ACQUAVIVA D'ARAGONA, Giovan Girolamo (Giangirolamo)
Nacque nel 1600 da Giulio e da Caterina, figlia ed erede di Belisario Acquaviva, duca di Nardò, ed oltre ai titoli di conte di Conversano e di duca delle Noci, ereditati dal padre, ebbe anche quello di duca di Nardò, feudo che venne in suo possesso nel 1636, dopo la morte della madre. Ancora giovanissimo si distinse per meriti militari al servizio degli Spagnoli, difendendo nel 1617 Manfredonia dai Turchi, con una guarnigione di soli trecento cavalieri, arruolando, in cambio del grado di mastro di campo, 2000 uomini per la guerra del Milanese del 1638 e, sotto il viceregno del duca d'Alba, assoldando a sue spese una compagnia per reprimere disordini scoppiati nel Regno.
Nei suoi feudi intese esercitare un potere assoluto, che contrastava sia con i privilegi delle Università, sia con le istanze del governo vicereale spagnolo. In particolare a Nardò egli non solo impose nuovi dazi e gravami feudali, ma cercò di far cadere sotto la propria influenza l'elezione dei sindaci e degli ufficiali dell'Università, sostituendo all'ufficiale regio, che, per antico diritto, doveva presiedere all'elezione, un governatore ducale. La reazione dell'Università fu viva, e, nel 1638, il sindaco dei nobili, F.M. Manieri, presentò ricorso contro l'A. al Consiglio collaterale. Per questo, nel 1639, l'A. lo fece uccidere.
Anche per altre illegalità, e non per la semplice ostilità del viceré duca di Medina, come sostengono taluni storici (P. di Tarsia e G. A. di Tarsia Morisco), l'A., nell'aprile del 1643, fu arrestato, per ordine del re, e rinchiuso in Castel S. Elmo a Napoli. Va anzi rilevato che il Medina, almeno a quanto appare dai Notamenta del Collaterale (cfr. Pepe), cercò di ritardare il procedimento penale contro l'A. e, dopo il suo arresto, di scagionarlo dai gravi sospetti di fellonia. Ma, dopo l'arresto, fu aperta sul conto dell'A. un'inchiesta, nel corso della quale l'A. risultò effettivamente colpevole non soltanto di numerosi omicidi ed abusi contro i Neritini, ma anche di lesa maestà, essendosi dimostrata, attraverso la scoperta di alcune lettere compromettenti del figlio fra' Tommaso (appartenente all'Ordine di Malta), la sua partecipazione ad una congiura a favore di Tommaso di Savoia e del partito filo-francese nel Regno di Napoli.
Anche il Chéruel (Histoire de France pendant la minorité de Louis XIV,I, Paris 1879, pp. 241-242) attribuisce all'A, una parte molto importante nella congiura, riportando una lettera inviata al Mazzarino dal marchese Fontenay-Mareuil, suo emissario.
In questa appare la notizia, comunicata dall'A., "qu'il a fortifié son parti de plus de cinquante des principaux du Royaume" e che essi si tenevano pronti all'azione. Un'ulteriore conferma si trova nel Mémoire indirizzato dal Mazzarino al Fontenay-Mareuil (31 giugno 1642, ed. in J. Loiscleur et G. Baguenault de Puchesse, L'expedition du Duc de Guise à Naples,Paris 1875, p. 97), ove si parla di una "ouverture du Comte de Conversane", che "il ne faut point négliger".
L'A. ottenne che il re avocasse a sé la causa e, il 22 maggio 1644, fu scarcerato e inviato a Madrid, dove fu seguito dal proprio agente, l'abate Paolo di Tarsia, che scrisse allora, in sua difesa, un Memorial a la católica y real Majestad el rey nuestro Señor D. Filipe IV,pubblicato nel 1657. L'A. a Madrid riuscì a giustificarsi, non si sa attraverso quali vicende, e nel marzo 1646 tornò infine in patria, libero ed insignito per di più del titolo di conte di Castellana.
Su tutto l'episodio potrebbero far luce le carte concernenti il processo del 1646, conservate all'Archivo general di Simancas e segnalate da N. Cortese, Fonti spagnole per la storia del Regno di Napoli del Cinque e Seicento,in Rass. stor. napol.,n.s., I (1940), p. 80.
Al ritorno nelle Puglie, l'A. fu immischiato nelle contese di una fazione di nobili baresi (tra cui G. de Rossi ed O. Visconti) contro un'altra fazione che faceva capo a G. Pappacoda, marchese di Capurso e principe di Triggiano, ed era protetta dal duca d'Andria, Carlo Carafa.
G. Petroni (II, pp. 61-62) riporta il testo di un patto segreto di mutua alleanza stretto tra i nobili baresi, in cui essi si impegnavano, tra l'altro, ad obbedire in tutto e per tutto all'A., loro protettore, nelle contese con il gruppo del Pappacoda. Queste vicende avrebbero portato ad una sfida senza seguito tra il duca d'Andria e l'A., alla fine del 1647 o all'inizio del 1648 (ibid.,p. 87-90; cfr. anche G. B. De Pyrris, p. 98).
Durante i moti del 1647-48, l'A. fiancheggiò gli Spagnoli, sia pure agendo spesso in modo personale e insubordinato. A Napoli, nel giorno in cui scoppiarono i primi tumulti, salvò, insieme con altri nobili, il viceré duca d'Arcos.
Immediatamente dopo stimò opportuno ritornare nelle Puglie, a fronteggiare la ribellione dei propri feudi, particolarmente di Nardò, dove gli spontanei moti antifeudali popolari venivano incoraggiati anche dal vicino marchese di Acaia, attivo partigiano dei Francesi. L'A. strinse immediatamente di assedio Nardò (luglio 1647) e chiese l'appoggio del Boccapianola, comandante delle truppe regie nelle Puglie. Questi, però, sembra per invito dello stesso viceré duca d'Arcos, si limitò ad un intervento conciliativo tra l'A. ed i suoi vassalli, intervento che, per altro, ebbe successo, poiché l'A., dietro promesse di indulgenza e di diverse concessioni ai vassalli ribelli, riuscì a rientrare in possesso della città. Un mese dopo, contrariamente a quanto aveva promesso, adducendo come scusa una seconda ribellione degli abitanti di Nardò, l'A. procedette ad una feroce rappresaglia, uccidendo, oltre a diversi ufficiali dell'Università ed alcuni nobili, i ventiquattro canonici della cattedrale, che erano stati a suo tempo tra gli animatori dell'insurrezione. La narrazione di questa strage torna in molti autori contemporanei e posteriori, con particolari leggermente diversi.Nel settembre del 1647 l'A. partecipò, insieme con il Boccapianola, alla riconquista di Lecce; nel novembre dello stesso anno accettò di mettersi al servizio di don Giovanni d'Austria e partì per il campo di S. Maria di Capua (ove faceva capo la concentrazione dei baroni sotto il comando di V. Tuttavilla), con i suoi tre figli, Cosimo, Giulio e fra' Tommaso, ed una compagnia assoldata a proprie spese. Ebbe parte importante in alcuni scontri con i ribelli, soprattutto a Frattamaggiore, dove il figlio Giulio perse la vita, ad Acerra ed a Caivano. Ma, nel gennaio 1648, quando gli avvenimenti sembravano precipitare per l'intervento del duca di Guisa, l'A. volle abbandonare il Tuttavilla, e, nonostante la proibizione di questo, che in un primo tempo fece sbarrare le porte del campo, riuscì a ritornare nelle Puglie (11 genn. 1648). Tuttavia, a quanto risulta, la sua fedeltà al partito spagnolo non venne meno.
Da numerosi dispacci inviati in Francia da osservatori francesi residenti a Roma (cfr. P. Denis, Nouvelles de Rome [1601-1661],I, Paris 1913, pp. 59,63, 68, ecc.) appare che le azioni dell'A. venivano seguite con molta attenzione dai Francesi, che nutrivano forti speranze in una sua defezione dal campo spagnolo. Emissari del duca di Guisa dovettero anche esercitare su di lui alcune pressioni (ibid.,pp. 94 e 103); e d'altra parte il Mazzarino stesso, in una lettera al cardinale Grimaldi, del 22 febbr. 1648, fa il nome del conte di Conversano tra quei nobili che sarebbe stato conveniente conquistare alla causa francese (Alcune lettere inedite del cardinale Mazzarino,a cura di E. Nunziante, in Arch. stor. per le prov. napol.,IX [1884], p. 500). Non risulta però che l'A. fosse tornato ad appoggiare le fortune francesi.
L'A. ebbe ancora parte di primo piano nella repressione dei moti del 1648, in Terra d'Otranto ed in Terra di Bari, guidati da Matteo Cristiano e dal conte del Vaglio. In quest'ultima campagna egli, in posizione sempre subordinata al Boccapianola, divise il comando con il duca di Martina e riportò, oltre a numerosi successi (Foggia, ecc.), anche qualche sconfitta, dovuta in parte alla sua rivalità con il duca di Martina (per esempio, presso Altamura). Nel 1650, partecipò ancora, con il grado di generale di cavalleria, alla riconquista di Piombino, il cui assedio diresse fino alla capitolazione, e dell'isola d'Elba. Alla fine delle operazioni il viceré conte di Oñate inviò al re un rapporto lusinghiero sul suo conto, richiedendo per lui il titolo di principe di Castiglia, e per suo figlio Cosimo l'Ordine del Toson d'Oro. Ma soltanto quest'ultimo fu concesso.
Nel frattempo l'A. era stato protagonista di altre clamorose liti private: nel 1649 era sorto un nuovo conflitto con il duca d'Andria, che aveva cercato di infrangere il monopolio dell'esportazione del grano pugliese a Venezia, detenuto dagli Acquaviva di Conversano, uccidendo due loro agenti di Bari. Il conflitto sfociò in un duello tra il duca d'Andria ed i due figli dell'A., Cosimo e fra' Tommaso, in cui Cosimo restò ferito (maggio 1649). Tutti i duellanti, e l'A. in qualità di istigatore del duello, ricevettero dal conte di Oñate l'ordine di recarsi a Napoli, e qui furono trattenuti agli arresti per diversi mesi. Gli A. ottennero di rimanere nella loro stessa casa, pagandosi essi stessi la guarnigione, secondo un uso comune del tempo.
Intervenne a favore dell'A, l'imperatore Ferdinando III, con una lettera al suo ambasciatore a Madrid, marchese di Grana, il 22 dic. 1649 (pubblicata dal di Tarsia Morisco, pp. 439-440). Ma non fu questo l'inizio della disgrazia definitiva dell'A., come vuole il Pepe (op. cit.,p. 164), anche se da questo momento poté prendere l'avvio un procedimento penale gravido di conseguenze per l'A., per la pressione di alcuni vassalli neritini a Madrid e del consigliere del Collaterale M. Casanate a Napoli. Si è visto però che l'anno dopo l'A., con il grado di generale di cavalleria, fu all'Elba ed a Piombino.
Il Fuidoro parla di un secondo arresto dell'A., nell'agosto del 1651. Esso sarebbe avvenuto quando, dopo un lungo viaggio attraverso le città dell'Italia settentrionale, compiuto al ritorno dalla campagna dell'Elba, l'A. ebbe una rissa a Napoli con due Spagnoli.
Allora il re avocò a sé il procedimento penale contro l'A., che fu chiamato in Spagna e relegato nei pressi di Valenza, dove restò, nonostante i suoi tentativi di difesa, fino al 1665. Uno dei capi specifici d'accusa contro di lui fu probabilmente il suo comportamento durante i moti del 1647 a Nardò. L'A. cercò di scagionarsi, ottenendo lettere in sua difesa da alcuni cittadini neritini.
Ulteriori elementi atti a chiarire i motivi della detenzione dell'A. fornisce la Cronaca di G. B. De Pyrris (pp. 165-166; cfr. anche G. Petroni, pp. 106-108), dove è detto che l'arresto dell'A. avvenne in seguito a un'inchiesta del consigliere don Pedro Varaez, inviato nelle Puglie dal viceré conte di Oñate, con il compito di porre un freno al potere personale dell'A. e del duca d'Andria, che soverchiava l'autorità degli ufficiali regi, ed in particolare al contrabbando su larga scala che si svolgeva sotto la loro protezione.
Il Fuidoro poi accenna alla ragione politica generale del continuo sospetto in cui fu tenuto l'A. dagli Spagnoli, quando dice che "fu egli amato da' potentati d'Italia e da signori della Germania, co' quali teneva corrispondenza, trattandosi da regolo della Puglia; il che diede gelosia agli Spagnoli, che non amano tanta potenza nelli baroni di questo regno".
Poco dopo la sua liberazione, nel 1665, mori a Barcellona, sulla strada del ritorno. Il suo corpo fu trasportato in Italia e seppellito a Conversano.
L'A. aveva sposato nel 1621 Isabella Filomarino, che lo fiancheggiò sempre nella sua azione, governò i feudi durante le sue assenze e fu ritenuta corresponsabile delle sue colpe, se, nel 1651, fu richiamata a Napoli, in seguito al suo arresto. Ne ebbe numerosi figli, tra cui i ricordati Cosimo, Giulio e fra' Tommaso.
Fonti e Bibl.: P. Litta, Fam. cel. ital., Acquaviva,tav. VII. Esistono alcune vecchie biografie dell'A., compilate da storici pressoché ufficiali della famiglia Acquaviva, che sono prive di ogni valore e piene di volontari silenzi e falsificazioni: ricordiamo l'opera del contemporaneo (1649) P. di Tarsia, Historiarum Cupersanensium libri III,ristampata in Delectus Scriptorum rerum Neapolitanarum,II, Neapoli 1753,coll. 721-722; G. B. Tafuri, Dell'origine, sito ed antichità della città di Nardò...,in Raccolta di opuscoli scientifici e filologici,XI, Venezia 1735, pp. 288-292; P. A. di Tarsia Morisco, Memorie storiche della città di Conversano,Conversano 1881, pp. 432-440; elementi diversi e molto più illuminanti sull'attività e sulla personalità dell'A. si ricavano frequentemente dalle cronache e dai giornali degli anni della rivolta di Masaniello e di quelli immediatamente successivi: P. di Tarsia, Tumultos de la ciudad y reyno de Nápoles en el año de 1647,en León de Francia 1670, pp. 164-170 (molto benevolo verso l'A.); D. A. Parrino, Teatro eroico e politico de' governi de' vicere del Regno di Napoli...,II, Napoli 1692, pp. 387-388, 398-399; III, ibid. 1694, p. 150; T. De Santis, Istoria del Tumulto di Napoli,Napoli 1770, p. 119; F. Capecelatro, Diario contenente la storia delle cose avvenute nel reame di Napoli negli anni 1647-1650,a cura di A. Granito di Belmonte, 3 voll., Napoli 1852-54, passim;G. B. Piacente, Le rivoluzioni del Regno di Napoli negli anni 1647-1648 e l'assedio di Piombino e di Portolongone,per cura di G.D.A., Napoli 1861, pp. 161, 203-204; G. B. De Pyrris, Cronaca della città e provincia di Bari negli anni 1647-1648,a cura di E. Rogadeo, in Arch. stor. pugliese,I (1894), pp. 91-170 e passim;I. Fuidoro, Successi del governo del duca d'Oñatte (1648-1653),a cura di A. Parente, Napoli 1932, pp. 95-97, 134-137, 152, 166-167e passim;lavori storici più recenti sull'A., che mantengono ancora un certo valore, sono: P. Gioia, Conferenze istoriche sulle origini e sui progressi del Comune di Noci in Terra di Bari,II, Napoli 1842, pp. 319-342; G. Petroni, Storia di Bari,II, Napoli 1858, pp. 61-62, 87-90, 92-95, 106-108 e passim;L. Pepe, Nardò e Terra d'Otranto nei moti del 1647-1648,Trani 1895, passim (lo studio più completo che esista sull'A., basato sulla conoscenza di numerosi documenti dell'Arch. di Stato di Napoli e di cronache inedite di Conversanesi ed in genere contemporanei dell'A.); G. Bolognini, Storia di Conversano,Bari 1935, pp. 131-140; G. Coniglio, Il Viceregno di Napoli nel sec. XVII,Roma 1955, p. 252.
Su punti particolari si vedano le indicazioni nel testo.