ACTA senatus, populi, diurna
Il magistrato che presiedeva le sedute del senato, sino dai tempi repubblicani, raccoglieva degli appunti (commentarii) sui lavori del senato stesso, commentarî che, per essere stati fatti, in processo di tempo, anche con l'assistenza di altri senatori, venivano ad assumere un maggior carattere di autenticità, ed alla fine della repubblica assumono, almeno per quanto ne dice Cicerone, il carattere ufficiale di tabulae publicae. Però in quel tempo non compaiono in alcun modo i notarii che devono fare la raccolta regolare delle parole d'ogni senatore, e cioè il "processo verbale" della seduta. Svetonio dice: inito honore (Gaio Giulio Cesare, nel 59 a. C.) primus omnium instituit, ut tam senatus quam populi diurna acta confierent et publicarentur (Caesar, 20). Infatti Cesare raccolse tutti i processi verbali delle discussioni in senato e le passò, seduta per seduta, insieme con gli atti scritti dei magistrati, in qualche pubblica biblioteca ovvero in un archivio aperto al pubblico: il publicare cui Svetonio accenna significa appunto questo mezzo di portare i verbali ufficiali alla pubblica conoscenza. Giornali ufficiali, nel senso inteso dai moderni, naturalmente a Roma non vi furono: la pubblica iscrizione ad un album (originariamente su di un muro bianco) di decisioni e di decreti, e la concessa facoltà di consultare pubblicamente i verbali quotidiani del senato costituiva un mezzo ritenuto sufficiente per informare i cittadini sulla vita pubblica. Naturalmente, però, questo sistema esautorava il senato e lo metteva sotto l'umiliante controllo di tutti i cittadini, le discussioni ed i discorsi dei senatori venendo ad essere controllati dalla pubblica opinione. Augusto (Svet., Aug., 36) rendendosi conto della situazione penosa in cui era stato posto il senato e della pratica decurtazione della libertà di discussione che tale sistema rappresentava, decise di sospendere tale forma di pubblicità.
Di giornali ufficiali che pubblicassero gli acta pubblici non si può quindi parlare. Le fonti, del resto, non permettono neppure di affermare che vi fossero giornali o affini mezzi d'informazione affidati all'iniziativa privata. Tuttavia sappiamo che privati o magistrati, costretti per il loro ufficio a tenersi lontani da Roma, venivano privatamente informati delle cose dell'Urbe: Cicerone, quand'era in Cilicia, riceveva da Celio Rufo un commentarium che gli portava privatamente le notizie di Roma. Ma questi commentarî non avevano nessun carattere di speculazione commerciale e neppure avevano carattere di giornali: erano notizie (acta rerum urbanarum) che, per mezzo di privati corrispondenti, singoli Romani si facevano inviare per lettera, e che avranno probabilmente contenuto cenni sopra i fatti politici più importanti, discorsi tenuti in occasioni degne di nota, estratti di senatoconsulti e di deliberazioni senatorie, i processi più clamorosi ed i discorsi pronunciati in occasione d'essi, e, più tardi, forse, qualche notizia sulla casa imperiale, chiacchiere, voci e pettegolezzi varî. In sostanza si tratta di verbali portati da Cesare a conoscenza del pubblico, e poi da Augusto di nuovo resi segreti, e d'altri documenti ufficiali, comunicati per privata corrispondenza a qualche cittadino lontano.
Fonti: Cicerone, Ad familiares, 12, 23, 2; Svetonio, Caesar, 20; Augustus, 36; Petronio, Satyr., 53.
Bibl.: Th. Mommsen, Droit public romain, trad. francese, VII, Parigi 1891, p. 213 segg.; Humbert, Acta populi ecc., in Daremberg-Saglio, Dictionn. des Antiq. grecques et romaines, I, p. 49 segg.; W. Kubitschek, Acta, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswissenschaft, I, col. 285 segg.; J. Humbert, Contribution à l'étude des sources d'Asconius dans ses relations des débats judiciaires, Parigi 1925.