ACQUA (I, p. 355; App. I, p. 15)
Potabilizzazione. - L'aggressività delle acque verso le condotte metalliche e cementizie, è dovuta prevalentemente all'ossigeno e all'anidride carbonica in esse disciolti. E mentre l'ossigeno non può essere eliminato dalle acque senza che esse perdano il loro carattere di potabilità, può essere invece modificato, senza danno, il contenuto in anidride carbonica. Se la reazione di equilibrio CaCO3 + H2CO3 ⇄ Ca(HCO3)2 tende a spostarsi verso destra, l'acqua diviene aggressiva, se verso sinistra, incrostante.
È prudente lasciare all'acqua una leggera tendenza incrostante, perché lo strato sottilissimo di carbonato di calcio che si deposita sui tubi metallici serve a proteggerli dalla corrosione.
Molto sviluppo ha avuto l'uso del carbone attivo per la eliminazione degli odori e sapori, e come declorante. In impianti già esistenti il carbone attivo si aggiunge in polvere, in dosi di qualche mg./l.; l'aggiunta si fa talora prima della chiarificazione, talaltra prima della filtrazione. In impianti nuovi si preferisce l'installazione di filtri a carbone attivo con altezza di strato filtrante di m. 1,50 ÷ 2,50 e velocità di filtrazione da 130 a 150 m./ora, nei quali il carbone può essere riattivato con varî sistemi.
Nell'uso del cloro, si accentua la tendenza a una superclorazione seguita dalla declorazione, sistema che rende più semplice il controllo dell'impianto. Negli Stati Uniti d'America l'acqua declorata, prima d'essere inviata alla distribuzione viene riaddizionata di 0,2 ÷ 0,3 mg./l. di cloro, per assicurarle potere battericida. La superclorazione s'effettua per lo più con una clorazione frazionata, e cioè con una pre-clorazione prima della filtrazione e una post-clorazione dopo la filtrazione.
Molto sviluppo prende all'estero l'addolcimento delle acque potabili, allo scopo di migliorarne il gusto e di eliminare i varî inconvenienti dovuti alla durezza. Il processo generalmente adottato è quello a calce-soda, seguito da una ricarbonazione, cioè da un arricchimento del contenuto di anidride carbonica, necessario per eliminare le caratteristiche incrostanti dell'acqua, dovute ai nuclei microscopici di carbonato che essa trasporta con sé dopo il processo. L'anidride carbonica viene insufflata nell'acqua da trattare attraverso piastre porose, disposte sul fondo di un canale di sufficiente lunghezza. Sarebbe augurabile che l'addolcimento delle acque potabili si facesse più largamente anche in Italia, in quelle regioni dove è distribuita acqua molto dura.
Dal punto di vista costruttivo si nota negli impianti una sempre maggiore tendenza alla meccanizzazione e alla diffusione di vasche di chiarificazione circolari con flusso radiale, ecc.
Depurazione delle acque di rifiuto. - Notevoli progressi sono stati fatti nello studio della autodepurazione nei corsi d'acqua naturale, e del bilancio dell'ossigeno che sta alla base del processo. Da un lato è da considerare l'ossigeno consumato dall'attività biochimica (BOD o Biochemical oxigen demand "ossigeno biochimico richiesto"); dall'altro l'ossigeno messo a disposizione dall'ambiente, e cioè quello contenuto nelle acque diluite, quello ulteriormente disciolto dall'atmosfera e quello sviluppato dal metabolismo vitale delle piante acquatiche a clorofilla. Perché non vi siano fenomeni putrefattivi nel corso d'acqua diluente, questo bilancio deve essere sempre attivo, e se si vuole anche garantire la vita degli organismi superiori e specialmente dei pesci, occorre che il tenore d'ossigeno raggiunga valori pari al 25-30% di quelli di saturazione.
La determinazione del BOD, tanto per i liquami bruti (400-500 mg./l.) che per i liquami chiarificati (200-250 mg./l.), e per quelli completamente depurati (30-50 mg./l.), quanto infine per le acque dei fiumi (pochi mg./l.) rappresenta oggi la ricerca di laboratorio più importante: sia per seguire il processo epurativo artificiale che l'autodepurazione in fiume. Questa determinazione si fa con varî metodi, che consentono di misurare il consumo di ossigeno provocato dall'attività biochimica a una data temperatura (per lo più 20 °C) e per un dato periodo di tempo (per lo più cinque o venti giorni, ritenendosi dopo 20 giorni praticamente esaurito il processo).
Maggiori difficoltà si hanno nel determinare l'efficacia della riossigenazione, e prevalentemente l'ossigeno atmosferico che si va disciogliendo. La riossigenazione dipende essenzialmente dal deficit di saturazione dell'ossigeno attualmente disciolto, dalla temperatura e dalla maggiore o minore facilità con cui si rinnova lo strato d'acqua a contatto con l'atmosfera (velocità della corrente).
Subito a valle di uno scarico lurido tale deficit crescerà e allora tenderà ad aumentare la dissoluzione dell'ossigeno atmosferico, sicché a un periodo di rapida diminuzione dell'ossigeno disciolto, ne seguirà uno di più lento graduale aumento. Poiché durante lo svolgersi del fenomeno l'acqua scorre nel fiume, si avrà un primo tratto a valle dello scarico con acqua poco aerata (zona inquinata) o addirittura priva di ossigeno e svolgente quindi fenomeni putrefattivi (zona settica), mentre più oltre, a misura che la riossigenazione procede e il fenomeno biochimico rallenta, si passa in zone dove cominciano a rivedersi le piante a clorofilla e molti metazoi (zona contaminata) e finalmente al tratto in cui è di nuovo possibile la vita dei pesci e l'acqua è ritornata praticamente chiara (zona purificata).
Sulla base di questi concetti si può oggi fissare, con molta maggiore precisione che in passato, quale sia il grado di depurazione a cui deve assoggettarsi l'acqua di rifiuto.
La depurazione irrigativa è sempre più in disuso. L'irrigazione con liquami bruti è, salvo rarissime eccezioni (Milano), abbandonata; quella con liquami chiarificati si pratica più frequentemente; in tal caso però, se non è possihile un adatto scarico dei liquami durante i periodi non irrigui, occorre provvedere a un impianto ossidativo che funzionerà solamente una parte dell'anno.
Un progresso interessante nel campo dei percolatori è rappresentato dall'adozione dei percolatori intensivi, capaci di trattare quantità di liquami 4-5 volte maggiori di quelle trattate nei percolatori normali. Occorre però adottare un'opportuna diluizione dei liquami con acque chiare o mediante ricircolazione di una parte dell'effluente. È stata anche adottata l'ossidazione in due stadî, mettendo in serie due percolatori intensivi di minore altezza (1-2 m.). L'efficienza dei percolatori intensivi è alquanto inferiore (10-15%) di quelli normali, ma il vantaggio nel risparmio di spazio è spesso notevole.
L'uso del cloro negli impianti di depurazione diviene sempre più importante; esso, oltre alla purificazione degli effluenti ossidati o chiarificati, serve anche a rallentare la decomposizione dei liquami bruti o dei fanghi, a ridare freschezza ai liquami in stato settico, ad eliminare l'insorgere di cattivi odori durante i trattamenti, ad aumentare la separazione dei grassi negli appositi sgrassatori, ad eliminare gli ingorghi e la formazione di mosche nei percolatori, a contenere un eventuale rigonfiamento (bulking) del fango attivo, rigonfiamento che è dovuto all'accrescersi di organismi filamentosi e che è molto dannoso per l'efficienza del processo. Per la disinfezione dei liquami bruti, si adottano dosi di 20-30 mg./l. di cloro; per liquami chiarificati bastano 10- 20 mg /l.; per effluenti ossidati 1-3 mg./l.; per arrestare lo sviluppo di cattivi odori 4-5 mg./l. Occorre controllare che, dopo 15 minuti di contatto, resti almeno un cloro-residuo di 0,5 mg./litro.
Nel campo della digestione ed essicamento dei fanghi, oltre agli impianti di digestione in due stadî, a quelli d'essiccamento meccanico del fango grezzo o digerito, vanno sempre più diffondendosi quelli per l'utilizzazione del gas della digestione che può essere inviato nei gassometri o compresso e utilizzato come carburante (Torino) (v. metano, in questa App.); o bruciato per riscaldare le vasche di digestione o per essiccare o incenerire il fango, le sostanze grigliate o le immondizie; o, infine, adoperato come carburante per produzione di energia nell'impianto stesso. È stata sperimentata, ma non ancora applicata in pratica, l'utilizzazione della digestione termofilica a temperature intorno a 50°.
Si moltiplicano gli esperimenti di digestione delle immondizie cittadine, immesse nel ciclo dell'impianto epurativo delle acque di fogna, dopo triturazione in apposite macchine. Non può dirsi però che questo processo sia entrato in pieno nella pratica applicazione.
Per quanto riguarda la scelta del sistema epurativo, le ricerche finora compiute hanno dimostrato che le acque delle fognature pluviali, salvo eventi meteorici eccezionali, hanno un contenuto organico elevatissimo, e che i corsi di acqua sono molto più sovraccaricati da sostanze fangose che da sostanze in sospensione colloidale o disciolta. Ne viene di conseguenza che, quando le condizioni di scarico sono difficili, oltre alla ossidazione parziale o totale delle acque nere chiarificate, si rende necessario provvedere anche alla chiarificazione delle acque meteoriche in apposite vasche a piopgia.