Vedi ACQUEDOTTO dell'anno: 1958 - 1994
ACQUEDOTTO (aquae ductus)
Quasi tutti i popoli mediterranei, raggiunto un certo grado di evoluzione civile, hanno provveduto all'incanalamento e alla conduzione a distanza dell'acqua occorrente agli usi domestici; però solamente presso i Romani la distribuzione dell'acqua a grandi complessi urbani raggiunse un grado di perfezione superato soltanto dai mezzi di cui dispone la civiltà moderna.
Oriente Mediterraneo e Grecia. - I più antichi a. dei quali è rimasta traccia appartengono all'ambiente asiatico, e risalgono oltre il primo millennio a. C.: un primordiale a. è il sistema di conduzione d'acqua usato dagli Assiri per le fontane (fontana di Bawian), mentre un vero a. è quello di Sibe, in Palestina, che attraverso la collina di Ofel, assicurava il rifornimento idrico a Gerusalemme durante gli assedî: il condotto è scavato interamente nella roccia, per una lunghezza di m 533, ed il tracciato irregolare denuncia errori commessi per mancanza di strumenti perfezionati. Dall'iscrizione incisa nella roccia presso la piscina di raccolta apprendiamo che il sistema di scavo (due squadre che si muovono incontro partendo dalle opposte estremità del condotto) è lo stesso che, a distanza di secoli, useranno le maestranze romane. A Gerusalemme vi sono resti di altri a., ed in Samaria e Galilea tracce di canali scavati nella roccia per condurre l'acqua. Secondo Polibio (Hist., x, 28), i Persiani, per indurre gli abitanti della Media a fertilizzare le terre deserte, le concessero in proprietà per cinque generazioni a coloro che avessero saputo condurvi acqua: gli abitanti costruirono lunghi canali sotterranei che captavano le ricche sorgenti della catena del Tauro, e tali a. funzionavano ancora dopo molti secoli. Uguale sistema è usato, in piena età classica, dai Greci: resti, convalidati spesso da fonti scritte, si trovano nei principali centri urbani, da Tebe ad Atene, dalle isole dell'Egeo alle colonie greche di Sicilia. Celebre è l'a. costruito dall'architetto megarese Eupalinos per gli abitanti di Samo, descritto da Erodoto (iii, 60) come una delle tre meraviglie di quella città al suo tempo (metà del V sec. a. C.): era lungo sette stadî (circa 1250 m) e constava di un'ampia galleria scavata nel monte, con un canale nel quale l'acqua era condotta entro tubi di terracotta fino alla città. Ad Atene sono stati riconosciuti resti di numerosi a. che attestano lo sviluppo assunto dalla metropoli greca: le acque venivano captate dalle pendici dell'Acropoli o da quelle dell'Imetto, oppure venivano filtrate dal fiume Ilisso (a. del Pireo, che nasce presso la fonte Kallirhoe) e condotte in canali sotterranei alla città. Il più importante a., tuttora in funzione, nasce ai piedi del Pentelico, a N-E della città, e con un cunicolo in parte scavato nella roccia, porta l'acqua fino ad un serbatoio sulle pendici del Licabetto, da dove l'acqua, in età romana, veniva distribuita, per mezzo di tubature alla parte bassa della città; il condotto (m 1,6o per 0,70) è rivestito d'intonaco, e vi sono pozzi verticali d'aerazione ad una distanza media di 35 m. Esterno era invece il percorso dell'a. di Keplussia: in esso l'acqua scorreva in un canale sopra terra ed attraversava una valle su arcate. È difficile stabilire una cronologia degli a. ateniesi, ma è probabile che più antichi siano i condotti minori, taluni dei quali sono costruiti in blocchi di pietra squadrati. Date la fitta popolazione e l'aridità del suolo, probabilmente si iniziò presto la costruzione di a.: tracce di una legislatura ateniese delle acque si trovano già al tempo di Solone (Plut., Sol., 23), e si sa che Temistocle aveva ricoperto l'ufficio di sovrintendente (ἐπιστάτης) alle acque (Plut., Themist., 31). Anche Siracusa, la più importante città dell'Occidente greco, era fornita di parecchi a.; alcuni sono tuttora in uso, captando le acque del promontorio siracusano attraverso cunicoli scavati nella roccia, aerati da pozzi verticali rettangolari, distanti tra loro 25-30 m (a. di Tremilia, Ninfeo Paradiso). Questi a. hanno anche la particolarità di una galleria di servizio che corre sopra il cunicolo dell'acqua ed è in comunicazione con i pozzi verticali. Il più importante è l'a. di Galermi, lungo 29 km, corrente a fior di terra, coperto parte con lastroni di pietra, parte con vòlte in muratura.
Gli antichi popoli dell'Oriente classico e del mondo ellenico usarono dunque per l'incanalamento un sistema che non presenta grandi variazioni dalla remota antichità agli ultimi secoli dell'èra pre-cristiana: cunicoli scavati nel vivo delle montagne con l'ausilio di pozzi d'aerazione, rivestiti o no di intonaco, oppure scavati superficialmente e completati con opere murarie.
Età romana. - Gli Etruschi, pur avendo lasciato testimonianza d'opere d'ingegneria idraulica (Ponte Sodo di Veio, Tagliata di Ansedonia, se di età etrusca e non, come si potrebbe arguire da osservazioni sull'abitato di Cosa, di età romana) non costruirono veri acquedotti. È probabile quindi che i Romani apprendessero la tecnica di incanalamento dell'acqua dagli abitanti dell'Italia meridionale allorché, in seguito alla conquista del Lazio meridionale stabilirono rapporti piu stretti con le popolazioni del S: la contemporanea costruzione, nel 312 a. C., della via Appia e del primo a. ne sono l'indice significativo.
Legislazione. - L'importanza attribuita dai Romani all'approvvigionamento idrico è provata dall'esistenza di un vero trattato su tale materia, il De aquae ductu urbis Romae, scritto da Sesto Giulio Frontino nel 98 d. C. e frutto dell'esperienza di quattro secoli. Prima che a Roma giungessero a., gli abitanti, dice Frontino (i, 4), "si accontentarono delle acque che attingevano dal Tevere, o dai pozzi o dalle sorgenti"; supplirono anche con varî sistemi di raccolta delle acque piovane (nel Foro Romano e sul Palatino esistono varie cisterne di forma cilindrica con copertura a pseudo-cupola, costruite in pietre squadrate e impermeabilizzate internamente con intonaco, e gallerie anulari scavate nel tufo, con le pareti intonacate, dalle quali l'acqua veniva attinta attraverso pozzi verticali). Durante la Repubblica la costruzione e manutenzione degli a. rimase affidata ai censori coadiuvati dagli edili e, per la parte amministrativa e giuridica, dai questori e dai pretori. L'acqua era considerata proprietà statale, veniva tutta destinata ad uso pubblico e soltanto il sopravanzo delle fontane (aqua caduca) poteva venir ceduto ai privati (Frontin., 94); in età imperiale, per il maggior volume a disposizione, l'acqua venne con maggior larghezza concessa ai privati. In seguito al rapido sviluppo urbanistico si dovettero aggiungere, in meno di un secolo (dal 35 a. C. al 52 d. C.), cinque nuovi a. ai quattro già esistenti e si sentì quindi la necessità di un ufficio idrico autonomo e permanente: Agrippa si incaricò di riordinare l'amministrazione delle acque organizzando a sue spese un numeroso corpo tecnico. Egli fu il primo curator aquarum e stabilì la quantità d'acqua che doveva esser distribuita fra opere pubbliche, fontane e privati (Frontin., 98-99); Augusto, in seguito, rese pubblica l'organizzazione creata da Agrippa, diede al curator dignità di magistrato (insignia... quasi magistratibus concessa) con l'assegnazione di due littori ed araldi che l'accompagnavano quando si recava fuori Roma. Due adiutores assistevano il curator nelle sue mansioni; al tempo di Claudio fu aggiunta la carica di procurator, affidata ad un liberto favorito dell'imperatore. La sede del curator era la statio aquarum; del personale dipendente faceva parte, oltre quello già ricordato, un tribunus aquarum, varî ingegneri idraulici (architecti), scrivani, operai ed artigiani, distinti in familia aquaria publica (circa 240 uomini dell'originario corpo creato da Agrippa) e familia aquaria Caesaris, comprendente 460 uomini, creata da Claudio. L'organizzazione era dunque emanazione diretta del potere imperiale; l'imperatore concedeva l'acqua (gratuitamente, a quanto pare, nonostante si verificassero abusi da parte del personale) ai privati che ne facevano richiesta (Frontin., 109); i curatores venivano scelti da lui fra gli appartenenti all'ordine senatorio e fra gli ex-consoli; la nomina era ratificata dal Senato, ma pare che, dopo Claudio, i liberti e i favoriti della casa imperiale disponessero a loro piacimento della carica, poiché Frontino accenna all'incuria dei predecessori ed alla necessità di riforme. Nel trattato frontiniano, oltre alla descrizione minuziosa degli a. di Roma e alla relativa amministrazione, è raccolta la legislatura che tutelava il funzionamento del servizio e che è conosciuta anche per mezzo di molte epigrafi (importante l'editto augusteo che riguarda l'a. di Venafro: C. I. L., x, 4842).
Idraulica. - L'a. romano captava in genere sorgenti - che eran preferite anche a costo di allungare notevolmente il percorso - oppure acqua di fiume filtrata; l'acqua era incanalata in un condotto (specus), normalmente a sezione rettangolare, coperto a cappuccina o in piano o a vòlta, di dimensioni tali da esser facilmente accessibile per la pulizia e le riparazioni. Il condotto aveva una pendenza dolce e, per quanto possibile, costante (mensura declivitatis, che variava, secondo le caratteristiche del percorso, da 1:100 a 1:5000), poiché i forti dislivelli avrebbero portato l'acqua ad una pressione troppo elevata per il limite di resistenza delle condutture cittadine di distribuzione; quindi il tracciato era sovente assai lungo e tortuoso. Il condotto era impermeabilizzato internamente con un forte strato d'intonaco a base di laterizî frantumati (opus signum); nella vòlta del condotto si aprivano, ad intervalli regolari, pozzi d'aerazione, che servivano altresì al controllo esterno del tracciato durante il traforo di alture. Tale lavoro presentava difficoltà non lievi agli ingegneri del tempo, e tipico è quanto accadde per l'a. di Saldae (Bougie) in Mauretania: il fatto è narrato dallo stesso protagonista, il livellatore di a. (librator) Nonio Dato, ed è inciso in un'epigrafe di Lambesi (C. I. L., viii, 2728). Chiamato a Saldae nel 152 da Vario Clemente, procuratore della Mauretania, per condurre a termine l'a. da lui progettato che i Salditani, dopo vani tentativi, stavano per abbandonare, si accorse che le due squadre, nel lavoro di perforazione di un tunnel, avevano deviato dal retto tracciato e si erano incrociate sorpassandosi senza incontrarsi; rettificato il tracciato, Nonio Dato poté finire il lavoro ed immettere l'acqua nell'acquedotto. Quando lo speco doveva attraversare una valle troppo lunga per essere aggirata, o percorrere una pianura, erano necessarie costruzioni elevate per evitare bruschi dislivelli: l'ingegneria romana risolse brillantemente il problema sostenendo il condotto con archi portanti; nuova applicazione dell'arco da ponte fluviale, che consentiva di ottenere una costruzione economica e non ingombrante per il traffico che si svolgeva nella zona attraversata. I Romani tuttavia non ignoravano il principio dei vasi comunicanti, già noto nel mondo classico, e lo applicarono dovunque ragioni tecniche consigliarono l'uso del condotto a sifone: esempî non mancano, dall'antico a. di Alatri (134 a. C.), per il quale si dovette vincere una pressione di 10 atmosfere prodotta da un dislivello di 100 m usando condutture particolarmente resistenti (fistulae soledae è detto nell'epigrafe di L. Betilieno Varo: C. I. L., i, 1166), al triplice, ardito sifone dell'acquedotto di Lione, nel quale l'acqua era incanalata in condotti di piombo, a quelli di Arles e di Aspendos. La pressione veniva regolata con saracinesche oppure, come consiglia Vitruvio (viii, 6, 5-6), facendo correre in piano il condotto per un certo tratto nel punto più basso del sifone. Serbatoi erano dislocati lungo il percorso degli a. ed al loro punto di arrivo (Roma ne aveva parecchi anche nell'interno della città): di dimensioni variabili, talvolta grandiosi, essi erano divisi in varî compartimenti intercomunicanti, cosicché l'acqua potesse decantarsi depositando le scorie (piscinae limariae) e penetrare pura nelle tubazioni cittadine. Queste ultime ricevevano l'acqua dai castelli di distribuzione (castella) dove veniva misurata passando attraverso i calices, moduli di bronzo calibrato (tra i più conservati è il castello terminale dell'a. di Nîmes). Le condutture di distribuzione (fistulae) erano normalmente di piombo, a sezione ovale, in pezzi lunghi in media 3 m (10 piedi): la frequenza delle saldature e conseguente facilità di rotture, spiega la costante preoccupazione di mantenere bassa la pressione dell'acqua. Misura base di capacità dei tubi era la quinaria (litri 0,48 al secondo). L'uso di segnare sulle tubazioni il nome del proprietario si inizia nei primi tempi imperiali e diventa assai comune alla fine del I sec. d. C., poi va lentamente declinando; tali iscrizioni hanno grande importanza per lo studio topografico di Roma antica (nelle province esse sono rare, limitate generalmente alle condutture pubbliche), ma una quantità enorme di fistulae è andata perduta per la facile commerciabilità del piombo.
A. di Roma. - I primi a. di Roma erano, come quelli ellenici, sotterranei per l'intero percorso, o quasi: ciò, osserva Frontino (i, 18), sia "perché non era ancora ben conosciuta l'arte della livellazione, sia perché le acque a bella posta venivano immerse nel terreno affinché i nemici non potessero facilmente interromperle, poiché ancora si guerreggiava frequentemente contro gli Italici". Infatti il primo acquedotto storico, l'aqua Appia, opera del censore Appio Claudio, giungeva sotterraneo, col suo condotto costruito in blocchi di tufo squadrati e giustapposti senza calce, fino alla Porta Capena dove s iniziava la rete di distribuzione. Con l'Anio Vetus (costruito 40 anni dopo, nel 272 a. C.: captava le acque dell'Aniene sopra Tivoli) la parte architettonica del manufatto si sviluppa e si ha un primo esempio di viadotto (Ponte degli Arci), sebbene il lungo percorso (oltre 60 km) sia ancora quasi interamente sotterraneo. Il primo a. ad alto livello su arcate nel quale nuovi principî di costruzione vengono applicati aprendo la serie del tipico a. romano, è quello iniziato nel 144 a. C. dal pretore Q. Marcio Re (aqua Marcia) e condotto a termine dopo 4 anni di lavoro con una spesa di 8 milioni di sesterzi; per la maggior sicurezza del territorio il tracciato può ora correre liberamente sopra terra con ampie e solide arcate (m 5,10-5,35 di luce) in opera quadrata sulle quali l'acqua fluisce dalla montuosa regione d'Arsoli con un percorso di 90 km. L'alto livello delle sorgenti consente di far giungere l'acqua sul Campidoglio e nelle zone alte di Roma. Poco sappiamo dell'aqua Tepula, il quarto a. di Roma in ordine di tempo (125 a. C.). Importante è il periodo augusteo nel quale Agrippa, oltre il restauro della Tepula, provvede Roma di due nuove acque: la Iulia, il cui condotto di 18 km sovrappose, con quello della Tepula, all'a. Marcio con un'audace innovazione tecnica che consentiva un notevolissimo risparmio nella costruzione; e la Virgo (26 km) costruita nel 19 a. C. per alimentare le nuove terme del Campo Marzio. Augusto aggiunse una nuova sorgente (aqua Augusta) alla Marcia, ed un settimo a., l'aqua Alsietina, che per prima ebbe il percorso (di una trentina di km) sulla destra del Tevere (quasi tutti gli a. romani erano sulla sinistra del fiume, provenendo da S-E e da E, dalla zona montuosa del bacino idrico dell'Aniene); poco salubre ed assai bassa, quest'acqua serviva ad alimentare la naumachia costruita dall'imperatore in Trastevere. Sotto Caligola si demolirono gli archi dell'acqua Vergine nel Campo Marzio (rifatti poi a fundamentis da Claudio: C. I. L., vi, 1252), però fu iniziata anche la costruzione di quell'a. che, condotto a termine da Claudio, da lui prese nome (aqua Claudia) e per tracciato ed esecuzione, è quanto di meglio poteva dare l'ingegneria antica. Non sono esagerate in questo caso le lodi tributategli da Plinio (Nat. hist., xxxvi, 122): il tracciato è mantenuto, per quanto possibile, rettilineo, con profonde gallerie scavate nelle viscere dei monti, con lunghi viadotti che scavalcano con le loro audaci arcate le valli profonde del corso superiore (nell'alta valle dell'Aniene), mentre il corso inferiore si snoda attraverso la campagna romana con quella lunga teoria di arcate notissime a chi conosce il suburbio di Roma. L'altro a. fatto costruire da Claudio, l'Anio Novus, univa il suo condotto a quello della Claudia a 7 miglia dalla città (alle Capannelle), utilizzando un'unica serie di arcate; all'ingresso della città l'acquedotto con i due condotti scavalcava le vie Prenestina e Labicana con due archi monumentali in travertino (attuale Porta Maggiore), fiancheggiati da alte nicchie rettangolari inquadrate da colonne, che vennero poi inseriti nelle mura d'Aureliano. Sopra gli archi è scolpita l'iscrizione che ricorda la costruzione di Claudio ed i restauri di Vespasiano e di Tito; poco lontano, nella località dell'Esquilino detta Spes Vetus (dove passavano 8 degli 11 a. di Roma), era il castello di distribuzione dal quale le due acque, mescolate, raggiungevano tutte le regioni urbane. Frontino (i, 13) celebra la magnificenza del nuovo a., inaugurato nel 52 d. C., la bontà e l'abbondanza dell'acqua, l'altezza di livello (oltre 32 m per l'Anio Novus) che consentì alle due acque di raggiungere le più alte zone di Roma. Nerone, per rifornire le sue grandiose costruzioni tra la valle del Colosseo ed il Palatino, fece costruire una derivazione della Claudia nell'interno della città, da Porta Maggiore al Celio (arcus Neroniani); più tardi Caracalla costruirà una diramazione della Marcia per alimentare le sue terme colossali (aqua Antoniniana). Intensa attività riorganizzatrice si ha sotto il principato di Traiano: si studia un nuovo sistema di distribuzione, si dividono le acque secondo la qualità, infine, nel 109, Traiano fa costruire un nuovo a., l'aqua Traiana, per rifornire il Trastevere, rimasto fino allora la regione più povera di acque potabili. L'organizzazione traianea continuò a funzionare fino al Tardo Impero ed anche sotto i primi re barbari: l'opera dei successori fu essenzialmente di conservazione e di restauro. Tuttavia nel III sec. si sente ancora la necessità di un nuovo a., l'aqua Alexandrina, che Alessandro Severo fa condurre dalle falde settentrionali dei colli Albani ad alimentare, nel Campo Marzio, le Terme Neroniane da lui ricostruite; è l'unico a. costruito integralmente in opera laterizia, l'undecimo ed ultimo della serie. La portata degli 11 a. di Roma nel periodo imperiale si fa ascendere a circa un milione di m3 al giorno.
Le invasioni barbariche, unitamente alla rapida decadenza della città, segnarono la sorte degli a.; furono tagliati nel 537 dai Goti di Vitige, e nonostante il restauro parziale di alcuni di essi fatto eseguire due secoli dopo da Adriano I (l'acqua Traiana tornò a fluire a S. Pietro nel 775, la Claudia al Laterano e la Vergine al Campo Marzio), dopo la fine dell'VIII sec. gli acquedotti romani caddero definitivamente in rovina. I Romani ritornarono all'uso dei pozzi, come nei tempi primitivi, fino al Rinascimento, allorché l'acqua Vergine, col nome di Acqua Felice, fu restaurata da Niccolò V (1453). I successori restaurarono via via altri a. e la Roma papale fu ricca di acque come l'antica.
A. in Italia e nelle Province. - Il resto d'Italia non ebbe tale dovizia di acque, tuttavia municipî e centri urbani di una certa importanza ebbero in età romana uno o più a., che le ricerche topografiche vengono via via rivelando; carattere monumentale aveva l'a. di Acqui (lungo circa 14 km) di cui restano presso la città imponenti arcate in laterizio a piloni rastremati, mentre quello di Rimini, recentemente rintracciato, è del tipo più raro: con condotto ad elementi di terracotta a sezione rettangolare e cilindrica, con giunture ad incastro. Resti di un duplice a. sono stati riconosciuti a Ventimiglia e a Spoleto; di quello di Minturno rimangono arcate in struttura reticolata d'età augustea. La zona campana era particolarmente ricca d'acque per la vita intensa che vi si svolgeva: due a. alimentavano Pozzuoli, il campano (più antico) e quello del Serino, di cui rimangono considerevoli tratti d'arcate in opera reticolata con restauri in laterizio (Ponti Rossi presso Napoli) e che recava l'acqua anche a Napoli, Cuma, Nola ed altri centri del Golfo. La grande piscina di Miseno (Piscina Mirabile) costruita in età augustea per le necessità del porto militare, immagazzinava 12.600 m3 di acqua dell'acquedotto del Serino.
Nelle province dell'impero, soprattutto in Spagna e Gallia, lo sviluppo grandioso dato alla parte architettonica dell'a. non sempre è giustificato dalle necessità tecniche: i principali manufatti destinati a sostenere i condotti manifestano la volontà di creare un'opera monumentale nella quale la funzionalità passa in seconda linea. I grandiosi ponti-viadotti vivono come monumenti a sé stanti, audaci costruzioni colorite dalla fantasia popolare con nomi strani ("ponte del diavolo", "dei miracoli"), nelle quali le arcate si susseguono in lunghe catene spesso a più ordini sovrapposti: esempî insigni, in Spagna, l'a. di Tarragona (con un ponte in pietra a due ordini di arcate, lungo 217 m) e quello di Segovia, tuttora in efficienza, con un magnifico ponte (Puente del diablo) di blocchi di pietra giustapposti senza calce; in Francia, il Pont-du-Gard dell'a. di Nîmes (lungo 270 m) a due ordini di grandi arcate sovrapposte coronate da una serie di arcatelle che sostengono il condotto. Più numerosi che nelle altre province sono gli avanzi di a. romani nella penisola iberica: i più notevoli, oltre i ricordati, sono i tre di Mérida (con enormi bacini di raccolta delle acque) e quelli di Sádava, Calahorra, Siviglia, Chelvez (Valenza), con un ardito ponte a tre arcate su piloni rastremati ed un taglio nella roccia lungo 200 piedi. Parecchie città romane di Francia avevano più di un a.: cinque ne contava Lione (alcuni lunghi oltre 40 km; notevole quello del monte Pilato), tre Parigi, due Antibes, tre Marsiglia. Tra i molti a. dell'Africa, opere spesso militari (a. di Lambesi, Saldae) premineva quello di Cartagine (132 km) fatto costruire da Adriano, la cui lunga teoria di arcate ricorda gli a. della campagna romana, e l'a. di Cherchell (Caesarea) con un ponte d'altissime arcate. Nelle province orientali, Antiochia di Siria, secondo la testimonianza di uno scrittore del IV sec. d. C., Libanio, superava tutte le altre città per abbondanza di acqua corrente, che raggiungeva tutte le case private; Mitilene ha un grande ponte-viadotto ad alte arcate rafforzate da archetti, costruito in blocchi di marmo dell'isola. Notevole architettonicamente il bel ponte-viadotto a due ordini (tre grandi arcate cui sono sovrapposte, come nel Pont-du-Gard, sei piccole arcate) dell'a. di Efeso, costruito in età augustea da C. Sestilio Pollione. Testimonianze epigrafiche ricordano circa un centinaio di a., sparsi in tutto l'impero, dalla Britannia all'Asia Minore, dalla Germania alla Mauretania; tra i più tardi sono quelli di Salona, fatto costruire da Diocleziano per il suo palazzo, e di Bisanzio, opera del tempo di Valente.
Caratteri architettonici degli a. di Roma. - Anche a Roma, come nelle costruzioni erette nelle province e considerate sopra (v.), nella zona monumentale del perimetro urbano gli a. assunsero una veste architettonica più ornata per intonarsi agli splendidi edifici della città, e si cercò di trar partito dalla struttura stessa della costruzione ornando le arcate con pilastri, colonne e timpani, soprattutto in corrispondenza dello scavalcamento di strade: tipici esempî sono, oltre la già ricordata Porta Maggiore, il c. d. arco di Druso sulla via Appia (presso porta S. Sebastiano) e nel Campo Marzio il tratto terminale dell'a. Vergine rifatto da Claudio, con struttura simile a Porta Maggiore (opera quadrata a bugnato), del quale sussiste il tratto di via del Nazareno, con fornice inquadrato da colonne sporgenti, mentre sono note da disegni del Rinascimento le tre arcate monumentali di piazza S. Ignazio (rivestite di marmo e ornate con colonne corinzie nella fronte, pilastri dorici di travertino negli altri lati) e l'arco sulla via Lata (via del Corso) trasformato da Claudio in un arco trionfale a ricordo della conquista della Britannia, ed ornato sui lati con colonne corinzie abbinate, con rilievi storici e iscrizioni commemorative (cosiddetto Arco di Portogallo).
Gli a. di Roma erano citati dagli antichi (Strabo, v, 3, 8, c. 235) fra le opere pubbliche più notevoli della città. Nell'età di mezzo attorno alle loro rovine imponenti fiorivano leggende, ma col Rinascimento cominciarono a destare l'interesse di uomini dotti ed artisti: dal 1461, allorché Flavio Biondo e Pio IV fecero le prime osservazioni in occasione di un viaggio compiuto dal papa nella valle dell'Aniene, fino agli studî moderni del Lanciani, alle opere fondamentali della van Deman e dello Ashby, ogni età ha dato il suo contributo di studî a questo genere di monumenti.
Avanzi di a. nell'impero romano: tutti i centri abitati di una certa importanza ebbero il loro a. (nelle sole province galliche sono state segnalate circa trecento opere idrauliche). Fra le località, oltre quelle già ricordate, in cui sono noti avanzi di a. si possono citare le seguenti:
Italia ed Isole: Angitia (a. d'età claudia lungo oltre 8 km, con galleria di 2 km e condotto in struttura megalitica con sifone: G. Giovannoni, in Rend. Pont. Acc., 1935, p. 63 ss.), Anxur (resti di varî a. fra cui a. dell'Amaseno lungo oltre 50 km, II sec. d. C.: G. Lugli, Forma Italiae: Anxur, 1926, c. 13 ss., 45 ss., 192 n. 25), Aquinum (fine del I sec. a. M. Cagiano de Azevedo, Aquinum, 1949, p. 46 ss.), Augusta Praetoria (P. Barocelli, F. Italiae: Aug. Praetoria, 1948, c. 181 s.), Brixia (Not. Scavi, 1941, p. 322 ss.), Brundisium (a. d'età claudia lungo circa 10 km: P. Camassa, Romanità di Brindisi, 1934, p. 84 ss.), Casinum (a. lungo circa 20 km: G. Carettoni, Casinum, 1940, p. 107 ss.), Catana (a. lungo 23 km: P. G. Cesareo, Catania, 1926, p. 53 ss.), Centumcellae (a. d'età traianea, lungo 32 km: S. Bastianelli, Centumcellae, 1954, p. 45), Chieri (R. Ghivarello, in Boll. Soc. Piem. Arch., 1932, p. 156 ss.), Dertona (G. Mancini, in Not. Scavi, 1936, p. 91), Eporedia (a. a canale aperto: G. Borghesi-G. Pinoli, in Boll. Soc. Piem. Arch., 1919, p. 49 ss.), Faesulae (a. a canale aperto in parte, lungo circa 5 km: M. Lombardi, Faesulae, 1941, p. 63 ss.), Florentia (a. lungo 10 km: G. Maetzke, Florentia, 1941, p. 64 s.), Genua (G. Poggi, Genova prerom. rom. medioev., 1914, p. 130 ss.), Interamna Lirenas (costruito da C. Cavario Apulo, C.I.L., x, 5411: Cagiano de Azevedo, Inter. Lirenas Succ., 1947, p. 28), Libarna (G. Monaco, F. Italiae: Libarna, 1936, c. 45 ss.), Mevania (percorso indicato da cippi: C. Pietrangeli, Mevania, 1953, p. 96 ss.), Ocriculum (C. Pietrangeli, Ocriculum, 1943, p. 113), Olbia (D. Panedda, F. Italiae: Olbia, i, 1952, p. 54 ss.; ii, 1954, p. 115 ss.), Pisae (archi di Caldàccoli, I sec. d. C.: A. Neppi Modona, F. Italiae: Pisae, 1953, c. 35 s., tavv. viii, ix), Pola (opera del duumviro L. Menacio Prisco, II sec. d. C.: C. De Franceschi, in Atti Soc. Istr. Arch. St. P., 1934, p. 241 ss.). Ravenna (a. bizantino, avanzi pr. Forum Livii: G. A. Mansuelli, Caesena etc., 1948, p. 34, 88), Tarros (A. Taramelli, in Boll. d'Arte, 1933, p. 291), Tauromemum (M. Santangelo, Taormina, 1950, p. 74, 145), Tergeste (due a.: V. Scriniari, Tergeste, 1951, p. 82 ss.; Am. Journ. Arch., 1955, p. 309), Termini Imerese (a. lungo 8 km, con viadotto a doppio ordine di arcate e torre-serbatoio: V. Tusa, in Boll. d'Arte, 1953, p. 270 ss.), Velitrae (G. Cressedi, Velitrae, 1953, p. 88), Venafrum (a. lungo circa 30 km, d'età augustea: A. Maiuri etc., Campania Romana, i, 1938, p. 165 ss.), gli a. del Sarno (O. Elia, Campania Rom., i, p. 99 ss.) e del Volturno (d'età augustea: Elia, op. cit., i, p. 101, nota 1).
Province europee: Agedincum (tre a., il più importante lungo circa 14 km: A. Blanchet, Aqueducs et cloaques de la Gaule rom., 1908, p. 92 ss.), Aquae Sextiae (quattro a., il più importante lungo 28 km: Blanchet, p. 52 s.), Arelate (Blanchet, p. 54 s.), Augusta Rauricorum (a. lungo 16 km: Blanchet, p. 131), Augusta Trevirorum (Blanchet, p. 105 s.), Augustodunum (Blanchet, p. 89 s.), Avaricum (resù di varî a.: Blanchet, p. 73 s.), Aventicum (varî a.: Blanchet, p. 131 ss.), Bagacum (a. lungo circa 20 km: Blanchet, p. 115), Barcina (J. Puig i Cadafalch, Arquitectura rom. a Catalunya, 1934, p. 262), Burdigala (Blanchet, p. 65 s.), Carhaix (a. lungo 14 km: Blanchet, p. 104), Colonia Agrippina (a. dell'Eifel, lungo 78 km: Blanchet, p. 121 ss.), Durocortorum (Blanchet, p. 113 s.), Forum Iulii (Fréjus) (a. lungo 40 km: Blanchet, p. 49 s.), Forum Segusiavorum (resti di tre a.: Blanchet, p. 87), Glanum (F. Benoit, in Rev. Ét. Anc., 1935, p. 331 ss.), Hispalis (R. Menendez Pidal, Hist. de España, ii, 1935, p. 599), Limonum (resti di vari a., fra cui l'a. di Fleury lungo 25 km: Blanchet, p. 69 s.), Luynes ("Pilliers des Arènes": Blanchet, p. 77 s., tav. vi), Mogontiacum (a. restaurato da Alessandro Severo, C.I.L., xiii2, 7212, p. 303: Blanchet, p. 117), Naix (Blanchet, p. 112), Néris (Blanchet, p. 88 s.), Neviodunum (B. Saria, in Serta Hoffilleriana, 1940, p. 249 ss.), Octodurus (Blanchet, p. 134), Pineda (Puig i Cadafalch, p. 263, fig. 326), Rottenburg (Blanchet, p. 119), Rutena (Blanchet, p. 71 s.), Saguntum (Puig i Cadafalch, p. 262), Saintes (Blanchet, p. 67 s.), Savaria (a. lungo circa 25 km: E. Türr, in Arch. Ért., lxxx, 1953, p. 129 ss.), Toletum (Menendez Pidal, p. 600, fig. 370), Vellaunodunum (a. lungo circa 30 km: Blanchet, p. 101), Vesontio (resti di castellum divisorium: Blanchet, p. 129), Vesunna (a. fatto costruire da L. Marullio Eterno, C.I.L., xiii, 966: Blanchet, p. 66 s.), Vieil Évreux (a. lungo circa 16 km: Blanchet, p. 99), Vienna Col. Iulia (varî a., il più importante fatto costruire da Q. Gellio Capella e D. Sulpicio Censore, C.I.L., xii, 1882: Blanchet, p. 59 s.), Vindonissa (Blanchet, p. 135).
Africa: Cherichera (a. a doppio condotto: P. Gauckler, Install. hydr. rom. Tunisie, iv, 1900, p. 277 s.), Cirta (ponte-viadotto lungo circa 60 m: St. Gsell, Mon. Algerie, i, 1901, p. 252 s.), Cuicul (Y. Allais, Djemila, 1938, p. 12 s.), Hippo Regius (a. lungo 18 km: Gsell, p. 254 s.), Ksar-Sudan (Gauckler, iii, 1899, p. 175 ss.), Leptis Magna (P. Romanelli, in Riv. Tripol., i, 1925, p. 219 ss.), Mactaris Col. Aelia Aur. (Gauckler, iii, p. 145 ss.), Madauros (Gsell-Joly, Khamissa Mdaourouch etc. 1922, ii, p. 21 s.), Rusicade (a. lungo circa 22 km, con vari ponti-viadotti: Gsell, i, p. 253 s.), Sabratha (R. Bartoccini, Guida di S., 1927, p. 74), Siagu (tre a.: Gauckler, iv, p. 233 ss.), Simittu (a. lungo circa 22 km, con grandi cisterne: id. ii, 1898, p. 65 ss.), Sufes (a. di 9 km: id. iii, p. 148 s.), Suffetula (due a. e ponte-viadotto: id. iii, p. 151 s.), Susa (id. v, 1901, p. 301 ss.), Thamugadi (a. lungo 13 km: Gsell I, p. 259 s.), Theveste (id. i, p. 256), Thubursicum Numid. (id. i, p. 255), Thugga (a. lungo circa 12 km: L. Carton, Thugga, p. 98 s.), Tipasa (a. di 9 km: Gsell, i, p. 260), Utica (a. lungo circa 12 km, con due ponti-viadotti: Ch. Tissot, Province d'Afr., ii, 1888, p. 73 s.), Volubilis (R. Thouvenot, Volubilis, 1949, p. ii, 32, 45 s.), Zama Maior (Gauckler, iii, p. 147 s.).
Grecia e Oriente: Aspendos (a. ad arcate sovrapposte, con sifone e ponte-viadotto, I sec. d. C.: J. W. Perkins, in Papers Br. Sch., xxiii, 1955, p. 115 ss., tavv. xxx-xxxii), Berytus (ponte-viadotto lungo 180 m, alto 50 m: A. J. Letronne, in Rev. Arch., 1846, pp. 489-491,tav. 57), Ephesus (a. di Sestilio Pollione, d'età augustea, ponte-viadotto marmoreo a doppio ordine: J. Keil, Ephesos, 1930, p. 94, fig. 55), Mytilene (a. di Moria lungo 26 km, ponte-viadotto marmoreo di m 140 a tre ordini d'arcate: R. Koldewey, Lesbos, 1890, p. 65, ss. tav. 29), Palmyra (a. lungo 7 km: M. Floriani Squarciapino, in Studi Rom., 1955, p. 587), Patara (a. con sifone, costruzione di tipo poligonale (greca?): E. Belgrand, Aqueducs rom., 1875, tav. iv), Perga (K. Lanckoronski, Städte Pamph. Pis., i, 1890, i, p. 47 s.), Petra (R. E. Brünnow-A. Domaszewski, Prov. Arabia, i, 1904, p. 174 s.), Side (Lanckoronski, i, p. 138 s.), Sinope (a. lungo 24 km, fatto costruire da Plinio il Giov. (epist. x, 91): D. M. Robinson, Sinope, 1906, p. 257), Smyrna (vari a.: G. Webber, Wasserleit. Smyrna, in Jahrbuch, 1899, p. 4 ss., 167 ss.).
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