Acqua
Tra i diversi costituenti chimici della materia vivente l'acqua è quello presente in maggiore quantità. Elemento indispensabile per la vita, essa ha fin dalle origini svolto un ruolo determinante nella storia e nella cultura dell'uomo, condizionando molti momenti importanti del progredire della civiltà. Avvertendo questa centralità dell'acqua in tutte le funzioni vitali, da sempre l'uomo ha attribuito a essa una molteplicità di significati simbolici: di nascita, purificazione, ricchezza. A motivo dei suoi molteplici impieghi, lo sfruttamento di tale risorsa è oggi regolamentato da numerose normative di legge, soprattutto per quanto riguarda le acque destinate al consumo umano. Le acque minerali naturali si distinguono dalle ordinarie acque potabili per la loro purezza, composizione e proprietà igieniche o curative.
Gli studi storico-religiosi e le indagini della psicologia del profondo hanno riconosciuto e distinto, nel rapporto tra l'uomo e i diversi modi di manifestarsi dell'elemento acquatico, vari momenti di un complessivo 'simbolismo acquatico'. Una definizione riassuntiva di questo insieme simbolico-immaginativo è stata tentata da M. Éliade, secondo il quale "le acque simboleggiano la totalità della virtualità; sono fons e origo, la matrice di tutte le possibilità di esistenza" (Éliade 1948, trad. it., p. 193). Principio dell'indifferenziato, le acque precedono e stanno al fondamento di ogni forma e creazione. La loro virtualità 'informe' si manifesta, essenzialmente, sul piano della simbologia religiosa, in due momenti simmetrici e inversi, speculari. Da principio, in ambito cosmogonico, l'acqua segna l'inizio di qualunque ciclo storico o cosmico. A ciò corrispondono, sul piano umano, i vari miti della provenienza acquatica dell'umanità. Per contro, le acque simboleggiano anche la fine dei diversi cicli cosmogonici, come attestano i miti sul diluvio universale e sullo sprofondare dei continenti nelle acque.
Tale simbologia della fine ha la sua corrispondenza, sul piano umano, con le differenti morti iniziatico-rituali attraverso l'acqua (purificazioni lustrali ecc.). In entrambe queste polarità, sia in quanto germinalità virtuale, sia in quanto forza dissolutrice, l'acqua ha comunque sempre significato di 'generazione': la distruzione delle forme è, di nuovo, un ritorno alla potenzialità di ciò che non ha forma, in vista di una nuova creazione, di una nuova vita o di un uomo nuovo. Le acque che sembrano portare la morte in realtà disgregano semplicemente le forme vecchie: purificando l'anima e lavando i peccati, esse sono comunque rigeneratrici. Sia che precedano la creazione, sia che la riassorbano, le acque sono quindi potenzialità inesauribile di vita. Proprio questa dimensione della virtualità e originarietà spiega l'importanza determinante delle acque per l'universo delle pratiche religiose. In quanto germe perenne di tutte le forme transitorie e caduche, l'acqua rinvia di per sé a una sfera ultrastorica, facendosi simbolo dell'eterna salvezza rigeneratrice. "Ogni 'forma', appena staccata dalle acque, cessando di essere virtuale, cade sotto l'imperio del tempo e della vita; riceve limiti, conosce la storia, partecipa al divenire universale, si corrompe e finisce per vuotarsi della propria sostanza, se non si rigenera con immersioni periodiche nelle acque, se non ripete il 'diluvio' seguito dalla 'cosmogonia'" (Éliade 1948, trad. it., p. 221).
Il simbolismo antico e universale dell'immersione nelle acque come mezzo di rigenerazione e purificazione si ripete e si rinnova nell'istituzione cristiana del battesimo. La continuità tra le proprietà eccezionali dell'acqua, in quanto elemento cosmogonico 'santificato' fin da principio dalla presenza divina, e il nuovo significato che essa assume nel battesimo cristiano, è sottolineata soprattutto da Tertulliano: "Per prima, l'acqua fu sede dello Spirito divino, che la preferì allora a tutti gli elementi [...] Fu nell'acqua per prima che venne comandato di produrre gli esseri viventi [...] Quel che un tempo guariva i corpi, oggi guarisce l'anima; quel che dava salute nel tempo procura salvazione nell'eternità" (De baptismo, 3-5). L'inscindibile connessione che si dà nel simbolismo delle acque tra dissoluzione e rigenerazione, fra morte e vita, è enfatizzata, invece, quanto al battesimo cristiano, da Giovanni Crisostomo: "Il battesimo rappresenta la morte e la sepoltura, la vita e la risurrezione [...] Quando immergiamo la testa nell'acqua come in un sepolcro, il vecchio uomo è sommerso e sepolto tutto intero; quando usciamo dall'acqua, l'uomo nuovo simultaneamente appare" (Homiliae in Iohanne, 25, 2).
La connessione, nella simbologia dell'acqua, dell'elemento 'morte' con l'elemento 'rigenerazione' è stata riconosciuta e teorizzata dalle ricerche della psicologia dell'immaginazione di G. Bachelard (1942). L'immaginazione acquatica è espressione di un'immaginazione diretta della materia: differentemente da quanto accade nei confronti degli altri elementi naturali, la coscienza umana, allorché sogna l'acqua, vi proietta i desideri del suo passato organico, dell'inconscio e del corpo, dunque gli stessi istinti e tendenze della natura. Questa 'materialità' e 'corporeità' dell'immaginazione acquatica possiede diversi livelli di articolazione. Bachelard distingue i valori 'sensibili' e 'sensuali' dell'acqua, differenziando l'acqua vista nei suoi aspetti di superficie ‒ schiume e onde ‒ dall'acqua sentita nella sua profondità, buia e immobile, opponendo le acque chiare, correnti e luminose, a quelle putride, stagnanti, cupe. Intorno a questi due estremi dell'immaginazione acquatica si organizzano due serie di immagini isomorfe. Alle acque di superficie si associano le immagini dello specchio, del pavone, del cigno, della ninfa, mentre a quelle di profondità sono collegate le immagini della notte, del sangue, delle lacrime e, soprattutto, della morte. A quest'ultima, in quanto potenza annientatrice che abita la profondità e la sostanza dell'acqua, Bachelard dà molto rilievo. D'altro canto, ancora una volta, è dal contatto con questa profondità dissolvente che Bachelard deduce anche la potenza risanatrice dell'acqua. Non dai suoi riflessi superficiali, ma dalla sua intimità sostanziale può nascere il sogno felice della rigenerazione.
L'acqua, la specie chimica più abbondante sulla superficie terrestre, ha da sempre suscitato un doppio sentimento nell'umanità: grande attrazione, dettata dalla necessità di soddisfare la sete e dal piacere di rinfrescarsi dalla calura estiva o di ritemprarsi con le acque termali, ma anche paura per le grandi distese marine in tempesta e per l'imprevedibilità delle alluvioni provocate dai grandi fiumi. Questa paura ancestrale ha fatto sì che il processo di ominazione si sia svolto prevalentemente lontano dalle coste oceaniche. E tuttavia, i clan primitivi, che si procuravano il cibo limitandosi a consumare le risorse naturali, si spostavano cacciando e raccogliendo radici e bacche commestibili, tenendo ben presente la necessità di disporre di sorgenti di acqua potabile facilmente raggiungibili.
La svolta che ha segnato la fine della preistoria è stato il passaggio dal sistema della caccia e raccolta, o di dipendenza dal mondo naturale, all'economia produttiva, a nuovi modi di acquisizione alimentare basati sulla stanzialità e sulla domesticazione, che è l'insieme di operazioni effettuate dall'uomo sulle specie vegetali e animali allo stato selvatico, e sul loro ambiente, al fine di adattarle ai propri bisogni. La pratica dell'agricoltura, che metteva a disposizione fonti di nutrimento di gran lunga più abbondanti del minimo indispensabile per la sussistenza quotidiana, richiedeva la disponibilità di notevoli quantità di acqua dolce per irrigare i campi. Una situazione particolarmente favorevole veniva a determinarsi quando la vicinanza di grandi fiumi provocava periodicamente l'inondazione non disastrosa di ampie distese di territorio, rendendole fertili grazie alla deposizione del limo asportato a monte. Le grandi civiltà fiorite sulle rive del Tigri e dell'Eufrate, del Giordano e del Nilo, dei fiumi indiani e cinesi, si svilupparono anche grazie all'abilità di interpretare la periodicità di questi fenomeni (legandoli pure alla periodicità degli eventi celesti) e alla capacità quindi di coordinare l'organizzazione della vita comunitaria e del lavoro dei campi con il susseguirsi delle stagioni. Un'altra fondamentale tappa nel processo storico è stata poi la nascita delle città, che si distinsero dagli altri più sensibili agglomerati umani per l'articolazione e stratificazione sociale, la divisione dei ruoli e del lavoro, i commerci regolari al posto dei baratti occasionali, la costituzione di eserciti a difesa della comunità dalle razzie di nomadi e predoni, la produzione di leggi scritte e la fissazione della memoria collettiva nei testi sacri e poetici. Il modello urbano presupponeva un'organizzazione della società tale da poter progettare razionalmente sistemi di pozzi e cisterne interni alle città-fortezza (come quelle di Gerico e di Ebla) o addirittura reti di acquedotti che portassero l'acqua dalle sorgenti montane alle grandi città, come nel mondo ellenistico e romano, ove i sistemi di cattura, convogliamento e conservazione delle acque erano estremamente funzionali e gli acquedotti veri capolavori di idraulica.
Lo sviluppo della civilizzazione e l'aumentato benessere nelle società storiche non solo hanno comportato la disponibilità di acqua per gli impieghi più immediati, primari, ma ha favorito l'instaurarsi di abitudini, di tipo igienico-sanitario ed estetico-edonistico, quali l'uso a scopo termale delle acque delle sorgenti, con la costruzione di vasti impianti in cui l'acqua era riscaldata artificialmente. La presenza di grandi vasche d'acqua nei giardini pensili di Babilonia o nelle corti dei palazzi arabi (Siviglia, Cordoba, i tanti siti del Medio Oriente) o le fontane nelle piazze delle città d'Europa sono conquiste di società opulente, capaci di produrre beni di cui l'intera cittadinanza poteva fruire.
Lo sfruttamento delle correnti e dei venti, la costruzione di canoe, barche e navi hanno consentito all'uomo di utilizzare le acque interne per facilitare scambi e commerci. Mentre tutte le migrazioni della preistoria, tranne forse alcune che hanno interessato le isole del Pacifico e dell'Atlantico, si erano svolte per via di terra, la civiltà uscita dal Medioevo europeo è andata alla conquista geografica, commerciale, economica e politica del mondo attraverso le vie oceaniche e, non a caso, 'navi e cannoni' hanno costituito fino alla Seconda guerra mondiale il nucleo della potenza delle nazioni con ambizioni di egemonia globale. Ancora oggi gli oceani sono le vie d'acqua per i grandi scambi di materie prime, di prodotti semilavorati, di manufatti. La crescita della popolazione mondiale, dell'industrializzazione, della produzione complessiva e dei bisogni (anche se enormemente differenziati) dei popoli ha comportato però in questo ultimo secolo un aumento incontrollato dell'inquinamento industriale e agricolo, che si è ripercosso pesantemente sulla risorsa acqua. Proprio l'integrazione mondiale di società differenti per cultura e struttura politico-economica, richiede che si definiscano oggi i profili di una gestione oculata di questa risorsa. Tale politica dovrebbe basarsi sulla salvaguardia sia delle acque dolci, in particolare quelle potabili, sia di quelle marine, con le loro sterminate riserve alimentari minacciate dall'inquinamento dovuto all'antropizzazione delle coste, agli scarichi delle petroliere e ai disastri ecologici (naufragi, eventi bellici, rifiuti tossici o radioattivi). In particolare, l'inquinamento sta danneggiando gravemente gli ecosistemi di mari interni come il Mediterraneo, il Mar Nero, il Mar Rosso e di mari chiusi come il Mar Caspio.
Le acque dolci sono indispensabili sia per gli usi agricoli sia per quelli civili e industriali. Esse rappresentano il 3% di tutta l'acqua terrestre, di cui il 2,35% è raccolto nei ghiacciai perenni e buona parte del restante scorre in falde sotterranee, oltre che nei laghi e nei fiumi. Tutte queste acque prima o poi si riversano nel mare e vengono continuamente rinnovate dalle piogge e dalle nevicate, per mezzo delle quali l'acqua evaporata dai mari e dagli oceani ritorna nel ciclo delle acque dolci. Il differente sfruttamento delle acque dolci può portare a politiche contraddittorie. L'invenzione della dinamo ha consentito la disponibilità di grandi quantità di energia per mezzo delle centrali idroelettriche che sfruttano l'energia potenziale delle cascate naturali trasformandola in energia meccanica e quindi elettrica. Dall'efficienza minima dei tradizionali mulini ad acqua si è arrivati a poter disporre di energia ottenibile con grande efficienza e scarsissimo inquinamento, e di corrente elettrica alternata facilmente trasferibile a grandi distanze. Il numero limitato di cascate naturali ha portato però alla costruzione di grandi invasi sbarrati da dighe altissime per creare salti artificiali, e ciò ha provocato spesso disastri ecologici, con gravi perdite anche in termini di vite umane. In altri casi, le modificazioni apportate al regime dei grandi fiumi hanno causato l'alterazione dei microclimi locali, con conseguente siccità, diminuita produttività delle colture tradizionali, sconvolgimento nelle abitudini alimentari e nelle forme di sostentamento di intere popolazioni; mentre l'uso intensivo delle acque interne per l'irrigazione di bacini aridi, molto più estesi di quelli naturali, sta portando alla scomparsa di alcuni grandi laghi, come l'Aral e in parte il Ciad.
1.
L'acqua è una sostanza indispensabile per la vita ed è la componente principale degli organismi viventi, dei quali rappresenta l'ambiente intrinseco fondamentale, costituendo in linea generale il 60-90% del contenuto delle cellule e dei tessuti. Le sue caratteristiche chimico-fisiche le conferiscono proprietà del tutto particolari: la sua formula chimica è H₂O, ma l'acqua si trova in minima parte in forma dissociata negli ioni ossidrile (OH⁻) e idronio (H₃O+). Questa sua capacità di ionizzarsi, partecipando così alle reazioni acido-base, è essenziale per la funzionalità di numerose molecole di importanza biologica, quali le proteine, gli acidi nucleici ecc. Le peculiari proprietà dell'acqua sono dovute anche alla sua particolare struttura e alla capacità del suo atomo di ossigeno di formare legami supplementari. La molecola non è infatti lineare, ma i due legami covalenti che uniscono l'ossigeno ai due atomi di idrogeno, H‒O-H (lunghezza del legame ~ 0,1 nm; energia di legame ~ 110 kcal mol-1) formano un angolo α di 104,5°. Inoltre, poiché l'ossigeno è più elettronegativo (ha cioè maggiore affinità per gli elettroni) dell'idrogeno, si ha una distribuzione asimmetrica delle cariche elettriche nell'ambito di ciascuno dei due legami O-H della molecola, che pertanto risultano polari. Tale polarità dei due legami covalenti dell'acqua e la geometria della molecola fanno sì che quest'ultima presenti un'estremità positiva e una negativa, costituendo un dipolo elettrico permanente (momento dipolare = 6,13 10-30 C m). In tal modo, in una massa di acqua allo stato liquido, l'attrazione tra i poli di segno opposto di queste molecole fa sì che ciascuna di esse formi fino a quattro legami con le altre che la circondano: questo tipo di legame è detto legame idrogeno. Si tratta ovviamente di legami deboli, la cui energia va da 3 a 6 kcal mol-1, che si scindono e si riformano continuamente (tempo di semivita 〈10-10 s), proporzionalmente alla velocità del moto relativo tra le molecole, e quindi alla temperatura, determinando il grado di densità e viscosità del liquido. Allo stato di vapore, a causa della maggior distanza fra le molecole, i legami idrogeno intermolecolari sono assenti. Allo stato solido (ghiaccio), i quattro legami idrogeno di ogni molecola sono invece maggiormente stabilizzati (energia di legame media ~ 5,5 kcal mol-1); si configura così un reticolo cristallino tetraedrico rigidamente ordinato, con ciascun legame idrogeno disposto in linea con il rispettivo legame covalente: in tal modo viene raggiunto il massimo sviluppo volumetrico di spazi intermolecolari 'vuoti'.
La presenza del legame idrogeno influisce sul punto di fusione dell'acqua, che è notevolmente più alto di quello riscontrato in altre sostanze di peso molecolare paragonabile: ciò è dovuto al fatto che una notevole quantità di calore viene dissipata per la rottura di molti dei numerosi legami idrogeno del ghiaccio; liquefacendosi a 0 °C, l'acqua conserva ancora gran parte dei suoi legami idrogeno intermolecolari, ma il maggior disordine strutturale e la maggiore mobilità consentono un maggior avvicinamento tra le molecole del liquido. L'acqua infatti, a differenza di quasi tutti gli altri liquidi e soltanto nell'intervallo compreso tra 0 °C e 4 °C, con l'aumento della temperatura riduce il proprio volume raggiungendo il massimo di densità a 4 °C (peso specifico a 0 °C = 0,99 g cm-3; a 4 °C = 1 g cm-3; a 20 °C = 0,99 g cm-3). Questa proprietà fa sì che, quando la temperatura ambiente è molto bassa, sulla superficie dell'acqua (di un lago, di un fiume, del mare) si formi una crosta di ghiaccio galleggiante che, grazie alle sue proprietà termoisolanti, impedisce il congelamento della massa d'acqua sottostante, consentendo la sopravvivenza della flora e della fauna subacquee.
Altra importante proprietà dell'acqua è quella di avere un valore relativamente elevato del calore specifico (1 cal g-1 °C-1 alla temperatura di 15 °C), cioè la quantità di calore necessaria per elevare di 1 °C la temperatura di una massa d'acqua di 1 g: nell'acqua, una frazione non trascurabile di energia termica viene infatti utilizzata per la scissione dei numerosi legami idrogeno intermolecolari che si oppongono all'aumento dell'energia cinetica delle molecole. Questo elevato calore specifico riduce le variazioni di temperatura negli organismi pecilotermi, sia quelli che vivono in ambiente acquatico sia quelli terrestri, anch'essi costituiti soprattutto da acqua. D'altro canto, anche i sofisticati meccanismi di regolazione della temperatura corporea, di cui sono dotati gli organismi omeotermi, utilizzano in vario modo questa peculiarità dell'acqua. In tutti i viventi, infatti, una temperatura relativamente costante è condizione determinante per il corretto svolgimento delle reazioni biochimiche.
Come il calore specifico, anche il calore di evaporazione, cioè la quantità necessaria all'evaporazione di un grammo di liquido, ha per l'acqua un valore sensibilmente più alto che per molti altri liquidi. Analogamente a quanto si è detto per il processo di fusione, durante l'evaporazione una parte del calore viene spesa per rompere i legami idrogeno che impediscono a una molecola nella fase liquida di dissociarsi dalle altre per passare nell'adiacente fase di vapore. Questa ulteriore caratteristica dell'acqua fa sì che il meccanismo della traspirazione rappresenti un efficiente sistema di abbassamento della temperatura corporea.
2.
Nei sistemi biologici le molecole di acqua formano legami idrogeno anche con altri composti, assumendo funzioni di idratazione e di solvatazione nei confronti delle sostanze disciolte; queste, a loro volta, sono spesso in grado di formare legami idrogeno inter- e intramolecolari. La particolare natura dipolare e l'elevata costante dielettrica (81 a 18 °C e 760 mmHg) fanno sì che l'acqua agisca da solvente per tutte le sostanze idrofiliche, in grado cioè di formare legami idrogeno con essa, comprendenti essenzialmente specie ioniche, come i sali, o polari, come l'alcol, lo zucchero ecc. Viceversa, le sostanze non polari, come per es. gli idrocarburi o i grassi, sono essenzialmente insolubili in acqua, e vengono perciò dette idrofobiche. Un altro tipo di sostanze è quello di cui fanno parte i cosiddetti detergenti, costituiti da molecole anfipatiche, dotate cioè sia di gruppi idrofilici sia idrofobici: essi sono in grado di formare strati monomolecolari alla superficie delle soluzioni acquose e micelle in sospensione. Queste ultime sono aggregati sferici in cui le molecole di detergente sono orientate con le estremità idrofobiche all'interno e quelle idrofiliche all'esterno; grazie a questa particolare struttura, le sostanze anfipatiche permettono un'efficace interazione (emulsione) tra il solvente acquoso e le sostanze idrofobiche, espletando appunto un'azione detergente, indispensabile per es. per una corretta funzionalità dei processi di digestione, assorbimento e metabolismo dei grassi alimentari.
L'interazione dell'acqua con le molecole anfipatiche consente nella cellula la formazione della particolare struttura della membrana cellulare, costituita da un doppio strato fosfolipidico. I fosfolipidi che compongono le membrane sono infatti molecole capaci di disporsi in modo tale da formare foglietti di spessore bimolecolare, con le porzioni apolari reciprocamente affacciate (effetto idrofobico) e le porzioni idrofiliche a contatto con la fase acquosa; in associazione ai lipidi, nelle membrane sono presenti anche proteine semplici o coniugate, con specifiche funzioni biochimiche. L'effetto idrofobico contribuisce alla stabilità della conformazione tridimensionale delle proteine e all'autocostruzione delle membrane. Queste costituiscono pertanto una barriera biodinamica, in grado di adattarsi strutturalmente e morfologicamente alla variabilità delle condizioni fisiologiche dell'ambiente, controllando gli scambi materiali ed energetici tra i vari compartimenti acquosi di un organismo, a livello sia intracellulare sia intercellulare, intertissutale e interorganico.
Nell'organismo umano, l'acqua viene assunta per ingestione diretta o attraverso bevande e cibi solidi in cui essa è contenuta, ed è prodotta all'interno dell'organismo stesso da diverse reazioni metaboliche. Si stima che dal metabolismo di 100 g di grassi derivino 107 g di acqua, da 100 g di amido 55 g, mentre 100 g di proteine ne forniscono 41 g. Assorbita a livello del tratto superiore dell'intestino tenue, l'acqua viene distribuita per via linfatica e sanguigna ai vari tessuti e cellule del corpo, andando a costituire i diversi fluidi corporei, che possono essere approssimativamente ripartiti in tre categorie: liquido intracellulare, per circa il 50% del peso corporeo totale, liquido interstiziale, per il 15%, e plasma sanguigno, per il 5%. Infine, l'acqua lascia l'organismo attraverso quattro vie principali: i reni, la pelle, l'intestino e i polmoni, sotto forma di urina, sudore, lacrime e secrezioni intestinali (in tal modo vengono eliminati con l'acqua anche sali minerali, urea e pigmenti biliari); soltanto attraverso i polmoni l'acqua lascia l'organismo allo stato di vapore, come si può facilmente osservare nelle giornate molto fredde. Il bilancio medio giornaliero tra l'assunzione e l'eliminazione di acqua nell'uomo è ripartito approssimativamente.
Ovviamente, la quantità di acqua ingerita, così come quella eliminata, varia notevolmente con le condizioni ambientali, l'attività e altri fattori. Si è stimato che l'acqua costituisca circa il 60% del peso corporeo e permanga nell'organismo umano per 9,3 giorni in media. La percentuale di acqua può tuttavia variare da un minimo del 50% a un massimo del 75% del peso corporeo totale, a seconda dell'età e del peso del soggetto considerato: in un individuo obeso è presente una quantità d'acqua inferiore alla media, in quanto il tessuto adiposo ne contiene pochissima, mentre una persona magra ne ha un maggior contenuto; tale valore tende inoltre a diminuire nel passaggio dall'infanzia all'età adulta, in concomitanza dello sviluppo dei tessuti a basso contenuto idrico come i denti e le ossa; con l'invecchiamento, poi, pure i tessuti molli ne contengono progressivamente quantità minori. Anche il ricambio giornaliero dell'acqua diminuisce con l'età, passando dal 15% nell'infanzia a circa il 6% nell'adulto normale. Il bilancio idrico e la distribuzione dell'acqua tra i vari fluidi e tessuti cellulari si mantengono, in condizioni normali, a livelli sensibilmente costanti. L'assunzione dell'acqua è governata, a livello del sistema nervoso centrale, dal centro della sete. Tra le diverse vie di deiezione un ruolo fondamentale è svolto dai reni, che hanno il compito di regolare il bilancio idrico mediante complessi meccanismi sottoposti a controllo ormonale: a fronte di un'eccessiva assunzione di liquidi, i reni eliminano maggiori volumi di urina, mentre, se l'apporto di acqua è limitato, il volume di urina eliminato verrà ridotto e la concentrazione delle sostanze in essa disciolte risulterà aumentata. Un'elevata perdita di acqua, dovuta a soverchia sudorazione, vomito o diarrea, può invece provocare una diminuzione dell'acqua corporea totale, e quindi disidratazione, accompagnata da una perdita di elettroliti, con le conseguenti patologie.
1.
Da sempre tutti i paesi, dai più grandi alle comunità più piccole e isolate, hanno emanato normative per la tutela degli approvvigionamenti idrici e per l'impiego dell'acqua nelle attività artigianali e industriali e nell'irrigazione. In Italia, l'esigenza di rifornimenti idrici adeguati alle necessità della popolazione, in termini di quantità e di qualità, è stata avvertita come prioritaria subito dopo l'Unità, quando è stato realizzato l'ammodernamento della rete di distribuzione (con conseguente diminuzione delle malattie infettive a trasmissione idrica, quali le forme tifoidi). Il problema è però esploso alcuni decenni dopo, al termine della Seconda guerra mondiale, quando lo sviluppo industriale, economico e sociale del paese ha comportato non soltanto una sempre più elevata richiesta di acqua, ma anche una crescente immissione nell'ambiente di sostanze che, direttamente o indirettamente, possono rappresentare fattori di inquinamento delle acque stesse. Contemporaneamente, lo sviluppo degli studi di epidemiologia ambientale e il perfezionamento delle tecniche (chimiche e microbiologiche) di analisi delle acque hanno consentito di definire meglio i rapporti tra composizione dell'acqua e salute. I risultati di questi studi sono stati recepiti (anche se con alcuni ritardi) sia dalle normative della Unione Europea (UE) che dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Le ricerche sono in continuo sviluppo, e gli esiti possono essere soggetti a interpretazioni diverse; di conseguenza, alcuni parametri di qualità delle acque destinate al consumo umano differiscono tra loro, se valutati dalla UE, dall'OMS o dalla statunitense FDA (Food and drug administration).
In Italia, il problema dei consumi di acqua pro capite in rapporto alla disponibilità di acque sorgive o comunque di buona qualità è di primaria importanza. Tali consumi sono direttamente proporzionali alle dimensioni della popolazione residente: in un piccolo comune (per es. 1000 abitanti) essi sono dell'ordine di 60-70 l al giorno per abitante, mentre in una grande città si superano i 400 l per abitante al giorno, cifra sulla quale incidono in parte anche gli impieghi dell'acqua in attività artigianali e industriali. I consumi domestici medi italiani sono stimati in circa 220-250 l giornalieri per abitante, ma si considera che circa il 25% vada perso per malfunzionamento delle reti di distribuzione e il 10% a livello della rete domestica. Tali consumi incidono su quello totale per circa il 75%, il restante 25% risulta invece utilizzato per usi industriali e pubblici. Generalmente in Italia vi è una sola rete di distribuzione dell'acqua; oggi sappiamo che sarebbe stato invece opportuno (e possibile) disporre di una doppia rete, riservandone una ad acque di eccellente qualità da utilizzare per uso potabile, per la preparazione degli alimenti e per l'igiene personale, l'altra per la distribuzione di acque con caratteristiche meno 'nobili' da destinare ad altri usi (impianti di lavaggio di automobili, irrigazione di parchi e giardini ecc.). Poiché ciò non è stato realizzato, per far fronte alla crescente richiesta idrica si è ricorsi a captazioni di acque superficiali (laghi, fiumi, mare) originariamente non potabili, che, sottoposte a trattamenti chimici e chimico-fisici, possono essere destinate al consumo umano. Bisogna tenere presente, tuttavia, che le acque superficiali contribuiscono in modo determinante, unitamente al suolo, all'allontanamento e alla degradazione dei rifiuti delle attività umane e animali. Ciò è dovuto sia all'azione di molte specie batteriche presenti nelle acque superficiali sia a complesse reazioni chimiche e chimico-fisiche che avvengono per mezzo dell'acqua e nell'acqua, e perciò l'uso di tali acque deve essere sottoposto a rigorosi controlli di qualità per evitare rischi di contaminazione.
La vigente normativa sulla qualità delle acque destinate al consumo umano (d.p.r. 24 maggio 1988, nr. 236, attuazione della direttiva CEE 80/778) le definisce come segue: "Per acque destinate al consumo umano si intendono tutte le acque, qualunque ne sia l'origine, allo stato in cui si trovano o dopo trattamento, che siano: a) fornite al consumo, ovvero b) utilizzate da imprese alimentari mediante incorporazione o contatto per la fabbricazione, il trattamento, la conservazione, l'immissione sul mercato di prodotti e sostanze destinate al consumo umano e che possano avere conseguenze per la salubrità del prodotto alimentare finale". Dal campo di applicazione del decreto sono escluse le acque minerali e termali. Come è possibile evincere dalla direttiva CEE, le acque destinate al consumo umano possono avere un'origine molto differenziata: acque sorgive o di falda, acque dolci superficiali di fiumi e laghi sottoposte a potabilizzazione e acque marine dissalate. Dovendo considerare queste differenti possibilità di approvvigionamento, i criteri rispecchiano un obiettivo 'medio' di qualità, che deve necessariamente tener conto del complesso delle normative che regolano il problema acqua in Italia.
2.
I due principali aspetti che interessano la salute umana sono il ciclo naturale dell'acqua e le normative sanitarie a esso correlate, di cui è dato un prospetto sintetico in fig. 8. Dopo l'evaporazione dalle grandi superfici idriche e dai vegetali (in questo caso si parla più propriamente di evapotraspirazione), l'acqua ricade al suolo; durante la fase di ricaduta, essa cattura inquinanti atmosferici aerodiffusi e, una volta giunta al suolo, subisce un'elevatissima contaminazione batterica. Il lento processo di penetrazione nel suolo causa comunque la riduzione o l'annullamento della carica batterica e, contemporaneamente, la solubilizzazione di sali minerali e di composti organici. È evidente quindi che la composizione dell'acqua e quella del suolo sono correlate e che gli eventuali contaminanti presenti in quest'ultimo possono essere ritrovati nelle acque del sottosuolo. L'incontro con uno strato impermeabile del sottosuolo dà poi luogo a una falda acquifera, che può essere captata oppure giungere essa stessa all'emergenza (sorgente). Le falde più a rischio sono quelle superficiali, che si formano cioè a scarsa profondità, per le quali è più elevata la probabilità di contaminazioni batteriche. Una frazione dell'acqua caduta al suolo determina invece il fenomeno del 'ruscellaggio', cioè dello scorrimento in superficie, confluendo poi in fiumi e laghi. In questa fase l'acqua trasporta con sé molti contaminanti presenti sulla superficie del suolo, così che ad aumenti di portata dei corsi d'acqua corrisponde frequentemente un maggiore livello di contaminazione: il bacino idrografico di un fiume può quindi essere considerato come un gigantesco raccoglitore di contaminanti. Tali acque superficiali, oltre alle acque del sottosuolo, che rappresentano la principale e generalmente più sicura fonte di approvvigionamento idrico per l'uomo, possono essere utilizzate anch'esse per la produzione di acqua destinata al consumo umano. È evidente dunque che l'esigenza della tutela delle acque dall'inquinamento è prioritaria, in rapporto non solo agli usi potabili, ma anche ad altri impieghi che potrebbero essere causa di rischio per la salute. La realizzazione di questa difesa sanitaria è effettuata per mezzo di una serie di normative abbastanza coerenti, anche se emanate o recepite da direttive della Unione Europea in tempi diversi. Lo schema della fig. 8 illustra brevemente i riferimenti normativi e sanitari. Le acque usate possono risultare contaminate sia dal punto di vista chimico che microbiologico. Se i livelli di contaminazione si mantengono entro valori prefissati, tali acque possono essere smaltite nel suolo, nelle acque dolci superficiali e in quelle marine, corpi recettori considerati come sistemi naturali di depurazione (questa materia è disciplinata dalla l. 319/76 - cosiddetta legge Merli - e successive modifiche). Qualora la contaminazione sia più elevata del consentito, si deve invece procedere alla depurazione: nel caso delle acque di provenienza urbana i depuratori sono generalmente del tipo biologico, cioè utilizzano microrganismi per la mineralizzazione delle sostanze organiche, mentre con acque provenienti da impieghi industriali il processo di depurazione è di tipo chimico e chimico-fisico. Anche questo aspetto dell'igiene delle acque è regolamentato da apposite normative per quanto riguarda sia la localizzazione dei depuratori rispetto ai centri abitati sia la tutela dei lavoratori addetti (d. legisl. 19 settembre 1994, nr. 626). L'impiego a scopo irriguo di acque usate o depurate non è invece ben disciplinato in Italia: ciò può causare notevoli problemi infettivi e pertanto meriterebbe una più attenta puntualizzazione sanitaria. La qualità microbiologica, chimica e fisica delle acque destinate alla molluschicoltura è viceversa regolamentata fin dal 1978 (è stata recentemente rivista e approfondita con d.m. 1 agosto 1990, nr. 256 e d. legisl. 27 gennaio 1992, nr. 131), così come è stata definita la qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci (d. legisl. 25 gennaio 1992, nr. 130).
La qualità delle acque di balneazione (dolci o marine), dove spesso confluiscono le acque usate, costituisce un obiettivo primario per l'Italia, anche in rapporto agli interessi legati al turismo. La relativa regolamentazione sanitaria risale al 1982 ed è stata aggiornata nel 1985 e nel 1988, in ottemperanza alle direttive della CEE. Si definiscono acque di balneazione le acque dolci, correnti o di lago, e marine, per le quali la balneazione è espressamente autorizzata oppure non è vietata e per le quali il periodo di balneazione (stagione balneare) ha inizio il 1º maggio e termina il 30 settembre. Naturalmente, la qualità di tali acque è strettamente correlata con quella delle acque di origine, nonché con i sistemi di depurazione impiegati e con l'efficacia dei relativi impianti. I parametri di qualità delle acque di balneazione sono di tipo sia microbiologico sia chimico. Quando la balneazione avviene in acque microbiologicamente contaminate, il rischio per i bagnanti di contrarre infezioni, prevalentemente a carico degli occhi, delle orecchie e dell'epidermide, aumenta di tre o quattro volte, ed è ovviamente ancor più elevato nei confronti di coloro che nuotano. Il fenomeno del turismo di massa comporta un forte aumento, e persino la decuplicazione, della popolazione delle cittadine costiere nei periodi estivi, e ciò causa gravi problemi legati alla depurazione e allo smaltimento in mare delle acque reflue. Spesso i sistemi di depurazione sono sottodimensionati per il periodo di massima affluenza turistica, perché altrimenti risulterebbero troppo costosi durante il resto dell'anno. Sebbene il mare abbia una grande capacità autodepurante, in quanto le correnti tendono a diluire sia gli inquinanti sia i nutrienti dei microrganismi patogeni estranei all'ambiente marino, occorre del tempo perché questa diluizione diventi efficace. Un fattore agevolante è rappresentato dai fondali profondi: da ciò dipende la situazione molto più favorevole del Tirreno e dello Ionio rispetto a quella dell'Adriatico.
Dal punto di vista sanitario, hanno importanza alcuni parametri chimici, quali pH e concentrazione di ossigeno disciolto, che caratterizzano le acque. Per es., una sovrasaturazione di ossigeno indica generalmente la presenza in superficie di fioriture algali, possibile fonte di biotossine che tendono a concentrarsi nei frutti di mare, la cui ingestione può dar luogo a episodi di gastroenterite acuta, peraltro mai verificatisi in Italia prima del 1988-89. Per questo motivo, il Ministero della Sanità ha emanato una serie di disposizioni per disciplinare la raccolta dei molluschi.
Proseguendo l'esame dello schema riportato nella fig. 8 si giunge infine alla definizione dei criteri di qualità delle acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile (secondo il d.p.r. 3 luglio 1982, nr. 515 e successivi). In rapporto al loro grado di inquinamento, le acque sono classificate in tre categorie, per ognuna delle quali vengono date indicazioni sul procedimento di potabilizzazione da utilizzare. Si può intervenire con trattamenti di filtrazione attraverso strati di terreni speciali, sia a monte dei grandi bacini di riserva sia prima della immissione nella rete cittadina, ma più spesso occorre effettuare anche un trattamento ossidativo (aerazione, clorazione con cloro gassoso o con ipocloriti, ozonizzazione) al fine di distruggere i microrganismi patogeni e far precipitare i sali di ferro e di manganese in eccesso. È comunque evidente che, con l'aumentare dei livelli di contaminazione, cresce di conseguenza anche la complessità dei procedimenti di potabilizzazione. Al di sopra di determinati livelli di presenza batterica (20.000 coliformi fecali/100 ml) o di sostanze tossiche, tuttavia, non è più opportuno procedere alla potabilizzazione, a causa del rischio che sarebbe provocato dal massiccio impiego di reattivi chimici (per es. il cloro utilizzato per la disinfezione con conseguente produzione di cloroderivati tossici).
3.
La normativa italiana e quella dell'Unione Europea riguardo alla qualità delle acque destinate al consumo umano si basano su una serie di criteri (di interpretazione non sempre univoca) che possono subire variazioni quando la differente natura dei suoli si trovi a influenzare in modo determinante la composizione delle acque. Lo scopo della normativa comunitaria è soprattutto quello di far sì che tutta la popolazione, senza variazioni notevoli da un paese all'altro, possa disporre di acqua i cui valori caratteristici siano compatibili con quelli di riferimento. A tale scopo vengono regolamentati alcuni aspetti riguardanti le aree di approvvigionamento. Innanzitutto vengono definite l'area di tutela assoluta delle opere di presa, il cui raggio non deve essere inferiore a 10 m, la zona di rispetto (di raggio non inferiore a 200 m), nella quale sono vietate alcune attività considerate potenziali fattori di inquinamento (impiego di pesticidi, pascolo e stazzo di bestiame, discariche di qualsiasi tipo ecc.), e quella di protezione, che può essere molto vasta e sulla quale possono essere poste limitazioni per insediamenti civili, produttivi, turistici. Tale normativa che, come già detto, non si applica alle acque minerali, definisce per le acque destinate al consumo umano: a) le proprietà organolettiche; b) i parametri chimico-fisici in rapporto alle caratteristiche naturali delle acque; c) i parametri concernenti la presenza di sostanze tossiche; d) i parametri microbiologici.
Per i parametri chimico-fisici e microbiologici sono previste due serie di valori: i valori guida (VG), che dovrebbero costituire gli obiettivi cui deve tendere l'attività amministrativa, e le concentrazioni massime ammissibili (CMA), le quali possono avere un significato sanitario, oppure connesso alla tecnologia di distribuzione dell'acqua. Per i parametri che riguardano la presenza di sostanze tossiche è invece prevista soltanto la concentrazione massima ammissibile. La normativa definisce non solo i parametri da sottoporre ai controlli, ma anche la frequenza con cui questi devono essere effettuati: entrambi i fattori variano in base alla dimensione numerica della popolazione servita. Spesso i valori proposti dall'OMS e quelli recepiti in Italia da direttive della UE sono differenti, essendo i primi generalmente più elevati. Per le sostanze che possono rappresentare un rischio per la salute, i limiti fissati dall'OMS si basano su sperimentazioni tossicologiche sull'animale, su osservazioni epidemiologiche nell'uomo e su modelli matematici di valutazione del rischio. Al contrario l'UE, dopo aver individuato le sostanze tossiche, fissa per esse soglie spesso basate sui limiti analitici di rilevazione in rapporto alle strumentazioni utilizzabili. L'applicazione di questo principio ha creato molti problemi, perché alcuni limiti sono risultati incompatibili con la situazione ambientale italiana (in certi casi anche in rapporto alla composizione naturale dei suoli). Spesso si è dovuti perciò ricorrere al meccanismo legislativo della deroga, che può essere concessa dal Ministero della Sanità dietro richiesta delle regioni interessate, sempre che, naturalmente, il livello di deroga non determini un rischio sanitario inaccettabile.
Tra i parametri chimico-fisici delle acque potabili, assume un ruolo rilevante la temperatura; è infatti importante che la temperatura dell'acqua, misurata con continuità alla scaturigine, sia costante in funzione del tempo. Se infatti, con l'alternarsi delle stagioni, essa risulta soggetta a oscillazioni, ciò potrebbe significare che le acque risentono molto delle variazioni di temperatura che si verificano negli strati più superficiali del suolo: si tratterebbe allora di acque poco protette e a rischio di inquinamento. Notevole importanza hanno anche i valori di acidità dell'acqua: bassi valori di pH, infatti, associati alla presenza di anidride carbonica libera, rendono l'acqua aggressiva nei confronti dei metalli delle tubazioni, fenomeno che può portare alla liberazione da parte di queste ultime di metalli tossici per l'uomo. Attualmente tale rischio è relativamente basso, poiché le tubazioni sono in ferro o in sue leghe; queste, però, possono contenere come impurezze metalli fortemente tossici, quali il piombo e il cadmio.
Anche i minerali disciolti nell'acqua rivestono un ruolo molto importante nella salute umana. In particolare, il calcio svolge, tra le altre, anche una funzione protettiva nei riguardi dell'assorbimento di sostanze tossiche. Le indagini nutrizionali hanno dimostrato che la dieta di vasti gruppi della popolazione italiana è carente in calcio e che la copertura del fabbisogno giornaliero, che si aggira intorno agli 800 mg, può avvenire per mezzo dall'acqua. L'apporto di potassio con gli alimenti è invece di 3-4 g al giorno, per cui l'acqua può contribuire solo in minima parte a coprirne il fabbisogno. Per quanto riguarda magnesio e solfati, la legislazione italiana ha fissato dei valori di deroga da quelli massimi consentiti, che per il magnesio sono di 100 mg/l, a condizione che il livello dei solfati non superi i 400 mg/l, concentrazioni che possono essere raggiunte in particolari situazioni idrogeologiche. Il solfato di magnesio ha un effetto depurativo sull'apparato digerente umano e, in dosi più elevate, svolge una vera e propria azione lassativa. In soggetti sensibili, tali effetti si manifestano per concentrazioni di solfato di magnesio nell'acqua dell'ordine di 400 mg/l, anche se con il tempo si possono instaurare fenomeni di adattamento.
Sebbene auspicata da tempo, non esiste ancora una definizione ufficiale accettata a livello internazionale del termine 'durezza' dell'acqua. La durezza è una proprietà dell'acqua legata prevalentemente al suo contenuto in carbonati, bicarbonati e solfati di calcio e magnesio; gli oligoelementi vi contribuiscono solo in piccolissima parte. Si potrebbe quindi distinguere la durezza in calcica e magnesiaca, ma generalmente si preferisce esprimerla in equivalenti di carbonato di calcio. In Italia è molto utilizzato come unità di misura della durezza il grado francese (°F), che convenzionalmente si fa corrispondere a 10 mg di carbonato di calcio/l. Secondo una classificazione generalmente accettata, in rapporto alla durezza, le acque possono essere distinte in: a) acque molli, con meno di 10 °F; b) acque mediamente dure, la cui gradazione è compresa tra 10 e 35 °F; c) acque dure, con valori tra 35 e 50 °F; d) acque molto dure, con più di 50 °F.
Si possono calcolare inoltre la durezza totale, che è quella determinata sull'acqua non sottoposta ad alcun trattamento, la durezza permanente, che viene stabilita dopo l'ebollizione e quindi dopo la decomposizione dei bicarbonati, e infine quella temporanea, ricavata quale differenza tra la durezza totale e quella permanente. La valutazione della durezza delle acque ha un'enorme importanza da un punto di vista sia tecnologico sia sanitario. Le acque molli sono aggressive nei riguardi dei metalli delle tubazioni e rendono possibile la loro solubilizzazione. Le acque dure tendono invece a provocare la formazione di depositi nell'interno delle tubazioni, causando in qualche caso addirittura l'ostruzione di esse. L'elevata durezza dell'acqua comporta inoltre un maggior consumo di detersivi nelle operazioni di lavaggio, inconveniente che si può limitare formulando i detersivi con fosfati, polifosfati o zeoliti, allo scopo di sequestrare il calcio e il magnesio, oppure con l'impiego di resine a scambio ionico. In contrasto con questi aspetti tecnologicamente sfavorevoli delle acque dure, gli studi di epidemiologia ambientale avvalorano in modo abbastanza evidente l'ipotesi che il consumo di acque dure abbia un effetto protettivo nei riguardi delle patologie cardiovascolari.
Esiste infatti una relazione, statisticamente significativa, tra aumento della durezza dell'acqua distribuita e diminuzione della mortalità per patologie cardiovascolari. D'altro canto, poiché le malattie cardiovascolari sono tipicamente a eziologia multifattoriale (stile di vita, abitudini alimentari, fattori ereditari ecc.), i motivi di questa positiva caratteristica delle acque dure sono assai difficili da individuare. Tuttavia, sono state formulate alcune attendibili ipotesi: nella fase di cottura degli alimenti, le acque molli procurerebbero un impoverimento del loro contenuto in minerali, in particolare calcio e magnesio, che potrebbe essere la causa di un maggiore assorbimento di metalli tossici; inoltre, le incrostazioni provocate dalle acque dure all'interno delle tubazioni impediscono il contatto tra il metallo e l'acqua bloccando così il passaggio in soluzione di impurezze tossiche; è stato poi dimostrato che la contrattilità del ventricolo sinistro è in genere migliore quando le concentrazioni ematiche del calcio aumentano. A tale proposito, molte sono state le ipotesi avanzate su base biochimica, che considerano sia la presenza di oligoelementi nelle acque (piombo, rame, zinco, cromo ecc.) e i rapporti specifici tra essi, sia il ruolo svolto dal calcio, dal magnesio, dal sodio e dal potassio nella determinazione dei valori pressori. In definitiva, sebbene la maggioranza degli studi effettuati dimostri che la distribuzione di acque con durezza elevata (utilizzate anche per la preparazione degli alimenti) è un fattore di protezione nei confronti delle malattie cardiovascolari, le basi biochimiche del fenomeno non sono state identificate con certezza. Il livello della durezza delle acque destinate al consumo umano è comunque, anche per altri versi, un problema complesso, in quanto si rende necessaria una soluzione di compromesso tra gli aspetti tecnologici della distribuzione dell'acqua e quelli salutistici.
Per l'ammonio e i nitriti, un tempo considerati come indicatori della presenza nelle acque di rifiuti umani o animali, la concentrazione massima ammissibile (50 mg/l) si basa oggi su alcune considerazioni metaboliche. Lo ione nitrato (NO₃⁻) assunto dall'organismo viene in parte ridotto a nitrito (NO₂⁻) a opera della flora batterica presente nella bocca e nell'apparato digerente. Lo ione nitrito è però dannoso, perché può far cambiare lo stato di valenza del ferro contenuto nell'emoglobina e il prodotto che ne risulta (metaemoglobina) è incapace di svolgere la funzione di trasporto di ossigeno ai tessuti, propria dell'emoglobina. Nell'adulto, tuttavia, i bassi valori del pH (1,5-2) dell'apparato digerente non consentono normalmente la sopravvivenza di una flora batterica che sia in grado di operare tale riduzione in misura significativa, e inoltre è presente un enzima capace di riattivare l'emoglobina in breve tempo. Durante i primi mesi di vita, viceversa, il pH non è così basso e la più elevata colonizzazione batterica permette una maggiore possibilità di conversione dello ione nitrato a nitrito. Oltre a ciò, l'enzima che riattiva la funzionalità dell'emoglobina è carente nei bambini, e quindi l'assunzione di nitrati e nitriti può dar luogo a una pericolosa patologia, la metaemoglobinemia infantile.
La regolamentazione italiana, in rapporto alla presenza in alcune acque del sottosuolo di nitrati provenienti dal percolamento di fertilizzanti azotati, prevede un livello di deroga fino a 75 mg/l, tenendo però presente che le acque con valori superiori a 50 mg/l non possono essere impiegate per l'alimentazione del neonato e del bambino fino a un anno, per l'uso abituale come bevanda di soggetti a rischio, quali soggetti debilitati, defedati, con turbe della crasi ematica, nonché per la produzione di alimenti dietetici e per la prima infanzia. Sarebbe opportuno, dunque, che la popolazione fosse adeguatamente informata di queste limitazioni. Un ulteriore possibile rischio correlato con l'ingestione di nitrati e nitriti è la formazione di composti cancerogeni nell'apparato digerente, fenomeno che tuttavia non è stato ancora dimostrato con sufficiente evidenza.Altro elemento contenuto nell'acqua è il fluoro, essenziale alla vita, presente negli alimenti solo in quantità minima, per cui il suo apporto con l'acqua è molto importante. Il fluoro svolge un'azione di difesa nei riguardi della carie dentale, soprattutto se somministrato ai bambini in età scolare. Quest'attività è dovuta sia a un'azione antienzimatica sui batteri che colonizzano la superficie del dente, sia alla trasformazione dell'apatite della superficie del dente in fluoroapatite, più resistente all'attacco carioso. Se però l'apporto di fluoro è eccessivo, può verificarsi il fenomeno della fluorosi dentale (il dente inizialmente presenta macchie bianche per poi assumere una colorazione scura), mentre per assunzioni ancora più elevate, come quelle osservate durante esposizioni lavorative a composti del fluoro, l'elemento si fissa al tessuto osseo (fluorosi ossea) potendo anche causare deformazioni scheletriche.
Recenti indagini di epidemiologia ambientale hanno tuttavia dimostrato che adeguati quantitativi di fluoro nell'acqua (1,4 mg/l nel nostro clima) hanno un'azione altamente protettiva nei riguardi dell'osteoporosi, una patologia tipica della donna dopo la menopausa. Infatti, fissandosi al tessuto osseo, il fluoro contrasta la deplezione del calcio, riducendo il rischio di fratture ossee. Tale riduzione supera l'80% quando si confrontano soggetti che utilizzano per uso potabile acque contenenti solo tracce di fluoro (0,1 mg/l o meno) con altri che ingeriscono acque adeguatamente ricche di questo elemento. I limiti della concentrazione di fluoro nell'acqua potabile, proposti dalla direttiva comunitaria e recepiti in Italia (0,7-1,5 mg/l), variano in rapporto alla temperatura media ambientale: a temperature più elevate, infatti, sono considerate accettabili concentrazioni di fluoro più basse, a causa dei maggiori consumi di acqua. Tali limiti sono continuamente oggetto di discussione e di diverse interpretazioni, per cui è auspicabile che le concentrazioni considerate ottimali di questo elemento siano riviste alla luce delle più recenti conoscenze scientifiche, anche perché il fluoro tende a formare complessi con altri elementi presenti nelle acque (in particolare l'alluminio) che possono diminuirne la biodisponibilità. In Italia è possibile derogare dalla concentrazione massima accettabile fino al livello di 3 mg/l (decreto del Ministero della Sanità 20 gennaio 1992).
Anche i parametri riguardanti la presenza di sostanze tossiche sono regolamentati da normativa: per es. la concentrazione massima ammissibile di antiparassitari, stabilita dalla legge italiana, è al limite di sensibilità dei metodi di analisi e quindi risulta notevolmente al di sotto dei valori stabiliti da criteri tossicologici, mentre i valori guida dell'OMS, generalmente molto superiori, si basano su prove sperimentali di tossicità. Un'altra categoria di prodotti comprende i cosiddetti composti organoalogenati, tra i quali possono essere individuati due gruppi di sostanze: quelle che si formano per azione del cloro (utilizzato come disinfettante) sulle sostanze organiche naturalmente presenti nelle acque stesse e quelle appartenenti al gruppo dei solventi industriali, cui si deve la contaminazione della acque di falda per indiscriminati smaltimenti nei suoli. Data la pericolosità di queste sostanze, la disinfezione delle acque con il cloro e i suoi derivati dovrebbe essere effettuata solo in caso di effettiva necessità. La contaminazione da solventi, che ha determinato la chiusura di molti approvvigionamenti idrici soprattutto nelle regioni del Nord, è invece in fase di controllo mediante appositi interventi di risanamento. Particolarmente tossiche possono essere inoltre sostanze come i sali di cromo e i cianuri provenienti dalle industrie di galvanoplastica o i sali di cromo delle concerie. I sali di metalli pesanti o i composti metallorganici provocano inquinamento delle falde acquifere delle pianure industrializzate; essi possono anche accumularsi in organismi che entrano nella catena alimentare umana (gravissimi avvelenamenti sono stati provocati da pesci pescati in acque ricche di sali di mercurio).
Infine, particolare rilievo nella determinazione della qualità delle acque possiedono i parametri microbiologici.
La patologia infettiva di origine idrica ha suscitato da sempre la massima attenzione delle autorità sanitarie e, nonostante i procedimenti di disinfezione abbiano ridotto il rischio infettivo, il controllo deve essere mantenuto costante. Nelle acque non si effettua in genere (o solo raramente) la ricerca dei singoli germi patogeni, in quanto i risultati sono spesso scarsamente riproducibili e i tempi di identificazione piuttosto lunghi. Vengono invece utilizzati come indicatori di inquinamento di origine fecale delle acque quei batteri normalmente presenti nell'intestino dell'uomo e degli animali a sangue caldo, soprattutto Escherichia coli (coliformi termoresistenti) e streptococchi fecali. L'identificazione della presenza di contaminanti si basa su criteri probabilistici: per es. le acque di scarico domestiche contengono circa 3.000.000 di coliformi in 100 ml e le salmonelle (responsabili di forme tifoidi) si trovano nel rapporto di circa 1/1000 coliformi fecali; analogamente, i virus enterici sono presenti nel rapporto di 1/1.000.000 di coliformi. Di conseguenza, se in un volume noto di acqua potabile (per es. 100 ml) viene accertata l'assenza degli indicatori di contaminazione fecale (per es. i coliformi fecali), è evidente che la probabilità che vi siano agenti patogeni di origine umana o animale (salmonelle, virus enterici ecc.) è praticamente inesistente. Anche sulla base di questi criteri sono stati stabiliti i valori limite per i parametri microbiologici di qualità delle acque potabili.
1.
La descrizione, la definizione e la classificazione delle acque minerali hanno subito, nel tempo, notevoli modificazioni. Secondo la legge italiana in vigore fino alla fine degli anni Ottanta, erano considerate acque minerali quelle adoperate sia come bevanda sia per usi curativi, per le loro speciali proprietà terapeutiche o igieniche. Successivamente, in accordo con le direttive dell'Unione Europea, è stato emanato il d.l. 105/92, che considera acque minerali naturali quelle acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno particolari caratteristiche igieniche e proprietà favorevoli alla salute. Le acque minerali naturali si distinguono dalle ordinarie acque potabili per la loro purezza, che deve caratterizzarle sia all'origine sia nei tempi successivi, per il tenore di minerali, oligoelementi e altri costituenti, e per i loro effetti. Per tali motivi esse vanno tenute al riparo da ogni rischio di inquinamento. Entrambe le definizioni riportate rappresentano un concetto medico-giuridico collegato a proprietà particolari e non alla mineralizzazione in quanto tale. Nei testi medici il termine 'minerale' attribuito all'acqua non è connesso (se non altrimenti specificato) al criterio di mineralizzazione, ma al senso espresso nelle disposizioni di legge sopra riportate.
Come ogni tipo di acqua presente sulla terra e usata dall'uomo, le acque minerali hanno una composizione molto complessa. Per una loro valutazione generale può essere sufficiente prendere in considerazione i seguenti parametri: a) elementi chimici presenti nell'acqua: comprendono gli elementi di massa (H e O), i macroelementi (Ca, Na, Mg, S ecc.), rilevabili in quantità medie, e gli oligoelementi o elementi in traccia (Fl, Mn, Cr, Si ecc.), che si trovano in quantità esigue. Per ognuno di questi elementi vanno considerati i rispettivi isotopi, radioattivi e stabili, questi ultimi oggi molto importanti nella pratica clinica; b) combinazione (speciazione) degli ioni presenti nell'acqua minerale: questi ioni possono reagire tra loro e formare sali diversi (solfati, bicarbonati ecc.) con differenti azioni biologiche e curative; c) gas: possono essere naturali o formarsi in seguito alla combinazione degli ioni presenti; essi contribuiscono a determinare le proprietà biologiche, curative e organolettiche delle acque minerali;d) sostanze organiche: possono essere di varia natura e costituiscono sempre un'importante caratteristica delle acque minerali.
2.
Le acque minerali possono essere classificate in vario modo, a seconda di quale parametro venga di volta in volta considerato: per es., la composizione chimica e chimico-fisica (quantitativa e qualitativa), la temperatura, la concentrazione dei soluti o le proprietà curative. Relativamente alla composizione chimica e chimico-fisica delle acque minerali si fa da tempo riferimento alla classificazione di Marotta e Sica, che prende in considerazione per gli aspetti quantitativi il cosiddetto residuo fisso, cioè la quantità di sali presenti dopo che l'acqua è stata portata alla temperatura di 180 °C, e per quelli qualitativi l'anione prevalente. In base a tale classificazione, ancora in uso specialmente per le acque minerali non imbottigliate e impiegate nelle cure presso le terme, si possono individuare: a) acque oligominerali, con un residuo fisso a 180 °C non superiore a 200 mg/l; b) acque mediominerali, con residuo fisso a 180 °C non superiore a 1 g/l; c) acque minerali propriamente dette, con residuo fisso a 180 °C superiore a 1 g/l.
In accordo con le definizioni sopra riportate, ciascuno dei tre tipi di acqua, dal punto di vista medico e giuridico, è un'acqua minerale, cioè un'acqua con proprietà favorevoli alla salute. Per quanto riguarda il contenuto ionico, la classificazione di Marotta e Sica considera anzitutto quale sia l'anione prevalente e, successivamente, il catione o i cationi a loro volta prevalenti. Le acque possono quindi essere distinte ulteriormente in: salse, a loro volta suddivise in salso-solfate-alcaline e salso-solfate-alcalino-terrose, salso-iodiche, salso-bromo-iodiche ecc.; sulfuree, suddivise in sulfureo-salse, sulfureo-salso-iodiche, sulfureo-solfate ecc.; arsenicali ferruginose; bicarbonate, suddivise in bicarbonato-alcaline, bicarbonato-alcalino-terrose, bicarbonato-solfate ecc.; solfate, suddivise in solfato-alcaline e solfato-alcalino-terrose ecc.
Una diversa classificazione, effettuata sulla base della temperatura dell'acqua alla sorgente, distingue le acque in ipotermali (tra 20 e 30 °C), omeotermali (tra 30 e 40 °C) e ipertermali (più di 40 °C). Le acque minerali vengono anche classificate come ipotoniche, isotoniche e ipertoniche, quale risultato del confronto tra la loro concentrazione molare e quella del sangue umano. Ulteriori criteri di classificazione sono indicati dal decreto del Ministero della Sanità del 1° gennaio 1983 riguardante le norme per le etichette delle acque minerali, emanato in accordo alla direttiva dell'Unione Europea in materia di riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri sulla utilizzazione e commercializzazione delle acque minerali. Secondo tale decreto, sulle etichette "possono essere riportate una o più delle seguenti indicazioni, concernenti il contenuto dei sali delle acque minerali naturali: oligominerale o leggermente mineralizzata, se il tenore dei sali, calcolato come residuo fisso, non è superiore a 500 mg/l; minimamente mineralizzata, se il tenore dei sali, calcolato come residuo fisso, non è superiore a 50 mg/l; ricca di sali minerali, se il tenore di questi, calcolato come residuo fisso, è superiore a 1500 mg/l; contenente bicarbonato, se il tenore di bicarbonato è superiore a 200 mg/l; solfata, se il tenore dei solfati è superiore a 200 mg/l; clorurata, se il tenore di cloruro è superiore a 200 mg/l; calcica, se il tenore di calcio è superiore a 150 mg/l; magnesiaca, se il tenore di magnesio è superiore a 50 mg/l; fluorata o contenente fluoro se il tenore di fluoro è superiore a 1 mg/l; ferruginosa o contenente ferro, se il tenore di ferro bivalente è superiore a 1 mg/l; sodica, se il tenore di sodio è superiore a 200 mg/l; indicata per le diete povere di sodio, se il tenore di sodio è inferiore a 20 mg/l".
Qualunque sia la classificazione scelta, essa è in grado di esprimere soltanto una delle caratteristiche di un'acqua minerale, senza quindi definirla completamente dal punto di vista delle proprietà biologiche, curative o favorevoli alla salute. Queste infatti non possono essere dedotte in base, per es., alla composizione chimica, ma devono essere dimostrate tramite appropriati studi idrogeologici, chimici e microbiologici e con indagini farmacologiche e cliniche. Quando un'acqua naturale è riconosciuta come acqua minerale essa diventa parte del patrimonio indisponibile della regione in cui si trova la sorgente.
3.
Gli effetti delle acque minerali favorevoli al mantenimento e al ristabilimento della salute sono funzione, oltre che della loro composizione, anche delle modalità di assunzione e di applicazione di determinate tecniche d'uso. Insieme ai fanghi termali e alle grotte, le acque minerali sono considerate anche un mezzo di cura termale. Un loro tipico impiego, direttamente presso le terme, è la cura idropinica, che consiste nel bere, secondo prescrizione medica, una determinata quantità di acqua a una certa temperatura con tempi e ritmi prestabiliti. Presso gli stabilimenti termali, sono possibili anche altre modalità di utilizzazione, a seconda delle differenti indicazioni cliniche, quali le cure inalatorie (nebulizzazione, inalazione, aerosol, humages), irrigatorie (nasale, orale, intestinale, vaginale), la balneoterapia e la fangoterapia. Le acque minerali possono tuttavia essere utilizzate anche dopo essere state imbottigliate e distribuite in commercio (quindi principalmente in relazione all'alimentazione o alla prosecuzione domiciliare di cure idropiniche).
Le possibili influenze sulla salute di un'acqua minerale assunta per via orale sono numerose e variano in base alla composizione qualitativa e quantitativa dell'acqua stessa, e con la quantità bevuta. L'uso di un'acqua minerale può avere effetti rilevanti, infatti, su diversi aspetti fisiologici dell'organismo, quali l'omeostasi idrica, la pressione osmotica, l'equilibrio acido-base e quello termico, i processi metabolici e plasmatici. Per tali motivi la cura idropinica può essere impiegata sia come coadiuvante sia come vero e proprio mezzo curativo in una serie di affezioni dell'apparato digerente, del fegato e dell'apparato uropoietico e ogni qualvolta sia necessaria una maggiore assunzione di sali senza un contemporaneo aumento dell'apporto calorico.
Per quanto riguarda le patologie dell'apparato digerente, le cure idropiniche vengono prescritte principalmente nel caso di acidità gastrica, dispepsia di origine gastroenterica e biliare, sindrome del colon irritabile (specialmente se associata a stipsi) e stipsi cronica semplice, mentre in relazione alla fisiopatologia epatobiliare esse sono indicate, oltre che per la dispepsia biliare, anche per taluni disturbi correlati con alterata motilità della colecisti, e per i postumi dolorosi di interventi alla colecisti e alle vie biliari. Le acque minerali esercitano anche un benefico effetto sull'apparato urinario (o uropoietico). In particolare, quelle a bassa e media concentrazione di sali sono in grado di determinare un effetto diuretico, cioè di indurre la deiezione di una maggiore quantità di urina rispetto a quella provocata dall'assunzione di pari quantità di acqua di fonte. La loro ingestione provoca anche un aumento dell'eliminazione urinaria dell'acido urico, con influenze favorevoli sull'alterato metabolismo di questa sostanza e sugli altri aspetti di fisiopatologia che ne derivano. In genere, si determina riduzione della sovrasaturazione di talune sostanze presenti nelle urine e un vero e proprio lavaggio delle vie urinarie, capace di impedire o ridurre la formazione di aggregati, renella, calcoli, e di favorirne l'espulsione. Da ciò deriva l'azione preventiva e curativa sulla formazione o riformazione di calcoli renali.
La somministrazione di acque minerali può avvenire anche mediante diverse tecniche inalatorie, che si rivelano utili in talune broncopneumopatie croniche occlusive e nelle patologie dell'orecchio, del naso e della gola, come le rinopatie, le faringotonsilliti, le laringiti, le sinusiti, le otiti catarrali croniche e recidivanti e la sordità rinogena. La terapia irrigatoria termale è invece particolarmente indicata per alcune forme di fisiopatologia cronica in distretti anatomici sui quali è possibile l'immissione diretta di acque minerali, quali, per es., le paradenziopatie, le sinusiti, le rinofaringiti croniche, il colon irritabile e la stipsi cronica semplice. Le acque minerali impiegate sotto forma di balneoterapia esercitano azioni favorevoli alla salute in caso di patologie dermatologiche (alcune forme di psoriasi, eczemi ecc.), di disturbi ai vasi periferici e di malattie reumatiche (osteoartrosi e altre forme degenerative, reumatismi extra-articolari, artropatie da alterazioni metaboliche ecc.). Per queste ultime sono utili anche i fanghi termali, di cui le acque minerali rappresentano la componente liquida. Tutte le indicazioni riportate variano naturalmente a seconda del tipo di acqua minerale e delle tecniche d'uso impiegate.
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