SOTTERRANEE, ACQUE (fr. eaux souterraines; ted. Grundwasser; ingl. underground waters)
Le acque che cadono sulle terre emerse si ripartiscono generalmente in proporzioni diverse da regione a regione: una parte con l'evaporazione torna nell'atmosfera; una parte può scorrere alla superficie, una parte è assorbita dalle piante, una parte infine penetra nel suolo ad alimentare la circolazione sotterranea, di cui le sorgenti sono le più evidenti manifestazioni, oppure imbeve o idrata le rocce, rimanendovi fissata.
Condensandosi nell'atmosfera e attraversandola nella caduta, l'acqua scioglie e trasporta anche meccanicamente ciò che trova nell'aria: i gas principali O N, CO2 sono assorbiti diversamente, in quantità dipendenti dalla natura del corpo e dalla temperatura: a 0° la quantità di ossigeno assorbito e circa il doppio di quella dell'azoto; quella di anidride carbonica è circa 70 volte superiore; cosicché in definitiva, l'aria assorbita dall'acqua piovana contiene quasi 37 volte più anidride carbonica di quella atmosferica e poco più di una volta e mezzo di ossigeno. Perciò essa ha un'azione molto più efficace di quella dell'acqua pura nell'attaccare e sciogliere i minerali e le rocce costituenti la scorza terrestre. Infatti la materia sciolta dalle acque e da queste con i fiumi trasportata annualmente al mare è valutata da 2 a 2,5 miliardi di tonnellate. Inoltre si trovano nell'atmosfera molte altre sostanze provenienti da emanazioni terrestri d'origine chimica e biologica, quali ammoniaca, acido nitrico, acido solforico, cloro, cloruri, ecc., che secondo la loro solubilità, possono essere trascinate dalle acque meteoriche sulla superficie del terreno in varie proporzioni, dipendenti da condizioni locali. Le stesse acque meteoriche trascinano pure i materiali solidi costituenti il pulviscolo atmosferico di natura in parte minerale e in parte organica.
Sulla distribuzione e il regime delle acque sotterranee o superficiali influiscono la distribuzione e l'intensità delle precipitazioni. Oltre alle precipitazioni, il terreno può assorbire quantità non trascurabili di acqua allo stato liquido (rugiada) o solido (brina) provenienti dalla condensazione diretta che molte volte avviene sulla superficie del terreno e sulla vegetazione, specialmente arborea, dell'umidità atmosferica. Sembra molto probabile che le nebbie, le quali si manifestano spesso e persistenti sugli alti monti e con atmosfera che sempre si rinnova, abbiano importanza per il cosiddetto rifornimento delle sorgenti di vetta, ad alimentare le quali non sarebbero sufficienti le precipitazioni atmosferiche per l'esiguità del bacino imbrifero.
Penetrazione delle piogge nella crosta terrestre. - La quantità di pioggia che può essere assorbita dal terreno è variabilissima e dipende da molti coefficienti, di cui i più importanti sono: 1. la pendenza del terreno; con le sue variazioni varia il tempo per cui l'acqua caduta può stare in contatto superficiale con la stessa unità di area e varia quindi la quantità d'acqua che può penetrarvi; 2. la natura del suolo, e cioè la sua costituzione litologica e strutturale; 3. l'intensità, durata e distribuzione nell'anno delle precipitazioni.
Tutte le rocce, anche le più compatte, contengono una certa quantità d'acqua diffusa nei pori esistenti tra le particelle che le costituiscono o aderente alle pareti delle connessure degli strati o delle fratture (litoclasi), anche se sottilissime. Tale acqua è detta acqua di cava. All'infuori di essa, che si può ritenere pressoché fissa, si può trovare nelle rocce acqua decisamente mobile, che scorre entro i pori tra loro collegati (porocanali) o tra le litoclasi più o meno diffuse e di varia grandezza dovute ad azioni tettoniche; sotto questo riguardo le rocce si possono comportare in due modi assai differenti negli estremi, ma collegati da passaggi graduali intermedî, e cioè o si lasciano attraversare, sia pure in varia misura, come da una percolazione continua e si dicono rocce permeabili, oppure non si lasciano attraversare dalle acque, anzi ne ostacolano qualsiasi passaggio e si dicono impermeabili.
In queste ultime, se clastiche, l'ordine di grandezza delle particelle costituenti è di un micron (millesimo di mm.) e i pori sono quindi anche più piccoli, cosicché i canalicoli che si possono immaginare da essi risultanti sono subcapillari, e, pur essendo rivestiti da sottilissimi veli d'acqua, non lasciano più circolare, almeno in misura apprezzabile, l'acqua stessa.
Pure impermeabili sono le rocce compatte, quelle cioè in cui lo spazio totale dovuto ai pori è assai piccolo (frazioni o poche unità per cento) rispetto al volume delle rocce stesse. Tuttavia queste rocce possono diventare permeabili per fenditure o per connessure di stratificazione o per entrambi, le quali possono formare una rete di canali comunicanti, dando luogo alla cosiddetta permeabilità in grande.
Tra le clastiche sono impermeabili l'argilla, le marne, gli scisti argillosi, i tufi compatti, inoltre anche le rocce compatte magmatiche, i calcari, le rocce metamorfiche, ma assai spesso, come già si è detto specialmente per i calcari, possono diventare permeabilissime in conseguenza di ampliamenti delle fratture e dei giunti di stratificazione operati per soluzione e per erosione delle acque atmosferiche cariche di anidride carbonica e di materie solide in sospensione.
Esempî di rocce permeabili invece sono le rocce frammentarie o clastiche incoerenti, quali i detriti di falda brecciosi, le ghiaie, le sabbie, i lapilli in cui i frammenti sono visibili a occhio nudo e non cementati; sono ancora permeabili, ma in minor grado, le stesse rocce quando sono parzialmente cementate, ma a misura che la cementazione cresce, diminuisce la permeabilità, anche fino a scomparire come in certe quarziti. Le quattro figure schematiche della fig. 1 dànno un'idea delle varie permeabilità: a, sabbia o ghiaia a elementi quasi uguali, assai permeabile; b, sabbia o ghiaia a elementi di diversa grossezza cementati, poco permeabile; c, rocce permeabili in grande per giunti di stratificazione allargati; d, roccia permeabile in grande per fratturazione.
In conclusione la permeabilità di una roccia dipende essenzialmente:
1. dalla forma e distribuzione dei costituenti e dalla loro grandezza; 2. dal grado di uniformità delle dimensioni di essi; 3. dal grado di cementazione e costipamento a cui la roccia è stata assoggettata dopo la deposizione; 4. dal grado di fratturazione e allargamento dei meati per soluzione e per erosione.
Nello studio teorico della porosità si suppone che i costituenti della roccia abbiano tutti una forma sferica dello stesso diametro: si dimostra che si hanno due distribuzioni limiti a cui corrispondono i massimi e i minimi coefficienti di porosità o rapporti tra il volume dei pori e il volume totale delle rocce: in una distribuzione le singole sfere hanno i centri su un reticolato a maglie cubiche, e il rapporto in centesimi, giunge al 47,64% (fig. 2 a); nell'altra i centri sono su maglie romboedriche (massimo addensamento delle sfere) e il rapporto scende a 25,95% (fig. 2 b).
È notevole che il coefficiente non dipende dalla grandezza dei grani, cosicché è lo stesso per grani, ad es., di 0,4 e di 1 mm., ma diminuisce se tali grani vengono tra loro mescolati in qualsiasi proporzione, perché o i più piccoli vengono ad occupare i pori fra i più grandi, o questi prendono il posto occupato da grani più piccoli e dai loro pori, riducendo in entrambi i casi il volume dei vuoti. Il coefficiente aumenta invece con l'irregolarità dei grani. In pratica il coefficiente si determina sperimentalmente in varî modi, ad es. conoscendo il volume della sabbia essiccata a 1100 e quello dell'acqua necessaria a saturarlo.
Oltre al coefficiente di porosità, è necessario conoscere anche la grandezza dei frammenti che costituiscono le rocce clastiche, perché da tale grandezza dipende quella delle dimensioni delle sezioni dei canalicoli e da quest'ultima la resistenza d'attrito e l'azione della capillarità, che si oppongono al deflusso dell'acqua. La determinazione delle dimensioni dei grani si può fare, ad es., con stacci a maglie calibrate e, per i diametri più piccoli, con apparecchi speciali di levigazione, usati specialmente nell'analisi dei terreni agrarî e anche col microscopio.
Quella parte di acqua meteorica che penetra definitivamente nel terreno (la quantità può essere determinata sperimentalmente con sistemi illustrati alla voce idrologia) scende nei terreni permeabili, p. es. nelle alluvioni sabbiose, più o meno rapidamente fino a trovare terreni impermeabili, ne colma le eventuali aree a bacino, poi s'innalza fino a una certa altezza (livello freatico) imbevendo completamente la cosiddetta zona di saturazione per mettersi quindi in moto suborizzontale, in generale lentissimo, verso la parte più depressa dello strato impermeabile, come fa l'acqua in superficie. La direzione e la velocità della corrente sotterranea dipendono dalla disposizione e dalla natura relativa degli strati nonché dalle caratteristiche di ciascuno di essi: entrambe possono essere determinate mediante sistemi illustrati alla voce idrologia.
Nell'esame delle relazioni tra la penetrazione e la natura litologica e strutturale delle rocce che affiorano e di quelle immediatamente sottostanti, si presentano tre casi: 1. quello già considerato, di rocce permeabili in sé (quali le sabbie), riposanti a non grande profondità su rocce impermeabili e che dà luogo alle acque freatiche; 2. quello di uno strato permeabile affiorante in zone di quota elevata, ricoperto verso il basso da rocce impermeabili e giacente sopra rocce del pari impermeabili: in questo caso le acque scendenti nello strato vengono a trovarsi man mano sotto pressioni crescenti, come quelle delle condotte forzate, ad es. delle centrali elettriche; a tali acque si dà il nome di artesiane; 3. l'ultimo infine, diverso dal primo solo per il fatto che la roccia assorbente ha una permeabilità in grande per fessurazioni, ecc., assai frequente nelle rocce calcaree, dà luogo alle acque carsiche, dal Carso dove il fenomeno è assai diffuso.
Acque freatiche. - Sono così denominate perché a esse attingono i pozzi comuni (gr. ϕρέαρ "pozzo"); esse imbevono uno strato più o meno potente (strato acquifero) alla base delle formazioni più recenti, alluvionali o diluviali, sabbiose-ciottolose e quindi permeabili, ove queste vengono a contatto, per lo più a non grande profondità, con formazioni impermeabili, come le argillose, del quaternario e del terziario. Tali formazioni permeabili ricoprono valli e pianure assai numerose che occupano complessivamente una parte considerevole della superficie terrestre. Anche le zone pianeggianti di ceneri vulcaniche incoerenti, quelle di alterazioni più o meno profonde in sabbione delle zone granitiche si comportano in modo analogo. Le acque freatiche costituiscono una preziosa riserva, cui attingono le case isolate, i villaggi e spesso popolose città.
L'acqua che alimenta lo strato acquifero è essenzialmente fornita da una parte delle precipitazioni che cadono sulla zona considerata e sulle pendici circostanti e talora, per ragioni tettoniche, anche da pendici B spioventi verso altre valli (fig. 3). Il livello dell'acqua freatica è soggetto a variazioni periodiche dipendenti dalla distribuzione nel tempo delle precipitazioni atmosferiche, dalla fusione delle nevi, ecc.; possono contribuirvi lo stato di piena o di magra di limitrofi corsi d'acqua, che possono agire come rifornitori o come emuntori, a seconda del loro stato. In un terreno pressoché omogeneo la superficie di livello dell'acqua freatica segue a una certa profondità la superficie del terreno, addolcendola ove questa è ad andamento irregolare o accidentato. Nelle dune il livello è più alto di quello del mare a causa della minore densità dell'acqua dolce.
Nei pozzi il livello si deprime quando si emungono le acque in modo continuo mediante pompe e la depressione è tanto maggiore e si propaga tanto più lontano, quanto maggiore è la portata o quantità d'acqua edotta nell'unità di tempo.
Acque subalvee e ravvenamento. - La quantità d'acqua che penetra nel suolo e va ad alimentare la falda freatica dipende, a parità delle altre condizioni, dalla quantità e distribuzione nel tempo delle precipitazioni, che sono di loro natura discontinue; è ovvio che dove si ha in superficie una massa d'acqua continua, in moto o stagnante, la quantità d'acqua che penetra per unità di superficie è assai maggiore, come avviene nell'alveo dei fiumi e sulla zona di perimetro e di fondo dei laghi. L'alveo dei fiumi, nella parte ove il corso è più rapido e cioè in quello a monte, è generalmente costituito da rocce clastiche assai permeabili, e cioè da alternanze di sabbie e di ciottoli, esso è quindi sempre imbevuto di acqua che scorre anch'essa, dando luogo a un corso sotterraneo, assai più lento di quello superficiale a causa delle maggiori resistenze al moto, ma assai più costante, potendo sussistere anche quando la magra può giungere fino ad annullare il corso superficiale.
Con l'attraversare strati porosi per un certo percorso l'acqua si filtra liberandosi delle parti tenute in sospensione e può anche, sotto determinate condizioni, purificarsi, liberandosi dagli organismi microscopici che la possono inquinare. Se quindi le acque subalvee vengono captate con gallerie longitudinali o trasversali, esse possono servire per usi irrigui e, quando è accertata la purezza, anche per usi potabili. Largo impiego nell'irrigazione degli agrumeti della Sicilia e della Calabria hanno appunto le acque subalvee delle fiumare, corsi d'acqua torrentizî a forti pendenze e largo e profondo alveo, asciutti per buona parte dell'anno, ma a rapide piene e a larghe riserve sotterranee.
Per usi potabili si può ricorrere a qualche cosa di analogo e cioè al ravvenamento, parola che sta a indicare l'arricchimento di una falda freatica mediante le acque di un fiume portate a filtrare naturalmente sul terreno soprastante alla falda stessa. Il più importante degli acquedotti di Firenze è alimentato con acqua freatica opportunamente ravvenata e raccolta con la galleria filtrante detta dell'Anconella nei terreni alluvionali dell'Arno a NE. di Firenze.
Tornando agli usi irrigui delle acque freatiche è opportuno accennare a uno degli esempî più notevoli, e cioè alla zona dei fontanili o delle marcite (prati artificiali) lombarde o risaie vercellesi che essi irrigano.
Acque artesiane. - Sono quelle acque sotterranee che, scendendo dall'esterno in uno strato permeabile racchiuso fra due altri impermeabili, vengono a essere in pressione e sono perciò in condizione di salire entro un tubo di trivellazione che giunga a esse attraverso lo strato impermeabile superiore.
Il termine artesiano deriva da Artesium, nome latino dell'antica provincia di Artois, dove si trovano i più antichi pozzi zampillanti, tra cui quello del convento di Lillers, che versa acqua dal 1126. I pozzi artesiani sono detti anche modenesi perché nel Modenese ebbero diffusione e una tecnica progredita di esecuzione; i primi scienziati che spiegarono il fenomeno furono gl'italiani B. Ramazzini, G. D. Cassini, A. Vallisnieri (v. Pozzo).
Si può avere acqua artesiana anche nelle rocce non stratificate cioè in quelle magmatiche, impermeabili, in cui l'acqua sia contenuta in fratture di qualche estensione in profondità e in direzione, paragonabile a uno strato permeabile. In conclusione le condizioni generalmente ammesse per l'esistenza di acque artesiane sono:
1. strato (o frattura) che permetta l'assorbimento dell'acqua e sia contenuto fra due strati (o pareti della frattura) che impediscano all'acqua di disperdersi o almeno la lascino disperdere in quantità molto minore di quella che vi si può raccogliere;
2. inclinazione dello strato (o della frattura) tale che la zona esterna di assorbimento sia più alta del punto in cui viene eseguita la trivellazione e abbia, in relazione alle precipitazioni e alle proprie caratteristiche strutturali, un'estensione tale da lasciar penetrare una sufficiente quantità d'acqua.
Col progresso fatto dalla tecnica delle trivellazioni queste possono ora raggiungere e oltrepassare i 3000 m.; con esse si esplora il sottosuolo alla ricerca di petrolî, di carboni, ecc.; per l'acqua le profondità da raggiungere sono in generale assai minori, da qualche decina a qualche centinaio di metri, per quanto si sia giunti, eccezionalmente, a quasi 1500 metri in Australia. Quanto più profonde sono le acque, tanto più sono calde e, per il crescente potere solvente di esse, tanto più mineralizzate e inadatte a usi potabili.
L'importanza delle falde artesiane nell'economia umana è assai grande; col progredire delle conoscenze geologiche se ne vanno scoprendo di nuove in tutti i continenti, anche dove la mancanza di acque freatiche o scorrenti alla superficie renderebbe impossibili o difficili la permanenza dell'uomo e le colture; pertanto le trivellazioni si fanno sempre più numerose nei nuovi e nei vecchi bacini per averne acque potabili, acque per irrigazione e per usi industriali e perfino, come nel Dakota (Stati Uniti) per piccole forze motrici a uso di aziende agricole, per molini, illuminazione elettrica e officine di riparazione.
Sennonché col moltiplicarsi dei pozzi trivellati nello stesso bacino (oltre 10.000 in quello del Dakota meridionale) le falde artesiane finiscono con l'impoverirsi lentamente, le portate e le salienze diminuiscono finché l'acqua non defluisce più e occorre pomparla da profondità sempre maggiori. Sono pertanto necessarie delle leggi, già vigenti in alcuni stati, per disciplinare l'uso delle acque anesiane in modo da non depauperare un patrimonio che dovrebbe essere considerato come un beneficio della collettività (Canavari).
In Italia le falde artesiane non sono rare; le più importanti ed estese si trovano nella grande pianura padana e nelle sue propaggini laterali nella zona marginale dell'Adriatico, di Monfalcone a Pesaro. I terreni del Quaternario che le ricoprono hanno una potenza che da circa 100 metri nella zona a monte giungono a 150 nella pianura lombarda e a 250 in quella veneta; essi sono variabili di composizione tanto nel senso verticale quanto in quello orizzontale. La grossezza dei componenti va per lo più diminuendo con la profondità, con una relativa abbondanza d'intercalazioni argillose, le più estese delle quali dànno luogo a varie falde artesiane, largamente utilizzate per usi potabili di numerosi abitati, fra cui anche popolose città, come Torino (in parte), Milano, Pavia, ecc. I pozzi artesiani più antichi in Italia si ebbero nel Modenese ove esistono tre falde, a 22 m., a 50 e sotto 80. Zone artesiane minori si hanno nella Valle dell'Arno tra Pontedera e Pisa, sfruttate specialmente per l'irrigazione, alla marina di Carrara a Campiglia, a Civitavecchia, nelle Paludi Pontine, nella pianura di Foligno; in Sardegna si hanno falde artesiane nel Campidano tra Oristano e Cagliari, per una lunghezza di un centinaio di chilometri.
Acque carsiche. - Sono quelle che, penetrando in rocce fratturate, ossia permeabili in grande, raggiungono in generale profondità tali che, pur conservandosi a pelo libero, non sono più raggiunte dai pozzi comuni e non sono quindi più vere acque freatiche; hanno invece una grande importanza come alimentatrici di sorgenti. Le più tipiche e diffuse di tali rocce sono i calcari e le dolomie e dalle loro falde acquifere sgorgano le sorgenti di gran lunga più copiose, anche di più metri cubi al secondo e talvolta, nel periodo di piena, persino di un centinaio, come quella di Valchiusa, tributaria del bacino del Rodano, dalla quale le acque carsiche han tratto anche la denominazione di valclusiane.
Bibl.: M. Canavari, Manuale di geologia tecnica, Pisa 1928; C. S. Slichter, The motion of underground waters, Washington 1902; Ministero dell'agricoltura, Carta idrografica d'Italia; Ministero dell'agricoltura, poi Ministero delle corporazioni, Bollettini del R. Ufficio Geologico, Memorie descrittive della Carta geologica d'Italia, I-XXIV, specialmente, I, IV, XIII, XVII, XIX e XXI; Ministero dei lavori pubblici, Pubblicazioni del servizio idrografico del Magistrato delle acque, ecc. Giornale di Geologia pratica, ora Giornale di geologia, Bologna; L'acqua, organo dell'Associazione acque pubbliche d'Italia, Milano; A. Daubré, Les eaux souterraines à l'époque actuelle, voll. 2, ivi 1887; A. Debauve e E. Imbeaux, Assainissement de villes, ivi 1906; H. Höfer von Heimhalt, Grundwasser und Quellen, Brunswick 1912; G. Gasperini, Le acque sotterranee delle alluvioni derivate presso i fiumi e le loro utilizzazioni a scopo potabile, in Atti Soc. d'igiene, Firenze 1910; K. Keilhack, Lehrbuch d. Grundwasser- u. Quellenkunde, Berlino 1912; E. A. Martel, Nouveaux traité des eaux souterraines, Parigi 1921; F. Sacco, Geoidrologia dei pozzi profondi della Valle Padana, in Ann. R. Acc. agricola Torino, LIV-LV (1912); J. Stiny, Technische Geologie, Stoccarda 1922; G. Timeus, Le indagini sull'origine delle acque sotterranee con i metodi fisici, chimici, biologici, in Boll. Soc. adriatica sc. nat. di Trieste, XXVIII (1924); O.E. Meinzer, The occurrence of ground water in the United States, n. 489, Washington 1923; id., Outline of ground water hydrology with definitions, n. 494, ivi 1923; C. Simpson, Geology and ground water resources of North Dakota, n. 598, ivi 1929 (tutti facenti parte dei Water-Suffy Papers del Geological Survey).