Smith, Adam
Filosofo ed economista scozzese (Kirkaldy, contea di Fife, 1723 - Edimburgo 1790). Compiuti i primi studi a Kirkaldy, frequentò l’univ. di Glasgow, dove ebbe modo di seguire i corsi di filosofia morale di Hutcheson. Conseguita la laurea, completò la sua formazione universitaria a Oxford. Tra il 1748 e il ’51 tenne corsi e cicli di conferenze di retorica, storia della filosofia e giurisprudenza a Edimburgo, dove strinse rapporti di amicizia con Hume, protrattisi fino alla morte di quest’ultimo. Nel 1751 ottenne la cattedra di logica presso l’univ. di Glasgow, dalla quale passò poco dopo all’insegnamento di filosofia morale, da lui mantenuto fino al 1763. I temi delle lezioni di Glasgow fornirono i contenuti della sua prima opera, The theory of moral sentiments (1759; trad. it. Teoria dei sentimenti morali), che S. continuò a rivedere e ampliare in nuove edizioni, fino alla sesta, uscita nel 1790. Alla fine del 1763 si dimise dall’insegnamento per seguire a Parigi il duca di Buccleugh, di cui era divenuto tutore; a Parigi frequentò i circoli dei philosophes, entrando in contatto con gli economisti F. Quesnay e A.R. Turgot. Al rientro a Kirkaldy nel 1766, portava con sé i primi abbozzi dell’opera cui è legata la sua fama di economista, An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations (1776; trad. it. Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni), cui continuò a lavorare negli anni successivi. La nomina nel 1778 a commissario per le dogane di Scozia lo obbligò a trasferirsi a Edimburgo, dove trascorse i suoi ultimi anni. Risalgono a questo periodo nuove edizioni delle due opere maggiori. Dalla mole dei manoscritti, buona parte dei quali furono distrutti per sua volontà, uscì postumo, nel 1795, un volume di Essays on philosophical subjects (trad. it. Saggi filosofici); nel 1896 furono pubblicate le Lectures on jurisprudence e, nel 1963, le Lectures on rhetoric and belles lettres (trad. it. Lezioni di retorica e belle lettere). Il tema principale della filosofia morale di S. è indicato con chiarezza nel sottotitolo apposto alla quarta edizione della Theory of moral sentiments: «un’analisi dei principi in base ai quali gli uomini giudicano naturalmente la condotta e il carattere, in primo luogo dei loro vicini e poi di sé stessi». In questa analisi, S. accoglieva il punto di vista impostosi nella filosofia morale scozzese, soprattutto grazie a Hutcheson e Hume, secondo cui oggetto della filosofia morale sono in primo luogo i sentimenti di approvazione e disapprovazione dello «spettatore» che guarda alle azioni, piuttosto che le motivazioni che spingono ad agire. Ma, a differenza degli autori citati, S. non ritenne necessario postulare l’intervento di uno specifico «senso morale», essendo sufficiente far ricorso a un sentimento naturale come la «simpatia», che permette di immedesimarsi non tanto nelle passioni altrui, quanto piuttosto nelle situazioni che hanno determinato una certa condotta, rendendo praticabile il giudizio morale. Un processo analogo, in cui un ruolo fondamentale è svolto dall’immaginazione, permetteva poi di estendere tale giudizio anche alla condotta di sé stessi, spostando la riflessione sul merito delle proprie azioni. Questa interiorizzazione della figura dello «spettatore disinteressato» consentiva a S. di rendere ragione di quella nozione di coscienza radicata nella morale di senso comune e della centralità del senso del dovere, e tendeva a operare come istanza di controllo delle proprie pulsioni egoistiche; una funzione resa indispensabile, nella nascente società commerciale, caratterizzata dalla divisione del lavoro e dal libero scambio di beni e servizi, al fine di suscitare la simpatia e l’approvazione degli altri «spettatori», non meno soggetti all’influenza dei sentimenti egoistici. Ampliando la sfera d’osservazione, i meccanismi che regolano la nuova società commerciale sarebbero stati analizzati da S. nella Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, dove il raggiungimento dell’equilibrio sociale è affidato alla cooperazione non-intenzionale degli interessi egoistici in direzione dell’interesse collettivo. È quanto richiama la famosa immagine della «mano invisibile», con cui S. procedeva a laicizzare in chiave di autoregolamentazione economica il provvidenzialismo della teologia naturale.