ADALBERTO AZZO di Canossa
Capostipite della casata canusina, visse nella seconda metà del sec. X. Figlio d'un Sigifredo, indicato dalle fonti come "de comitatu Lucensi", vivente a legge longobarda, appare come vassallo di Lotario e "miles" del vescovo di Reggio, Adelardo, quando, tra la fine dell'agosto e l'inizio del settembre 951, accolse nel castello di Canossa Adelaide vedova di Ugo re d'Italia, fuggita dal castello del Garda, in cui Berengario II l'aveva imprigionata.
L'episodio, che da alcuni fu considerato, senza valide ragioni, leggendario, può probabilmente gettare qualche luce sulle origini delle fortune di A., senza bisogno di ricorrere, come si è fatto, all'ipotesi che suo padre Sigifredo fosse di famiglia comitale, in possesso d'un preteso gastaldato garfagnino elevato a contea, e che un altro ramo della famiglia, del quale è attestata l'esistenza a Parma per la stessa epoca, derivasse dal gastaldato bismantino. Di entrambe le ipotesi non si hanno prove. L'espressione "de comitatu Lucensi" indica solo il territorio d'origine della famiglia, non che si trattasse di famiglia comitale. Inoltre la doppia qualifica di vassallo di Lotario e di "miles" della Chiesa di Reggio non soltanto bene ci spiega perché si sia ricorsi a lui per salvare da Berengario Adelaide, ma anche suggerisce un'ipotesi più plausibile di quelle accennate. Il comitato di Lucca era dominio di Guido, marchese di Toscana, fratellastro di Ugo, e di Ugo sostenitore quando nel 926 era venuto in Italia per esserne incoronato re. Per Ugo e per Lotario aveva parteggiato il vescovo di Reggio Emilia e ne aveva ricevuto benefici.
Tra il 920 ed il 930 Sigifredo doveva essersi trasferito con i figli dalla sua terra d'origine nel comitato di Lucca in quella d'Emilia: sembra quindi ammissibile che questo trasferimento possa venir messo in rapporto con intese fra Ugo ed il fratellastro, per spostare elementi fidati dal marchesato di Toscana nelle zone limitrofe d'importanza strategica dell'Appennino emiliano, in modo da consolidare anche qui il loro partito. Nel quadro delle esigenze militari connesse con gli interessi del partito di Ugo e suo figlio andrebbe posta anche l'erezione della rocca di Canossa, donata secondo Donizone allo stesso Adalberto Azzo.
L'aiuto dato ad Adelaide, divenuta (ottobre-novembre 951) moglie di Ottone I, segnò senza dubbio l'inizio delle fortune di A. il quale certo ne ebbe in compenso, già nel 951 o poco dopo, il titolo di conte, di cui si fregia in una carta del 958, non sappiamo se in corrispondenza di una effettiva giurisdizione comitale, o come titolo onorifico "sine re". Il titolo non riappare in carte dell'aprile e dell'agosto 961, forse in rapporto con la riscossa di Berengario II e di suo figlio Adalberto tra il 958 e quell'anno; ma ritorna in una carta del dicembre 961, conseguenza certa della vittoria di Ottone I in Italia. Appare col titolo di conte di Reggio e Modena nel diploma di Ottone I rilasciato alla Chiesa di Reggio Emilia il 20 apr. 962, che è documento di grande importanza così per la politica italiana dell'imperatore in generale, come per la posizione personale di A. in particolare.
A. vi è indicato quale "comes Regensis sive Mutinensis" "fidelis noster", come intercessore insieme con l'imperatrice Adelaide. Ciò prova quanta influenza avesse acquistato presso Ottone I. Il diploma conferma i privilegi già accordati da Ugo e Lotario alla Chiesa di Reggio, portandone però la giurisdizione da tre a quattro miglia oltre le mura della città. Il diploma riconosce sotto questo aspetto, solo lievemente modificandola, una situazione preesistente, ma attesta altresì una situazione sostanzialmente nuova, in quanto il vescovo rimane "comes civitatis", mentre al di là delle quattro miglia si ha un "comes comitatus", e tale dignità, con effettiva giurisdizione comìtale, è conferita non ad un discendente dell'antica feudalità risalente all'impero carolingio, ma ad un vassallo della nuova feudalità sorta in Italia legando le proprie fortune a quelle di Ugo, di Lotario e di Ottone I.
Il titolo indica da un lato che i due comitati di Modena e di Reggio erano stati riuniti sotto il governo di A., dall'altro che questi aveva in entrambi cospicui possessi. E forse i due comitati erano stati ingranditi con l'aggiunta, rispettivamente, del gastaldato bismantino e dell'antico ducato di Persiceto. In carte del 10 giugno 977, del 22 maggio o giugno 980, che concernono permute di beni alle quali era interessata la badessa del monastero di S. Giulia di Brescia, si precisa che alla stipula delle permute stesse aveva dato licenza A. "comes comitatus Mantuanensis". Ciò fa pensare che A. almeno dal 977 fosse investito anche del comitato mantovano, presumibilmente in condizioni analoghe a quelle degli altri due comitati, perché troviamo i diritti del vescovo di Mantova confermati in un diploma di Ottone III del 1° ott. 997. Il fatto poi che suo figlio Gotifredo divenne vescovo di Brescia nel 970 (e conte di Brescia troviamo nel 1001 l'altro suo figlio Tedaldo) è indizio che A. anche in questo comitato ebbe, se non giurisdizione, certo notevole influenza, forse dovuta al matrimonio con una Supponide di nome Ildegarda di cui però nulla si sa.
La mancanza di documenti, se si esclude una carta del 984 rogata a Pavia, che facciano menzione di A. per gli ultimi anni della sua vita, non permette di accertare quando e con quale giurisdizione egli sia stato investito del titolo di marchese, che gli attribuiscono i suoi discendenti e fonti dei secoli immediatamente successivi.
Si può pensare che fosse titolo connesso con la riunione di fatto nelle sue mani di diversi comitati e non corrispondente ad una determinata circoscrizione marchionale con specifiche funzioni amministrative, militari e politiche, o ritenere che Adelaide e Teofane, al momento in cui, dopo la morte del rispettivo figlio e marito Ottone II, accorsero (984) in Germania, dove il cugino dell'imperatore defunto, Enrico già duca di Baviera, si era fatto proclamare re il 2 marzo 984, ricostituissero, per coprirsi alle spalle, la grande marca di confine lombardo-emiliana creata da Guido I di Spoleto un secolo prima, affidandola appunto al fedele A.: questi col titolo e i poteri di marchese avrebbe unito allora ai comitati di Reggio, Modena e Mantova anche quelli di Parma, Piacenza, Cremona, Bergamo, e Brescia. L'esistenza nel comitato parmense di un ramo della famiglia, discendente da un consanguineo del Sigifredo "de comitatu Lucensi" ed insignito del titolo comitale, può suffragare anche questa ipotesi.
Ad A. si deve l'erezione della chiesa di S. Apollonio a Canossa e di un monastero a Brescello, sul Po, all'estremo limite del comitato parmense con quelli di Cremona e Mantova. La prima, eretta forse già dal 961, fu dedicata nel 971, anno in cui A. fece trafugare le reliquie del santo da Brescia, dove era allora vescovo il figlio. Qualche anno dopo, A. vi istituì una comunità di dodici canonici, assegnandole in dote la decima parte dei suoi beni. L'istituzione fu approvata il 29 dic. 975da Benedetto VII. La fondazione del monastero di Brescello, divenuto uno dei più importanti del comitato parmense, sarebbe stata causata dal ritrovamento del corpo di s. Genesio avvenuto durante i lavori per la costruzione di un castello in terre acquistate al monastero di S. Paolo in Mezzano Piacentino (senza particolari ragioni, tale fondazione fu da alcuni attribuita al figlio Tedaldo, che ne portò invece a termine la costruzione e la dotò di vari beni tra cui il castello di Plezzo). Probabilmente A. aveva pensato anche alla fondazione del monastero di S. Benedetto di Polirone, data l'ubicazione dei terreni che nel 961 e 962 aveva acquistato dalle Chiese di Mantova e di Reggio, con la conferma di placiti imperiali: il monastero doveva essere però fondato nel 1004 dal figlio Tedaldo. A questo A., morendo il 13 febbr. 988, lasciò domini e titoli. Oltre il ricordato Gotifredo vescovo di Brescia dal 970, e forse, dal 981 al 998, di Luni, suoi figli furono Rodolfo, premortogli, e Prangarda, sposa di Manfredo I, figlio di Arduino Glabrione, marchese di Susa.
A. aveva stabilito che l'obitorio della famiglia fosse posto nella chiesa da lui eretta a S. Apollonio a Canossa; qui, oltre a lui, vennero sepolti la moglie Ildegarda, i figli, Rodolfo e Tedaldo, il nipote Corrado e Guilla moglie di Tedaldo.
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