Vedi ACQUEDOTTO dell'anno: 1958 - 1994
ACQUEDOTTO
(v. vol. I, p. 36). - Negli ultimi due decenni l'interesse per le opere idrauliche antiche si è rivolto soprattutto alla comprensione dei problemi affrontati dai progettisti e allo studio delle soluzioni adottate. Pur nella consapevolezza che l'importanza di un'opera idraulica non si esaurisce negli aspetti tecnici, si è via via affermata la convinzione che nessun giudizio valido si possa dare di queste opere, se esse vengono studiate avulse dal loro contesto funzionale.
Sostanziali progressi nel campo dell'ingegneria idraulica greca e romana sono stati resi possibili, pertanto, dall'edizione dei sistemi di approvvigionamento idrico di numerose città. Le esaurienti indagini del Leichtweiss Institut für Wasserbau dell'Università di Braunschweig sugli a. di Pergamo, la pubblicazione degli a. di Colonia, Cherchel, Termini Imerese, Bologna, ecc., gli studi di Fernández Casado, Smith, Trevor Hodge sull'ingegneria idraulica romana, i numerosi articoli comparsi negli ultimi anni nelle riviste specializzate, sono prova della validità di tale impostazione metodologica, dopo і decenni di stasi seguiti alle ricerche della fine del secolo scorso e degli inizi di questo secolo (ricordiamo і manuali di Belgrand, Léger, Merckel o і lavori di Montauzan sugli a. di Lione).
Mondo greco. ― Diretta conseguenza di questo nuovo fervore di studi è la rivalutazione dei sistemi di approvvigionamento idrico delle città greche. Malgrado persista il pregiudizio di un sostanziale disinteresse della civiltà ellenica per l'applicazione pratica del pensiero tecnico (pregiudizio che ha radici ben profonde nel tempo, basti pensare alle opinioni di Strabone o alla polemica di Frontino sulle inutili opere dei Greci), le indagini più recenti hanno messo in rilievo la complessità, il numero e la diffusione dei sistemi idraulici nel mondo greco, fin dall'età arcaica. Appare evidente, inoltre, che nel campo dell'ingegneria idraulica (uso del sifone, qualità dei materiali impiegati, complessità della progettazione) importanti progressi si ebbero in età ellenistica in Asia Minore, ed è probabile che sia stata la conoscenza delle opere asiatiche, soprattutto di quelle pergamene (oltre che і contatti con le città dell'Italia meridionale e della Sicilia) a porre le basi dell'idraulica romana di età imperiale.
Gli a. greci, come quelli romani, captavano le acque mediante gallerie di filtraggio (p.es. l'a. pisistrateo di Atene) о mediante opere di presa a camera (come a Samo). Le condutture erano generalmente di tubi di terracotta e tali si mantennero sempre; і condotti a pelo libero non furono adoperati né in Sicilia, né in Grecia, né in Asia Minore prima dell'età romana. I tubi erano alloggiati in una trincea scavata nel terreno, ovvero posati all'interno di una galleria. A Priene la trincea era ricoperta da lastre di pietra e un sistema simile era impiegato anche nell'a. di Galermi a Siracusa; più spesso, tuttavia, la trincea era semplicemente rinterrata (Pergamo, Olinto nel tratto fuori città, Morgantina ecc.). Il tunnel era in genere scavato in presenza di terreno roccioso, mediante pozzi distanti tra loro 25-50 m; la lunghezza notevole di alcune di queste gallerie, in cui era necessario mantenere una pendenza costante, dimostra la capacità di eseguire livellazioni esatte fin dall'età arcaica.
I tubi di terracotta erano fabbricati al tornio e collegati a incastro. I singoli elementi possono talvolta raggiungere lunghezze notevoli (m 0,90/1 a Olinto con diam. di 0,25), ma dall'età arcaica a quella ellenistica si può seguire l'evoluzione della forma verso dimensioni più proporzionate. Il minore rapporto tra lunghezza e diametro è dovuto, infatti, alle necessità di una maggiore resistenza alle pressioni, sempre più forti, che le condutture dovevano sopportare. I giunti erano impermeabilizzati con un cemento composto da carbonato di calcio puro, ovvero mescolato ad acqua e olio, con alto coefficiente di assorbimento. Le indagini chimico-fisiche (Malinowski-Fahlbusch) eseguite su tubi di Efeso, Pergamo, Perge, hanno dimostrato l'impiego di una materia grassa nel legante (olio di oliva e anche, in qualche caso, derivati da oli minerali), cui era aggiunta argilla e molte volte sabbia. L'uso di sabbia (fluviale) è stato registrato dal Robinson anche a Olinto. Si tratta di una scoperta notevole, in quanto dimostra che il composto prescritto da Vitruvio era già in uso negli a. greci. Per facilitare la manutenzione della conduttura, nei tubi si praticavano fori che venivano chiusi con pietre cementate (poco frequente è quest'uso a Olinto, ma a Priene e ad Atene esso è ben attestato). Tubi di terracotta erano impiegati anche nelle condutture a pressione, quando il carico non era molto forte, esattamente come in età romana. Le condutture di piombo erano impiegate per la distribuzione dell'acqua all'interno delle città, ovvero in età ellenistica per і sifoni ad alta pressione. A Morgantina, in Sicilia, il sistema di distribuzione della città ellenistica si serviva di tubi sia di terracotta, sia di piombo, questi ultimi molto lunghi (m 5,93) con le giunture strette da «collari» dello stesso metallo. Un sistema simile era adoperato anche a Olimpia. Sempre a Morgantina la conduttura era collocata alla profondità di cm 60, in una trincea ricoperta che correva nel mezzo della sede stradale. Una soluzione analoga è adottata a Olinto, dove і tubi (nel tratto cittadino dell'a.) sono posati sul fondo di un tunnel (alto m 1,20/1,45 e largo poco più di 1 m), scavato alla profondità di c.a m 4,50 sotto il piano stradale. A Olinto, tuttavia, sono impiegati esclusivamente tubi di terracotta. L'uso di tubi fìttili, insieme a quelli di metallo, per la distribuzione dell'acqua è noto in moltissime località, sia in età classica ed ellenistica, sia in età romana. La sedimentazione era facilitata per mezzo di grandi recipienti (anfore, pìthoi) inseriti all'interno delle condutture, ovvero mediante pozzetti.
Generalmente anche gli a. greci terminavano con serbatoi: tali sono le principali fontane (κρήναι) delle città greche, da quella di Teagene a Megara, alle fontane Glauke e Peirene a Corinto, a quella di Perachora. Il Glaser ha classificato queste opere come «fontane per attingere con serbatoio», mettendone in rilievo in tal modo la duplice struttura funzionale: una parte anteriore, di solito con fronte a colonne, dove si trovava il bacino cui si attingeva, e un serbatoio posteriore alimentato dalla conduttura. Una struttura simile, di piccole dimensioni, è stata messa in luce a Olinto al termine dell'a. che abbiamo descritto. Il Fahlbusch ha fatto notare la portata limitata di questi serbatoi terminali che ne evidenzia la funzione di «serbatoi giornalieri», che potevano cioè fornire acqua durante il giorno e riempirsi interamente durante la notte (il serbatoio della fontana di Teagene si riempiva in circa sette ore). Non va dimenticato, comunque, che le città greche tendevano alla diversificazione dei mezzi di approwigionamento idrico, utilizzando non solo a., ma anche sorgenti perenni e soprattutto una capillare rete di cisterne, che aumentavano in modo considerevole la quantità d'acqua disponibile.
Importanti progressi nella conoscenza degli a. greci si debbono alle ricerche sistematiche dell'Istituto Archeologico Germanico di Atene a Samo e del Leichtweiss Institut für Wasserbau di Braunschweig a Pergamo. Ľa. di Eupalinos a Samo ha la sua fonte presso Aiades a meno di 2 km dalla città. Le acque erano captate mediante un'opera di presa a camera; la conduttura fittile ha una lunghezza totale di km 2,4 e il suo percorso si può dividere in tre parti. Nel primo tratto di 853 m essa è alloggiata in una trincea scavata nel terreno, larga m 4-5 e profonda da m 2-2,50 a 5,20. Il tubo è poggiato sul fondo, і singoli elementi misurano cm 71-73 e hanno un diametro interno di cm 25,5. Nel secondo tratto venne scavato un tunnel, lungo m 1036. All'ingresso è posto un raccordo (una cassetta di pietra di cm 80 di lato), che permette il cambiamento di direzione e funge anche da pozzetto di decantazione (è stato rinvenuto interamente riempito dal deposito delle acque). Il tunnel è costituito da una galleria principale (alta m 1,60/1,90), sul cui lato E venne scavato uno stretto cunicolo, con una profondità variabile da m 3,50 a 8,50, al cui interno venne posato il tubo di terracotta. Di solito la galleria ha sezione quadrata, ma, nei tratti in cui la roccia è instabile, le pareti vennero rinforzate con muri a blocchetti e fu realizzata una copertura a doppio spiovente. In rapporto alla lunghezza dell'opera, vi è una notevole accuratezza della livellazione che mette in rilievo la capacità tecnica dell'ingegnere e l'alto livello del progetto. L'ultimo tratto di c.a 500 m fino al serbatoio terminale corre in trincea, scavata mediante pozzi posti alla distanza di m 25. La portata dell'opera era di 400 m3 al giorno; le ricerche hanno dimostrato, confermando in pieno la notizia erodotea, che essa venne costruita nel corso del terzo venticinquennio del VI sec. a.C. Fu rimessa in efficienza in età ellenistica e una seconda volta in età tardo-romana, quando fu effettuata una ripulitura dal fango e dal deposito calcareo; andò fuori uso agli inizi del VII sec. d.C.
I principali a. che in età ellenistica rifornivano Pergamо erano tre. Il più noto e importante è l'a. del Madradağ, che ha origine dal massiccio omonimo, c.a 30 km a N della città. Ciascuna delle tre sorgenti captate da quest'ultimo alimentava una conduttura di terracotta; riunite insieme e alloggiate nel terreno (tranne un brevissimo tratto di m 180, in cui è scavato un tunnel), esse conducevano l'acqua fino al serbatoio di Haghios Georghios. I tubi hanno un diametro di cm 16-19 e una lunghezza di cm 50-70; sono stampigliati con quattro monogrammi diversi, ed è stato calcolato che nelle tre canalizzazioni siano stati impiegati c.a 200 000 elementi singoli. Il serbatoio a due camere di Haghios Georghios aveva due funzioni: facilitare la sedimentazione e permettere il passaggio dalla conduttura al sifone impiegato per far montare l'acqua sull'acropoli, che si trova di fronte alla collina di Haghios Georghios, al di là di un'ampia e profonda valle. L'opera era lunga c.a 3 km e la conduttura era di tubi di metallo, come ha dimostrato l'analisi di campioni del terreno che hanno rivelato una concentrazione di piombo notevolmente superiore al normale. L'uso di tubi metallici era necessario a causa della pressione, che raggiungeva le 20 atmosfere. La conduttura era sostenuta mediante lastre di pietra forate, di cui si conoscono numerosi esemplari, dai quali si deduce che essa aveva un diametro esterno di cm 26,5 (3/4 di piede fileterico) e uno interno di cm 17,5. La portata si aggirava sui 30 l/s. Sull'acropoli correva entro una trincea tagliata nella roccia, larga da cm 30 a 40; non è noto il serbatoio terminale del sistema, che doveva trovarsi nell'area del palazzo reale, al cui approvvigionamento l'a. sembra espressamente destinato. La datazione proposta è il II sec. a.C.
L 'a. denominato di Attalo è lungo c.a 15 km e ha origine nell'alta valle del Selinous. La conduttura di terracotta è formata da tubi lunghi cm 52 (1 piede e mezzo), con un diametro di cm 13. I bolli sui tubi permettono di datarla (da qui la denominazione) all'epoca di Attalo I. L'acqua giungeva sull'acropoli per mezzo di un sifone non molto pronunciato, in cui erano utilizzati tubi di terracotta alternati a blocchi di pietra forati (diam. cm 10-11; lung. 50); sull'acropoli la canalizzazione correva in trincea, terminando nei pressi del Ginnasio. La portata è minima: 3 l/s. Le soluzioni adottate nel terzo a., quello di Demophon (denominato così da uno dei due bolli stampigliati sui tubi fittili, l'altro bollo è Dionysiou) sono molto simili. I tubi hanno una lungh. di cm 50-60 e un diam. di cm 17-19 (1/2 piede). Anche quest'opera ha origine nella valle del Selinous e il suo tracciato è analogo a quello dell'a. di Attalo, ma a quota più alta. Come in quest'ultimo, l'acqua era condotta sull'acropoli mediante un sifone di tubi di terracotta, non molto pronunciato (pressione mass, c.a 2,5 atm); la portata era 27 l/s. L'a. terminava in un serbatoio sulla terrazza di Demetra, probabilmente nel punto dove fu poi costruito il serbatoio terminale dell'a. romano del Madradağ, nelle cui strutture sono utilizzati blocchi di pietra di taglio ellenistico. Le analogie tecniche con l'a. di Attalo fanno datare anche quello di Demophon agli inizi del II sec. a.C.
Lo studio degli a. pergameni ha messo in rilievo l'alto livello di progettazione raggiunto dall'ingegneria ellenistica, tanto che si è sostenuto che essi non presentano strutture monumentali sopra terra semplicemente perché si preferiva, per ragioni di sicurezza, la conduttura sotterranea. Va tuttavia rilevato che senza l'uso generalizzato dell'arco (che si deve senza dubbio agli ingegneri romani) sarebbe stata impossibile la realizzazione di opere monumentali.
Mondo romano. ― Il progresso degli studi di ingegneria idraulica romana ha messo in rilievo la complessità di alcuni progetti e ha permesso anche di valutare meglio la capacità degli ingegneri antichi di dare adeguata risposta ai problemi tecnici che essi dovevano affrontare. E apparso evidente che spesso furono preferite soluzioni ai limiti delle conoscenze dell'epoca o della resistenza dei materiali impiegati, cogliendo nei progettisti la volontà di sperimentare soluzioni innovative, talvolta anche a scapito della funzionalità dell'opera affidata. È questo un atteggiamento che sembrerebbe poco consono agli ingegneri antichi e che contrasta con l'immagine che і moderni si sono fatti degli a. romani come opere sempre uguali, basate su pochi collaudati princìpi, immutati nel tempo. Invece, la livellazione del tracciato, generalmente con gradiente minimo, non rifuggiva ― quando necessario ― dall'ammettere anche notevoli e rapide perdite di quota, ai limiti della resistenza dell'opus signinum che impermeabilizzava il condotto, cui si cercava di ovviare, per diminuire la velocità dell'acqua, con sistemi di rottura della pendenza, come quelli noti a Cherchel o a Lione. Allo stesso modo non si rifuggì dal progettare ponti particolarmente arditi о sifoni molto lunghi e complessi, come і ponti dell'a. di Cherchel o alcuni ponti spagnoli, o і sifoni di Aspendos, Lione, Termini Imerese, in parte giudicati al di là delle possibilità tecniche dell'epoca e quindi soggetti a rapido decadimento.
Queste osservazioni hanno permesso di chiarire il concetto di pulchritudo et utilitas ricorrente nel carteggio fra Plinio e Traiano a proposito delle opere pubbliche. È I' utilitas a giustificare la costruzione di queste opere, talvolta dispendiosissime, e a essa vanno subordinate le esigenze della pulchritudo (che designa il valore estetico, ma anche la volontà di aggiornamento che sta alla base del progetto). Per Frontino è l' utilitas (non la pulchritudo) che giustifica il prestigio che viene all'imperatore da tali opere. Le mere esigenze di prestigio, tuttavia, tendevano a prendere la mano alle comunità locali, portando alla spesa incontrollata, e ― possiamo aggiungere noi ― anche ai progettisti, non alieni dallo sperimentare le soluzioni piu ardite da cui poteva venire ulteriore motivo di vanto. La nota iscrizione di Nonio Dato dimostra la consapevolezza e anche l'orgoglio delle proprie capacità che gli ingegneri romani sentivano e che è alla base di questo atteggiamento.
Passiamo adesso a esporre і principali risultati raggiunti dagli studi più recenti, iniziando dal problema del sifone. La controversia sull'effettiva capacità di funzionamento di questo sistema negli a. romani si può dire ormai risolta, in senso positivo. Lo studio approfondito di alcuni di essi ha dimostrato che erano in grado di funzionare, anzi si è compreso che і progettisti avevano buone conoscenze intuitive dei valori di pressione che agivano sul sistema e delle perdite di carico necessarie per il loro funzionamento. Anche l'impiego di tubi di terracotta, invece che di piombo, nei sistemi non soggetti a pressioni particolarmente forti, dimostra fin dall'età ellenistica la capacità di valutare esattamente tali problemi. Questa affermazione di carattere generale, naturalmente, non esime lo studioso dal chiedersi, per ogni singolo sifone, se esso abbia funzionato realmente e per quanto tempo, e se la realizzazione del progetto e le soluzioni adottate siano compatibili con le leggi fisiche dell'idraulica e con le possibilità di resistenza alle pressioni dei materiali impiegati (l'opinione del Ward Perkins, secondo il quale spesso si rinunciò al sifone perché dispendioso da installare e soprattutto da mantenere, è infatti fondata). E necessario, quindi, lo studio archeologico, topografico e tecnico di molti altri sifoni, alla cui base sta una esatta livellazione, che per la maggior parte dei sistemi noti è carente o manca del tutto.
Il sifone è presente in molte provincie dell'impero, sia orientali, sia occidentali, anche in regioni periferiche (in tutto sono noti, spesso da una semplice menzione, c.a 25 sistemi di età romana). La conduttura è realizzata sia con tubi di terracotta, sia con tubi di piombo, come si è detto, ma anche alternando ai tubi fittili elementi di pietra, come già in età ellenistica a Pergamo, ovvero utilizzando condutture interamente di pietra, come in numerose città dell'Asia Minore (Aspendos, Laodicea, Patara, Antiochia di Pisidia, ecc.), in sistemi probabilmente da datare agli inizi dell'età imperiale. Le condutture corrono spesso all'interno di gallerie o di condotti impermeabilizzati (anche sul ventre) o sono alloggiate entro la massa cementizia dei piani inclinati. Indispensabile è il serbatoio di partenza, che talvolta ha anche la funzione di innalzare il piano di carico del sistema, mentre può mancare il serbatoio di arrivo. Come è noto, per evitare che tratti troppo lunghi della conduttura fossero soggetti a valori molto forti di pressione e anche per permettere, in taluni casi, bruschi cambiamenti di direzione della linea, in molti sifoni sono presenti serbatoi intermedi, come a Lione (Craponne) o ad Aspendos e a Termini Imerese. Generalmente questi serbatoi sono identificati con i colliviaria di Vitruvio (proposta di Stehlin, seguita da molti studiosi fino a Garbrecht e Fahlbusch); altri ritengono, invece, che і colliviaria siano una sorta di valvole (da ultimi Trevor Hodge e Smith). Nei sistemi più antichi il ventre è sostenuto da un muro, come a Patara, oppure è interamente sotterraneo (Almuñecar, Saintes, Lione-Craponne, del I sec. d.C.); ancora in età flavia (Angizia) la conduttura è inglobata in un poderoso muro continuo. Il ventre su ponte è comunemente adottato a partire dal II sec. d.C. (compare già negli Arcus Neroniani del Palatino). Sembra un'innovazione romana quella di alloggiare la conduttura in galleria e di assicurare l'orizzontalità del ventre per mezzo di una sostruzione (prima muro, poi ponte), ammettendo che il sifone di Patara sia della prima età imperiale e non tardo-ellenistico. L'adozione del ponte non solo per il ventre dei sifoni, ma in genere per accorciare il percorso attraversando valli anche larghe e profonde, è comunque un'innovazione di età romana. In Asia Minore il primo esempio conosciuto, il ponte dell'a. di Sestilio Pollione a Efeso, non è anteriore all'età augustea.
Da un punto di vista tecnico sembra che il sifone romano sia stato concepito di solito come un semplice sifone invertito (c.d. tubo a U); ciò semplifica il suo funzionamento, essendo necessaria solo una adeguata perdita di carico. Il sifone di Barratina nell'a. di Termini Imerese dimostra tuttavia che era possibile progettare anche veri e propri sifoni nel senso esatto del termine, pur se la loro manutenzione era per і Romani molto difficile. Questa scoperta mette in evidenza, ancora una volta, la necessita di studi analitici dei sistemi conosciuti e l'esigenza di procedere ad accurate livellazioni dei sifoni superstiti, se li si vuole esattamente valutare.
Indagini chimico-fisiche. ― Queste indagini sono state in primo luogo dirette allo studio della composizione delle malte e dell'opus signinum adoperato per impermeabilizzare le pareti del condotto. Già il Duch, diversi anni fa, distinse due tipi di signino (da lui denominati «mortiers volsques» e «mortiers nougatoides»). Il secondo tipo, nella cui composizione (80% tegole frantumate, 20% calce) sono aggiunte sabbia silicea e ceneri (carbonato di potassio) che ne esaltano le proprietà idrauliche (con la formazione di silicati di potassio), è il tipico opus signinum adoperato negli a. di età imperiale, almeno a partire dal II sec. d.C. Anche le più recenti indagini del Malinowski sull'a. di Cesarea (di età adrianea) hanno confermato l'uso di un intonaco composto di sabbia, calce e ceneri, ad alto coefficiente di impermeabilità, steso in diversi strati insieme ad altri due intonaci (uno a base di polvere di mattoni, l'altro di polvere di marmo), che assicuravano la durezza del rivestimento. La presenza di silicati negli intonaci di rivestimento del condotto è dimostrata anche da altre analisi (p.es. nell'a. del Kaikos a Pergamo).
Un secondo campo di indagine riguarda l'impermeabilizzazione delle giunture dei tubi in a. sia greci, sia romani (Malinowski-Fahlbusch). Si è dimostrato, come abbiamо già accennato, l'uso effettivo del legante (ad alto coefficiente di assorbimento) a base di calce pura stemperata con olio, prescritto da Vitruvio.
A una serie di analisi chimico-fisiche è stato sottoposto anche il deposito calcareo che si forma con il tempo sulle pareti dei condotti. Lo studio dei depositi dell' a. di Nîmes (Gilly) e del Kaikos a Pergamo (Friedel) ha messo in rilievo l'importanza delle variazioni climatiche e di temperatura sui processi di sedimentazione all'interno del condotto, che possono essere riferiti sia a variazioni stagionali, sia a variazioni di insieme relative a cicli solari di II anni. A Nîmes sono stati individuati c.a 40 periodi di sedimentazione e a Pergamo 36; solo 5 ad Aspendos. Sulla base di tale constatazione il Gilly valuta il periodo di uso dell'a. di Nîmes in 460-470 anni. L'influenza della temperatura sulla solubilità del calcare è ritenuta anche dal Baatz il principale fattore che agisce sul deposito.
Tubi di piombo. ― Come è noto, per fabbricare і tubi і Romani adoperavano il vantaggioso metodo di piegare una lastra di piombo, saldandone і lembi con metallo fuso. B. Ilakovac ha reso nota, inoltre, la continuità in età romana del metodo di fusione dei tubi, documentato da un elemento della conduttura del sifone di Biba-Iader. Il piombo veniva colato entro una forma in cui era inserita un'anima cilindrica di metallo, mediante la quale si determinava il diametro voluto. I tubi fabbricati con questo metodo hanno sezione perfettamente ellittica, a differenza di quelli piegati e saldati di cui sono note a tutti le sezioni irregolari «a pera».
Distribuzione in città. ― La rete di distribuzione dell'acqua meglio studiata in una città antica è quella di Pompei (sia per la conservazione, sia perché indagata a fondo dallo Eschebach). Dal castello situato presso la porta vesuviana, alla quota di m 42,5, la quantità d'acqua disponibile era distribuita, secondo le prescrizioni di Vitruvio, mediante tre sistemi indipendenti: il primo riforniva le fontane pubbliche, il secondo gli edifici pubblici (terme, palestre, teatro, ecc.), il terzo era destinato ai privati. Per risolvere il problema del forte dislivello tra il castellum aquae e le parti basse della città (fino a 35 m), evitando che pressioni troppo forti si esercitassero sui tubi, si divise la rete in settori per mezzo di una serie di torri d'acqua (castella secundaria) e di serbatoi elevati, che permettevano di ridurre la pressione a vdori accettabili per le condutture.
Alla prima rete erano collegate le c.a 50 fontane disposte lungo le strade della città, per lo più agli incroci, in modo che і cittadini non dovessero percorrere in media più di 50 m per approvvigionarsi di acqua potabile. La rete degli edifici pubblici correva in linea retta dal castello lungo la Via Stabiana fino al teatro, con diramazioni per Via Nolana a O e Via dell'Abbondanza a E, servendo tutti i principali complessi (terme, palestre, teatro, anfiteatro, caserma dei gladiatori, ecc.). La rete destinata ai privati serviva sia case signorili, sia stabiliimenti come lavanderie, tintorie, panetterie, fabbriche di vestiti, ecc. Il servizio era costoso, per cui sono noti consorzi tra privati per dividere le spese.
A. di Roma. ― L'interesse per gli aspetti tecnici delle opere idrauliche romane ha investito anche gli a. della Capitale. Si è tentato in particolare di acquisire nuovi dati relativi alla loro lunghezza e alla loro portata, in maniera indipendente dalle fonti storiche. Gli studi condotti dal Blackman hanno dimostrato una sostanziali attendibilità delle misurazioni di Frontino, sia relativamente alla lunghezza degli a. (vi sarebbe un notevole errore solo per l'Anio Novus), sia per quanto riguarda la loro portata. Servendosi di una complessa (in parte ipotetica), ma attendibile ricostruzione dell'altezza dell'acqua nei condotti, il Blackman ritiene che і quattro principali a. di Roma fornissero alla città c.a 600.000 mз di acqua al giorno. Con un metodo diverso il Fahlbusch arriva a conclusioni analoghe (da 520.000 a 635.000 mз giornalieri per tutti e sette gli acquedotti). Questi risultati coincidono in maniera accettabile con la portata complessiva indicata da Frontino (14.000 quinarie per c.a 560.000 mз, attribuendo alla quinaria un valore di c.a 40 1mз , secondo le conclusioni del Di Fenizio). Ricerche condotte dallo Hodge confermano, inoltre, і dati di Frontino, poiché è dimostrabile che і Romani erano in grado di effettuare misurazioni di portata abbastanza precise, sia pure basate soprattutto sull'esperienza e l'intuizione, nonostante fossero privi delle conoscenze teoriche e matematiche proprie dell'idraulica moderna. Vengono pertanto confermati l'interesse e la diligenza con cui Frontino esercitò la sua carica e il suo ruolo fondamentale nella riorganizzazione della cura aquarum.
A un ben studiato programma voluto da Agrippa (le cui linee si sarebbero mantenute sostanzialmente inalterate per tutta l'età imperiale) vanno attribuiti invece l'esatta previsione e il soddisfacimento dei bisogni idrici della città di Roma, distinguendo per la prima volta con esattezza tra necessità pubbliche e private e valutandole anche quantitativamente.
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Indagini chimico-fisiche: G. A. Duch, Observations sur les mortiers à tuileau antiques. Tout particulièrement sur l'opus signinum des citernes et aqueducs, in Actes du 89e Congrès national des sociétés savantes, Lione 1964, Parigi 1965, pp. 185-200; id., Note complémentaire sur la technique de l'analyse succinte des mortiers à 'tuileau', in Celticum, xv, 1966, pp. 269-275; M. Biernacka-Lubańska, Z badań nad antycznymi zaprawami mineralnymi. Zaprawy stosowane przy budowie wodociagów rzymskich na obszarze Bulgarii («Studi sulle antiche malte. Le malte usate nella costruzione degli acquedotti romani nel territorio della Bulgaria»), in Archeologia, XXI, 1970, pp. 106-111; G. Garbrecht, H. Fahlbusch, Mineralogische und chemische Untersuchungen, in Wasserwirtschaftliche Anlagen des antiken Pergamon-Kaikos-Leitung (Leichtweiss Institut, Mitteilungen, 44), Braunschweig 1975, pp. 86-100; D. Baatz, Temperatur und Sinterbildung, Bemerkungen zu 'Kalksinter in Römerkanal' von Walram Schmitz, in RheinMusBonn, VI, 1978, p. 90; A. Grohmann, Chemie und Sinterbildung Leserbrief zu 'Kalksinter in Römerkanal', ibid., p. 91; W. Schmitz, 'Kalksinter in Römerkanal', zur Sinterbildung der Eigelwasserleitung, ibid., pp. 55-57; R. Malinowski, Einige Baustoff probleme bei antiken Aquädukten (Leichtweiss-Institut, Mittellungen, 60), Braunschweig 1978, pp. 1-32; R. Malinowski, H. Fahlbusch, Untersuchungen des Dichtungsmörtels von fünf geschichtlichen Rohrleitungen im ägäisch-anatolischen Raum, in Wasser im..., cit., pp. 205-219; R. Malinowski, Einige Baustoffprobleme der antiken Aquädukt, in Journées d'études..., cit., pp.245-274.
Tubi di piombo: E. Fassitelli, Tubi e valvole dell'antica Roma, Milano 1972; W. W. Krysko, R. Lehrhfuer, Metallurgical Investigation of Roman Lead Pipes from Pompeii, in Journ.Hist.Met.Soc, 1976, pp. 53-63; K. Löhberg, Beitrage zur Frage der Fertigung von Bleirohren in römischer Zeit, in BerlBeitrArchäom, V, 1980, pp. 63-68; B. Ilakovac, Unbekannte Herstellungsmethode römischer Bleiröhre, in Wasser im ..., cit., pp. 275-290.
A. di Roma: G. Panimolle, Gli acquedotti di Roma antica, Roma 1968; D. R. Blackman, The Volume of Water Delivered by the Four Great Aqueducts of Rome, in BSR, XLVI, 1978, pp. 52-72; id., The Lenght of the Four Great Aqueducts of Rome, ibid., XLVII, 1979, pp. 12-18; H. B. Evans, Agrippa’s Water Plan, in AJA, LXXXVI, 1982, pp. 401-411; H. Fahlbusch, Vergleich ..., cit., pp. 141-161, 173-177; id. Über Abflussmessung und Standardisierung bei den Wasserversorgungsanlagen Roms, in Wasserversorgung im..., cit., pp. 129-144; G. Garbrecht, Wasserversorgungstechnik in römischer Zeit, ibid., pp. 9-43; P. Pace, Gli acquedotti di Roma, Roma 1983; A. T. Hodge, How Did Frontinus Measure the Quinaria?, in AJA, LXXXVIII, 1984, pp. 205-216; AA.W., Il trionfo dell'acqua. Acque e acquedotti a Roma (cat.), Roma 1986; S. Pasquali, Acquedotto Claudio-Neroniano in via di S. Gregorio, in BullCom, XCI, 1986, pp. 502-507; M. Corrente, Località Morena. Tracciato sotterraneo dell'Anio Novus, ibid., XCIII, 1987-88, pp. 401-405.
Amministrazione e diritto: A. Pantoni, L'editto augusteo sull'Acquedotto di Venafro e una sua replica alle fonti del Volturno, in RendPontAcc, XXXIII, 1960-61, pp. 155-171; M. Hainzmann, Untersuchungen zur Geschichte und Verwaltung der Stadtrömischen Wasserleitungen, Graz 1973; J. M. Blásquez, La administración del agua en la Hispania romana, in Segovia ..., cit., pp. 147-161; A. Palma, Le «curae publicae». Studi sulle strutture amministrative romane, Napoli 1980, pp. 196-200; О. Robinson, The Water Supply of Rome, in StDocHistlur, XLVI, 1980, pp. 44-86; W. Eck, Epigrafia e ordine senatorio, I, Roma 1982, pp. 197-225; id., Organisation und Administration der Wasserversorgungs Roms, in Wasserversorgung im ..., cit., pp. 63-67; id., Die Wasserversorgung im römisch Zeit, in Die Wasserversorgung... cit., pp 49-101; F. Cenerini, Acquedotto 2000, Bologna 1985, pp. 19-24.
Alla bibi. topografica pubblicata in O. Belvedere, L'acquedotto Cornelio di Termini Imerese, Roma 1986, pp. 193-202, si aggiunga: Britannia: G. R. Stephens, Aqueduct Delivery and Water Consumption in Roman Britain, in BInstALondon, XXI-XXII, 1984-1985, pp. 111-117; id., Civil Aqueducts in Britain, in Britannia, XVI, 1985, pp. 197-208. ― Dalmazia: B. Ilakovac, Rimski akvedukti na području sjeverne Dalmacije («Acquedotti romani nel territorio della Dalmazia settentrionale»), Zagabria 1982. Germania, Gallia, provincie danubiane: K. Grewe, Rom. Wasserveitungen nördlich der Alpen, in Die Wasserversorgung..., cit., II, pp. 45-97. Aigeira: G. C. Neeb, Zur Wasserversorgung von Aigeira, in Klio, LXVIII, 1986, pp. 114-118. Aix-en-Provence: R. Boiron, M. Moliner, Aix en Provence, in Die Wasserversorgung..., cit., II, pp. 173-176.
― Almodóvar del Rio: G. Chic Garcia, Notas sobre dos acueductos para riego romanos de la zona de Almodovar del Río (Córdoba), in Corduba, X, 1980-81, pp. 49-57. ― Frejus, Arles, Nîmes: N. Tuxen, Romerske vandledininger i sydfrankrig, in MusTusc, XLVIII-LI, 1982, pp. 91-119. Colonia: K. Grewe, Neue Ausgrabungen im Verlauf der römischen Wasserleitungen nach Köln, in BJb, CLXXXIII, 1983, pp. 343-384; E.C. Stenton, J.J. Coulton, Atlas der römischen Wasserleitungen nach Köln (Rheinische Ausgrabungen, 26), Bonn 1986. ― Ḥumayma: J. W. Eadie, J. P. Oleson, The Water Supply Systems of Nabatean and Roman Ḥumayma, in BASOR, CCLXII, 1986, pp. 49-76. - Laurentum: V. Mannucci, L'acquedotto laurentino, in Castelporziano, II, Roma 1988, pp. 31-36. ― Lione: L. Jeancolas, Les aqueducs antiques de Lyon (Revue archéologique Sites, fuori s., 30) [Avignone] 1986. Magonza: C. von Kaphengst, Mainz, in Die Wasserversorgung..., cit., II, pp. 199-203. ― Oinoanda: E. C. Stenton, J. J. Coulton, Oinoanda. The Water Supply and Aqueduct, in AnatSt, XXXVI, 1986, pp. 15-59. ― Narni: D. Monacchi, L'acquedotto Formina di Narni, in BdA, XXXIX-XL, 1986, pp. 123-142. - Palmira: H. Meyza, Remarks on the Western Aqueduct of Palmyra, in Studia palmyreńskie, VIII, Varsavia 1985, pp. 27-33. - Petra: M. Lindner, Petra, in Wasserversorgung antiker..., cit., pp. 196-200. ― Pompei: H. Eschebach-T. Schäfer, Die öffentlichen Laufbrunnen Pompejis. Katalog und Beschreibung, in PomHercStab, I, 1983, pp. 11-39.
- Sabra: M. Lindner, An Archaelogical Survey of the Theatre Mount and Catchwater Regulation System at Sabra, South of Petra, 1980, in AAJ, XXVI, 1982, pp. 231-242. Saldae: Ph. Leveau, Saldae, in Die Wasserversorgung..., cit., II, pp. 215-218. S. Paolino: L. Pietro e altri, I Convegno G.A.C., Roma 1981, pp. 123-126. ― Taranto: E. Lippolis, Alcune considerazioni topografiche su Taranto romana, in Taras, I, 1981, pp. 113-114. - Teruel: E. Castellano Zapater, Un acueducto romano en la provincia de Teruel (Albarracin-Gea-Cella), in Teruel, LXVI, 1981, pp. 155-168. ― Tomi: G. Papuc, Despre apeductele Tomisului («Sugli acquedotti di Tomis»), in Pontica, XV, 1982, pp. 161-173.
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