Acrobata
di J. Svanberg
Il tema iconografico degli a. (comprendendo in questa definizione anche danzatori, saltimbanchi e quanti altri si esibivano in esercizi di destrezza nei luoghi pubblici) conobbe una larghissima diffusione nel corso del Medioevo, in Occidente come nel mondo musulmano. È peraltro d'origine antica, essendo presente in gran parte dell'area del bacino del Mediterraneo a partire dal secondo millennio avanti Cristo. Anche nell'arte classica sono numerose le raffigurazioni di a., per es. nella pittura vascolare greca e sui bronzi etruschi. La passione dei Romani per i giochi del circo passò alla cultura bizantina; sui dittici consolari sono spesso raffigurati gruppi di a. che giocano con la palla oppure formano piramidi viventi o fanno la verticale, mentre sul dittico di Aerobindo, del 506 (Zurigo, Schweizerisches Landesmus.), sono raffigurati giochi circensi in cui un atleta salta leoni e orsi aiutandosi con l'asta; forse un dittico di questo tipo servì da modello per il rilievo in pietra di età visigota (sec. 9°) in San Miguel de Lino a Oviedo; esso raffigura un a. nell'atto di spiccare un salto con l'asta sopra un leone. È forse il più antico esempio conosciuto di una tale iconografia su un portale di chiesa. In Santa Sofia a Kiev si trovano invece affreschi raffiguranti a. in compagnia di danzatori e lottatori (sec. 11°).
di J. Svanberg
Anche nell'Europa occidentale la tradizione degli esercizi acrobatici dell'Antichità sopravvisse nei versatili individui che, nel latino medievale, venivano spesso chiamati ioculatores, nei vari volgari iocoliere, jongleur, juggler. L'a. veniva anche designato con termini più specifici, come nell'antico francese tombeors e espringeors. Già prima del Mille gli ioculatores erano comuni in Europa occidentale e fino al sec. 13° aumentarono progressivamente di numero, grazie alla sempre crescente popolarità di cui godettero. Il periodo della loro massima diffusione coincise di fatto con la produzione artistica romanica, quando tra l'altro vennero rappresentati in molte chiese francesi e italiane e spesso in punti importanti degli edifici, come portali e capitelli. Molti esempi sono documentati anche in Spagna, in Inghilterra e nei paesi di lingua tedesca, mentre in Scandinavia le loro raffigurazioni sono rare.
Durante il Tardo Medioevo si tentò in vari modi, con leggi e divieti, di ridurre il numero degli a. o comunque di limitarne le attività consentite; ciò si riflette nell'età gotica quando, salvo qualche eccezione, diminuì la quantità delle rappresentazioni di acrobati. Nell'età gotica esse appaiono di norma in posizione secondaria, per es. sotto i sedili ('misericordie') degli stalli del coro, nonché nelle miniature e sui margini di libri.
È stato spesso evidenziato il ruolo assegnato agli a. nelle decorazioni delle chiese romaniche. Mâle (1922) ne ha sottolineato la grande frequenza in Francia, spesso in posizione di primo piano su facciate e portali, e ha ricollegato il fenomeno alla grande importanza loro attribuita nella vita dell'epoca, mentre Focillon, nel saggio Apôtres et jongleurs (1929), ha fatto notare come gli a. costituissero un motivo particolarmente consono all'arte francese del sec. 12°, che prediligeva il movimento forte ed espressivo.In Italia, Salvini (1962) ha messo in rilievo come questi motivi si trovino scolpiti secondo modelli francesi nei chiostri delle cattedrali normanne della Sicilia. In Germania, Karlinger (1924), che ha individuato soggetti analoghi su alcuni portali bavaresi, ha definito la funzione di queste sculture come "divertente cronaca a immagini per i laici". In Inghilterra, infine, Zarnecki (1958) ha espresso un parere simile in relazione a un portale romanico della cattedrale di Ely, dove lo stipite è ornato da una serie di scene con a., uno dei quali fa il 'ponte'.
Deonna (1953) sostiene invece che il valore rituale e simbolico, spesso insito negli spettacoli acrobatici dell'Antichità, sembra essersi conservato, almeno per un certo periodo, nel corso del Medioevo: un'esibizione di spericolate acrobazie felicemente conclusa rappresentava un esorcismo contro le potenze malefiche e un trionfo sulla morte. Secondo Deonna se ne troverebbe conferma negli esercizi eseguiti durante le cerimonie funebri non solo nell'Antichità ma fino al Tardo Medioevo e a questo proposito ricorda uno spettacolo funambolico svoltosi in occasione di un funerale principesco a Moulins. Nell'Antichità si eseguivano spesso esercizi acrobatici in offerta agli dei, usanza religiosa di cui Deonna ravvisa il ricordo ancora in leggende del sec. 12°, per es. quella francese del giullare della Vergine Maria (Del tumbeor Nostre-Dame): vi si narra la storia di un giullare ritiratosi nel monastero di Clairvaux, al quale, benché animato da profonda pietà, non era consentito partecipare al servizio religioso, dato che non conosceva il Padre Nostro, il Credo e l'Ave Maria. Un giorno, al rintocco delle campane per la santa messa, egli scese in una cripta dove si trovava un altare dedicato alla Madonna, deciso a offrire l'unico omaggio di cui fosse capace; si tolse il saio e, coperto solo di una semplice tunica, eseguì davanti all'immagine della Vergine tutti gli esercizi che normalmente erano riservati agli spettacoli in piazza. Continuò a lungo, con varie contorsioni e acrobazie, tutte minutamente descritte ed elencate nella leggenda. Fu visto però da un monaco, il quale riferì prontamente l'accaduto all'abate che, accorso nella cripta, fu testimone di un miracolo: il giullare, esausto, giaceva ai piedi dell'altare, mentre la Madonna, accompagnata da angeli, scendeva dal cielo per portargli un dolce refrigerio. Un istante dopo egli morì e gli angeli lo condussero alla dimora dei beati. La prima illustrazione della leggenda, che ne riassume concisamente la vicenda, risale a un manoscritto francese di epoca gotica (sec. 13°; Parigi, Ars., 3516, c. 127r). Richiama la stessa leggenda anche un gruppo di figure (1330 ca.) scolpite su due grandi mensole poste sotto le volte della cattedrale di Exeter. Su una delle mensole un musicante con uno strumento a corde accompagna l'a. che fa la verticale al cospetto della Madonna, scolpita sull'altra mensola.
Gli esercizi acrobatici minuziosamente descritti nella leggenda del giullare della Vergine Maria e in altri testi del sec. 12°, volteggi, capriole, ecc., si trovano raffigurati in molte chiese romaniche. Giullari nell'atto di fare capriole o con il corpo piegato ad arco e la testa sporgente fra le gambe sono scolpiti su capitelli della chiesa di Saint-Pierre ad Aulnay, nella cattedrale di Ginevra e nel chiostro del duomo di Cefalù.
Sul portale principale del nartece della chiesa di Sainte-Madeleine a Vézelay un a. si esibisce immediatamente al di sopra della famosa rappresentazione della Pentecoste. L'a. si trova nel medaglione centrale dell'archivolto che incornicia il timpano, dunque proprio sopra la testa del Cristo; vestito con il tipico costume rigato dei giullari, si piega all'indietro, tenendosi le caviglie con le mani e sfiorando i calcagni con la testa, così da formare un cerchio con il corpo. La figura danzante del giullare "bien s'en regardant les talons", come dice una cronaca (Faral, 1910, p. 298), si adatta alla perfezione alla forma del medaglione, soluzione che sfruttarono anche altri maestri lapicidi. La collocazione centrale accordata a questo motivo nel grande ciclo di rilievi di ispirazione teologica dimostra però che, in questo contesto, esso non ha solo funzione di divertente e formalmente ben riuscito riempitivo. Si trova infatti al centro dell'archivolto, tra i ventiquattro medaglioni raffiguranti i segni dello Zodiaco e i simboli dei Mesi. Katzenellenbogen (1944) ipotizza che l'a. possa rappresentare l'elemento aria; più rilevante sembra l'interpretazione, fornita da Deonna (1953) e altri, secondo la quale i suoi movimenti circolari al culmine dell'arco recante i simboli dei Mesi rappresenterebbero invece il ciclo dell'anno.
Della fine del sec. 11°, e perciò anteriore ai menzionati rilievi, è la serie di capitelli di Anzy-le-Duc, che comprende varie scene acrobatiche, fra cui una con un giullare che fa il 'ponte'. La figura nuda ha le costole sporgenti, come spesso accade in queste rappresentazioni, per far risaltare la magrezza e l'agilità dei corpi; la affiancano due mostri dalle code serpentiformi e dalle fauci spalancate, rivolti uno verso il piede alzato dell'uomo, l'altro verso il suo petto. L'a. poggia il piede sinistro sulla zampa anteriore di uno dei mostri i quali, così minacciosi nei suoi confronti, potrebbero simboleggiare la morte che egli sfida con lo spericolato esercizio, oppure le forze demoniache che molti ecclesiastici associavano ai giullari.
Fra le altre raffigurazioni romaniche di a. che eseguono vertiginosi piegamenti all'indietro o che fanno il 'ponte', si ricordano una mensola di Saint-Trophime ad Arles, un capitello nel chiostro agostiniano di Tolosa e un rilievo del portale chiamato 'Prior's Doorway' della cattedrale di Ely. Su un rilievo del sec. 13°, nel chiostro di Grossmünster a Zurigo, si trova invece la figura di una donna giullare. Su un capitello del sec. 12°, in San Isidoro a León, vi sono due a. nudi e inginocchiati, che piegano i corpi all'indietro così da afferrarsi le caviglie e sfiorare i calcagni con le teste rivolte l'una verso l'altra; sui loro petti si accovaccia un terzo uomo e insieme formano una piramide. Sono affiancati da due musicanti che li accompagnano con strumenti ad arco (fiddles). Sugli amboni firmati dallo scultore Nicodemo nelle chiese abruzzesi di Moscufo (1158) e di Cugnoli (1166) si vedono a. nudi arrampicarsi ognuno sulla propria colonnina; due salgono verso il capitello, mentre un terzo scende a testa in giù.
Nella scultura in pietra di età romanica era molto frequente il motivo dell'a. che fa la verticale, diffuso dalla Sicilia fino alla settentrionale isola di Gotland. In Francia se ne conoscono rappresentazioni nelle chiese di Saint-Aubin e di Saint-Pierre di Aulnay, scolpite in rilievo su mensole e capitelli.Di grande raffinatezza sono l'abbigliamento e il disporsi della figura di una donna giocoliere scolpita su un capitello di Saint-Georges-de-Boscherville, ora conservato a Rouen (Mus. des Beaux-Arts et de la Céramique). La figura sta in equilibrio sulla testa, appoggiata su uno sgabello e tiene una gamba in verticale e l'altra piegata sulla spalla; è affiancata da due re seduti che la accompagnano con l'arpa e la fiddle. In Italia, nel duomo di Modena, fra le diverse scene raffiguranti giocolieri sono presenti anche alcuni rilievi con a. che fanno la verticale; uno di essi, scolpito su un capitello, con le mani si tiene in equilibrio su una spada sguainata; il compagno, seduto, lo accompagna con l'arpa. Questa scena richiama la narrazione, contenuta in una cronaca, di giocolieri che suonavano e maneggiavano spade sguainate alla corte di Poitiers (Faral, 1910, p. 298). Nel chiostro di Monreale, su alcune colonne sono scolpiti a. in verticale che piegano le gambe tanto da toccarsi il capo con i piedi. Nelle raffigurazioni siciliane degli ultimi decenni del sec. 12° queste figure sono nude, mentre i giullari che eseguono lo stesso esercizio su capitelli di chiese dell'isola di Gotland (inizio del sec. 13°), indossano, al pari degli a. di Modena, tipici costumi da giocoliere.
Su un capitello del sec. 12° in Saint-Denis-hors-Amboise una donna giocoliere fa la verticale accanto al diavolo, accompagnata da un caprone che suona il flauto, mentre in un movimentato disegno gotico della metà del sec. 13°, su una pagina del taccuino di disegni di Villard de Honnecourt (Parigi, BN, fr. 19093), è presente una donna a. che fa la verticale o forse esegue un volteggio all'indietro.
Anche nella Bibbia compaiono figure di a. donne e pertanto in varie raffigurazioni miniate e scolpite è rappresentata una danzatrice che si esibisce al cospetto del re Davide seduto in trono, che la accompagna con l'arpa. Talora questa danza si trasforma in puro esercizio acrobatico, come per es. in un rilievo sullo zoccolo del portale occidentale di Saint-Lazare ad Avallon, dove la danzatrice fa il 'ponte' appoggiandosi su una mano sola.Salomè danzante al cospetto di Erode era vista nel Medioevo quale prototipo della donna giullare e per questa ragione fu spesso raffigurata in danza acrobatica davanti alla mensa regale; in alcuni casi Salomè fa la verticale, come per es. in un affresco romanico nella chiesa di S. Giovanni a Müstair in Svizzera e su un rilievo di un portale della facciata occidentale della cattedrale di Rouen. In altre raffigurazioni Salomè esegue un vertiginoso volteggio all'indietro al pari dell'a. di Vézelay: per es. in un rilievo delle porte bronzee di S. Zeno a Verona (sec. 11°) e in un affresco gotico del duomo di Braunschweig. Il tema secondo Hausamann (1980), che in uno studio sulla danza di Salomè nell'arte medievale ne ravvisa ben undici varianti, sarebbe di origine moresca.
Molte fonti medievali raccontano di funamboli che sfidano la morte su corde tese fra alte torri di chiese o castelli, eseguendo complicate danze e salti o appendendosi alla fune retti solo dai piedi o con i denti; un'esibizione ben riuscita di questo genere poteva considerarsi un trionfo sulla morte, l'esorcizzazione del suo potere.
Le esibizioni funamboliche venivano eseguite durante i funerali principeschi, ancora nel Tardo Medioevo, secondo Deonna (1953) proprio per il loro valore simbolico e rituale.Le raffigurazioni di funamboli nell'arte medievale sono tuttavia abbastanza rare, ma in Italia ne sussistono, su rilievi romanici, in varie chiese. Un esempio interessante è quello costituito da un capitello nella chiesa di S. Giorgio Martire (sec. 12°) a Petrella Tifernina vicino a Campobasso, nel Molise: vi sono raffigurati due uomini appesi a corde attaccate alle volute d'angolo e tese intorno ai tre lati liberi, dove formano anelli ai quali i due giocolieri si afferrano con le mani; essi sono inoltre appesi lungo la parte superiore della colonna a braccia piegate, con la schiena e il viso rivolti verso l'esterno e le gambe sollevate e flesse, così da permettere a entrambi di toccarsi con la punta dei piedi al centro del lato anteriore della colonna. I due a. indossano berretti da giullari e costumi lisci e aderenti, con gli orli delle maniche e dei pantaloni segnati sui polsi e sulle caviglie, e hanno i piedi nudi con le dita visibili. Entrambi portano imbracature, le c.d. cinture di rinforzo usate nel sec. 12° da lottatori e da a. (Zarnecki, 1958). Fra i due a. della colonna di Petrella Tifernina è raffigurato un bucranio, sorretto da una corda sottile che, attraversandone la fronte, passa sotto le corna e si conclude annodata in mezzo alla più grossa delle corde degli a.; il bucranio costituisce così un elemento di spicco, bene inserito in questa rappresentazione.
Anche nella cattedrale di Otranto, in Puglia, un bucranio fa parte di una scena posta su un capitello risalente al sec. 12°: vi sono raffigurati quattro uomini che con le braccia tese e la parte anteriore dei corpi volta all'esterno formano un cerchio intorno al capitello. Indossano una maglia aderente e un corto gonnellino a pieghe con cintura; due portano un berretto, gli altri sono a capo scoperto. Tutti poggiano i piedi nudi sul bordo formato dalla corda che delimita in basso il capitello e sembrano tenersi in equilibrio su questa fune tesa, grazie alla presa delle mani su anelli di corda, apparentemente attaccati a mensole fissate alla cornice superiore. Due degli a. afferrano inoltre con la mano libera un corno del bucranio che loro stessi sorreggono; fra gli altri due è seduta una scimmia, animale prediletto dai giocolieri.
La presenza del bucranio in queste scene è senza dubbio interpretabile come simbolo della morte, ma il trovarsi accanto al bucranio o sorreggerlo per la punta delle corna potrebbe essere anche interpretabile come un'immagine di sfida alla morte e di trionfo su di essa.Un funambolo non correva peraltro meno rischi di un domatore e questo sembra essere il significato simbolico di un rilievo su un capitello nell'abbazia di S. Bruzio di Magliano in Toscana: dal bordo superiore del capitello pende infatti un a. nella stessa posizione dei due di Petrella Tifernina, con accanto, appeso a una corda, un bucranio, ma nei pressi è raffigurato anche un domatore di orsi. Un bucranio e domatori di orsi compaiono insieme ai funamboli anche su alcuni rilievi romanici della chiesa di Härja in Svezia.
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di A. Tomei
La visione che le gerarchie ecclesiastiche ebbero, nel corso del Medioevo, dell'attività degli a. e di ogni altro tipo di giocolieri e intrattenitori ambulanti fu di norma fortemente negativa; ne sono testimonianza, tra gli altri, gli scritti di Onorio d'Autun (Elucidarium, II, 18; PL, CLXXII, col. 1148) e di s. Bernardo di Chiaravalle il quale si interrogava sulla reale essenza umana di questi personaggi, traendone assai duri giudizi (Ep., 87, 12; PL, CLXXXII, col. 217). Ma, per contro, lo stesso Bernardo, con un'ardita metafora, immaginava i suoi monaci come giullari dello spirito: "Tutto ciò che essi i mondani desiderano, noi al contrario rifuggiamo e tutto ciò da cui essi rifuggono noi desideriamo, come quei giullari e danzatori che con la testa giù e i piedi in alto, in posizione inumana, stanno fermi o camminano sulle mani attirando gli sguardi di tutti" (Schapiro, 1982, p. 12).
Vanno interpretate tenendo conto di posizioni di questo genere opere come, per es., la base di un gruppo scolpito raffigurante l'Annunciazione, conservato a New York (Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters), dove si riconosce la figura di un dannato, in equilibrio come un a. sulle fauci spalancate di un mostro simboleggiante l'inferno. Il gruppo fa parte della decorazione dell'abside già esistente nella chiesa di San Martín a Fuentidueña, presso Segovia, ricostruita nel 1958 nella collezione dei Cloisters; l'opera è databile all'ultimo quarto del 12° secolo. Una scultura analoga, sempre conservata negli Stati Uniti d'America (Cleveland, Mus. of Art) e riferibile alla seconda metà del sec. 12°, mostra un dannato di nuovo in forma di a., in bilico sull'abisso infernale, simboleggiato da un mostro con le fauci spalancate.
A livello figurativo, a partire dal sec. 12°, l'immagine dell'a. e del giocoliere fu 'moralizzata', trasformata cio'e in un simbolo di dannazione e di peccato - con un particolare riferimento alla lussuria - e usata con fini di ammonimento e come exemplum per il fedele. È da ricordare a questo proposito un capitello di Anzy-le-Duc, del primo quarto del sec. 12°, dove un a. è raffigurato in lotta con un leone, in un contesto simbolico più vasto, volto a rappresentare il peccato della lussuria (Jacoby, 1982). Tuttavia non mancano figurazioni di intento, a quanto pare, più semplicemente realistico, quale un'altra, celebre figura di giocoliere conservata oggi a New York (The Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters), proveniente dall'abbazia di Saint-Martin di Savigny (Rhône) e databile al 1140-1150 circa. Analoga visione di schietto intento descrittivo si ritrova in taluni esempi di decorazione di manoscritti: una delle più precoci e interessanti - anche in quanto arguta notazione di costume - appare nel codice dei Moralia in Job, illustrato a Cîteaux dopo il 1111 (Digione, Bibl. Mun., Ms. 170, c. 32), dove figure di musici, a. e un giocoliere con spade e coltelli sono raffigurati con vivido realismo in due iniziali, a ornamento del testo di s. Gregorio (Romanini, 1978). Un altro singolare caso è costituito da una pagina di un breviario eseguito a Montieramey sempre nel sec. 12° (Parigi, BN, lat. 796, c. 235), dove la raffigurazione della Maiestas Domini appare accompagnata da un a., un danzatore e vari musicanti, a testimonianza dell'avvenuta integrazione della figura dell'a. in un contesto 'morale'.
Bibliografia
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M. Schapiro, Arte romanica, Milano 1982, p. 12.
di U. Scerrato
La figura dell'a., insieme a quella del saltimbanco, del giocoliere, del domatore di animali (generalmente conosciuti in ambiente islamico con il termine persiano pahlavān, propriamente 'campioni di lotta') e certe forme dell'intermezzo comico e burlesco erano, e in parte sono ancora, tipiche dei paesi dell'Islam e costituiscono con i loro stereotipi e improvvisati spettacoli una delle attrazioni delle fiere e dei bazar; fra le testimonianze di queste esibizioni combinate sulle piazze si ricordano quelle di al-Qazvīnī (Meraviglie del Creato) per Damasco e quelle del teatro egiziano nel 13° secolo. Ma tali spettacoli popolari non mancavano neppure di essere graditi dalle corti dei principi, come testimoniano alcune figurazioni in verità rare. Infatti la condanna degli ambienti religiosi ortodossi musulmani - non diversamente da quella espressa dalla Chiesa in Occidente - per ogni genere di spettacolo e la scarsa considerazione che tutti questi guitti, di qualsivoglia specialità, avevano nella società islamica, dove erano discriminati come una classe inferiore (malgrado si fossero inquadrati nella futuwwa, cioè in corporazione), fece sì che rappresentazioni di tali personaggi non fossero frequenti. Fra queste vennero preferite quelle che mostravano un'inconsueta abilità nell'impiego della forza e nell'acrobazia, probabilmente perché proprio questo genere di attività, solo marginalmente scenica, non attirava una particolare condanna da parte degli ambienti religiosi ufficiali. Rappresentazioni attinenti genericamente ad attività di spettacolo appaiono nell'arte islamica verso il sec. 11° in particolare in ambiente egiziano, nel periodo fatimide, inserendosi in una corrente d'arte realistica di antica tradizione in Egitto. Manifestazioni del genere si hanno più tardi in Siria, Egitto e in Iraq sotto gli Ayyubidi, gli Zengidi e i Mamelucchi (secc. 12°-14°), sebbene non manchi qualche testimonianza anche nell'Iran selgiuqide.
A. compaiono su due bassorilievi lignei di epoca fatimide del Coptic Mus. del Cairo, dove gli esercizi sono accompagnati da una piccola orchestra formata da un flautista e da un suonatore di tamburello. A. equilibristi si trovano invece su una rara bacinella a smalto cloisonné (Innsbruck, Tiroler Landesmus. Ferdinandeum) eseguita per il sovrano artuqide, signore di Ḥiṣn Kayfā e Diyarbakır, Rukn al-Dawla Dāwūd (1108-1145).
Sul bacino in bronzo ageminato in argento, opera di Aḥmad b. 'Umar al-Dhakt, eseguito in Siria o in Egitto fra il 1238 e il 1240 per il sovrano ayyubide Sulṭān al-'Ādil II Abū Bakr (Parigi, Louvre), in uno dei medaglioni della decorazione compare una figura di uomo a torso nudo, impegnato in un'azione acrobatica con una donna che, fatto molto raro nell'arte islamica, è completamente nuda. Una scena analoga, ma con una coppia maschile di a. vestiti, è su un grande piatto incrostato in argento (Monaco, Bayer. Staatsbibl.) eseguito per ordine del sultano ayyubide Badr al-Dīn Lu' lu' (1233-1259). La committenza di questi oggetti testimonia che tali spettacoli facevano parte dei trattenimenti di corte, fatto confermato da una significativa miniatura mamelucca, il frontespizio di un manoscritto delle Sedute (Maqāmāt) di al-Ḥarīrī (Vienna, Öst. Nat. Bibl., AF9), eseguito nel 1334, dove è rappresentato un principe in trono con i suoi cortigiani, davanti al quale si esibisce un a. che esegue una rovesciata su un attrezzo emisferico, con l'accompagnamento di un flautista e di un suonatore di liuto.La rappresentazione dell'a. non è sconosciuta, come si è accennato, in ambiente iranico da dove proviene una coppa con decorazione champlevé sotto l'invetriatura, tipo Garrus, dei secc. 12°-13° (Algeri, Mus. Nat. des Antiquités). In questo caso il contesto non è aulico e, seppur stilizzata, la scena sembra tratta dalla strada: vi si trova un personaggio che cammina sulle mani insieme a tre compagni, uno sicuramente un giocoliere e uno che porta un cappello conico piegato all'indietro che sembra tipico dei ballerini in ambiente iranico.Forse ispirato a un modello islamico è un rilievo della cattedrale di Zurigo, dove una figura femminile, qui identificata con Salomè, esegue una capriola all'indietro assistita da un suonatore di liuto seduto all'orientale.
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