ACROTERIO
. La parola greca ἀχρωτήριον è di significato generale e indica ogni parte prominente, come la cima di una montagna, un capo o promontorio, l'estremità di un naviglio, e le stesse estremità di un corpo (piedi, mani). Demostene chiama ἀκρωτήρια τῆς Νίκης le ali della Vittoria. Tra questi significati è anche, come sappiamo da Platone (Crit., 116), quello dei piedestalli che al vertice o alle estremità di un frontone sorreggevano gli ornamenti che lo terminavano. Il passaggio da quei dadi agli ornamenti stessi, statue o grandi palmette, ecc. deve essere avvenuto già in età antica, almeno in età romana, perché già lo avvertiamo nel passo di Plutarco (Caes., 63) e in altri scrittori tardi. Però il vero nome latino di questa parte architettonica è fastigium, benché questa parola avesse un significato più ampio. Cicerone l'adopera anche metaforicamente nel senso di compimento d'una opera, e del resto anch'essa aveva molti dei significati comuni di acroterio, come sommità di un monte, ecc. Vitruvio (III, 3 e 5) distingue con i nomi di acroteria mediana l'acroterio principale a metà del frontone, e di acroteria angulana quelli alle estremità esterne del frontone stesso. La presenza di un timpano ci dice subito che generalmente proprio nel tempio questi acroterî vanno cercati; non mancarono però anche esempî in altri edifizî, specialmente pubblici. Basta gettare uno sguardo su un'architettura antica e su quelle architetture, spesso puramente fantastiche, di cui si compiacevano gli antichi decoratori nelle pitture che adornavano l'interno degli edifici, per vedere quanto comune e diffuso fosse l'uso di acroterî, specialmente nella forma più semplice di una palmetta, quale la vediamo anche terminare le stele sepolcrali greche, ecc.
Cominciando quindi dal tempio, possiamo seguire lo sviluppo dell'acroterio in Grecia, in Etruria e a Roma.
Grecia. - Come abbiamo detto, il vero acroterio in Grecia non è la statua o la cimasa scolpita; ma la base su cui essa posa. Secondo le misure vitruviane, quali erano divenute canoniche in età augustea, i piani degli acroterî angolari dovevano essere all'altezza della metà del timpano, e venivano ad essere un felice richiamo della linea orizzontale. L'acroterio centrale invece era alto 1/8 in più del timpano. Su di essi posavano animali, per lo più fantastici (grifi, chimere, ecc.), figure o volute o palmette.
Fondamentale per la genesi dell'acroterio è sempre l'articolo del Benndorf del 1899; se infatti è vero, come osserva il Semper, che gli acroterî sono necessarî all'estetica del frontone, come il cimiero all'elmo, è pur vero che l'origine loro può trovarsi nelle primitive costruzioni di legno, quali risultano specialmente dagli edifizî della Licia. L'acroterio infatti è particolarità architettonica della Grecia, e manca negli edifizî dell'Oriente e dell'Egitto. Esso divenne naturale nel tempio, quando, nel sec. VII a. C., al tetto a terrazza fu sostituito abitualmente quello a due spioventi e ne risultò la creazione del frontone.
Delle costruzioni di legno era normale complemento il rivestimento di terracotta e infatti uno degli esempî più notevoli è il grandioso acroterio circolare dello Heraion di Olimpia, detto a ragione dal Benndorf uno dei più insigni monumenti dell'antica plastica in terracotta. Esso è datato da Richard Borrmann nella prima metà del sec. VII a. C. Dai frammenti ritrovati si è constatato che esso aveva un diametro di oltre due metri, era decorato sulla sua fronte con ornati geometrici e veniva ad essere l'ultima delle grosse tegole a coppo che coprivano la sommità del tetto del tempio stesso. In altri edifizî minori e posteriori troviamo acroterî ispirati alla stessa forma: basti ricordare quello di marmo di Sparta, di un secolo posteriore, con l'immagine di una Gorgone o di Fobo (Φόβος).
Venendo ora ai grandi edifizî del sec. V a. C. passiamo al tempio di Aphaia in Egina, i cui acroterî si trovano alla Gliptoteca di Monaco di Baviera, ricostruiti coi frammenti originali. Nel centro si innalzava una specie di mirabile enorme palmetta formata da volute, contenenti nei punti d'intreccio e in cima altre vere palmette; in modo del tutto analogo agli ornamenti dei vasi greci della prima metà del sec. V sotto le anse. Ai lati due figure femminili del tipo delle Korai.
In Olimpia nel grande tempio di Zeus, secondo Pausania (V, 26) gli acroterî alle estremità erano vasi di premio dorati, mentre in Egina gli acroterî laterali erano sormontati da grifi. Nel centro del frontone invece era una Nike dorata, e sotto la sua immagine uno scudo d'oro. La statua della Nike di Peonio ha un'iscrizione nella quale l'artista si vanta d'aver fatto gli acroterî del tempio e di avere anzi vinto la gara (Loewy, Inschr. griech. Bildh., n. 49). Secondo alcuni qui si intendono appunto le figure degli acroterî, secondo altri invece gl'interi frontoni.
Per il Partenone c'è l'interessante studio del Praschniker del 1910, che, studiando i resti degli acroterî conservati nei magazzini del Museo dell'Acropoli, è riuscito a ricostruire la loro forma elegantissima, che si riaccosta a quella degli acroterî di Egina, ma, partendo da un gruppo di foglie di acanto, si alza in due poderosi steli con graziose volute e termina con due grandi mezze palmette, a foggia di ala (tav. LXXVIII). Sul tempio stesso poi restano le basi degli acroterî angolari, ciascuna costituita da un grosso blocco di marmo lungo m. 2,46, largo m. 1,42 e alto solo m. 0,42. I particolari della questione di queste basi sono diligentemente studiati dal Praschniker, il quale dà anche un elenco delle altezze degli acroterî, di circa 3 metri, rispetto a un'altezza di m. 3,50 per il timpano del frontone; mentre i due acroterî di Egina sono alti m. 1,71 e 1,77 su un frontone di m. 1,57.
In questa fase arcaica e classica, a tutto il sec. V appartengono anche i notevolissimi acroterî dei templi dell'Italia meridionale (Caulonia tav. LXXVIII), e della Sicilia, veri capolavori dell'arte plastica.
Notevoli particolarmente quelli a forma circolare con Gorgoneion, per alcuni dei quali, come per la Gorgone di Gela, è dubbio se non si tratti piuttosto di decorazioni fittili del frontone, come pare sicuro per quello del tempio C di Selinunte, ricostruito dal Gabrici. Ma importantissimi quelli fittili, come il Dioscuro a cavallo sorretto da una sfinge, da Locri Epizefiria, del sec. V a. C., trovato da Paolo Orsi nel 1910 tra le misere rovine del tempio dorico di Casa Marafioti, presso Gerace Marina; esso è alto m. 1,30, lungo m. 1,55 e posa su un grande tegolo rettangolare di m. 1,25 × 0,50 × 0,05. Sotto il cavallo montato dal Dioscuro nella nudità atletica è per sostegno artistico una grande sfinge. Ad esso si avvicina l'altro, pure fittile, trovato nel fiume Hipparis e ora anche esso al Museo di Siracusa, proveniente da un tempio dell'antica Camarina. Esso è della metà del sec. VI a. C. e rappresenta pure un giovane cavaliere. Era in origine policromato, come quelli bellissimi, purtroppo conservati in modesti avanzi, di Gela e di Siracusa.
Ultimi in ordine di tempo, ma non d'importanza, sono i due gruppi marmorei di Dioscuri a cavallo, trovati pure a Locri, a Marasà, (tav. LXXIX) e da assegnare al 420 circa: la proposta possibile appartenenza a decorazione del timpano di un frontone non è molto probabile. Essi dimostrano con i precedenti come anche in questo la Magna Grecia e la Sicilia rivaleggiassero con la Grecia vera e propria.
Veniamo al sec. IV. Senza fermarsi ai casi congetturali o quasi e alle varie menzioni di acroterî fatte da Pausania, pei templi ormai spariti, è da ricordare quello centrale del sepolcro detto delle Nereidi in Xanto (ora al Museo Britannico), costituito da un gruppo di due figure. Altri esempî cospicui sono quelli del tempio di Asclepio ad Epidauro, per la decorazione scultoria del quale, ora al Museo di Atene, dette i bozzetti Timoteo (380-75 a. C.). Una Nike alata era l'acroterio centrale del frontone orientale, e due Nereidi formavano gli acroterî d'angolo del frontone occidentale. Esse siedono elegantemente, posate appena su volanti cavalli che traversano il mare. La Nike poi con le grandi ali aperte e la stoffa formava come una vela gonfiata dal vento. Pure interessante è il caso di un tempio di Delo, da porsi anche esso nei primi anni del sec. IV. Uno dei suoi acroterî rappresenta Borea che rapisce Orizia, l'altro Aurora che rapisce Cefalo. Come si vede, questi esseri semi-divini, questi gruppi movimentati erano preferiti: essi, visti sulla sommità del tempio, con il cielo azzurro dell'Ellade per fondo, erano particolarmente belli e grandiosi. Al Mausoleo di Alicarnasso, capolavoro che richiese alla metà del sec. IV la cooperazione dei grandi scultori Scopa, Briasside, Leocare e Timoteo, faceva da culmine come acroterio la grande quadriga di Pitio che terminava la piramide superiore formata di ventiquattro scalini. Di esso sono conservati cospicui avanzi al Museo Britannico con le statue del re Mausolo e della sorella Artemisia.
Nel graziosissimo monumento di Lisicrate in Atene, eretto per celebrare una vittoria coregica del 334 a. C., l'acroterio è costituito da un elegante sostegno di marmo, a foglie di acanto, per il tripode che sormontava tutto l'edificio.
Nel tempio di Magnesia sul Meandro l'acroterio aveva un'altezza di m. 2,80 su 3 del timpano del frontone.
Etruria. - Veniamo ora all'acroterio del tempio etrusco. In questo tempio scorgiamo una forma struttiva ancora di legno e decorata di terrecotte che ci testimonia la fase originaria di esso, e questo ci permette meglio ancora che pel tempio greco di comprendere quale possa essere stata la probabile genesi dell'acroterio. Se consideriamo infatti una costruzione antichissima, una capanna di legno quale ci è tramandata nelle urne a capanna fittili o di bronzo delle tombe etrusco-italiche della prima età del ferro, nei primi secoli dopo il 1000 a. C., noi vediamo che la copertura è formata di rami di albero messi a doppio spiovente (p. es. tipi laziali in Ducati-Giglioli, p. 112, fig. 4; tipi etruschi in Ducati, tav. 5, fig. 18 [da Vetulonia]; tipi falisci in Della Seta, tav. XXVI [di Falerii]) sia che si tratti di capanna rotonda sia di casa rettangolare.
Orbene tali rami d'albero vengono a intrecciare naturalmente le loro estremità fino a formare una specie di corna che sormontano l'edificio, tante volte ripetute quanti sono i rami messi a formare il tetto. Se ora osserviamo gli acroterî fittili del tempio della fase detta arcaica (dagli ultimi decennî del sec. VI a tutto quasi il sec. V a. C.) vediamo che le loro basi sono l'evidente stilizzazione di queste forme a corna, dovute in origine a necessità costruttive. Basti osservare l'acroterio di un tempio di Cerveteri ora al Museo di Berlino (Ducati, tav. 94, fig. 264) con l'Aurora e Titone, e l'altro del tempio forse di Mercurio, in località Sassi Caduti a Falerii Veteres (Civita Castellana) ora al Museo di Villa Giulia in Roma (Ducati-Giglioli, p. 122, figura 14). Il primo infatti termina inferiormente in un semicerchio che a primo aspetto pare una barca, l'altro (tav. LXXIX) presenta dalla parte sinistra un frammento di cornice che prova come in origine le due figure di combattenti fossero comprese in una specie di cornice semicircolare in sostanza analoga alla prima; l'una e l'altra, chiara trasformazione ornamentale della primitiva struttura lignea.
In questa stessa fase, detta arcaica (sec. VI-V a. C.), abbiamo già qualche esempio di più figure che occupavano non solo il centro e le estremità del timpano, ma anche l'alto della cornice degli antepagmenta (v.). Così in quella serie di statuine fittili trovate a Cerveteri; ma emigrate alla Gliptoteca di Ny Carlsberg a Copenaghen. Quella centrale posa su una base ad angolo, che indica chiaramente l'acroterio mediano. Sono tutti guerrieri alti da m. 0,23 a m. 0,58, di terracotta policromata (Th. Wiegand, in Glyptothek von Ny Carlsberg, tav. 170-171; Bildertafeln des etruskischen Museums der Ny Carlsberg Glyptothek, tav. 59).
Venendo alla terza fase, ellenistica, del tempio etrusco, un magnifico esempio di acroterio, notevole per purezza di linea ed eleganza di forma, è quello del tempio detto di Apollo, allo Scasato, di Civita Castellana (Falerii Veteres), ora conservato al Museo di Villa Giulia in Roma (Giglioli, in Architettura e arti decorative, I, fasc. 1°). Consta di una elegantissima palmetta molto leggera e traforata. Altri acroterî della stessa età sono una Vittoria di Fabbrica di Roma nel territorio falisco, ecc., ecc.
Roma. - Roma non si distacca dall'Etruria nella prima fase della civiltà, adotta forme di architettura prevalentemente ellenistiche negli ultimi secoli della Repubblica. È ormai dimostrata la giustezza della tradizione che mette nella seconda metà del sec. VI, per opera di artisti etruschi di Veio, la decorazione fittile del tempio Capitolino (Giglioli, in Notizie degli Scavi, 1919, p. 30 segg.; A. M. Colini, in Bullettino della Commissione archeol. comunale di Roma, LIII, p. 161 segg.). È noto che la tradizione narra che il tempio era coronato da una quadriga fittile fatta da artisti veienti (Plin., Nat. hist., XXXV, 157), che ne costituiva l'acroterio centrale (Plutarco, Poblic., 13: ἅρμα κατὰ κορυϕὴν ἐπιστῆσαι). Per i confronti con le altre sculture del tipo, pare dovesse essere di profilo; ma non si può negare neppure la veduta di faccia. Tale quadriga doveva portare la figura di Giove, probabilmente nell'atto di lanciare i fulmini. Questa quadriga fu nel 296 a. C. sostituita, essendosi evidentemente, per la sua natura fittile, rovinata, da una quadriga di bronzo, dono degli edili Ogulni (Liv., X, 23: Iovem in culmine cum quadrigis posuerunt), il cui tipo si può forse conoscere dalle monetazioni romano-campane del tempo, che riproducono un Giove saettante in quadriga, forse derivato da questo famoso pignus imperii.
Un incendio durante le lotte civili di Silla distrusse il 6 luglio 83 a. C. il secondo tempio che fu ricostruito subito dopo da Lutazio Catulo. Nei denari di Petillio Capitolino del 43 a. C. noi vediamo che anche nel nuovo tempio capitolino c'era una quadriga come acroterio centrale, mentre acroterî laterali erano due aquile, e nel mezzo c'era per ciascun lato una statua (Giglioli in Notizie, degli Scavi, 1919, p. 36, fig. 12). Vespasiano, se non già prima Augusto, lo rinnovò dopo l'incendio subìto durante l'assalto dei partigiani di Vitellio, e ancora una volta lo rinnovò Domiziano, del cui tempio, che fu il definitivo fino alla rovina del mondo antico, ci resta la riproduzione nel rilievo di Marco Aurelio in Campidoglio (Pal. dei Conservatori) e nel disegno della parte superiore del rilievo di M. Ulpio Oreste al Louvre (Colini, l. cit. LIII, 1925, fig.1), che oltre alla presenza delle statue intermedie ci dice come gli acroterî laterali fossero pure figure di dèi in bighe. Le vicende del tempio capitolino ci compendiano quelle dell'acroterio nei templi greci e italici di età ellenistica e poi di età imperiale.
Così nel frammento di chiave dalla cornice recuperata del tempio della Magna Mater sul Palatino c'è la base dell'acroterio (Hülsen in Röm. Mitt., X, 1895, p. 15; Colini, l. cit. LI, p. 320). Il Colini nel suo studio sui frontoni dei templi romani distingue due tipi di acroterî (dato l'uso moderno del nome acroterio, diremo meglio, con lui, zoccoli degli acroteri): uno non è che un rialzo destinato a cercare un piano di posa per essi, come quello che sostiene la Vittoria di angolo del tempio di Marte Ultore; l'altro è un vero e proprio piedistallo di altezza spesso notevole.
Quanto alle figurazioni che sorgevano su questi zoccoli o piedistalli (Colini, in Bull. cit., LI, p. 336 segg.), ne abbiamo un grande repertorio nelle monete e se ne deduce che quanto più diventava modesta la decorazione del timpano del frontone, tanto più diventava ricca questa decorazione acroteriale.
Palmette, fiori, grifi, diventano quasi sconosciuti: statue occupano i tre angoli e gli spazî intermedi sulle due pendenze del timpano stesso, statue a tutto tondo. A quanto pare, le sculture degli acroteri angolari, insieme con i loro zoccoli uguagliavano in altezza, o appena superavano, quelle del vertice del frontone. Nel centro diviene sempre più prediletta la quadriga che, come negli archi trionfali, sembrava dominare dall'alto sulla città.
Bibl.: Ed. Guillaume, s. v. Acroterium, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq.; G. Semper, Über die formelle Gesetzmässigkeit d. Schmuckes u. dessen Bedeutung als Kunstsymbol, in Kleine Schriften, Berlino e Stoccarda 1884, p. 304 segg.; O. Benndorf, Über den Ursprung der Giebelakroterien, in Jahreshefte des Oesterreichischen Archäologischen Instituts, II (1899), p. 3 segg. Per gli acroteri dei templi e tombe greche del sec. IV, v. specialmente M. Collignon, Histoire de la sculpture grecque, Parigi 1892-97; H. Sechat, Scopas et Praxitèles. Heraion di Olympia: A. Bötticher, Olympia, 2ª ed., p. 201; Ausgrabungen zu Olympia, V, tav. XXXIV; Olympia, II, tav. CXV (R. Bormann). Acroterio di Sparta: A. Milchhöfer, in Archäologische Zeitung, 1881, tav. XVII, i. Egina: A. Furtwängler, Aegina, Heiligtum der Aphaia, Monaco 1906. Partenone: C. Prashniker, Die Akroterien des Parthenons in Jahreshefte des Oesterr. Arch. Inst., XIII (1910), p. 5 segg. P. Montuoro, L'origine della decorazione frontonale, in Memorie della R. Accad. Nazionale dei Lincei, s. 6ª, I, fasc. 4° (1925); E. Gabrici, Il Gorgoneio fittile del tempio C. di Selinunte, in Atti della R. Accad. di Scienze, Lettere e Arti di Palermo, III, ii, tav. I. Per gli acroterî di Locri, di Camarina e di Gela, v.: Paolo Orsi, Il gruppo equestre fittile di Locri Epizefirii, in Dedalo, 1925, p. 345 segg., dove è tutta la precendete bibliografia. Magnesia: K. Humann, Magnesia am Meander, Berlino 1904, p. 65 segg. Acroterio etrusco: G. Della Seta, Museo di Villa Giulia, Roma 1918; P. Ducati e G. Q. Giglioli, Arte Etrusca, Roma-Milano 1927; P. Ducati, Storia dell'arte etrusca, Firenze 1928; G. Q. Giglioli, Il tempio dell'Italia antichissima, in Architettura e Arti decorative, I, i.
Per l'arte romana v. specialmente: A. M. Colini, Indagini sui frontoni dei templi di Roma, in Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma, LI (1923), p. 299; LIII (1925), p. 161 segg. Durm, Baukunst der Etrusker und der Römer, 3ª ed.; Donaldson, Architectura numismatica.