Acqua
Nell’ultimo decennio la questione dell’a. si è affacciata con sempre maggiore urgenza all’attenzione degli organi governativi e dell’opinione pubblica in conseguenza di una raggiunta consapevolezza circa l’esauribilità e la degradazione di tale risorsa. Seppure inserita in un circolo potenzialmente inesauribile, infatti, la disponibilità di a. è minacciata dalla pressione antropica, in termini di quantità effettivamente disponibile per l’uso, in relazione alla sua qualità e alle possibilità di accesso a essa da parte delle comunità umane.
Un passo fondamentale verso il riconoscimento del diritto all’a. viene dalla risoluzione presentata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 26 luglio 2010, poi ratificata dal Consiglio per i diritti umani il 24 settembre 2010 (A/HRC/15/L.14). Partendo dalla constatazione che 884 milioni di persone non hanno accesso alle risorse idriche e più di 2,6 miliardi di persone non dispongono di servizi sanitari di base (dati OMS e UNICEF, 2010), l’ONU ha dichiarato l’accesso all’a. potabile e sicura e ai servizi igienici ‘un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani’. Di conseguenza, all’art. 8, la risoluzione attribuisce agli Stati la responsabilità di garantire il pieno esercizio del diritto, anche nel caso in cui la fornitura e la gestione dei servizi venga affidata a terzi. Sebbene la risoluzione dell’ONU abbia validità solo allorché sia ratificata dagli Stati (ciò è avvenuto solo parzialmente), la dichiarazione rappresenta un passo avanti importante per la promozione della salvaguardia dell’a. da processi di sfruttamento eccessivo e di speculazione, pubblici o privati, e per un controllo della distribuzione che tenga conto del benessere della popolazione. Il riconoscimento del diritto all’a. è stato accolto dopo il rigetto della proposta avanzata già nel 2002 alla conferenza di Johannesburg, dove pure erano stati riaffermati gli Obiettivi del millennio (MDM, Millennium Development Goals) elaborati nel 2000 dall’assemblea generale dell’ONU, tra cui il dimezzamento della quota di popolazione priva di accesso all’a. potabile. A livello mondiale, perciò, l’a. è entrata a pieno diritto nell’agenda di discussione degli organismi internazionali. Tra gli eventi più recenti si segnala la Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile Rio+20, tenutasi a Rio de Janeiro tra il 20 e il 22 giugno 2012. In questa occasione sono stati riaffermati i principi già esposti a Johannesburg circa il problema dell’a., così come la messa a fuoco delle nuove sfide imposte dalla crescita demografica e dal cambiamento climatico. Un altro evento internazionale di grande risonanza è stato il 6° World water forum svoltosi a Marsiglia tra il 12 e il 17 marzo 2012. Per quanto tali eventi rappresentino uno strumento essenziale di discussione e cooperazione, essi si rivelano molto più efficaci sul piano dello sviluppo di un sistema informativo globale relativo ai bacini idrici che non alla definizione di politiche reali per risolvere i problemi dell’approvvigionamento e della salvaguardia della qualità delle a., dal momento che l’ONU non possiede un mandato politico forte, né il potere di imporre politiche centralizzate.
La sfida maggiore per la disponibilità di a. è rappresentata dalla crescita demografica. L’International food policy research institute (IFPRI) prevede che, ai tassi di crescita demografica e di consumo idrico attuali, entro il 2025 il fabbisogno di a. aumenterà di oltre il 50%, mentre le risorse idriche pro capite negli ultimi cinquant’anni sono passate da 16.800 m3 a 8470 m3 e si prevede che entro il 2025 tale disponibilità si dimezzerà ulteriormente. L’aumento demografico incide, infatti, non solo sul consumo di a. potabile e per usi sanitari e domestici, ma anche sulla domanda di a. a scopo produttivo. Solo l’8% dell’a., infatti, è destinato al consumo umano; più del 70% serve all’irrigazione dei campi e al mantenimento degli allevamenti, e il restante per scopi industriali ed energetici, sia negli impianti di raffreddamento, sia per la produzione di energia idroelettrica tramite la costruzione di dighe e altre infrastrutture. L’impatto esercitato sull’a. influisce negativamente sulla disponibilità della stessa: estrazione eccessiva, modifiche sulla morfologia dei bacini e inquinamento chimico delle a. comportano un esaurimento delle risorse, in quanto lo sfruttamento non tiene conto dei tempi necessari alla rigenerazione dell’ecosistema idrico, sia esso fluviale o lacustre, marino o da falde sotterranee. Lo sfruttamento delle a., sia di natura estrattiva (cioè con un prelievo di corpi idrici) sia in loco (per es., per la navigazione interna), dovrebbe tenere conto del concetto di flusso ecologico, cioè del volume di a. necessario affinché l’ecosistema acquatico continui a prosperare e a fornire i servizi necessari. Risulta, pertanto, che la quantità e la qualità delle a. sono parametri inscindibilmente concorrenti a definire la misura della disponibilità di a. per gli scopi antropici.
Un secondo fattore di rischio che incide negativamente sulla disponibilità è rappresentato dal cambiamento climatico. Esso influisce sulla distribuzione e sulla qualità delle a., in termini di variazione dei flussi e della localizzazione delle precipitazioni, del volume delle riserve acquifere dei ghiacciai, della temperatura delle a., con conseguenze notevoli sugli ecosistemi acquatici. Il cambiamento climatico, introducendo un elemento di variazione non sempre prevedibile con accuratezza, impone di ripensare la quantificazione della disponibilità dell’a. in base alle tendenze di tali variazioni. Inoltre, il cambiamento climatico aumenta i fenomeni distruttivi legati all’a., come inondazioni, alluvioni, frane: è opportuno valutare ogni intervento sui bacini idrici, compresi quelli preventivi e volti a contenere tali fenomeni (per es., la costruzione di argini), come ricadente integralmente sull’a. e sul suo ciclo.
La necessità di un approccio integrato al problema dell’a. emerge allorché si tiene conto degli usi reali della risorsa per i consumi diretti e per i consumi destinati alla produzione di beni alimentari e di energia. Se questi tre settori sono stati finora studiati separatamente, ciascuno a partire dal presupposto dell’inesauribilità e della massiccia disponibilità di a., si è ora acquisita piena consapevolezza che solo un modello integrato può restituire valutazioni affidabili circa l’effettiva domanda e la reale disponibilità di a. a livello subnazionale, nazionale e transnazionale. La dipendenza di questi tre elementi si basa sulla considerazione che: 1) l’agricoltura rappresenta il settore che concorre maggiormente al consumo di a., così come di energia; 2) il settore energetico concorre in larghissima parte al consumo di a.; 3) notevoli quote di energia sono necessarie all’estrazione, al trattamento, al trasporto e alla distribuzione di acqua. Per questo motivo, è stato elaborato il concetto di impronta idrica (WFTP, Water footprint; Hoekstra, Chapagain, Aldaya, Mekonnen 2011), definita come il volume di a. dolce consumata e inquinata, in relazione anche al luogo di produzione. Essa tiene conto non solo del consumo diretto, ma anche del consumo indiretto per il sostentamento di una data comunità umana, risultando dal calcolo di tre componenti: impronta blu, verde e grigia. La prima indica il volume di a. dolce delle risorse idriche superficiali e sotterranee che è evaporato o è stato utilizzato; la seconda il volume di a. piovana conservata nel suolo impiegato; la terza il volume di a. inquinata, quantificato come il volume occorrente per diluire le sostanze inquinanti, in modo che la qualità dell’a. resti al di sopra dei livelli qualitativi fissati. Tale strumento di calcolo ha permesso di valutare più adeguatamente il contributo che ciascun individuo apporta al consumo di a. e gli strumenti che ciascuno possiede per diminuire la propria impronta. Poiché, per es., il consumo maggiore si ha nell’allevamento animale (prendendo in considerazione sia l’a. direttamente necessaria all’allevamento, sia quella indirettamente necessaria alla produzione dei mangimi), una rivalutazione della dieta degli individui avrebbe un impatto notevolmente maggiore che non la riduzione del consumo per scopi domestici. Il modello WFTP si è rivelato particolarmente efficace per calcolare l’impatto sui bacini idrici da parte delle città, poiché, introducendo le misurazioni relative ai flussi virtuali di a. (ossia quelli necessari alla produzione dei beni che sostengono l’ambiente urbano), in un contesto di avanzata urbanizzazione come quello attuale, permette di valutare realmente il rapporto della città con il territorio circostante. In questo quadro si inserisce il progetto Water footprint approach in urban area (Project 4CE439P3) del Fondo regionale europeo per lo sviluppo sostenibile, promosso dal Water footprint network tra il 2012 e il 2014.
Per una corretta gestione e tutela delle risorse idriche è emerso con crescente impellenza negli ultimi anni il problema degli attori governativi e non che dovrebbero assumere il controllo dell’a., in termini di estrazione, uso e commercializzazione. Affrontando il tema della governance si è fatto riferimento al concetto di ‘bacino idrico’: poiché spesso le risorse idriche non risultano competenza di un solo Stato, bensì di più Stati in una situazione transfrontaliera, è evidente che tutte le entità coinvolte dovrebbero cooperare per un’equa e responsabile gestione. Perché ciò accada, occorre delineare delle strategie condivise a livello internazionale, il che è reso particolarmente problematico dalle differenze esistenti tra le legislazioni degli Stati e dall’esistenza di numerose zone d’ombra all’interno degli Stati stessi allorché la gestione dell’a. viene sempre più affidata ad attori privati. Un’altra sfida nella gestione condivisa dei bacini idrici risulta dalla variazione nel tempo: la maggior parte degli accordi transfrontalieri, infatti, si basa sulla definizione di uno status considerato immutabile, che non tiene debitamente conto dei cambiamenti imposti dal clima e dall’evoluzione delle condizioni socioeconomiche delle popolazioni che usufruiscono delle risorse dei bacini.
L’Unione Europea, perseguendo l’obiettivo di unificare le legislazioni degli Stati membri e di cooperare per una tutela delle risorse a disposizione dell’Unione, ha promulgato il 23 ottobre del 2000 la direttiva quadro 2000/60/CE per l’azione comunitaria in materia di a., recepita nell’ordinamento italiano dal d. legisl. 152/2006. La direttiva istituisce un quadro di riferimento comune ai fini della tutela e gestione delle risorse idriche, quali le a. interne superficiali e sotterranee, le a. di transizione e le a. costiere; essa si prefigge il miglioramento o il mantenimento della qualità delle a. comunitarie, con azioni volte alla conservazione quantitativa laddove ciò si riveli importante per la protezione ambientale. Oltre alla tutela degli ecosistemi acquatici, la direttiva si concentra sulle azioni necessarie per mitigare gli effetti delle inondazioni e delle siccità. Particolarmente significativa è la definizione di parametri condivisi per quanto riguarda la valutazione dello stato delle a., differenziati in relazione al tipo di elemento idrico considerato. L’attuazione della direttiva impegna gli Stati membri al raggiungimento, entro il 2015, dell’obiettivo dello stato ‘buono’ per tutte le a. superficiali e sotterranee dell’Unione, e all’adeguamento agli standard stabiliti per le aree protette. Alla direttiva, nel 2012, è seguito il piano per la salvaguardia delle risorse idriche europee – COM(2012) 673 final, noto come Blueprint for Europe’s water – che ha tradotto il quadro teorico adottato nel 2000 in una serie di informazioni specifiche circa lo stato delle a. nell’Unione Europea e le pressioni su esse esercitate, anche alla luce dell’adozione della direttiva da parte degli Stati, e di indicazioni più dettagliate su possibili strategie operative. Il piano identifica nelle pressioni idromorfologiche il fattore più preoccupante per lo stato ecologico dei bacini dell’Unione (riguardante circa il 40% dei corpi idrici) e afferma la necessità di affiancare alla Valutazione di impatto ambientale (VIA) la Valutazione ambientale strategica (VAS) nei casi in cui si preveda una modifica dei corpi idrici. In considerazione della sempre maggiore incidenza dei fenomeni alluvionali, il piano stimola la creazione di fasce tampone verdi quale alternativa alle infrastrutture grigie come argini e sbarramenti, così come la redazione di piani di gestione del rischio di alluvioni entro il 2015. Riguardo al secondo fattore di maggior pressione, cioè l’eccessiva estrazione, il piano afferma la necessità di una definizione di ‘flusso ecologico’ per affrontare il problema dell’assegnazione eccessiva, che, una volta concordata, potrà essere utilizzata nel ciclo dei piani di gestione dei bacini idrografici adottati entro la fine del 2015. Riguardo al terzo fattore di pressione, cioè l’inquinamento diffuso e da fonti puntuali (che gravano rispettivamente sul 38% e sul 22% dei bacini europei), il piano, pur segnalando i progressi in merito, è costretto a riconoscere un fallimento dei relativi obiettivi ambientali. Un altro punto della direttiva che ha trovato scarsa attuazione negli Stati membri è quello (art. 9) relativo alle politiche dei prezzi: solo il 49% dei piani di gestione dei bacini prevede modifiche ai regimi di tariffazione delle a. che favoriscano l’efficienza. Scarsa attuazione trova anche il principio di recupero dei costi sugli attori colpevoli di inquinamento, e un’interpretazione restrittiva del concetto di servizi idrici da parte di alcuni Stati membri ai soli servizi igienico-sanitari e all’a. potabile limita sensibilmente l’impatto delle disposizioni della direttiva. Dato, invece, il fondamentale ruolo dell’agricoltura nel consumo delle risorse idriche, il piano auspica che nella revisione della Politica agricola comunitaria (PAC) possano essere prese in considerazione tutte le istanze sollevate in termini di tutela delle a. e i relativi finanziamenti volti all’applicazione delle stesse.
Sebbene la direttiva CE del 2000 dichiari agli artt. 1 e 2 che l’a. «non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale», e che «la fornitura idrica è un servizio di interesse generale», è stato criticato il concetto di gestione efficiente delle risorse come risulta dal piano, in quanto tale paradigma costituirebbe un tassello in direzione di una piena commercializzazione dell’a., mentre, viceversa, non vi è alcun accenno al diritto all’a. come sancito dalla dichiarazione dell’ONU. Nel piano, in effetti, sono auspicati partenariati per l’innovazione da cui far scaturire obiettivi sia ambientali sia commerciali per l’Unione Europea, in considerazione del fatto che il mercato delle a. potrebbe sfiorare nel 2020 i 1000 miliardi di euro; inoltre, vengono ammessi alla valutazione i sistemi di scambio di crediti relativi all’a. (water trading) che potrebbero contribuire a migliorare l’efficienza idrica. Per comprendere più propriamente la posizione dell’Unione Europea si può far riferimento alla risoluzione del Parlamento europeo Internal market strategy - Priorities 2003-2006 (P5_TA(2004)0183), dove vengono rigettate una liberalizzazione dell’approvvigionamento e dello smaltimento idrico e, a partire dal riconoscimento dell’a. come bene comune dell’umanità, una sottomissione del settore idrico alle norme del mercato interno. Tuttavia, si chiede che l’approvvigionamento idrico venga «ammodernato secondo principi economici, standard qualitativi e ambientali e requisiti di efficienza» (art. 3). In accordo con questa esigenza si inserisce il Partenariato europeo per l’innovazione (EIP, European Innovation Partnership) relativo all’a., uno dei punti chiave della strategia di crescita Europa 2020, che ha preso avvio nel 2013. La commercializzazione dell’a. rappresenterebbe un passo nel processo verso la sua definitiva finanziarizzazione, per cui l’a. diventerebbe un bene di cui non solo si può fare commercio, ma sul quale possono essere applicati strumenti finanziari in grado di generare una rendita. Ciò sta avvenendo in tre modalità distinte: la finanziarizzazione dei gestori del servizio idrico, quella delle infrastrutture idriche e quella dell’a. stessa. Se le prime modalità sono operanti in gran parte dei Paesi, la terza, che trasforma l’a. in un bene commercializzabile attraverso un sistema di vendita dei diritti di sfruttamento su cui sarebbe possibile strutturare tutti i prodotti finanziari derivati, è già una realtà in alcuni Stati americani, in Cile, in Sudafrica, in Australia e alle Canarie.
Per contrastare le tendenze alla finanziarizzazione della gestione dell’a. numerosi attori non governativi si sono mobilitati a livello locale e mondiale. Tra questi si segnala il Comitato internazionale per il contratto mondiale sull’acqua, articolato in diversi comitati nazionali, che si propone come obiettivi: la lotta alla mercificazione e alla privatizzazione dell’a., la promozione di una gestione partecipata da parte dei cittadini dei servizi idrici e la costituzione di un’Autorità mondiale dell’acqua aventi funzione di indirizzo e poteri di sanzione. Un’altra iniziativa di grande rilevanza internazionale è l’organizzazione del Forum alternativo mondiale dell’acqua (FAME), svoltosi a Marsiglia tra il 14 e il 17 marzo 2012 in diretta contrapposizione con il Forum mondiale dell’acqua del Consiglio mondiale dell’acqua, imputato di fare gli interessi delle imprese multinazionali e della Banca mondiale.
A livello europeo è attivo il Movimento europeo per l’acqua bene comune (EWM, European Water Movement), che si propone di contrastare le politiche espresse nella strategia europea come esposta nel Blueprint per il periodo 2016-30; nel 2009, inoltre, nella sede del Parlamento europeo a Bruxelles, si è svolta la prima Assemblea mondiale dei cittadini ed eletti dell’acqua (AMECE), impegnata nella stesura di una Carta della solidarietà per l’accesso all’acqua.
In Italia, dal 2006, è attivo il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, che riunisce tutti i comitati territoriali e gli attori sociali che si impegnano per la promozione di una gestione pubblica e partecipata del servizio idrico. Il Forum, tra il 2010 e il 2011, ha promosso la raccolta di più di un milione e quattrocento firme, che ha portato il 12 e 13 giugno 2011 alla consultazione referendaria che ha abrogato l’art. 23 bis del d. legisl. 112/2008 (decreto Ronchi), il quale obbligava gli enti locali ad affidare a soggetti privati o a partenariati pubblico-privati (PPP), mediante gare di appalto, la gestione del servizio idrico, e il comma 1 dell’art. 154 del d. legisl. 152/2006, che prevedeva la riscossione in bolletta degli oneri finanziari investiti per l’erogazione del servizio. Nonostante il referendum abbia abrogato tali disposizioni, una sua piena applicazione è tuttora assente in molti comuni e regioni.
M. Ciervo, Geopolitica dell’acqua, Roma 2009; 2030 Water Resources Group, Charting our water future, New Delhi 2009; A.Y. Hoekstra, A.K. Chapagain, M.M. Aldaya, M.M. Mekonnen, The water footprint assessment manual, London 2011; Global water framework, 6th world water forum: forum synthesis, Marsiglia, 2-17 marzo 2012, http://www.worldwaterforum6.org/fileadmin/user_upload/pdf/publications_elem/global_water_framework.pdf; Si scrive acqua...: attori, pratiche e discorsi nel movimento italiano per l’acqua comune, a cura di C. Carrozza, E. Fantini, Torino 2013; P.H. Gleick et al., The world’s water, 8° vol. Washington (DC) 2014; UNESCO, The United Nations world water development report 2014: water and energy, Parigi 2014,http://unesdoc.unesco.org/images/0022/002257/ 225741e.pdf.