua. Tuttavia alcuni archeologi danesi hanno scoperto nelle paludi dello Jütland, molto oltre il limes romano, le vestigia di mulini datati tra il II e il III secolo. In Irlanda la realizzazione del primo mulino, a nord-est di Tara, risalirebbe alla seconda metà del III secolo e sarebbe dovuta a Cormac Barbalunga, che voleva alleggerire il lavoro del suo schiavo Ciarat. Del resto, la terminologia relativa ai mulini è formata in gran parte da elementi celtici e germanici che non hanno corrispondenti nel vocabolario greco e latino. Se poi, nonostante queste testimonianze, si vuole sostenere che sono stati i Greci a inventare il mulino ad acqua, bisogna supporre che i popoli dell'Europa nordoccidentale si adattarono a questo nuovo strumento più facilmente dei popoli mediterranei. In un'analisi delle tecniche idrauliche va tenuta presente questa osservazione: il mulino si è effettivamente diffuso prima nelle regioni dove la base celtica è rimasta dominante, associata alla mentalità germanica detentrice del potere. È il caso dell'Inghilterra, che all'indomani della conquista normanna possiede 5.624 mulini, inventariati dal Domesday Book, e del bacino parigino dove, nello stesso periodo, se ne contano circa un migliaio.
Più di un terzo degli impianti è costruito su canali messi in opera qualche anno prima; circa un terzo dei mulini urbani è in funzione già nel 1080 e continuerà a funzionare per circa 800 anni. Tutto il 'sistema molitorio' è fissato e stabilito fin dalla metà del XIII secolo. Questo impianto, che suscita l'interesse dei monaci per tutto il Medioevo, fin dalla fine del X secolo, è anche oggetto di entusiasmo da parte dell'aristocrazia, sia laica che ecclesiastica, detentrice dei diritti regi sulla grande maggioranza dei corsi d'acqua, che può regolare o deviare. Il mulino feudale utilizza l'energia idraulica potenziale che viene destinata per più del 90% alla macinazione dei cereali, cioè all'alimentazione. Il Rinascimento e l'ancien régime raccoglieranno quest'eredità senza modificarla, ma il loro interesse non si volgerà più alla dinamica delle acque, quanto piuttosto alla statica, al vapore, mentre il mulino conquisterà il mondo rurale.
I 'mestieri del fiume'. - Fin dall'inizio del XII secolo i mestieri che richiedono l'uso dell'acqua si insediano lungo il fiume per trattare materiali come la lana, le pelli e in un secondo momento il lino e la canapa. I prodotti finiti, essenzialmente tessuti e cuoio, sono la base stessa della ricchezza urbana. Ogni città conquista la propria reputazione con i colori solidi e la morbidezza dei suoi tessuti. I primi dipendono dal dosaggio dei coloranti o dalla composizione minerale delle acque che gli artigiani sanno individuare sapientemente, la seconda non si può ottenere senza una forte meccanizzazione (quella dei telai sviluppati nell'XI e nel XII secolo) e senza un trattamento che eviti la lunga macerazione del materiale tessile nell'acqua. Il panno, una volta terminato, va conservato in un luogo secco e aerato, assolutamente privo di umidità, che potrebbe scolorire i colori e alterare la lana.In generale i laboratori dei tintori si insediano sempre su un canale diverso da quello sul quale si trovano i conciatori. La cosa ha una sua logica in quanto il tannino, ossidandosi, può colorare le acque e deteriorare il colore dei tessuti o delle tele. In compenso i pellicciai, i guantai e i conciatori si stabiliscono spesso a valle dei tintori, a Troyes come a Rouen o a Parigi. In questo modo, in effetti, utilizzano i resti di allume disciolti nel liquido di tintura o rigettati dai tessuti trattati col mordente. L'allume, facendo precipitare le basi (flocculazione), aumenta l'aggressività dell'acqua, utile al trattamento delle pelli. Una tale sinergia chimica non riguarda soltanto queste industrie: l'associazione delle concerie e dei macelli sembra generale ed evidenzia bene l'interdipendenza dei mestieri che solitamente si trovano lungo i fossati della città dell'alto Medioevo e al tempo stesso la loro antichità. Alla fine del XII secolo la grande maggioranza dei macelli è situata a monte delle concerie: la ragione è che la macellazione delle bestie richiede molta acqua pulita, mentre la preparazione delle pelli ne richiede poca, anche sporca.Neutralità dei mestieri del fiume rispetto ai danni chimici e ai microbi: questo è il bilancio dell'inquinamento dovuto all'artigianato. Sembra quasi che l'organizzazione topografica nasca non dal caso ma da una predeterminazione, da un accordo tacito che stabilisce il posto di ciascuno ai bordi dell'acqua. I poteri urbani hanno ben compreso che, come la standardizzazione dei prodotti, la purezza dell'acqua e la sinergia di certi elementi chimici sono indispensabili per la prosperità della città. Il fatto che gran parte del valore aggiunto del tessuto sia basato sulla qualità dell'acqua rende questo prodotto molto dipendente dall'ecosistema idrico. Oggi sappiamo che il deterioramento dell'ambiente idrico è, nell'insieme, inversamente proporzionale alla portata del fiume. Basta quindi che la corrente rallenti sensibilmente perché peggiori la qualità del tessuto, basta semplicemente che l'allume sparisca perché l'autodepurazione divenga nulla, cosa che avverrà nel XV secolo. Nel frattempo le autorità locali cercano di garantire la purezza dell'acqua e dell'aria della città costruendo fognature o trasferendo gli ospedali alla periferia quando decidono di ampliarli.
Le fontane. - L'acqua scorre sul corpo urbano e lo segna con la sua forza. Riduce la fatica dei mestieri, fa girare le pale dei mulini, determina la conformazione della città; è l'acqua dinamica che fa la forza del Medioevo, un Medioevo che vede nella pulizia un simbolo di ricchezza sia per i suoi valori culturali che per le cure minuziose richieste dall'opera degli artigiani, soprattutto dei tessitori. Se la reputazione dei tessuti di una città attraversa il Mediterraneo, è anche grazie alla qualità delle sue acque che ne conservano il colore o ne determinano le proprietà seriche.
È molto difficile valutare i bisogni di acqua domestica della popolazione urbana medievale. Secondo i criteri adottati dall'ingegner Bruyère nel 1802 per chiarire all'amministrazione i mezzi da utilizzare per fornire l'acqua necessaria al consumo di Parigi, questi bisogni ammontano a 7 litri al giorno per abitante, ma in Inghilterra alla stessa epoca si calcolano più di 20 litri al giorno per il lavaggio della biancheria e l'igiene del corpo, quantità più vicina, sembra, alla media medievale.
Se la pioggia non manca sotto i nostri climi, ciò non impedisce che alcune città, rifugiate nel punto più alto dell'urbs gallo-romana, non dispongano più di acqua a portata di mano. La popolazione è costretta ad approvvigionarsi al fiume o alle fonti situate più in basso. Le città della valle, protette da ampi fossati pieni d'acqua, non hanno di questi problemi: il fiume scorre non lontano dalle mura e la falda sotterranea alimenta i pozzi o sgorga attraverso le fessure del terreno impermeabile sul quale si trova il castrum.Meno monumentale della tecnica romana, l'idraulica medievale lavora a livello del suolo seguendo il più possibile la pendenza naturale del rilievo, a costo di utilizzare, a fine percorso, delle macchine elevatrici azionate dalle ruote di un mulino per distribuire l'acqua sotto pressione.Nel XII secolo la fontana diviene simbolo di urbanità. Occupa un posto privilegiato nella città, orna il palazzo dell'autorità suprema, l'estremità di un ponte di pietra, l'angolo di una strada o il lato di una piazza. È un connotato della ricchezza cittadina e reca i segni dell'autonomia comunale: blasoni, motti.
Se manca l'acquedotto, la grande maggioranza dei cittadini fa scavare nel retro dei propri cortili o nelle case un pozzo la cui acqua serve sia alle necessità domestiche che a quelle artigianali - tintura del tessuto, trattamento del cuoio, ecc. Ai pochi pozzi pubblici ereditati dall'alto Medioevo se ne aggiungono altri, costruiti agli incroci, nei pressi dei mercati, nei quartieri in via di urbanizzazione. Alcuni vengono scavati molto vicino ai canali, il che lascia supporre che coloro che abitano sulle rive preferiscano non consumare l'acqua corrente parzialmente inquinata dai mestieri del fiume.
Rari sono gli atti che fanno menzione della trivellazione di un pozzo. Sembrerebbe che i rivieraschi si siano assunti collettivamente la responsabilità della manutenzione dei pozzi pubblici, ed è molto probabile che nel XII e nel XIII secolo siano essi che li scavano e li decorano. Circondati da una vera di pietra, talvolta ornata da un pilastro scolpito, questi pozzi pubblici hanno lo splendore delle fontane monumentali delle grandi città.Tutti questi 'punti d'acqua' sono luoghi importanti della socialità urbana. Se si prende il consumo medio di una famiglia di sei persone secondo i calcoli di Bruyère, sono necessari più di 40 litri al giorno, cioè la quantità che può consegnare in una volta un portatore d'acqua, o due o tre viaggi alla fontana con un recipiente di media grandezza. E altrettanti incontri. Lavoro femminile? Forse, ma il duro mestiere del portatore è per la maggior parte maschile: a Parigi, alla fine del XIII secolo, ne sono ufficialmente recensiti ottanta, cioè uno ogni tremila abitanti, cifra che possiamo ammettere anche per Chartres, dove la confraternita degli 'acquaioli' offre una vetrata alla cattedrale. Divulgatori di informazioni, i portatori d'acqua hanno anche un ruolo fondamentale nella lotta contro gli incendi.
Gli anni che vanno dal XIV al XVIII secolo -eccetto la prima metà del XVI secolo - sono considerati un periodo di calo demografico, caduta dell'attività artigianale e diminuzione del commercio, che sfinisce la città occidentale. L'urbanizzazione medievale aveva realizzato una rete idraulica intra muros estremamente dinamica, dotandola di mulini e laboratori. Dal XIV al XVII secolo la città se ne accontenta senza modificarne né il percorso né il potenziale: conserva il patrimonio energetico intra muros ereditato dal Medioevo, mentre i suoi dintorni immediati, devastati dalle continue guerre, perdono gran parte dei mulini. Una stagnazione, quasi una recessione energetica, mantiene i centri abitati in uno stato di sottosviluppo permanente.
In un certo senso, lo stato di guerra perenne che caratterizza questo periodo può essere considerato come il principale motore dello sviluppo tecnico del Rinascimento. Per garantire la difesa, si ingrandiscono i fossati fino a dimensioni eccezionali. Ampliamento dei bastioni, scavo dei fossati, lavori di sterro o di riporto, questa è la dinamica difensiva che trasforma i dintorni delle città in un immenso serbatoio d'acqua, al quale si aggiunge la rete filiforme degli innumerevoli canali tracciati sulla valle pressoché disabitata. I fiumi suburbani così 'dinamici' nel XII e XIII secolo si perdono tre secoli dopo nei fossati periurbani stagnanti, 'statici', e riacquistano la loro velocità soltanto uscendo dalla città. Così si forma nel corso del XV secolo un microclima a forte nuvolosità che perdura fino alla metà del XIX secolo. Inoltre, la stagnazione delle acque provoca la proliferazione delle zanzare, e di conseguenza febbri intermittenti, causa di aborti.
Ma la guerra non spiega tutto: non spiega lo sviluppo delle industrie della carta e del pellame che richiedono la macerazione, né l'innalzamento delle strade e i depositi di immondizie all'interno della città in tempo di pace. Si deve tener conto di un altro dato, più generale, che è suggerito dalla lunga durata e rientra nel concetto di 'mentalità'.L'umidità che impregna la città è data anche dall'abbassamento della temperatura e dall'aumento di piovosità che investono l'intero emisfero nord dalla metà del XIII secolo. Questo raffreddamento di un grado danneggia innanzitutto l'agricoltura - cadono i rendimenti cerealicoli con le conseguenti carestie di frumento del 1304-1305, 1314-1315, 1345-1347 - e poi la pesca, il cui rendimento diminuisce dal 12 al 18%.
È stata evidenziata l'importanza militare dell'ingrandimento dei fossati, ma le enormi riserve d'acqua in tal modo accumulate aggravano la diminuzione della portata del fiume e impregnano per inerzia le terre più o meno abbandonate situate a monte della città. Questi terreni spugnosi, che pur costituivano un'ulteriore protezione dalle incursioni della cavalleria e dell'artiglieria pesante nemiche, nel corso del XII e XIII secolo vennero in parte drenati da canali che circondavano l'agglomerato e portavano le acque a valle. Questa tecnica, sviluppatasi per tutto il basso Medioevo, ha suddiviso a scacchiera le valli rovinate dalla guerra, con una densa rete di canali poco profondi, larghi appena un metro, presso i quali prende piede la coltivazione del lino e della canapa. Da ciò l'industria della tela, che è per l'Europa del nord quello che l'industria della seta è per il sud. L'imbianchimento costituisce il perfezionamento finale della tela, ed è un'attività cittadina in ragione soprattutto delle lunghe manipolazioni giornaliere dell'estate e dell'autunno: lisciviata con cenere, calce, potassa o latte, risciacquata in acqua limpida, asciugata alla luna sul prato, la tela acquisisce progressivamente il suo biancore grazie alla qualità leggermente acida delle acque correnti e dei vapori selenici. L'imbianchimento richiede un'enorme quantità di acqua che possono fornire solo i fiumi lenti e regolari, suddivisi in un'infinità di canali. Questo per quanto riguarda le tele migliori. Le stoffe mescolate alla lana e le tele colorate richiedono un trattamento basato su una persistente umidità, che utilizza, per la loro acidità e i loro enzimi, i succhi gastrici degli animali domestici.
Dalla fine del Medioevo all'inizio del XIX secolo l'umidità costituisce quindi uno dei fondamenti dell'industria tessile. La valutazione delle stoffe fatta dagli esperti si basa in gran parte sulla misurazione igrometrica dell'aria circostante e sono anche indispensabili una temperatura poco variabile e una luminosità minima. Rispondono a queste condizioni i luoghi chiusi, infossati nella terra, bagnati da una falda sotterranea, cioè le cantine e più ancora i pianterreni del XIII secolo ai quali si accede ora, dopo un mezzo millennio di riporti, per mezzo di alcuni scalini praticati nel muro. L'industriale che cerca nuovi terreni adatti alle manifatture tessili si stabilisce ai margini della città, nelle paludi.
Agente chimico essenziale per la fermentazione, agente meccanico necessario per la distensione delle fibre e per la pressione dell'appretto - indispensabile per la buona qualità dei tessuti -, il vapore acqueo appare quindi come il motore economico dell'urbanizzazione occidentale. Immobile e pesante, esso grava sulla città bassa e sui cenci degli artigiani; gli manca solo un po' di forza dinamica per essere promosso al rango delle grandi invenzioni. Probabilmente vi si cimentano in molti, ma la storia ha ricordato soltanto qualche nome: il marchese di Worchester, Papin, Savery, Newcomen, dilettanti e ingegneri, tutti presi da questa nuova disciplina che si chiama la dinamica. La macchina a vapore nasce da queste congiunture e, come ha dimostrato in maniera esauriente Paul Mantoux (La revolution industrielle au XVIIIe siècle, Paris 1906), essa è all'inizio una "macchina atmosferica", che non utilizza la pressione del vapore, ma essenzialmente la sua statica. Bisognerà attendere il 1764 perché Watt "utilizzi il vapore non come forza ausiliaria, come mezzo per creare il vuoto nel corpo di una pompa, ma come forza attiva, generatrice di movimento": a questa data già molti 'filosofi' lavorano per rendere dinamica l'acqua.
La lentezza della corrente provocata dall'ampliamento dei fossati favorisce la depurazione anaerobica e i fossati divengono dei veri e propri bacini di decantazione ad alto rendimento. Questo dispositivo - già utilizzato per i merdereaux del XIII secolo e che i nostri contemporanei designano con il termine 'lagunaggio' - può eliminare dal 70 al 90% dell'inquinamento organico in due o tre mesi in bacini la cui profondità vari da 3 a 5 metri, equivalente quindi a quella dei fossati scavati nel corso del basso Medioevo. Resta il fatto che lo sviluppo dei microrganismi (alghe, protozoi, batteri) che depurano i fanghi è in funzione della temperatura ambiente: il trattamento è poco efficace d'inverno e restituisce un effluente acido, ma sappiamo che in questa stagione le attività artigianali sono ridotte, e d'altra parte l'acidità dell'acqua facilita l'imbianchimento delle tele. Un diverso sistema di autodepurazione si è quindi sostituito a quello del Medioevo, basato sull'evacuazione dei flocculanti e sulla velocità delle acque. Ha però l'inconveniente di moltiplicare le zanzare e di diffondere gas: metano, idrogeno solforoso, anidride carbonica. E sono gli odori, assai più delle materie disciolte, che disturbano i rivieraschi, poiché essi non consumano queste acque, ma attingono molto a monte, dalla falda, o dal fiume, o dal torrente, senza tuttavia trovarvi sempre un'acqua migliore.
La contaminazione della falda varia a seconda della città e del quartiere, più a causa delle attività quotidiane che dell'artigianato: le pareti e il fondo dei corsi d'acqua sono pieni di melma; l'infezione da microbi generata dai depositi di immondizie nelle strade e dai cimiteri - che a causa delle grandi epidemie e degli assedi sono divenuti, a partire dalla metà del XIV secolo, dei veri e propri carnai - colpisce direttamente la falda, che si trova a pochissima profondità nella città bassa e alimenta i pozzi che forniscono l'acqua alla popolazione. L'inquinamento non risparmia i ricchi della città alta: i pozzi neri, scavati per evitare gli odori e facilitare lo scolo delle urine, contaminano la falda dalla quale essi attingono. L'acqua pura, "bella a vedersi, chiara e limpida, senza colore, senza sapore", si trova solo nel fiume o nelle sorgenti molto a monte della città. Eguaglianza dei cittadini di fronte all'inquinamento delle falde sotterranee, dunque, ma ineguaglianza di fronte all'inquinamento dell'aria: buona nella città alta, cattiva nella città bassa.
L'acqua subisce la rivoluzione scientifica prima di diventare il motore principale della rivoluzione industriale. Dapprima in Italia nel XVI secolo, poi nell'Europa del nord nel corso del XVIII, ci si preoccupa delle varie forme dell'acqua e delle loro eventuali conseguenze sulle attività dell'uomo: l'umidità e l'acqua stagnante provocano il mefitismo, causa principale della mortalità, le acque impetuose dei torrenti sono responsabili dell'erosione, le piogge provocano l'inondazione dei quartieri bassi della città. Il mondo scientifico condanna questi eccessi della natura e interpella il potere politico, che incarica coloro che difendono il territorio dagli eserciti nemici di difenderlo anche dalle intemperie: gli ingegneri vedono la loro opinione diventare sempre più autorevole. A metà del XVIII secolo si creano scuole a Parigi (Ponts et Chaussées), a Mézières, a Torino (Genio militare), per formare questi 'medici' e 'chirurghi' dell'acqua, incaricati di prosciugare, raschiare e cauterizzare le piaghe paludose e montagnose; vi insegnano i migliori esperti di idraulica del tempo (d'Alembert, Bossut, Chézy, Dubuat, Prony, Papacino d'Antoni, Guglielmini). Le grida d'allarme lanciate da medici, agronomi, fisiocrati, economisti, ingegneri, colpiscono l'opinione pubblica.
Il mefitismo. - Nel XVI secolo, con il recupero degli scritti dei medici greci e romani, si pone la questione dell'insalubrità dell'aria delle paludi, ma solo alla fine del secolo successivo la scuola medica di Padova accusa al tempo stesso l'umidità derivante dalla stagnazione delle acque e le esalazioni provenienti dalle officine della città. Le inchieste effettuate da Lancisi nei dintorni di Venezia (1717), da Heyne nei dintorni di Roma (1710), da Ramazzini nell'ambiente urbano (1700), da Guglielmini nella valle del Po (1710) dimostrano che l'aria malsana delle paludi influisce direttamente sulla mortalità animale e umana: sono pochi gli uomini che superano i cinquant'anni. In Germania e soprattutto in Gran Bretagna le ricerche italiane vengono prese in considerazione fin dal 1730-1750, per la preoccupazione di preservare le truppe e i coloni dalle febbri provocate dalle paludi d'America. Pringle (1742) e Platner (1764) rilevano il ruolo nefasto dell'evaporazione.In Francia le tesi della scuola di Padova giungono più tardi, negli anni intorno al 1760, e contribuiscono all'elaborazione delle costituzioni epidemiche, e poi delle topografie mediche commissionate dall'Accademia di Medicina di Parigi fin dalla sua creazione (1782). Secondo La Condamine si deve alle paludi, che ne hanno decimato le popolazioni, la scomparsa di intere città, e Baume sostiene dinanzi alla Società Reale di Medicina di Parigi nel 1789 che, se non si corre ai ripari, basterà un secolo per far scomparire l'umanità. L'acqua stagnante è ormai un nemico. Lavoisier, Chaptal, Fourcroy, Guyton-Morveau, Berthollet, Gay-Lussac, Priestley, Davy, Faraday la condannano all'unanimità e il messaggio ideologico passa attraverso i loro insegnamenti tecnici e medici.
Controllo dei fiumi. - Comprendere e ridurre la violenza delle acque correnti è la grande preoccupazione degli esperti di idraulica italiani e olandesi del XVII secolo. Se gli scienziati dei Paesi Bassi hanno lasciato pochi scritti relativi alle loro ricerche, in Italia in compenso il totale delle pubblicazioni, da Galileo fino a Frisi, è rappresentato da sette grossi volumi (cfr. Raccolta d'autori che trattano del moto dell'acque, Firenze 1765-1774e). La rettificazione dei fiumi della penisola, le cui sinuosità e le piene violente sono causa di straripamenti dannosi per i centri urbani, è il risultato più convincente degli scienziati italiani. Contro Castelli, suo emulo, Galileo sosteneva che la velocità dell'acqua è indipendente dalla pendenza del fiume. Viviani e Torricelli, che lo contestavano sostenendo la teoria di Castelli, consigliarono l'arginamento, l'ampliamento e la rettificazione del letto del Bisenzio e dell'Arno a monte di Firenze. I risultati furono positivi: la linea retta aveva la meglio sulla sinuosità, la simmetria sul disordine: la scienza e la tecnica italiane domavano l'impeto della natura.Una volta applicato il rimedio, restava da analizzare la causa. Secondo Guglielmini (1697) e Bélidor (1739), gli autori più ascoltati, gli straripamenti dipendevano dall'erosione continua dovuta alle acque di superficie. "Così le colline si abbassano, le valli si riempiono, le montagne mostrano la roccia delle loro viscere; e i terreni bassi, rialzati e nutriti per qualche tempo con la sostanza delle terre alte, sprofonderanno a loro volta, più tardi, nell'oceano. La terra, ridotta a un livello spaventoso, non presenterà nell'avvenire che una palude immensa e inabitabile ', sostiene Dubuat in Principes d'hydraulique (Paris 1779, p. 105), in appoggio alle teorie espresse da Guglielmini nel suo Della natura dei fiumi (Bologna 1697).
Ai 'medici delle paludi' vengono ad aggiungersi geografi, studiosi di idraulica, agronomi, che criticano i disboscamenti e consigliano la stabilizzazione dei letti dei corsi d'acqua e il rispetto del profilo di equilibrio evidenziato da Guglielmini. Bisogna controllare i sedimenti continui causati dagli affluenti e quelli periodici dovuti a pioggia, scioglimento delle nevi, ecc.: si spiega così lo sviluppo della meteorologia in Francia, all'inizio del XIX secolo, sotto l'impulso di Coulomb e di Laplace. Si devono sistemare le rive e ampliare i letti, innalzare gli argini per le piene eccezionali, livellare il fondo, raddrizzare il corso. "In generale il fiume va considerato come un buon amico che, da un istante all'altro, può diventare il nostro peggior nemico. Come le fortezze che si costruiscono in tempo di pace sono le migliori, anche le rive vanno fortificate prima che il fiume ci faccia la guerra, bisogna cioè raddrizzarle, piantarvi, molto fitti, spino e salici, e rinforzarle con erba e giunchi", sostiene il tedesco Silberschlag (Abhandlung vom Vasserban an Strömen, Leipzig 1766).
Resistenza dei fluidi. - L'acqua è un fluido visibile, omogeneo, dalla viscosità misurabile; è conservabile e divisibile. È quindi possibile associarla strettamente allo sviluppo dei concetti e delle formulazioni matematiche del calcolo differenziale e integrale. Così come Galileo aveva iniziato lo studio della resistenza dei materiali, Daniel Bernoulli crea nel 1728 una nuova scienza, l'idrodinamica, madre della 'resistenza dei fluidi', mentre l'idraulica, divenuta sostantivo, designa l'antica idrostatica di Archimede e la nuova idrodinamica.
La scienza finalizzata al progresso dell'umanità interessa dapprima i trasporti e l'agricoltura, e presto anche l'industria. Rientra nel campo dei primi il 'funzionamento dei vascelli', che si deve padroneggiare studiando lo sforzo del timone, lo stato di equilibrio della nave e la sua stabilità, l'alberatura e l'azione dei remi. In Essai d'une nouvelle théorie de la manoeuvre (1714), di Jean Bernoulli, e in La théorie de la manoeuvre réduite en pratique (1732), di Henri Pitot, viene utilizzato per la prima volta il metodo del calcolo infinitesimale. Eulero studia fin dal 1738 il movimento dei corpi galleggianti e la forza dei venti; la sua Scientia navalis (1749) fa compiere un passo decisivo alla velocità del trasporto marittimo, insieme con l'Essai d'une nouvelle théorie de la résistance des fluides di d'Alembert (1752), le cui conclusioni vengono riprese e sviluppate sperimentalmente fra il 1775 e il 1780 in Francia e in Gran Bretagna per motivi al tempo stesso militari e commerciali: il dominio dei mari. L'idrodinamica delle navi continua così a progredire sensibilmente fino alla metà del XIX secolo.
Per analizzare la resistenza opposta dai fluidi ai corpi solidi i matematici utilizzano delle palette, modello ridotto della ruota del mulino. Incoraggiato da suo padre, Albert Euler dimostra a Berlino, contemporaneamente a Deparcieux a Parigi, che la potenza massima varia a seconda del tipo di ruota utilizzato, e che l'effetto migliore lo si ottiene con le ruote a tazze. In Inghilterra Smeaton va molto più lontano: definisce la potenza meccanica, dimostra che l'acqua agisce più per il suo peso che per la sua forza, che la potenza del mulino è proporzionale al diametro della ruota, che si può aumentare il carico in maniera considerevole se si curvano le pale (1757). Altri due lavori, del cavaliere di Bordas (1767) e dello spagnolo Jorge Juan (1771), dimostrano che la potenza del motore è massima quando la velocità della ruota è all'incirca la metà di quella della corrente.
Grazie a queste formule dedotte dal calcolo differenziale e dalla sperimentazione in laboratorio, la resistenza attiva dell'acqua può essere utilizzata meglio. La turbina è senza dubbio il modello più elaborato dai meccanici dei fluidi: all'inizio del XVIII secolo, disponendo solo di un piccolo numero di palette rettilinee, è di scarso rendimento, ma Eulero, cercando un modo di applicare il suo metodo del calcolo integrale, dimostra che l'effetto è massimo quando il canale è perpendicolare alle pale e quando queste hanno un profilo curvilineo; intorno al 1775 Bossut in Francia e Smeaton in Inghilterra ne perfezionano la curvatura. Alla fine del secolo il rendimento teorico si avvicina al 60%; fra il 1830 e il 1832, in Francia, Burdin porta la potenza effettiva al 67%, Morin nel 1838 al 75%, Fourneyron nel 1842 all'82%. La resistenza dell'acqua può dirsi quasi vinta. Un secolo e mezzo dopo il rendimento delle turbine degli sbarramenti idroelettrici è del 93%, e tutti conosciamo le velocità record raggiunte oggi dai transatlantici.
Il bastione e il fossato hanno perduto la loro importanza difensiva e il loro mantenimento è diventato troppo dispendioso rispetto ai vantaggi che offrono. "Il sistema attuale - scrive Carnot alla vigilia della Rivoluzione - consiste nel fare pochissimi assedi, tanto che per un intero secolo un posto può non essere mai attaccato: ebbene, in questo frattempo bisogna mantenere [il suo apparato difensivo] con grandi spese malgrado la sua inutilità". La conservazione delle fortificazioni è la grande questione che si pongono gli strateghi nell'ultimo quarto del XVIII secolo, e la maggior parte di essi opta per lo smantellamento dei bastioni.
Eccettuate le zone di frontiera degli Stati, i fossati per la difesa urbana vengono colmati utilizzando la terra dei bastioni per tutto il XIX secolo, al ritmo delle epidemie di colera (1832, 1847, ecc.) delle quali i fossati sono, secondo i medici, il principale focolaio. In questo spazio pubblico, divenuto strada periferica, si costruiscono viali da passeggio, linee ferroviarie e perfino, dopo il 1950, una strada a scorrimento rapido. Il microclima che si era instaurato intorno all'agglomerato scompare e con esso le febbri malariche.Fino alla Restaurazione la rete idrica conserva tutta la sua utilità. Le scoperte della meccanica e della chimica industriale messe a punto fra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento non la toccano - tranne poche eccezioni - che a partire dal 1830, quando scompaiono i mestieri del fiume, man mano che si abbassa il costo dei mezzi di produzione. Aumentando del 50% la forza effettiva dei mulini, l'innovazione tecnologica ha permesso di far fronte alla crescita della produzione cerealicola, che durante la Restaurazione sale in media del 30%.Il bilancio è quindi favorevole all'accrescimento della potenza media dell'industria molitoria urbana, e la diminuzione del numero dei mulini non riflette una stagnazione delle acque, ma al contrario la loro dinamizzazione: gli impianti che declinano sono quelli dotati di poca potenza, costruiti nel Medioevo allo sbocco dei fossati o sui canali intra muros.
La rete idraulica extra muros, con lo sviluppo dell'urbanizzazione, si è gradualmente adattata all'orticultura e all'allevamento. Gli appezzamenti più piccoli, i terreni più vicini alla città, ora meno irrigati a causa del controllo delle piene, sono divenuti i giardini degli operai. Gli altri, ricomposti, ingranditi e parzialmente prosciugati, sono stati trasformati in terre da pascolo con l'appoggio del Ministero dell'Agricoltura. La trama idrografica si dissolve e il vapore che emanava dalle terre umide diminuisce.All'interno della città la lotta contro i vapori mefitici è andata di pari passo con l'industrializzazione. In realtà l'abbattimento delle mura dei bastioni e la chiusura dei vicoli ciechi, imposta nel corso della Restaurazione come misura di ordine pubblico, costringono la grande maggioranza dei cittadini a scaricare i loro rifiuti nei canali, oppure nel fossato quando presentano ancora una qualche utilità per l'artigianato rivierasco. Anche a causa della scomparsa dei mulini, la rete idrografica intra muros conserva una funzione solo per i rifiuti. Non essendoci più la scarsa autodepurazione garantita dai rifiuti artigianali, i canali si trasformano in cloache come a Londra e a Parigi, se non peggio: in alcune città la portata delle acque, deviate a profitto delle nuove vie navigabili, è insufficiente per portar via le immondizie. Si deve prima o poi ricoprire la vecchia rete. Il modello tecnologico della fogna captante è il solo riconosciuto dagli ingegneri: è stagno, inodore, e la perdita di carico è minima con una pulitura frequente. La salubrità è salva.
L'inizio del XIX secolo segna in Europa la nascita di una vera e propria politica municipale dell'acqua. Non cambia tanto l'uso dell'acqua - è sempre stata utilizzata per il consumo domestico, la lotta contro gli incendi, la pulizia delle strade - quanto la maniera di distribuirla e la domanda crescente in qualità e in quantità, che richiedono man mano l'abbandono del sistema tradizionale dei portatori, il riempimento dei pozzi individuali, la ricerca di nuove sorgenti. A ciò si aggiungono i nuovi bisogni dell'industria nascente che, insediata in terre bonificate, richiede un'acqua sotto pressione e relativamente pura.
Dinanzi a questa domanda, che il potere politico appoggia, la tecnologia dell'acqua, fino allora confinata nella costruzione di fontane monumentali, si evolve: molti stabilimenti, macchine elevatrici di vario genere, condotte, fontane a colonnina, concessioni. Agli architetti vengono ad aggiungersi gli ingegneri, che sostituiscono la distribuzione per linee e rami con un funzionamento a rete.
Per tutto il XIX secolo le previsioni sul consumo di acqua domestica elaborate dagli ingegneri idraulici evidenziano la crescita accelerata dei bisogni. Le città inglesi, pioniere, passano dai 20 litri al giorno per abitante del 1800 ai 120 litri del 1900. New York raggiunge il record nel 1850: 1 m³ al giorno per abitante. La ripartizione topografica delle fontane a colonnina rivela la tendenza politica delle amministrazioni: alcune privilegiano la città alta, altre i quartieri poveri per diminuirvi la mortalità. Ovviamente, lavando abbondantemente la città alta si scarica tutto il suo sudiciume verso i quartieri popolosi della città bassa, poiché non sempre è possibile costruire un sistema di fogne: bisognerebbe rifare la livellazione delle strade, convogliare sotto gallerie le acque piovane e quelle di scarico, costruire dei marciapiedi. Tutto ciò si realizzerà nel corso della seconda metà dell'Ottocento.In nessun'altra epoca si è tanto avvertita la diseguaglianza fra città bassa e città alta, fra coloro per i quali l'acqua è a portata di mano e coloro che ne sono sprovvisti, fra gli artigiani e gli operai che lavorano duramente accanto al fiume e le famiglie agiate, solitamente insediate sulle alture.
Distribuzione individuale o collettiva? Al di là dell'evoluzione tecnologica e della motivazione economica, il rapporto con l'acqua è prima di tutto un rapporto sociale, e il rifornimento d'acqua, in qualunque modo sia fatto, è sempre un connotato della quotidianità urbana. Questa socialità, che rimane difficilmente percepibile negli agglomerati abbondantemente riforniti da una falda sotterranea, negli altri quartieri viene invece evidenziata dalla presenza dei portatori d'acqua, "uomini rozzi e donne rumorose". Sul continente gli amministratori cercano di non eliminarli: "Quest'industria costituisce sempre una risorsa per individui validi che, trovandosi senza mestiere e senza speranze immediate di lavoro, preferiscono guadagnarsi da vivere piuttosto che mendicare [...]. A forza di favorire le imprese che accrescono la ricchezza dei ricchi, si finirà inevitabilmente, e l'esempio dell'Inghilterra sta a dimostrarlo, per concentrare in poche mani tutta la ricchezza del paese", scrive un lettore anonimo del "Journal du génie civil" del giugno 1830. La crescita economica degli anni intorno al 1850 elimina gli ultimi portatori d'acqua nelle grandi città: queste, sul modello delle capitali, si fanno un vanto di avere belle fontane, acqua corrente a tutti i piani e bagni pubblici. La Gran Bretagna fu la prima potenza a dare l'acqua corrente ai suoi cittadini, seguita, dopo il 1860, dalla Germania e quindi, più lentamente, da Francia, Italia e Belgio.
Oggi l'approvvigionamento di acqua è la prima necessità delle popolazioni urbane e talvolta, almeno in India, è molto più importante del miglioramento dell'habitat, dell'elettrificazione, della raccolta delle immondizie e del risanamento.Se l'obiettivo del decennio dell'acqua programmato dall'ONU era di procurare a tutti l'acqua potabile entro il 1990, i risultati sperati sono lungi dall'essere stati raggiunti o almeno variano considerevolmente da una città o da una regione all'altra, accentuando ancora una volta lo scarto nord-sud: mentre nel nord ogni famiglia consuma in media quotidianamente più di 1 m³ d'acqua, nel sud meno del 60% dei cittadini ha l'allacciamento individuale e la popolazione urbana non servita è oggi tre volte superiore a quella del 1975. Mentre al nord ogni famiglia spende in media meno dell'1% del suo reddito nel consumo di acqua, nel sud una quota fra il 2,5 e l'8% del reddito è riservata a questa spesa.Lo scarto è ancora superiore per quanto concerne la depurazione. Più dell'80% della popolazione dei paesi sviluppati ha i mezzi per trattare le acque usate individualmente o collettivamente, mentre più del 50% degli abitanti dei paesi in via di sviluppo non dispone di alcun sistema per scaricare le materie escrete; nel 1982, mentre paesi come la Francia e gli Stati Uniti trattavano più del 40% dell'inquinamento lordo, quelli dell'Africa rigeneravano appena il 3% delle acque reflue. Ebbene, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'80% delle malattie gravi dipende dall'inquinamento dell'acqua.L'avvenire appare perciò piuttosto oscuro per quanto riguarda i rapporti dell'uomo con l'acqua, e lo è ancora di più se si pensa allo sviluppo quasi esponenziale delle megalopoli. Al di là delle differenze nord-sud, gli amministratori comunali sono preoccupati dalla rarefazione delle risorse di acqua potabile e dalla sovrabbondanza delle acque di ruscellamento.
Il consumo domestico è di gran lunga il settore più importante della distribuzione dell'acqua, poiché rappresenta più della metà dei bisogni urbani. Il suo tasso varia a seconda del tipo di insediamento, delle infrastrutture, di chi occupa l'alloggio, del suo livello di vita e della sua categoria socioprofessionale, e perfino a seconda dell'età dell'alloggio. La domanda aumenta all'ora dei pasti e al mattino (nei paesi del nord) o alla sera (nei paesi del sud), alla vigilia delle feste religiose e nei giorni di mercato, nel periodo dei grandi caldi e delle grandi feste civili.Il grande problema dell'approvvigionamento d'acqua delle città rimane la non comprimibilità dei costi. Nelle grandi città dell'Africa occidentale come in quelle occidentali si calcola una spesa equivalente a uno o due mesi di stipendio medio. Nei paesi in via di sviluppo molti cittadini esitano ad allacciare i loro rubinetti alla rete e preferiscono procurarsi l'acqua alle fontane pubbliche o acquistarla dal portatore d'acqua. A metà dell'Ottocento il 10% degli utenti pagava l'acqua per l'altro 90%; oggi nelle stesse città occidentali quasi il 100% dell'utenza permette alle compagnie che hanno l'appalto o il monopolio solo un margine di guadagno ammontante in media al 15‰ circa. Ai bisogni urbani occorre aggiungere le perdite dovute a molteplici fattori, il primo dei quali è l'invecchiamento delle condotte.
Se a Bangkok la perdita è stimata al 12% è perché la sua rete di distribuzione data solo al 1975. New York, la cui rete è più che centenaria, perde tanta acqua quanta ne consuma; al Cairo ne scompare così ogni giorno più di un milione di metri cubi, e sull'intero pianeta ne scompaiono chilometri cubi. Dal 30 al 50% del prezzo dell'acqua di rubinetto serve a pagare questo spreco. Dovunque si avverte una certa diffidenza nei confronti dell'acqua di rubinetto, perché è sprovvista di segni di riferimento sicuri: attinta sempre più lontano o più in profondità, a causa della sua scarsità, l'acqua - di superficie o sotterranea - viene immagazzinata, preossidata, decantata, filtrata, disinfettata, depurata, addolcita, aerata prima di essere distribuita. Ma è appunto sulla sua innocuità al momento della distribuzione che l'opinione pubblica si pone più quesiti: il mito dell'avvelenamento con l'acqua è ancora molto vivo. Con le sue scoperte più recenti la biotecnologia dovrebbe garantire in futuro la necessaria sicurezza economica e sociale dell'acqua.
Si ritiene che per ogni abitante di un agglomerato occidentale medio siano scaricati quotidianamente con le acque di scolo 90 grammi di materie in sospensione e 57 grammi di materie ossidabili disciolte, le prime trattabili meccanicamente, le seconde chimicamente. Le acque reflue aumentano con la concentrazione dell'abitato, con il consumo di acqua, con l'elevarsi del livello di vita e soprattutto con lo sviluppo industriale.L'inquinamento dovuto alle acque di scarico delle industrie è, nei paesi industrializzati, notevolmente più elevato di quello domestico, ma questo può prevalere sul primo in alcuni grandi agglomerati come Lione, Milano, Dresda o Seul. La quantità varia con il genere di attività: le industrie meccaniche e chimiche producono, a seconda delle città, quasi il 55% di tutte le acque di scarico industriali, mentre il settore agro-alimentare ne produce dal 20 al 25% e il terziario dal 10 al 15%. Si può quindi prevedere che nei prossimi anni l'inquinamento industriale si aggraverà fortemente nelle città dei paesi in via di sviluppo, mentre diminuirà nei paesi sviluppati, nei quali è in crescita il terziario.La maggior parte delle grandi industrie trattano da sole le loro acque di scarico sotto il controllo - talvolta solo di principio - delle amministrazioni locali o dei governi. La fabbricazione di una tonnellata di acciaio produce, in media, 150 m³ di acque di rifiuto, la fabbricazione di una tonnellata di carta ne produce 350, quella di una tonnellata di pelli conciate 450: da queste poche cifre si vede l'enormità dello scarico industriale, del quale soltanto la parte depurata dal servizio pubblico equivale in Francia a quello di un quarto della popolazione.
Lo sviluppo delle industrie lungo le rive di grandi fiumi o di laghi che toccano diversi paesi ha fatto dell'inquinamento idrico anche un problema internazionale che richiede la creazione di organismi sovranazionali per il controllo delle acque: è il caso del Reno per la Svizzera, la Germania, la Francia e l'Olanda, e dei grandi laghi fra gli Stati Uniti e il Canada.Quanto ai rischi di inquinamento idrico di origine nucleare, ampiamente evidenziati dall'esplosione della centrale di Černobyl, essi vengono sempre più attentamente presi in esame dai governi, alcuni dei quali ne hanno redatto degli elenchi e tentato di ovviare al più urgente: la protezione o l'isolamento di una parte della rete idrografica con la costruzione di grandi emissari a valle di alcune centrali troppo vicine alle metropoli.Gli impianti di depurazione per il trattamento più comune delle acque di scarico sono apparsi alla fine del XIX secolo, quando l'autodepurazione dei corsi d'acqua si è dimostrata insufficiente, specie nelle grandi città industriali. Fino allora i tecnici municipali si erano accontentati di suddividere le megalopoli con collettori di scarico che si riversavano nel fiume, nell'estuario o nel mare. Due sistemi diversi o addirittura opposti regolavano lo scarico delle acque urbane: il primo consisteva nel trattare soltanto le acque domestiche (sistema separato), il secondo nel raccogliere in un medesimo emissario acque reflue e acqua piovana (sistema unitario), riprendendo l'idea elaborata dalle città medievali 700 anni prima. Ciascuno di essi ha, ancora oggi, i suoi detrattori e i suoi difensori.Il sistema separato è di più difficile attuazione (è dal 30 al 50% più caro dell'altro) e inoltre non viene eliminato l'inquinamento crescente delle acque di ruscellamento. In compenso il sistema unitario si adatta male alle regioni di tipo mediterraneo o del Sahel e anche alle grandi città, nelle quali l'impermeabilizzazione crescente del suolo provoca nei collettori dei sovraccarichi talvolta catastrofici e sempre molto costosi per l'impianto di depurazione, che non può trattare senza difficoltà tecniche una portata tre volte superiore a quella media in regime secco. Inoltre, più è pianeggiante la posizione della città, più è dispendioso questo genere di risanamento, poiché comporta la creazione di impianti per allontanare o sollevare le acque al fine di assicurare una pendenza minima.
Da qualche anno alcune soluzioni originali permettono di evitare, con un costo minimo, le inondazioni locali o la saturazione delle reti provocate dalle piogge, migliorando anche la qualità dell'ambiente. Alcune di esse riprendono pratiche antiche come il lagunaggio, che lascia alla natura il suo potere autodepuratore, depurando le acque di scarico in ampi bacini stagnanti con una superficie di 10 m² per abitante. Questo genere di risanamento non consuma né energia né prodotti chimici, valorizza la biomassa utile alla piscicoltura, elimina efficacemente in pochi mesi l'inquinamento microbico - ma non le tossine industriali - e realizza per le municipalità una riserva fondiaria e un paesaggio acquatico di cui molte città sono sprovviste. Tuttavia proprio la sua principale qualità ne limita l'uso: l'acqua stagnante stimola la proliferazione delle zanzare, portatrici delle peggiori malattie. I risultati incoraggianti della biochimica potrebbero in un prossimo futuro risolvere questo problema.
Oggi l'attenzione degli amministratori comunali è rivolta tutta alla tecnica dei bacini. Nel sistema di risanamento unitario uno sfioratore immagazzina le prime ondate dei temporali, cioè le più inquinate, mentre nel sistema separato un bacino di ritenuta conserva in superficie o sottoterra l'acqua piovana e la scolmatura è in seguito restituita alla rete a valle quando la portata è più debole; il bacino di infiltrazione invece permette la rialimentazione della falda sotterranea a condizione che il suolo abbia una buona permeabilità.Presa in prestito dalla tecnologia aeroportuale, l'immagine radar abbinata a un computer può valutare con mezz'ora di anticipo l'intensità e il volume di un temporale per mezzo della fotointerpretazione delle nuvole. Sul piano macrogeografico, le previsioni meteorologiche - scarsamente affidabili quarant'anni orsono per più di due giorni - lo saranno per oltre dieci giorni all'inizio del prossimo millennio. Le popolazioni delle città marittime, le più esposte ai cicloni, potranno in tal modo essere evacuate più facilmente nell'attesa che grandi lavori di terrazzamento e di costruzione di dighe vengano a proteggerle definitivamente dalle inondazioni catastrofiche. La considerazione dei dati pluviometrici e limnografici e la ricerca di parametri specifici dell'ecosistema urbano dovrebbero metter fine al monopolio delle formule occidentali nel calcolo delle dimensioni delle opere, formule troppo spesso inadeguate al contesto locale: il temporale non può avere lo stesso impatto in caso di neve e di monsone, a Montréal o a Dacca, a Pointe-Noire o a Lione.
La capacità termica dell'acqua, il cui valore è stato così bene evidenziato da Newcomen, Papin, Watt, Stephenson, Carnot e Joules, è ancora oggi oggetto di interesse e di studio da parte di ricercatori e tecnici. L'acqua a basse temperature è usata soprattutto in agricoltura per proteggere le zone orticole dai rigori invernali. L'acqua a temperatura media, proveniente, per esempio, dal raffreddamento delle centrali nucleari, è usata per la piscicoltura e per le colture periurbane (serre). Ma è per il riscaldamento urbano che l'elevata capacità termica dell'acqua viene meglio utilizzata: con un sistema di produzione e di distribuzione su larga scala si ottiene una rete di calore che può soddisfare i bisogni di parecchie migliaia di alloggi. Nell'Unione Sovietica più di 800 agglomerati urbani vengono serviti da 180.000 km di condotte di acqua calda o di vapore acqueo (Mosca distribuisce annualmente un'energia di 82 milioni di kWh in una rete di 3.300 km, Leningrado 40 milioni di kWh per 1.800 km di canalizzazioni) e la Danimarca prevede che alla fine del secolo circa la metà del fabbisogno di calore del settore residenziale e del terziario sarà coperto da tali reti. Questo genere di distribuzione, che ha il merito di offrire in zone densamente popolate un comfort più economico di quanto non sia il riscaldamento di singole abitazioni, si sviluppa in modo particolare al momento delle crisi economiche (il riscaldamento pesa per almeno il 2% nel bilancio delle famiglie dei paesi del nord). Le reti possono trasportare energia prodotta da fonti energetiche diverse (carbone, rifiuti industriali, legno o - molto a buon mercato - rifiuti domestici, energia solare a concentrazione), ma di notevole entità, date le grandi quantità di calore messe in gioco, e presentano un basso costo di investimento. Da questo punto di vista lo sfruttamento dell'energia geotermica, tecnologia recente e promettente, dovrebbe procurare alle grandi città di domani un'energia illimitata e quasi gratuita: parecchie decine di migliaia di alloggi sono già serviti in questo modo nell'Europa occidentale e negli Stati Uniti centromeridionali.
L'acqua in quanto fluido in movimento naturale è una fonte rinnovabile di energia: dalle rudimentali macchine ad acqua (mulini, macine, ecc.), che dovevano il loro moto al fluire naturale di un corso d'acqua, si è arrivati alle potenti centrali idroelettriche, nelle quali si produce energia elettrica sfruttando l'energia idraulica di un corso d'acqua o di un bacino imbrifero e azionando col salto d'acqua delle turbine che a loro volta azionano generatori elettrici. Più recente è lo sfruttamento dell'energia delle maree, utilizzabile solo quando le escursioni sono rilevanti.L'energia idraulica mondiale è lungi dall'essere del tutto esaurita: a malapena si è utilizzato un quarto dei 3.800 milioni di kW delle riserve. Si prosegue quindi nella ricerca, per poter utilizzare le qualità energetiche dell'acqua in tutti i suoi stati (solido, liquido, vapore) e moltiplicarne le applicazioni meccaniche e chimiche. È in quest'ultima disciplina che la qualità dell'acqua porta il maggiore valore aggiunto: se la chimica pesante, che può utilizzare acqua non purificata, rende globalmente circa 200 lire per kg prodotto, la chimica fine, quella della farmacologia e della biologia, conta, in media, su circa 15.000 lire di guadagno per kg, ma utilizza un'acqua perfettamente pura. Del resto, le ricerche fondamentali sul comportamento intrinseco dell'acqua dovrebbero, all'orizzonte del 2000, modificare gran parte delle applicazioni industriali di questo corpo multiforme.
Acqua pubblica, acqua usata nella vita quotidiana dei cittadini, l'acqua urbana è sempre stata l'immagine, il marchio, della megalopoli occidentale crogiolo del pensiero tecnico e scientifico: Roma sotto i cesari e sotto i papi, Parigi sotto i re e gli imperatori, Londra sotto il potere dell'industria nascente, sono tutte nate sulle rive di corsi d'acqua e hanno voluto mostrare la loro grandezza con fontane monumentali. Attraversate da fiumi, esse hanno saputo nei secoli passati cingere le loro mura con specchi d'acqua che erano al tempo stesso abbeveratoi, digestori, vivai, aree di riposo e di distensione. L'industria e il suo seguito di igienisti hanno fatto subito il processo a questi spazi generatori di febbri malariche e le municipalità si sono affrettate a colmarli, a risanarli e a consegnarli alla circolazione o alla costruzione. Lo spazio ludico continuamente respinto alle estremità della città tentacolare conquista di nuovo il centro e le rive: l'acqua rallegra le piazze, scorre in mezzo alle strade pedonali, zampilla nei giardini pubblici lontano dal traffico, si allarga ai piedi dei ponti. Da pochi anni i governi cittadini si sforzano di restituirle una certa libertà, una libertà sorvegliata dai servizi tecnici e tanto più costosa quanto più l'ambiente è degradato. Lunghi tratti di canali vengono recuperati e le loro rive sono dotate di passeggiate. I piccoli fiumi periurbani, sfuggiti alla ricopertura e all'incanalamento nella rete fognante, divengono aree ricreative. A giudicare dai progetti di pianificazione che sovraintendono all'avvenire delle città, dopo un buon secolo di eclisse l'acqua riprende il suo posto nella qualità delle città: il primo. (V. anche Ecologia; Energia, fonti di; Industrializzazione; Urbanizzazione).
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