acquedotti
Prelevare, trasportare e distribuire l'acqua
L'idea di costruire sistemi in grado di prelevare l'acqua dai luoghi dove si trova in natura, di convogliarla verso i centri abitati, di creare delle scorte immagazzinandola in serbatoi e di distribuirla ai singoli edifici, nasce migliaia di anni fa, quando il villaggio lascia il posto alla città e si forma lo Stato come autorità centrale che provvede ai bisogni della collettività. Dai primi acquedotti dei Sumeri ai grandiosi impianti odierni i progressi sono stati enormi, ma siamo ancora lontani dall'avere un sistema efficiente e razionale di distribuzione dell'acqua, risorsa preziosa e scarsa, che ne assicuri la fruizione a tutti senza sprechi imperdonabili
Fu la più antica civiltà mesopotamica, quella dei Sumeri, a creare i primi acquedotti convogliando le acque del Tigri e dell'Eufrate verso i centri abitati. I primi acquedotti erano costituiti da cunicoli sotterranei scavati nella roccia e da condotti coperti. A Babilonia, secondo lo storico e geografo greco Strabone, si usava addirittura la cosiddetta coclea ‒ una macchina idraulica che serve per sollevare l'acqua da piccola profondità ‒ per far arrivare l'acqua ai giardini pensili. Sappiamo anche che il re assiro Sennacherib fece costruire un canale per condurre sino a Ninive le acque del fiume Kosher. Numerosi acquedotti scavati nella roccia furono inoltre costruiti in Fenicia e in Palestina: particolarmente grandioso era l'acquedotto di Siloe, che portava acqua a Gerusalemme. Durante il 2° millennio a.C. la tecnica degli acquedotti sotterranei si trasmise dall'Oriente al bacino del Mediterraneo: resti di tubi di terracotta cementati in calce appartenenti alla civiltà minoica sono stati infatti trovati sotto il pavimento dell'insediamento palaziale di Cnosso, mentre tracce di condotti relativi al periodo miceneo sono state portate alla luce a Micene e a Itaca.
Numerosi erano gli acquedotti in Grecia e nella Magna Grecia. Non abbiamo invece esempi di acquedotti costruiti dagli Etruschi, che pure realizzarono opere idrauliche di eccezionale livello. Furono i Romani, però, a trasformare l'antica 'invenzione' dell'acquedotto in grandi opere pubbliche al servizio delle masse urbane. Come notava Strabone, infatti, nel costruire le loro città i Romani si preoccupavano, più che della bellezza e delle fortificazioni, di creare strade lastricate, fogne e acquedotti. Nel 10 a.C. Augusto creò addirittura una magistratura speciale di rango senatorio, quella del curator aquarum, preposta all'amministrazione delle acque. Ai Romani si devono anche i primi trattati di ingegneria dedicati agli acquedotti. Intorno al 100 a Roma vi erano nove acquedotti, che fornivano un totale di circa un milione di metri cubi d'acqua al giorno. Nelle zone con forti dislivelli del terreno i Romani alternarono ai cunicoli sotterranei dei sostegni in muratura ad arcate, in certi casi anche a due, a tre e addirittura a quattro livelli sovrapposti, che potevano raggiungere i 50 m di altezza. Questi acquedotti ad arcate sono una delle più tipiche impronte della civiltà romana, disseminate in tutto il vasto dominio dell'Impero. Tra gli acquedotti costruiti dai Romani nelle province sono famosi, e in parte ancora oggi utilizzati, quelli di Tarragona in Spagna, di Nîmes in Francia, di Cesarea in Tunisia.
Con la decadenza dell'Impero la rete di acquedotti andò in rovina, e fu solo verso il 12° secolo che si cominciò a restaurare gli impianti romani e a costruirne di nuovi. Fu a partire dal Rinascimento, però, che si registrò una ripresa significativa, con notevoli opere di ingegneria idraulica. Tali furono per esempio l'acquedotto fatto costruire nel 17° secolo da Luigi XIV per rifornire di acqua Versailles e quello realizzato da Carlo III nel 18° secolo per portare l'acqua alla reggia di Caserta. Nel corso dei secoli successivi la rete di acquedotti si è estesa e perfezionata costantemente, ma nonostante ciò ancora oggi, nel cuore del progredito Occidente, accanto a opere faraoniche come l'acquedotto California Water Plan, lungo 700 km, abbiamo situazioni degne del Medioevo: in alcune città dell'Italia meridionale, per esempio, gli abitanti si accalcano ancora davanti alle fontane delle piazze per attingere l'acqua che acquedotti obsoleti e in stato di abbandono non sono in grado di fornire.
Un acquedotto moderno è composto di diverse parti, ognuna delle quali svolge una diversa funzione nel trasporto dell'acqua dalla sorgente alle abitazioni. I sistemi e le costruzioni che servono a prelevare l'acqua da una sorgente naturale si chiamano opere di presa. In alcuni casi il loro lavoro è abbastanza semplice, perché l'acqua sgorga direttamente dal terreno, come avviene in una sorgente di montagna. In questi casi è sufficiente raccogliere l'acqua per mezzo di una tubatura e farla arrivare in una prima vasca detta di calma, dove perde la naturale turbolenza con cui sgorga dalla sorgente. Da qui l'acqua passa in un'altra vasca, quella di sedimentazione, dove viene liberata dalla sabbia che porta con sé. A questo punto viene immessa in una tubazione munita di filtri per depurarla ulteriormente. In altri casi, quando l'acqua deve essere prelevata dal sottosuolo dove è imprigionata in una falda, serve invece una pompa, cioè una macchina capace di creare una differenza di pressione che risucchia l'acqua verso l'alto. Più raramente l'acqua utilizzata in un acquedotto è acqua di superficie, cioè proviene da un fiume o da un lago. In questo caso si utilizzano semplici tubature, oppure gallerie costruite parallelamente al corso d'acqua.
Le opere di trasporto, cioè l'insieme di tecnologie che servono a trasportare l'acqua dalla sorgente verso un centro abitato, sono forse la parte più complessa di un acquedotto. Solo raramente, quando la quantità d'acqua è notevole e il percorso lo consente, vengono utilizzate le condotte a pelo libero (così chiamate perché in questo caso l'acqua non riempie completamente la tubatura), dove il flusso d'acqua viaggia per effetto della sola forza di gravità. Più spesso si usano le condotte forzate o condotte in pressione, dove l'acqua viene spinta, riempiendo completamente la tubatura, con una pressione all'origine che le consente di superare dislivelli anche notevoli lungo il suo percorso e di viaggiare più velocemente di quanto farebbe per effetto della sola gravità. Queste tubature vengono costruite in ghisa, acciaio o cemento, e ricoperte all'esterno di catrame in modo che non possano ossidarsi e contaminare l'acqua. Il diametro delle tubature deve essere stabilito da un complesso calcolo che tenga conto della distanza da coprire e del dislivello massimo da superare, in modo tale da mantenere all'interno la pressione necessaria.
Oltre alle condotte, per fare funzionare il sistema sono necessarie alcune costruzioni accessorie, come pozzetti ‒ in cui l'acqua si deposita per perdere pressione quando questa rischierebbe di diventare eccessiva ‒ e sfiati posti lungo il percorso per espellere l'aria che altrimenti impedirebbe il passaggio dell'acqua.
Un'altra parte fondamentale dell'acquedotto è costituita dalle opere di potabilizzazione, che servono a depurare le acque (v. depurazione delle acque) e a garantire che possano essere bevute senza rischi. L'acqua passa attraverso una serie di filtri e a essa vengono aggiunti elementi, come il cloro, che hanno proprietà disinfettanti. Il cloro, aggiunto normalmente anche nell'acqua che esce dal rubinetto, è l'elemento che dà all'acqua di una piscina il suo odore caratteristico.
L'ultima parte dell'acquedotto è quella costituita dalle opere di distribuzione, che portano l'acqua fino al nostro rubinetto. Ci sono uno o più serbatoi, che servono a compensare le variazioni nel consumo d'acqua tra le diverse ore del giorno: nelle ore notturne in cui serve meno acqua in circolo essa viene trattenuta nei serbatoi. Inoltre, in questo modo, si crea una riserva a disposizione per eventuali interruzioni della distribuzione. Dopo i serbatoi c'è la vera e propria rete di distribuzione, costituita da tubi in ghisa (anche questi ricoperti di catrame) che si snodano sotto le strade della città o del centro abitato.