Vedi ACROLITO dell'anno: 1958 - 1994
ACROLITO (ἀκρόλιϑον - sottint. ἄγαλμα, ξόανον -; acrolĭthus)
La parola compare raramente in greco: la prima volta, in iscrizioni del II sec. a. C. (Argo: I. G., iv, n. 538, 14. Inventari di Delo: Inscriptions de Délos, n. 1043, bb, 180; 1442, b, 45) e in seguito in un epigramma (Anth. Gr., xii, 40): Pausania, infatti, che pure accenna spesso (ii, 4, 1; vi, 24, 6 e 25, 4; vii, 21, 10 e 23,5; viii, 25, 6 e 31, 1-3, 6; ix, 4, 1) a statue acrolitiche, non adopera mai tale termine. Nella forma latina a. è usato da Vitruvio (ii, 8, 11), che lo traduce con l'espressione di "statua colossica", e da Trebellio Pollione (Trig. Tyrann., 30, 5) che lo riferisce ad una statua di Calpurnia moglie di Tito, uno dei trenta tiranni.
Con la parola a., si suole indicare una statua le cui estremità (testa, mani, piedi) sono di marmo o pietra e, in qualche caso, di avorio; il rimanente del corpo è di legno o di altro materiale poco costoso, che veniva dipinto o dorato e, ancora più spesso, ricoperto di abiti. Generalmente si ritiene che gli a. siano una manifestazione dell'arte greca molto antica, che anzi segnino il passaggio dalla statua di pietra o legno, con sommarie indicazioni del corpo, a quella modellata in tutte le sue parti. Sotto l'aspetto religioso, la remota credenza della presenza del dio negli idoli indusse a trattare questi come esseri viventi, ad ornarli e rivestirli di abiti. Tale uso si è protratto lungamente in Grecia, lasciandoci ricca documentazione per l'età arcaica e per la classica, come provano una serie di maschere marmoree e numerose rappresentazioni di vasi attici che riproducono idoli formati dalla testa infissa in un pilastro, quest'ultimo rivestito spesso di ricchi abiti, e continuò fino in età ellenistica come è attestato dalle già citate iscrizioni di Argo e di Delo. Tali fatti indurrebbero ad accettare la supposizione che abbiamo riferito circa l'origine degli a., senonché, dal punto di vista tecnico, tale genesi appare meno chiara: sembrerebbe, infatti, più logico accostare gli a. alle statue crisoelefantine, delle quali sappiamo che, mentre il viso e, in genere, le parti nude erano scolpite in oro ed avorio, il corpo era spesso di materiale più modesto (Paus., i, 40, 4 e 42, 4; vi, 19, 11). È probabile che il motivo economico, oltre che quello religioso, abbiano dato incremento alla tecnica dell'a.; se spetta il nome di a. allo Zeus scolpito da Theokosmos di Megara per l'Olympièion della sua città verso il 428 a. C., che aveva il viso di avorio e d'oro e il corpo di un materiale molto modesto - gesso e argilla - coperto dall'abito (Paus., i, 40, 4), l'ipotesi sembrerebbe confermata. Del resto, vengono comunemente designate con il nome di pseudo-a. sculture nelle quali le estremità sono di marmo o altro materiale diverso e, generalmente, di maggior pregio di quello del corpo, come nelle note metope del tempio H di Selinunte. L'uso di giustapporre materiali differenti nella scultura risale a tempo molto antico. Già nel periodo elladico, in Tessaglia, compaiono statuette con testa in pietra, inserita in un corpo di argilla; a Creta furono trovati, nel palazzo di Cnosso, frammenti di una capigliatura di bronzo, appartenente ad una statua costruita in materiale deperibile (legno?), del quale furono rinvenuti avanzi carbonizzati. E sono noti i precedenti hittiti (v.) ed egizî (v.) di simili accostamenti. La tecnica dura attraverso tutta l'età greca e se ne è voluto vedere un ricordo anche nelle statue con il corpo di marmo colorato e l'estremità di marmo bianco o di altro colore, frequenti in età romana. Anche il famoso Antinoo Braschi, il cui corpo nella parte coperta ha forma di tronco grezzo e per cui è stato supposto che il panneggio fosse di bronzo, meriterebbe forse di essere, a tal proposito, ricordato.
Oltre agli a. attestati dalle fonti letterarie già citate, tra i quali menzioneremo principalmente l'Atena Areia di Platea, opera di Fidia, la Ilizia, scolpita da Damophon per Aigion, di cui ci dà notizia Pausania e l'a., riproducente Ares, innalzato da Mausolo sull'acropoli di Alicarnasso, opera di Leochares o Timotheos, ricordato da Vitruvio, vi sono anche alcuni esempî giunti fino a noi. Sembrano, infatti, provenire da a. i frammenti di mani e piedi trovati nel tempio di Apollo presso Figalia, la testa di Atena della Galleria Geografica del Vaticano ed una testa di dea della collezione Ludovisi (Roma, Museo delle Terme); anche alcuni avanzi lignei rinvenuti a Pompei sono stati attribuiti a statue acrolitiche. Certamente ad un a. appartenevano la testa, i piedi di marmo e la parrucca bronzea, trovati nel santuario di Apollo Aleo di Crimissa (?) presso Cirò, in Calabria, mentre alcuni indizî indurrebbero ad escludere dalla serie la notissima testa arcaica dello Heràion di Olimpia, della quale spesso si afferma che facesse parte di un acrolito.
Bibl: Saglio, in Dict. Ant., I, pp. 35-36, s. v. Acrolithus; A. Mau, in Pauly-Wissowa I, cc. 1198-199, s. v. Akrolithon; W. Amelung, in Oesterr. Jahreshefte, XI, 1908, p. 168 ss. e in Röm. Mitt., XL, 1925, p. 137 ss.; H. Lechat, in Monum. Piot, XXIII, 1918-1919, p. 36 ss. Per le maschere marmoree: W. Wrede, in Ath. Mitt., LIII, 1928, p. 66 ss. Per gli acroliti di Delo: P. Roussel, Délos, colonie Athén., Parigi 1917, pp. 115, 145; R. Vallois, in Rev. Étud. Anc., XXVII, 1925, p. 246 e in Rev. de l'art anc. et moderne, XLV, 1924, p. 175. Per le statuette tessaliche e i ritrovamenti di Cnosso: Wace-Thomson, Prehistoric Tessaly, pp. 41, 49, figg. 25, 52, 63; A. Evans, The Palace of Cnossos, III, 1930, p. 518; St. Casson, The Technique of Early Greek Sculpture, Oxford 1933, p. 9, fig. 2. Antinoo Braschi: Helbig-Amelung, Führer durch die Antiken in Rom, Lipsia 1912, I, p. 191, n. 289. Testa della Galleria Geografica e della collezione Ludovisi: ibidem, I, 254, n. 400, e II, p. 83, n. 1288. Acrolito di Cirò: P. Orsi, Templum Apollinis Alaei, Roma 1933, p. 135 ss., tavv. V-XVI ss. Frammenti di Figalia: O. M. V. Stackelberg, D. Apollo Tempel z. Bassae, Roma 1926, p. 98, tav. XXXI. Acroliti in Pompei: Overbeck-Mau, Pompeji, Lipsia 1884, pp. 107-9. Per la testa di Olimpia, Fr. Matz, Geschichte d. griech. Kunst, Francoforte s. M. 1950, p. 203 ss. (ivi prec. bibl.).