ACQUA
(I, p. 339; App. I, p. 15; II, i, p. 16; III, i, p. 12; IV, i, p. 21; V, i, p. 26)
Le proprietà dell'a. e le sue varie tipologie (a. potabili, a. minerali, a. industriali ecc.) sono descritte nel I vol. dell'Enciclopedia Italiana. Tutte le Appendici aggiornano progressivamente lo stato delle conoscenze sui trattamenti di potabilizzazione e di depurazione; nelle App. IV e V vengono approfondite anche le problematiche del ciclo dell'a. e dell'utilizzazione delle risorse idriche. In questa Appendice l'attenzione è stata focalizzata sui due punti cruciali attraverso i quali, in Italia, passa l'intera problematica dell'a.: da una parte l'analisi delle risorse idriche (fabbisogni e stato delle infrastrutture) alla luce anche della più recente normativa e del quadro di riferimento internazionale, dall'altra il ruolo dell'innovazione per il potenziamento dei servizi idrici, con particolare riferimento ai processi avanzati di trattamento delle acque.
Quadro generale delle risorse idriche in Italia
Consumi
L'agricoltura è il settore caratterizzato dal più elevato consumo di a. (64,1% del fabbisogno idrico complessivo); il consumo di a. per usi industriali rappresenta il 13,6% del totale, mentre il 10,7% è necessario per la produzione di energia. Pertanto, il consumo di a. potabile per usi civili impegna soltanto l'11,6% del fabbisogno idrico complessivo, anche se costituisce l'aspetto del problema 'acqua' più rilevante e percettibile dall'opinione pubblica in quanto influisce direttamente sulla salute della popolazione e sull'espansione turistica. In termini quantitativi, da un'indagine dell'ISTAT svolta nel 1987 risultava che l'a. erogata per usi civili era pari a 277 l per abitante e per giorno (tab. 1), cioè a circa 200 m³/s (Deserti 1992). Quasi il 90% dell'a. consumata per uso potabile in Italia proviene da sistemi idrici sotterranei, mentre la parte rimanente viene attinta da a. superficiali (Bertini, Cipollini, Tundo 1995). Nei prossimi 25 anni è previsto in Italia un raddoppio del consumo di a. potabile, con una significativa crescita percentuale del prelievo di a. superficiali (Giannini, Spannocchi, Masotti 1997).
Infrastrutture idriche
La tab. 2 riporta i quantitativi annuali di a. addotta, immessa in rete ed erogata per ogni regione italiana (Protopapa 1994). Risulta così che gli acquedotti sono capaci di addurre quasi 8 miliardi di m³/anno di a. potabile, ma l'erogazione è soltanto di circa 6 miliardi di m³/anno. Questo dato evidenzia l'elevato valore delle dispersioni (27% dell'a. addotta), concentrate soprattutto nella rete di distribuzione. Le dispersioni sono più elevate nel Sud dell'Italia, cioè proprio nelle regioni già meno ricche di risorse idriche. La fatiscenza delle infrastrutture idriche è in parte imputabile all'estrema frammentazione degli impianti. Infatti, all'inizio degli anni Novanta gli acquedotti esistenti in Italia erano quasi 14.000, di cui oltre il 90% con diffusione soltanto comunale; inoltre, la gestione delle risorse idriche (affidata per circa il 95% al settore pubblico) risultava ripartita fra circa 6000 aziende (comunali o pubbliche speciali). Ugualmente non rassicuranti sono i dati inerenti alle opere igienico-sanitarie: da un'indagine compiuta da Federgasacqua (Cecchi, Ranieri, Bahlke 1996) è emerso che a metà degli anni Novanta la copertura risultava pari al 77% per le reti fognarie e al 63% per gli impianti di depurazione (tab. 3).
A rendere più difficile l'attuazione delle operazioni di riassetto infrastrutturale concorreva un sistema tariffario che non includeva gli oneri conseguenti agli investimenti, capace di coprire solo in parte i costi della mera gestione, come evidenziato anche dal prezzo medio dell'a. (comprensivo del servizio di fognatura e di depurazione) che in Italia si attestava sulle 800 lire/m³, a fronte di prezzi ben più elevati (1500÷2500 lire/m³) praticati nei principali paesi europei.
La più recente normativa (v. oltre) cerca di sopperire a questo stato di carenze infrastrutturali e di disaggregazione organizzativa, introducendo il principio di gestione integrata del ciclo dell'acqua.
Quadro normativo
In materia di a. il principale riferimento normativo è stato per molto tempo il t. u. r.d. 11 dic. 1933 nr. 1775, che era finalizzato soprattutto al massimo sfruttamento delle risorse idriche per fini produttivi, senza prendere in considerazione la pianificazione del loro impiego. Occorre attendere il 1968, con l'emanazione delle direttive per il Piano regolatore generale degli acquedotti che fissa criteri di priorità per gli approvvigionamenti idrici di uso civile, per registrare un intervento legislativo che incominci a prefigurare un'attenzione verso una politica di salvaguardia delle risorse idriche. Un ulteriore passo in avanti è rappresentato dalla l. 10 maggio 1976 nr. 319 (legge Merli) che, pur in una visione ancora settoriale della problematica (in quanto incentrata essenzialmente sulla depurazione), introduce, attraverso i Piani di risanamento delle a. affidati alle Regioni, criteri per un uso razionale delle risorse idriche.
Gli anni Ottanta e Novanta hanno fatto registrare una profonda revisione del quadro normativo italiano in materia di acque.
Il d.p.r. 3 luglio 1982 nr. 515, emanato in attuazione della direttiva CEE nr. 75/440, prevede la suddivisione delle a. destinate alla produzione di a. potabile nelle categorie A₁, A₂, A₃ sulla base dei valori-limite dei parametri fisici, chimici e microbiologici riportati in un'apposita tabella allegata al d.p.r.; in dipendenza della categoria di appartenenza devono essere adottati specifici trattamenti. Con il d.p.r. 24 maggio 1988 nr. 236, emanato in attuazione della direttiva CEE nr. 80/778, vengono stabiliti i requisiti di qualità delle a. destinate al consumo umano e introdotte misure finalizzate a garantire la difesa delle risorse idriche. Per ciascuno dei parametri da tenere sotto controllo vengono riportati i valori guida (ideali) e le concentrazioni massime ammissibili; nella norma vengono inoltre indicati i metodi analitici di riferimento da adottare e le frequenze minime di campionamento.
Una svolta nella direzione di una gestione coordinata del ciclo dell'a. che tenga conto dei principali aspetti ambientali a esso connessi è rappresentata dalla l. 18 maggio 1989 nr. 183 in materia di difesa e conservazione del suolo, che istituisce l'Autorità di bacino idrografico, intesa come sede di coordinamento delle attività di programmazione, pianificazione e controllo, e definisce nel Piano di bacino lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo con cui devono essere pianificate e programmate le azioni di difesa del suolo e di gestione delle acque. La legge prevede altresì l'istituzione di Servizi tecnici nazionali (idrografico e mareografico; sismico; dighe; geologico) ai quali è affidata la gestione del Sistema informativo nazionale e regionale. Negli anni Novanta la legislazione in materia di risorse idriche ha operato un definitivo riassetto del modello di gestione. La l. 8 giugno 1990 nr. 142 attribuisce alle Province le funzioni di tutela e valorizzazione delle risorse idriche e stabilisce che i servizi idrici possono essere gestiti dai Comuni anche per mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico. Il d.p.r. 12 luglio 1993 nr. 275 revisiona la determinazione dei canoni per concessioni riguardanti a. pubbliche. È soprattutto la l. 5 genn. 1994 nr. 36 (legge Galli) che dà definitiva attuazione, in modo sistematico, al principio di gestione integrata del ciclo dell'a. (dalla captazione all'adduzione, al trattamento, alla distribuzione, al convogliamento fognario, alla depurazione e allo smaltimento). La legge stabilisce che tutte le a. superficiali e sotterranee sono pubbliche e costituiscono una risorsa da salvaguardare e utilizzare secondo criteri di solidarietà e di tutela del patrimonio ambientale; sancisce inoltre la priorità dell'uso dell'a. per il consumo umano e fissa i criteri per l'organizzazione, sulla base di ambiti territoriali ottimali, della gestione del servizio idrico integrato, costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione delle a. per usi civili, di fognatura e di depurazione delle a. reflue. È prevista anche l'adozione, da parte delle Regioni, di convenzioni tipo, con relativo disciplinare, per regolare i rapporti tra gli enti locali e i soggetti gestori dei servizi idrici integrati; vengono dettati altresì i criteri per la determinazione della tariffa del servizio idrico e dei canoni per le utenze di a. pubbliche. Al fine di garantire l'osservanza dei nuovi criteri di gestione viene istituito un comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche presso il Ministero dei Lavori pubblici. La l. nr. 36 del 1994 rovescia, in definitiva, il principio ispiratore del t. u. del 1933 ed è destinata a modificare profondamente la struttura dell'industria dell'a. con la progressiva conversione delle 6000 aziende dell'a. in un centinaio di soggetti gestori; inoltre la determinazione della tariffa del servizio pubblico viene effettuata con criteri completamente nuovi che contabilizzano i costi degli investimenti e consentono la remunerazione del capitale investito.
Nel 1994, oltre alla legge Galli, vengono emanati altre due importanti provvedimenti legislativi: la l. 5 genn. 1994 nr. 37, che reca norme per la tutela ambientale delle aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre a. pubbliche, nella prospettiva di una più ampia tutela del demanio pubblico rispetto alle esigenze dei soggetti privati interessati, e la l. 21 genn. 1994 nr. 61 (conversione di d.l. 4 dic. 1993 nr. 496), che istituisce l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA), e le Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente (ARPA) che vengono a esercitare le funzioni pubbliche per la protezione dell'ambiente e, quindi, anche delle acque.
Con riferimento specifico alle esigenze di depurazione, la l. 17 maggio 1995 nr. 172 (conversione di d.l. 17 marzo 1995 nr. 79) recepisce di fatto le linee guida della direttiva CEE nr. 91/271 concernente il trattamento delle a. reflue urbane. Tale direttiva introduce elementi di novità rispetto alla legge Merli che non stabiliva un legame diretto fra i limiti allo scarico e le reali esigenze dei corpi idrici ricettori. La direttiva, invece, considera l'effettivo impatto degli scarichi trattati sull'ambiente naturale introducendo la distinzione fra aree sensibili e non. Per aree sensibili s'intendono, per esempio, i sistemi idrici (a. interne, estuari, a. costiere e mari) che risultino eutrofizzati (o esposti alla eutrofizzazione). La direttiva prescrive che le a. reflue urbane siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, a un trattamento più spinto, capace di soddisfare, in termini di concentrazioni di nutrienti (azoto e fosforo), i requisiti indicati in un'apposita tabella. Infine, il d. legisl. 11 maggio 1999 nr. 152 recante disposizioni sulla tutela delle a. dall'inquinamento, in recepimento della sopracitata direttiva CEE nr. 91/271 e della direttiva CEE nr. 91/676 concernente la protezione delle a. dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, ha ulteriormente ribadito il principio di una gestione integrata della risorsa idrica, approfondendo gli aspetti legati alla qualità dei corpi recettori e alla specificità degli usi.
Quadro di riferimento internazionale
Dal punto di vista giuridico una delle prime direttive comunitarie di grande significato per la protezione delle a. dall'inquinamento è stata la direttiva CEE nr. 76/464 che obbliga gli Stati membri a prendere le misure necessarie per eliminare l'inquinamento delle a. dovuto a sostanze pericolose in relazione alla loro tossicità, persistenza e bioaccumulazione. La direttiva CEE nr. 86/280 estende l'applicazione della direttiva nr. 76/464 all'inquinamento proveniente da fonti diffuse e introduce il concetto di best available technology (migliore tecnologia disponibile), ripreso poi dalla direttiva nr. 96/61 sulla prevenzione e la riduzione integrata dell'inquinamento Nell'ambito di tale contesto, particolare importanza ha il documento messo a punto nel Seminario ministeriale di Francoforte, organizzato nel 1988 dall'Istituto europeo delle acque (istituito per assistere, dal punto di vista scientifico e tecnico, la Commissione delle comunità europee nell'elaborazione della politica comunitaria di protezione delle a.). Il documento di Francoforte, immediatamente adottato in ambito comunitario, definisce i principali orientamenti nel settore delle a. (gestione integrata delle a., interventi di protezione delle a. dalle sostanze pericolose basati sull'uso complementare e simultaneo degli 'obiettivi di qualità' riferiti ai corpi idrici e delle 'norme di emissione' riferite alle a. reflue ecc.).
Negli ultimi anni, infine, in conseguenza dell'aggravarsi della crisi idrica a livello mondiale (secondo stime dell'Organizzazione mondiale della sanità quasi 900 milioni di persone non hanno disponibilità di a. potabile), sono state promosse alcune iniziative internazionali finalizzate ad analizzare le problematiche e a suggerire linee di intervento (Conferenza mediterranea dell'acqua a Roma nel 1992; Conferenza internazionale su acqua e ambiente a Dublino nel 1992; Conferenza ministeriale sull'acqua potabile e la gestione dell'ambiente a Noordwijk nel 1994). Nei paesi a basso reddito e con scarse risorse alimentari particolarmente avvertita è l'esigenza di poter disporre di fonti sicure di approvvigionamento idrico per l'irrigazione. Al riguardo la FAO ha dato il via a un programma specifico d'azione per l'a. e per lo sviluppo agricolo sostenibile; nell'ambito di tale programma, sempre maggiore importanza ha assunto, negli anni Novanta, il riciclaggio di a. reflue per usi irrigui; questa pratica è ormai largamente utilizzata in Cina, Egitto, Giordania ecc. Un altro intervento di grande rilevanza per limitare la scarsità d'a. per i bisogni dell'agricoltura è rappresentato dal miglioramento tecnologico dei sistemi di irrigazione che nei paesi in via di sviluppo, secondo una recente stima della FAO, danno luogo a sprechi fino al 60% dell'erogazione.
Nei paesi industrializzati la problematica dell'a. è essenzialmente incentrata sulla scelta dei modelli gestionali capaci di rendere più razionale l'uso delle risorse idriche.
Dal punto di vista gestionale particolare interesse riveste il modello francese (CITEF 1995), che con una legge del 1964 (30 anni prima della legge Galli) ha avviato la riorganizzazione dei servizi idrici, introducendo il sistema di gestione integrata sotto il controllo di un'agenzia di bacino. Nei 6 grandi bacini dell'a. istituiti in Francia la corrispondente agenzia percepisce una tassa sulle captazioni e sul trattamento delle a. usate che viene riversata ai Comuni sotto forma di incentivi all'investimento per migliorare la qualità dei servizi idrici. Lo Stato definisce il quadro giuridico di riferimento (per es., la legge sull'a. del 1992) e provvede agli interventi di controllo (garanzia di salubrità e sicurezza pubblica, rispetto delle norme tecniche e del budget), mentre l'organizzazione dei servizi è di competenza esclusiva dei Comuni; i Dipartimenti e le Regioni intervengono nella fase di programmazione e di finanziamento degli investimenti. È da sottolineare che è di competenza dei Comuni non solo l'approvvigionamento e la distribuzione dell'a. potabile, ma anche la depurazione delle a. reflue e l'eliminazione dei fanghi residui. L'organizzazione dei servizi può essere assicurata direttamente dai Comuni (gestione diretta sotto forma di regia) o affidata a società private specializzate mediante un contratto di locazione o di concessione che prevede anche il prezzo dell'a. (gestione delegata). È previsto inoltre un sistema di gestione mista in cui l'approvvigionamento idrico è assicurato in gestione diretta, mentre la distribuzione è data in concessione. In definitiva il modello francese è basato essenzialmente sulla decentralizzazione a profitto delle collettività locali, mentre lo Stato fissa le regole generali e assicura la solidarietà.
Di grande interesse è anche il sistema di organizzazione dei servizi idrici adottato in Gran Bretagna. Con una legge del 1976 sono state istituite, sulla base di criteri idrografici, le Water Authorities a cui sono stati affidati compiti di pianificazione del sistema idrico e di controllo delle utilizzazioni. A partire dal 1989 è cominciato un processo di privatizzazione delle Water Authorities, avviato in conseguenza delle difficoltà incontrate dalle amministrazioni pubbliche a sostenere gli investimenti necessari per modernizzare il sistema dei servizi idrici.
Infine, una linea di tendenza che incomincia ad affermarsi in Europa nell'ambito dell'approvvigionamento idropotabile è quella di utilizzare risorse idriche costituite da a. di elevata qualità all'origine (corsi d'a. poco inquinati, laghi naturali e artificiali), anche se distanti dai centri di consumo. Casi-tipo di questa tendenza sono già riscontrabili in molte città importanti (Cambridge, Helsinki, San Sebastian, Stoccarda, Torino), oltre che in tutta l'Austria (Giannini, Spannocchi, Masotti 1997).
L'innovazione per il potenziamento dei servizi idrici
Il nuovo modello di gestione integrata delle risorse idriche richiede, in fase sia progettuale che operativa, un'approfondita conoscenza dell'ambiente naturale comprensiva anche della caratterizzazione dell'ambiente antropico e delle infrastrutture (quadro 1), come indispensabile supporto per l'individuazione degli interventi volti sia a incrementare e proteggere le risorse idriche, sia a potenziare il servizio idrico integrato (quadro 2). L'innovazione di processo gioca un ruolo particolarmente significativo negli interventi da predisporre al fine di rendere i trattamenti di potabilizzazione e di depurazione più adeguati alle nuove esigenze.
Nell'ambito del servizio di potabilizzazione, la crescente contaminazione delle a. dovuta ad attività antropiche richiede un trattamento molto più complesso non soltanto per le a. superficiali, ma anche per quelle sotterranee soggette all'infiltrazione di microinquinanti organici che tendono a permanervi molto a lungo, a causa sia degli elevati tempi di ricambio delle a. sia della degradabilità molto scarsa di tali composti negli ambienti di falda. Occorre sottolineare, peraltro, le crescenti preoccupazioni non soltanto per i pericoli di inquinamento chimico delle falde, ma anche per la possibilità di contaminazione microbiologica dovuta alla presenza di protozoi patogeni, quali Giardia lamblia e Cryptosporidium parvum, che sono responsabili di gastroenteriti epidemiche e che possono essere rimossi dalle a. soltanto attraverso metodi avanzati (per es., microfiltrazione con membrane).
Nell'ambito del servizio di depurazione, le crescenti esigenze di qualità per gli effluenti trattati comportano un notevole rinnovamento delle tecnologie di trattamento delle a. di scarico e dei fanghi di risulta. In particolare l'applicazione della direttiva CEE nr. 91/271 richiede che nelle aree sensibili alla tradizionale rimozione del carbonio organico biodegradabile si aggiungano i trattamenti specificamente mirati per l'abbattimento dei nutrienti (azoto e fosforo). Per il completamento del trattamento delle a. reflue urbane crescente interesse sta suscitando anche l'impiego della fitodepurazione; al riguardo sono in corso di sperimentazione diverse tipologie di zone umide artificiali, caratterizzate da notevole efficienza depurativa, accompagnata peraltro dalla richiesta di disponibilità di ampie superfici di terreno (Navazio, Ragazzo, Giacetti et al. 1995). Inoltre, importanza sempre crescente va assumendo la problematica della rimozione delle sostanze xenobiotiche dalle a. inquinate, in ragione anche dei sempre più elevati obiettivi di qualità per i corpi idrici.
È importante rilevare, infine, che dal punto di vista della salvaguardia dell'ambiente il 'comparto a.' è strettamente collegato con il 'comparto suolo'. Al riguardo, la formazione di lisciviati dovuta alla naturale percolazione di a. (meteorica, irrigua ecc.) attraverso fasi solide di varia natura (terreni agricoli e non, aree industriali dismesse, rifiuti eliminati in discariche controllate e non ecc.) e la conseguente migrazione verso le falde idriche di sostanze tossiche (quali metalli pesanti e prodotti organici di sintesi) devono essere considerate con grande attenzione ai fini della salvaguardia delle risorse idriche, in quanto si tratta, fra l'altro, di processi che si svolgono con dinamiche lente e che sono spesso riconducibili a cause lontane nel tempo (inquinamento ritardato).
Rimozione di microinquinanti organici dalle acque destinate a uso potabile
I microinquinanti organici presenti nelle a. destinate a uso potabile provengono da fonti sia diffuse che puntuali. Le fonti diffuse riguardano le attività agricole e in particolare l'uso di antiparassitari: l'atrazina è la sostanza più spesso presente, ma anche la simazina, il bentazone e il molinate sono stati rilevati con notevole frequenza (Funari, Bastone, Bottoni et al. 1993). Le fonti puntuali sono state associate a scarichi da insediamenti civili e produttivi, a discariche non controllate, ad aree industriali dismesse, a perdite da cisterne o da condotte ecc.: fra i principali microinquinanti organici che derivano da tali fonti sono da annoverare i composti organoclorurati alifatici a basso peso molecolare (tetracloroetilene, tricloroetilene, 1,1,1-tricloroetano ecc.), largamente usati nella produzione industriale di solventi, lubrificanti, pesticidi ecc.
Un'altra fonte di contaminazione delle a. potabili è collegabile alla formazione di composti secondari indesiderati dovuti agli stessi processi di potabilizzazione; in particolare la disinfezione con cloro o con ipoclorito dà luogo, in presenza di precursori organici (soprattutto substrati organici naturali sempre presenti nelle a. superficiali), a cloroformio e ad altri trialometani (trihalomethanes, THM); altri tipi di disinfettanti (biossido di cloro, ozono, acqua ossigenata, radiazione UV, acido peracetico), pur producendo minori quantità di THM, non sono esenti da inconvenienti. È bene precisare, comunque, che i THM rappresentano soltanto una piccola percentuale (5÷20%) della totalità dei composti organoclorurati che possono essere rilevati in un'a. sottoposta a clorazione (Pelizzetti, Maurino, Minero et al. 1994). La presenza di questi microinquinanti organici pone problemi di tipo nuovo per il trattamento di potabilizzazione.
Il trattamento tradizionale si articola attraverso la successione delle seguenti operazioni: predisinfezione (prevalentemente con funzione alghicida); chiariflocculazione (coagulazione, flocculazione, sedimentazione) seguita da filtrazione (per la rimozione dei solidi sospesi e dei colloidi); disinfezione finale (con funzione sterilizzante estesa anche alla distribuzione in rete).
La chiariflocculazione consente di rimuovere in misura significativa le sostanze organiche naturali che costituiscono i precursori per la formazione dei THM, ma non ha apprezzabile effetto sui microinquinanti organici di origine sintetica. Scarse rimozioni di microinquinanti si hanno anche con la disinfezione quando questa è operata con cloro o suoi composti. Per ottenere la rimozione dei microinquinanti organici dalle a. destinate a uso potabile è necessario inserire nel ciclo di potabilizzazione processi capaci di agire in modo specifico su tali inquinanti. In questo ambito l'adsorbimento su carboni attivi e lo stripping appaiono essere processi già abbastanza consolidati e affidabili (Malpei, Bozzola 1990).
L'adsorbimento, specialmente quando è realizzato con carboni attivi in polvere (PAC) seguiti da letti di carboni attivi granulari (GAC), consente rimozioni molto elevate per l'atrazina e sostanze simili (tab. 4); rimozioni minori (in genere comprese fra il 70 e il 100%) sono conseguibili per i composti organoclorurati. L'impiego dei carboni attivi è molto efficace anche per eliminare il cloro e l'acqua ossigenata residui quando la potabilizzazione di a. superficiali contaminate da ammoniaca viene effettuata utilizzando la clorazione al punto di rottura seguita da declorazione con H₂O₂ (Navazio, Albertin, Ragazzo et al. 1993).
Lo stripping risulta essere un trattamento molto efficace ed economico per la rimozione di microinquinanti organici volatili, per es. alcuni solventi clorurati (quali tricloroetano, tetracloroetano), toluene, xileni; abbastanza soddisfacenti sono anche le rimozioni dei THM; controindicazioni allo stripping sono alcuni effetti secondari (per es., l'introduzione di batteri o di altri contaminanti contenuti nell'aria) e la necessità di uno stadio di rifinitura finale (per es., con carboni attivi) quando si vogliono raggiungere limiti di concentrazione molto bassi nell'a. trattata.
Oltre all'adsorbimento con carboni attivi e allo stripping sono stati proposti, nel ciclo del trattamento di potabilizzazione, alcuni processi avanzati (a membrana, di ossidazione, biologici) per i quali sono disponibili attualmente dati sperimentali incoraggianti, ma non sufficienti a garantirne ancora un'affidabile applicazione in piena scala.
L'impiego dell'osmosi inversa nel trattamento di a. di falda contenenti composti organoclorurati consente di ottenere rimozioni molto elevate (fino al 95%) di tetracloruro di carbonio, di 1,1,1-tricloroetano, di tricloroetilene, di tetracloroetilene, di p-diclorobenzene. Meno elevato è il livello di rimozione conseguibile con altre categorie di microinquinanti organici. In ogni caso l'applicabilità del processo è subordinata alla stabilità nel tempo delle membrane e alla possibilità di un agevole smaltimento del concentrato. Occorre poi considerare che l'osmosi inversa modifica notevolmente la durezza totale e il pH dell'a. trattata.
I processi avanzati di ossidazione presentano un intrinseco vantaggio rispetto ad altri metodi di potabilizzazione: mentre l'adsorbimento, lo stripping e le operazioni a membrana trasferiscono i microinquinanti organici da un mezzo (a.) a un altro (carbone attivo, aria, soluzione concentrata), i processi di ossidazione distruggono, almeno potenzialmente, gli inquinanti in modo completo. L'ozono e l'a. ossigenata hanno già trovato, separatamente, numerose applicazioni in impianti di potabilizzazione; tuttavia, maggiore interesse, in prospettiva, sembrano avere l'impiego combinato di O₃ e H₂O₂ oppure l'attivazione con radiazione UV dell'uno o dell'altro ossidante, così da favorire la formazione di radicali OH altamente reattivi e ottenere rimozioni marcatamente superiori rispetto a quelle conseguibili con l'impiego separato di O₃ o di H₂O₂.
Per es., la rimozione di tri- e tetracloroetilene per azione combinata di O₃ e H₂O₂ è da due a sei volte superiore a quella ottenibile per semplice ozonizzazione; il trattamento combinato UV/O₃ consente di abbattere il 100% di atrazina (per concentrazioni iniziali di 12 ppm). Nuovo interesse va assumendo anche l'impiego del reattivo di Fenton. La tab. 5 riporta una comparazione tecnica dei processi avanzati di ossidazione (Schwarzer 1995). Occorre aggiungere che, fatta eccezione per l'impiego del reattivo di Fenton (peraltro sperimentato finora essenzialmente per il trattamento di a. di scarico), i processi avanzati di ossidazione sono caratterizzati da elevati costi d'investimento, da alti consumi energetici e da rilevanti oneri di manutenzione. Inoltre in condizioni di esercizio non ottimizzate questi processi potrebbero dar luogo a prodotti secondari, di cui ancora non è stata accertata la non tossicità. Altri processi avanzati di ossidazione potenzialmente utilizzabili per il trattamento di potabilizzazione sono il metodo fotocatalitico, che si avvale dell'uso di biossido di titanio irradiato (Sclafani, Rizzuti 1993), il processo combinato adsorbimento-fotocatalisi (Crittenden, Suri, Perram et al. 1997) e l'ossidazione in a. supercritica.
Infine, crescente è l'interesse per l'impiego di processi biologici in quanto essi non danno luogo a formazione di prodotti secondari: la biofiltrazione su sabbia o su carbone attivo ha già trovato pratica applicazione, mentre per altri processi (per es., la denitrificazione biologica accoppiata a operazioni a membrana) è molto intensa l'attività di ricerca.
Trattamenti avanzati di depurazione
La rimozione biologica dell'azoto, basata sui processi di nitrificazione-denitrificazione condotti in sistemi integrati con biomassa in fase dispersa, si è ormai completamente affermata nei confronti dei trattamenti chimico-fisici (scambio ionico, stripping dell'ammoniaca, clorazione al punto di rottura) e consente di ottenere concentrazioni residue di azoto totale nell'effluente finale dell'ordine di qualche mg/l, marcatamente inferiori ai limiti ammissibili anche nelle aree sensibili. Le principali prospettive di sviluppo sembrano essere: da una parte l'adozione sempre più frequente di reattori a biofilm (soprattutto biofiltri sommersi e reattori a letto fluidizzato), dall'altra l'affermarsi di processi innovativi legati ai progressi della biotecnologia moderna (isolamento di batteri eterotrofici, per es., Thiosphaera pantotropha, capaci di ossidare l'azoto ammoniacale e di denitrificare i nitrati in condizioni completamente aerobiche; reazione per via biologica fra azoto ammoniacale e azoto nitrico in ambiente anossico; metanogenesi operata, in condizioni anaerobiche, da batteri che utilizzano l'azoto ammoniacale per la riduzione dell'anidride carbonica a metano).
A partire dalla fine degli anni Settanta ha cominciato a trovare applicazione in impianti in piena scala anche il processo di rimozione biologica del fosforo che, rispetto al processo tradizionale di precipitazione chimica, presenta il vantaggio di non richiedere il consumo di reattivi chimici e di dar luogo a minori produzioni di fanghi.
Attualmente, malgrado i miglioramenti via via ottenuti nelle prestazioni, si osserva ancora un funzionamento non completamente stabile caratterizzato da improvvise diminuzioni nella resa di rimozione del fosforo per cause non perfettamente identificabili. Risulta evidente, pertanto, l'esigenza di un'ulteriore e più approfondita attività di ricerca per una migliore comprensione del processo di rimozione del fosforo per via biologica (caratterizzazione cinetica e metabolica dei microrganismi fosforo-accumulanti responsabili del processo; messa a punto di modelli biochimici capaci di descrivere i meccanismi alla base della formazione intracellulare di catene di polifosfati e di materiali polimerici di stoccaggio; stima e controllo della competizione/sinergia fra i microrganismi fosforo accumulanti e i batteri denitrificanti nei confronti del substrato carbonioso prontamente biodegradabile nel caso di rimozione simultanea di azoto e fosforo). Un altro aspetto molto importante è rappresentato dall'esigenza di minimizzare l'impatto del riciclo di fosforo dalla linea di trattamento dei fanghi: al riguardo, notevole interesse hanno le ricerche volte a ottimizzare la precipitazione e la separazione di struvite dal sovranatante proveniente dalla digestione anaerobica dei fanghi.
Infine, è importante rimarcare un aspetto essenziale della rimozione di azoto e fosforo per via biologica: la biomassa non viene tenuta separata in relazione alla specifica funzione, ma circola invece dentro l'impianto incontrando in sequenza zone caratterizzate da differenti condizioni di crescita per i microrganismi (anossiche/aerobiche per rimuovere l'azoto; anaerobiche/aerobiche per rimuovere il fosforo; anaerobiche/anossiche/aerobiche per la rimozione simultanea di entrambi i nutrienti).
L'impiego di una sequenzialità di ambienti sembra offrire, peraltro, promettenti possibilità di sviluppo anche per i trattamenti biologici di rimozione di sostanze organiche bioricalcitranti.
Un tipico esempio è dato dai composti alifatici altamente clorurati (per es., cloroformio, 1,1,1-tricloroetano, tricloroetilene, tetracloroetilene) che, come è noto, sono refrattari a un trattamento biologico condotto in condizioni aerobiche convenzionali; cioè, non esistono colture aerobiche capaci di usare queste sostanze come substrati. Alcuni di questi composti possono biotrasformarsi in condizioni aerobiche se si forniscono metano, fenolo o toluene come sorgente primaria di carbonio e di energia per la crescita biologica, ma si tratta, in effetti, di processi di cometabolismo e, come tali, caratterizzati da cinetiche di reazione molto basse. Tuttavia, un'attraente possibilità di rimuovere questi composti deriva dal fatto che essi subiscono un processo di declorazione riduttiva in condizioni anaerobiche. Così, impiegando una coltura anaerobica arricchita e usando metanolo come donatore di elettroni, è possibile convertire il tetracloroetilene in cloruro di vinile che, a sua volta, si trasforma in etilene dopo che è stato consumato tutto il tetracloroetilene disponibile (Tandoi, Di Stefano, Bowser et al. 1994). Si può, pertanto, prefigurare un cammino biodegradativo sequenziale in cui la declorazione riduttiva anaerobica è seguita dalla degradazione aerobica dei composti residui a minor tenore di cloro. Questo schema di processo è stato sperimentato adottando reattori a biofilm a due stadi (anaerobico/aerobico) per il trattamento di miscele di cloroformio e tetracloroetilene: nel primo stadio anaerobico si formano prodotti di- e tri-clorurati che, poi, vengono degradati nel successivo stadio aerobico, ottenendosi la trasformazione completa di più del 50% dei composti iniziali. Fra l'altro, la sequenza anaerobico/aerobico per il trattamento di composti clorurati volatili consente di evitare l'emissione di sostanze volatili durante l'aerazione.
I processi sequenziali basati su uno stadio anaerobico seguito da degradazione aerobica hanno dato risultati promettenti anche per il trattamento di altri inquinanti tossici bioricalcitranti, per es., policlorobifenili, benzeni clorurati, polifenoli, azocoloranti ecc. (Zitomer, Speece 1993).
Un aspetto ancora poco investigato è la biodegradazione anossica operata da batteri denitrificanti su inquinanti tossici quali composti aromatici ossigenati, toluene, xileni: al riguardo risultati interessanti sono stati ottenuti adottando la sequenza anossico/anaerobico/aerobico per il trattamento di un percolato di discarica.
In taluni casi il trattamento biologico di reflui contenenti composti organici ricalcitranti potrebbe risultare molto più efficace se preceduto da un adeguato pretrattamento chimico (per es., impiegando il reattivo di Fenton) o fisico (ozonizzazione). Talvolta il pretrattamento può essere anch'esso di tipo biologico, ma diverso dalla declorazione riduttiva sopra illustrata: per es., l'uso di funghi ligninolitici capaci di degradare in modo selettivo le sostanze polifenoliche responsabili della difficile biodegradabilità delle a. di vegetazione dell'industria olearia (Giovannozzi Sermanni, D'Annibale, Di Lena et al. 1994). Per il trattamento di reflui contenenti sostanze tossiche o bioricalcitranti (per es., a. di scarico provenienti da cartiere, da produzioni farmaceutiche ecc.) un certo interesse sta suscitando anche il processo di ossidazione in fase umida (wet oxidation), che opera a temperature comprese fra 150 e 360 °C e pressioni fra 30 e 250 bar; si adottano in genere pressioni superiori a quelle richieste per il mantenimento della fase liquida al fine di favorire la diffusione dell'ossigeno (Collivignarelli, Baldi, Bertanza et al. 1997).
Per quanto riguarda i fanghi prodotti negli impianti di depurazione delle a. di scarico, i processi di trattamento più recenti e innovativi sono la digestione aerobica termofila, l'ispessimento dinamico e l'essiccamento termico. La stabilizzazione biologica dei fanghi tramite digestione aerobica termofila viene realizzata coibentando le vasche di digestione e mantenendo così il sistema reagente a temperature di circa 50 °C, con conseguente aumento della cinetica di processo. L'ispessimento dinamico impiega, al posto dei tradizionali ispessitori per gravità o per flottazione, una centrifuga capace di concentrare i fanghi biologici fino a una percentuale del 5÷6% di materiale secco, con conseguente notevole riduzione dei volumi di fango da stabilizzare e disidratare. L'essiccamento termico consente di ottenere un fango con contenuto in solidi molto elevato, sufficiente a dar luogo a una combustione autotermica nel caso in cui si adotti l'incenerimento finale; l'essiccamento termico consente comunque, anche in caso di differente destino dei fanghi (per es., utilizzazione in agricoltura o impiego come combustibile in forni per cemento, in centrali termoelettriche ecc.), di rendere meno costoso e più agevole lo stoccaggio e il trasporto del prodotto essiccato.
Occorre sottolineare, infine, che la più approfondita conoscenza dei processi biochimici e microbiologici conseguita negli ultimi decenni del secolo ha consentito non soltanto di trasformare l'approccio progettuale delle opere di depurazione da semiempirico a razionale, ma anche di ottenere sostanziali miglioramenti nella conduzione degli impianti di depurazione, in termini sia di una più rapida individuazione delle disfunzioni sia di una scelta più appropriata degli interventi correttivi. Per es., la disfunzione rappresentata dal rigonfiamento dei fanghi (bulking) in presenza di microrganismi filamentosi, con conseguente uscita di fanghi nell'effluente depurato, può essere rilevata tempestivamente tramite osservazioni microscopiche dei fanghi e fronteggiata con vari rimedi (aggiunte controllate di cloro o di a. ossigenata, predisposizione di appositi 'selettori' ecc.).
Bonifica dei siti inquinati
La valutazione del grado di inquinamento di un terreno, causato da una discarica di rifiuti o da un uso agricolo o industriale non appropriato o da uno sversamento accidentale, e la conseguente predisposizione di adeguati interventi di risanamento richiedono un'accurata modellizzazione, in relazione anche alla notevole complessità e variabilità della composizione di entrambe le fasi interagenti (lisciviato e suolo).
In via preliminare occorre procedere alla caratterizzazione analitica dei lisciviati; per es., nel caso di inquinamento da metalli è necessario valutare la loro speciazione e occorre conoscere pertanto la natura e la composizione della componente organica. Occorre poi modellizzare l'interazione (chimica, fisica e biologica) fra inquinante e suolo, definendo l'effetto che i vari parametri esercitano su tale interazione in condizioni sia dinamiche sia di equilibrio. Infine, sulla base delle conoscenze così acquisite è possibile mettere a punto un modello dinamico che, tenuto conto anche del comportamento fluidodinamico della percolazione attraverso il suolo, descriva il trasporto e il destino degli inquinanti, consentendo così di prevedere anche i rischi di contaminazione delle falde acquifere, oltre a precisare posizione e concentrazione degli inquinanti nel terreno da essi permeato.
La conoscenza dell'effettivo grado di inquinamento dei terreni e delle falde è prioritaria ai fini della definizione dei trattamenti di bonifica (biologici, chimici, fisici; in situ ed ex situ) dei siti inquinati. Al riguardo, in Italia la l. 29 ott. 1987 nr. 441 (conversione di d.l. 31 ag. 1987 nr. 361) prevede che le Regioni predispongano i piani per la bonifica delle aree contaminate. Il Ministero dell'Ambiente ha emanato successivamente un decreto (d.m. 16 maggio 1989) in cui vengono definiti i criteri e le linee guida per l'elaborazione dei piani di bonifica. Accanto al problema della necessità di reperire le ingenti risorse finanziarie necessarie a dar corso ai piani di risanamento, le esperienze finora compiute hanno evidenziato l'esigenza che vengano definite sia le procedure per le indagini preliminari di caratterizzazione del sito inquinato (al fine di valutare la gravità del rischio e, conseguentemente, l'ordine di priorità degli interventi), sia le tecniche di intervento più appropriate ai fini di un corretto rapporto costi/benefici.
Conclusioni
Le problematiche affrontate evidenziano alcuni settori in cui si avverte maggiormente l'esigenza di innovazione a supporto di problematiche ambientali di tipo interdisciplinare. Fra le esigenze più urgenti si possono ricordare:
a) l'affinamento delle metodiche analitiche, comprensivo anche degli associati aspetti tossicologici: 1) per la rilevazione e l'identificazione dei componenti organici, talvolta a livello di ultratracce, che si formano durante i trattamenti di potabilizzazione (composti organoclorurati derivanti dalle reazioni del cloro o dell'ipoclorito con precursori organici naturali, anch'essi da caratterizzare in modo adeguato; sottoprodotti dei processi ossidativi avanzati con ozono e/o a. ossigenata, con o senza attivazione UV); 2) per la caratterizzazione delle diverse frazioni carboniose contenute nelle a. di scarico, ai fini anche del loro utilizzo come substrati nei processi di rimozione biologica dei nutrienti; 3) per la caratterizzazione delle sostanze intracellulari (catene di polifosfati, materiali polimerici di stoccaggio) prodotte nel processo di rimozione del fosforo per via biologica; 4) per la rilevazione e l'identificazione di intermedi di reazione in processi biologici innovativi per la rimozione di sostanze bioricalcitranti da a. di scarico, al fine di identificare gli effettivi cammini metabolici e, di conseguenza, orientare le condizioni di processo verso l'ottimizzazione delle efficienze di rimozione; 5) per la standardizzazione delle procedure di campionamento e di analisi destinate alla valutazione del grado di inquinamento di terreni e di falde, anche in relazione agli aspetti di interrelazione fra fase liquida e fase solida.
b) La messa a punto di processi chimici e biochimici innovativi per il trattamento sia di a. per uso potabile che di a. di scarico contenenti sostanze di difficile biodegradabilità. In questo contesto, di particolare rilievo appaiono gli studi sulla cinetica e i meccanismi di reazione dei processi chimici di ossidazione, anche in una prospettiva di trattamento integrato chimico-biologico in cui il processo chimico ha l'obiettivo di accrescere la biodegradabilità delle sostanze da rimuovere. Nell'ambito dei processi depurativi biologici, notevole interesse rivestono gli aspetti di identificazione e di caratterizzazione cinetica e metabolica di microrganismi specialistici (per es., i batteri fosforo accumulanti in rapporto competitivo con i batteri denitrificanti, i microrganismi dealogenanti in rapporto sintrofico con gli acetogeni ecc.).
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