FABBRONI, Adamo
Nacque il 6 dic. 1748 a Firenze, primogenito di Orazio di Mattia e di Rosalinda di Adamo Werner di Heidelberg. Ricevuti i primi rudimenti d'istruzione nella cerchia familiare, fu quindi affidato, con il fratello Giovanni, alle cure del canonico Lorenzo Soldini, curato della chiesa di S. Romolo in Piazza, nel quartiere di S. Croce, a pochi passi dalla casa dei genitori. La famiglia, ascritta alla cittadinanza fiorentina, appare certamente decaduta alla metà del secolo, e la morte del padre, avvenuta il 10 marzo 1762, costrinse di lì a poco il giovane ad emigrare. Fu allora in Corsica, dove intraprese la carriera delle armi agli ordini del conte Louis-Charles René de Marbeuf, luogotenente generale delle truppe d'occupazione francesi nell'isola. Ad una remota esperienza militare accenna anche una sua lettera al marchese Ranieri Coppoli di Perugia, datata Firenze, 17 nov. 1792 (Arch. di Stato di Firenze, Acquisti e doni, f. 209 ins. b). Rientrato ben presto in patria, compì, negli anni Settanta, ripetuti e mal documentati soggiorni nelle città minori dello Stato della Chiesa (Ancona, Senigallia), senza per questo abbandonare la città d'origine. Alla sua attività di socio dell'Accademia degli Apatisti di Firenze appartengono vari interventi inediti, tra cui una Dissertazione sulla danza (1775; Arch. di Stato di Firenze, Archivio Fabbroni, cart. 29 ins. 133bis) e il discorso sul termine "arte", pronunziato il 13 marzo 1777 e più tardi pubblicato nel Giornale letterario di Napoli (IX, aprile 1794, pp. 3-24).
Accanto all'interesse per le etimologie e per le origini del linguaggio - diffuso nella cultura del tempo - il F. dimostrava di conoscere ed apprezzare la definizione del concetto di arte fornita dall'Encyclopédie e concludeva con un caldo elogio del lavoro come espressione della capacità dell'uomo di trasformare e dominare la natura.
Negli stessi anni, a Roma, entrò in contatto con gli esponenti del classicismo antiquario legati al segretario di Propaganda Fide, mons. S. Borgia, e al bibliotecario della S. Sede, cardinale F. S. Zelada. Fu però a Perugia, dove risiedette tra il 1780 e il 1787, che i contorni della sua personalità intellettuale si precisarono. Protetto dalle maggiorì famiglie della aristocrazia, quali i Coppoli ed i Bourbon del Monte di Sorbello (Arch. di Stato di Lucca, Archivio Sardini, f. 141: lettera al marchese Giacomo Sardini, Firenze, 3 febbr. 1795), in contatto con ecclesiastici e funzionari dell'amministrazione pontificia, ebbe modo di dar corso ai due interessi in lui preminenti: l'indagine antiquaria e lo studio dell'agronomia. Ad essi è probabilmente da ricondurre la traduzione inedita dei Naturalium quaestionum libri VII di Seneca (Arch. di Stato di Firenze, Archivio Fabbroni, cart. 29 ins. 432). Nel 1782, dopo un soggiorno nelle campagne perugine, pubblicò il saggio Del bombice e del bisso degli antichi (Perugia), dedicato al conte Giulio Cesari.
La lettura dei classici, "sempre grati, sempre istruttivi e sempre nuovi" (p. 9), la buona conoscenza della Bibbia e della letteratura sei-settecentesca di viaggi (Du Halde Thévenot, Cook, Forster) si accompagnano in queste pagine ad una precisa vocazione utilitaria mirante "a favorire chi si occupa nel tentare di moltiplicare un prodotto utile, da cui si può sperare lo stabilimento di nuove manifatture, e quindi l'accrescimento d'un lucroso commercio" (p. 94). Su questa base identificava il bisso, contrariamente all'opinione corrente, con un filamento di origine animale, da impiegare, dato il minor costo, in sostituzione della seta; e suggeriva di ricercarlo, dopo la sua scomparsa in Occidente nel VI secolo, nel luogo d'origine della seta, le campagne della Cina, evocate in forme tipiche del "inito cinese" caro alla seconda metà del secolo. Ai temi toccati nella dissertazione sul bisso il F. tornò in altri suoi lavori, in particolare nella memoria Dell'economia agraria dei Chinesi, opera in gran parte di compilazione, letta all'Accademia dei Georgofili di Firenze e pubblicata nelle Memorie per i curiosi di agricoltura e di economia rurale (IV, Napoli 1801, pp. 3-24); e nel saggio Della farfalla, simbolo egiziano (Firenze 1783), che gli valse l'ammissione all'Accademia Etrusca di Cortona, e nel quale va segnalata una appassionata difesa di Epicuro (pp. 28 ss.): lavori che appaiono tutti in varia misura influenzati dal Monde primitif di A. Court de Gébelin, con cui il F. ebbe qualche contatto tramite il fratello Giovanni e che nel 1783 propose di eleggere membro dell'Accademia Etrusca di Cortona (Firenze, Bibl. naz., Autografi Gonnelli, cart. 13 ins. 154: lettera da Perugia all'Accademia, 8 genn. 1783).
La sua notorietà tra i contemporanei fu però legata alle opere di divulgazione agronomica. Tra il 1784 e il 1786 uscì a Perugia, quindi ad Assisi, il quindicinale L'Agricoltore, uno dei migliori periodici d'informazione agraria dello Stato pontificio. Il foglio mirava a sostituire il Magazzino georgico di G. L. Targioni e G. Sella, organo ufficioso dell'Accademia dei Georgofili a partire dalla riforma del 1783, avviatosi dopo il primo anno di vita su binari che lo allontanavano dalle originarie caratteristiche di giornale agrario.
In questo quadro L'Agricoltore appartiene di diritto alla storia della stampa periodica dell'illuminismo agrario toscano - dopo le Veglie di U. Montelatici e il Magazzino toscano di S. Manetti, e prima del Giornale fiorentino d'agricoltura di I. A. Tartini - di cui costituisce un riflesso in terra umbra. Il rapporto con i georgofili fiorentini fu infatti molto stretto: alla rivista collaborarono occasionalmente M. Lastri, i cui Lunari pei contadini vennero puntualmente riassunti, e G. Bencivenni Pelli, mentre funzioni di raccordo con l'Accadernia ebbe Giovanni Fabbroni, segretario alle corrispondenze della medesima a partire dal 1784.
Fu proprio grazie alle competenze scientifiche del fratello del F., ed alle sue estese conoscenze internazionali, che L'Agricoltore poté presentare nel primo anno di vita un quadro sorprendentemente aggiornato delle attività delle istituzioni dotte straniere e delle novità chimiche applicabili all'agricoltura. Un interesse specifico per la meteorologia rivela invece la collaborazione di Atanasio Cavalli, direttore della specola Caetani di Roma e professore di fisica sperimentale all'università Gregoriana (Filadelfia, American Philosophical Society, Fabbroni Papers, BF 113 n. 1: lettera del Cavalli al F., Roma, 25 febbr. 1786).
La circolazione del periodico è sia pur approssimativamente ricostruibile dalla corrispondenza di Giovanni, che la promosse, e comprende tra i sottoscrittori il Borgia e lo Zelada a Roma, gli studiosi pistoiesi B. Vitoni, G. Gatteschi e A. Fioravanti, e G. L. Targioni, che ne favorì la diffusione nel Napoletano. A nord degli Appennini la presenza dell'Agricoltore fu per qualche tempo assicurata dal libraio bolognese Lelio Dalla Volpe. Quanto al contenuto, il foglio, di indirizzo liberista, toccava problemi scottanti nel rinnovamento della pratica agraria delle campagne centroitaliche: dalla stabulazione delle pecore alla questione degli ingrassi, dalla diffusione della patata all'impiego delle culture arboree ed arbustive in funzione di sostegno all'economia poderale. Molto forte era anche il legame con la tradizione agronomica classica, mentre l'influenza di E. Gibbon appariva soprattutto nei primi numeri, dove serviva a inquadrare un ampio excursus sull'origine e l'evoluzione storica dell'agricoltura.
L'impegno dell'Agricoltore e la volontà del suo compilatore di rivolgersi in primo luogo a parroci e coltivatori - piccoli proprietari, fattori o coloni parziari in possesso di un grado minimo di acculturazione - non furono sufficienti a vincere l'apatia di un pubblico, quello dello Stato della Chiesa, e di un'Italia agricola (le regioni centromeridionali del paese) particolarmente restii all'innovazione. Le difficoltà, testimoniate dalla trasformazione del foglio da settimanale in quindicinale dopo il primo numero, finirono per indurre il F. alla rinuncia, costringendolo ad ammettere, nell'ultimo numero del dicembre 1786, di non poter più sostenere con le sue sole forze "un'opera il di cui vantaggio è tutto per il pubblico, ed il discapito tutto per il compilatore".
L'esperienza accumulata non andò tuttavia perduta. Nello stesso anno erano infatti apparse le Istruzioni elementari di agricoltura (Perugia 1786), dedicate al granduca di Toscana.
Tipico catechismo agrario strutturato in forma dialogica, le Istruzioni si articolano in ventidue lezioni che toccano ogni aspetto della pratica colturale, dai principi generali dell'arte rispetto ai diversi terreni alla cerealicoltura - che resta al, centro delle preoccupazioni dell'estensore -, dalla coltivazione degli alberi da frutta, della vite, del gelso e dell'olivo all'uso del bosco e all'allevamento del bestiame. Di particolare interesse i capp. XVIII ("Erbe di uso nelle arti"), riguardanti le colture suscettibili d'impiego manifatturiero, e XVII ("Delle pasture"), che discute la produzione di foraggere per l'allevamento ed esamina, accanto alle strutture d'impiego dei suoli caratteristiche dell'agricoltura asciutta, l'uso dei prati irrigui e artificiali della Padania.
Chiarezza espositiva e completezza dell'argomento assicurarono alle Istruzioni una immediata fortuna, testimoniata dall'articolata recensione del Giornale fiorentino d'agricoltura (n. 33, 18 ag. 1786, pp. 257-260), dalla riedizione corredata di note a cura dell'illustre chimico G. A. Giobert (Torino 1791) e dalla ristampa abusiva di A. Graziosi (Venezia 1787), subito sconfessata dal F. (Giornale fiorentino d'agricoltura, n. 26, 27 giugno 1788, pp. 201 s.). Durante il Consolato una versione francese ne fu promossa da François de Neufchâteau (Paris 1803), mentre la vicenda postuma del libro comprende le tre edizioni milanesi di G. Silvestri (1819, 1833, 1846), tutte condotte sull'edizione curata dal Giobert.
Al Silvestri si deve anche l'intenzione, poi non attuata, di ripubblicare un'altra importante opera del F., il Dell'arte di fare il vino (Firenze 1787; 2 ed., ibid. 1789). Frutto della stretta collaborazione con il fratello, chimico di provate capacità, il volume nasceva dall'ampliamento di una memoria premiata dall'Accademia dei Georgofili per il concorso del 1785, riguardante la manifattura e la conservazione dei vini in vista, soprattutto, dell'esportazione: problema molto dibattuto dall'agronomia del tempo, e di cui si erano occupati, tra gli altri, il Paoletti, in ambito toscano, ed Eraclio Landi per il Mantovano.
Le doti di divulgatore attento e intelligente del F. appaiono in particolare nella parte terza e quarta dell'opera, dedicate al metodo della vinificazione e al trattamento e conservazione dei vini. Sicuramente attribuibile al fratello è invece la prima parte del saggio (pp. 15-160 della 1 ed.), contenente 113 esperienze e 60 osservazioni sulla teoria della fermentazione alcolica condotte con rigore ai massimi livelli della scienza coeva. La padronanza della chimica pneumatica inglese (Priestley, Cavendish, Kirwan), e dei procedimenti analitici messi a punto dagli specialisti tedeschi (Wiegleb, Crell, Westrumb) e svedesi (Bergman), fanno di questo lavoro, pur nella adesione alla teoria flogistica, un vero e proprio trattato di chimica enologica, inseribile nella linea di ricerca che conduce al Traité théorique et pratique sur la culture de la vigne di J. Chaptal (Paris 1801), ed in grado di attirare l'attenzione di Pasteur ad un secolo di distanza. Proprio Pasteur individuerà i risultati conseguiti dal saggio nella scoperta del principio attivo della fermentazione, dovuta alle sostanze albuminose nel mosto, e nell'indicazione corretta dei processi di formazione alcolica durante la fermentazione in presenza e con produzione di calore.
Come le Istruzioni elementari di agricoltura, anche il Dell'arte di fare il vino conobbe una notevole fortuna. Recensito con favore dai Chemische Annalen di Lorenz Crell, uno dei maggiori periodici scientifici della Germania, venne tradotto in tedesco nel 1790 e in francese nel 1801. Privi della parte teorica, e interamente attribuibili al F., erano frattanto apparsi due adattamenti dell'opera alla situazione lombarda e a quella dello Stato della Chiesa, premiati rispettivamente dalla Patriottica di Milano e dal Congresso accademico dell'agricoltura di Roma (Arte di fare il vino per la Lombardia austriaca..., Firenze 1790; 2 ed., Firenze 1790; 3 ed., Milano 1819; Dissertazione che ottenne il premio dal Congresso accademico dell'agricoltura, Roma 1793).
Il 9 maggio 1787 il F. venne eletto per acclamazione socio ordinario dei Georgofili (Giornale fiorentino d'agricoltura, n. 20, 18 maggio 1787, p. 155). Era rientrato in patria ai primi di marzo, dopo che il 13 febbraio un motuproprio granducale lo aveva nominato secondo custode della Real Galleria di Firenze. Patrocinata dal direttore della Galleria, G. Bencivenni Pelli, e da Francesco Seratti, l'assunzione segnò l'avvio di una modesta carriera di funzionario culminata tre anni dopo con la promozione a primo custode. Negli anni seguenti la sua vita sarebbe trascorsa all'ombra del più celebre fratello, collaborando con lui in numerose iniziative erudite, ma chiudendosi anche sempre più nella curiosità antiquaria e nella routine di servizio. Appartengono a questo periodo l'inedito Secondo libro di ricordi, relativo all'attività giornaliera svolta presso la Galleria, e i materiali preparatori per il Supplemento al Museum Florentinum, la cui pubblicazione ad opera dello stampatore G. Piatti non si concretizzò (Arch. di Stato di Lucca, Archivio Sardini, lettera da Firenze, 5 febbr. 1803).
Al periodo perugino risale invece la Dissertazione sopra il quesito: "indicare le vere teorie con le quali devono eseguirsi le stime dei terreni" (Firenze 1785).
Premiata dall'Accademia dei Georgofili nel novembre 1784 in risposta al tema concorsuale bandito nel 1779, e quindi più volte riproposto, era frutto delle discussioni perugine attorno al catasto avviato dal cardinale Ignazio Boncompagni Ludovisi nel Bolognese. L'argomento aveva rilevanza anche per la Toscana, dove il dibattito sui catasti e sull'imposizione unica sui fondi aveva attraversato gli anni Sessanta e Settanta, riproponendosi in termini drammatici tra il 1782 e il 1784 all'interno della commissione (G. Neri, C. Ippoliti, A. Serristori, G. B. Nelli, G. F. Pagnini, F. M. Gianni, F. Mormorai) incaricata di riesaminare il problema. Non è escluso, anzi, dato il contenuto della Dissertazione, che l'autore sia stato sollecitato a sottoporre all'Accademia un lavoro che rispecchiasse le posizioni dei membri più vicini alla linea filofisiocratica di politica fiscale impersonata sino al 1781 da Angelo Tavanti ed autorevolmente rappresentata ai Georgofili dal vicepresidente Giovanni Neri.
Al centro della Dissertazione era, come ha di recente sottolineato M. Mirri, "una teoria estimativa dell'"attitudine intrinseca" dei terreni a produrre di schietta derivazione fisiocratica, congiunta alla riproposizione del catasto e dell'imposta unica ed invariabile sui fondi. In questa prospettiva, la Dissertazione suggeriva tre criteri per il calcolo del valore prediale: la misura dell'estensione orizzontale dei terreni; valore commerciale del prodotto; la fertilità in rapporto al prodotto utile. Sensibile alle esigenze di commercializzazione dell'agricoltura, il F. distingueva nettamente nella determinazione dell'imponibile la fertilità naturale dal prodotto dei suoli, identificato con il valore di mercato della produzione di grano desunto dalle medie pluriennali dei prezzi. Esente da imposta doveva invece restare tanto il capitale che l'"industria" del coltivatore: "la sola attitudine a produrre ... e non il prodotto considerar si dee per le necessarie contribuzioni; e soltanto nelle parziali stime per ragione di privato contratto, oltre la fondamentale valutazione del suolo da desumersi dal possibile medio prodotto in grano, sarebbe da aggiungersi la considerazione del numero e qualità degli alberi che egli attualmente nutrisce" (pp. 59 s.). La teoria impositiva qui esposta mirava dunque ad orientare il prelievo sulla rendita, precostituendo nel medesimo tempo le condizioni per una incentivazione dello sviluppo colturale. A tale scopo si guardava, oltre che all'tidea del celebre catasto del 1427" (p. 65), alla catastazione teresiana in Lombardia.
L'ottica fisiocratica della Dissertazione era ulteriormente rafforzata dal ricorso alle ragioni della scienza. L'"attitudine a produrre" era infatti definita nei termini desunti dalle Réflexions sur l'état actuel de l'agriculture (Paris 1780) di G. Fabbroni, lo "straniero libro" (p. 46) la cui influenza è largamente presente in queste pagine. Ad esso risale certamente, se non l'idea dell'"impôt unique", buona parte dell'informazione storico-naturalistica che conduce ad identificare nell'humus il principio della fecondità della terra, nonché la proposta di metodi e strumenti avanzati da impiegare nella stima dei suoli (goniometro e micrometro per la misura dell'estensione orizzontale; analisi chimico-ponderali per la valutazione della capacità produttiva). Ne era nata un'opera di notevole livello tecnico, che innovava la pratica tradizionale dell'estimo senza dimenticare le esigenze di perspicuità e chiarezza richieste dall'Accademia. La Dissertazione potrà così apparire attuale a Filippo Re, che si espresse in merito in termini lusinghieri oltre un ventennio dopo (Dizionario ragionato, II, p. 234): giudizio almeno parzialmente confortato dalle edizioni ottocentesche della Dissertazione, da quella faentina del 1802 a quelle milanese del 1825 e udinese del 1826. E una ripresa, in Toscana, della teoria estimativa del F. registra il saggio di F. Francolini, Delle stime dei beni stabili e del modo di renderne conto, pubblicato nel 1839 sul Giornale agrario toscano.
Il senso della Dissertazione non era comunque principalmente tecnico. G. Fabbroni, che aveva rivisto e preparato il manoscritto per la stampa, vi aveva aggiunto alcuni espliciti accenni alla libera circolazione dei cereali, "circostanza felice sotto cui viviamo" (Firenze, Archivio dell'Accademia dei Georgofili, b. 107, ins. 14b, c. 29); mentre T. Jefferson, cui l'aveva trasmessa unitamente ad altre opere del fratello, ne coglieva il senso politico quando la definiva "precious and filied with useful ideas", e "particularly applicable to our plan of taxation in America" (Jefferson a G. Fabbroni, Parigi, 2 marzo 1786, in The papers of Thomas Jefferson, microfilm in Firestone Library, Princeton University). I criteri di stima suggeriti erano del resto concepiti in funzione di "un general catasto" (p. 25) e della "grande opera di fissare unica, invariabile ed equa imposizione" (p. 65). Su questo terreno il F. aveva cercato di coinvolgere l'Accademia conferendo un valore spiccatamente politico all'assunto concorsuale del 1779 (pp. 13 s.): posizione che gli esaminatori (M. Lastri, G. Perini, A. Durazzini, G. Degli Albizzi, P. Pierucci) si guardarono bene dal recepire, riconducendo il discorso sul piano propriamente tecnico e motivando su tale base l'assegnazione del premio ("Voto dei deputati", ibid., pp. 56-80). Assai più dura fu la reazione del Gianni, che in un'ampia e puntuale disamina della Dissertazione indirizzata al granduca (Arch. di Stato di Firenze, Carte Gianni, b. 16, ins. 331, cc. 209-254) attribuiva capziosamente al F. l'intento di comprovare l'impossibilità di pratica attuazione del catasto e di ogni operazione estimativa in grado di far da sostegno all'imposta unica.
La Dissertazione venne quindi a trovarsi al centro del confronto tra fautori ed avversari dei progetti di catastazione e dell'imposta unica, in un momento in cui andava riaprendosi in Toscana anche la discussione sulla politica doganale, fomentata dalle critiche dello stesso Gianni alla tariffa del 1781. Fu questo l'unico intervento politico del F., che negli anni seguenti abbandonò quasi completamente l'agronomia, pur continuando a partecipare all'attività dei Georgofili. Nel 1788 difese all'Accademia il criterio della misura della superficie orizzontale nel calcolo peritale del valore dei terreni, e nel 1789 redasse con M. Lastri e A. Zucchini le Istruzioni per la coltivazione del tabacco (Firenze 1789), che si cercava allora diffondere in Toscana. Cinque anni dopo fece stampare un suo metodo per ritardare la sfarfallatura dei bozzoli, precedentemente inviato, tramite G. B. Vasco, all'Accademia delle scienze di Torino, cui era membro. Ma l'interesse preminente di questo periodo è di tipo accademico-erudito, dettato dalla necessità di rispondere alle attese delle numerose istituzioni dotte che lo avevano accolto tra i propri soci: dalla Society of antiquaries Londra all'Accademia imperiale dei Curiosi della natura di Erlangen, alla Patriottica di Milano. A questo genere scritti appartiene il noto Saggio di un elogico storico di A. Vespucci (inedito presso la Biblioteca comunale di Cortona, AccademiaEtrusca, cod. 460), preparato in collaborazione col fratello e nel quale il suo apporto è di carattere meramente compilativo.
Il F. si spense a Firenze il 18 apr. 1816.
Tra le opere antiquarie del F. vanno ricordate: Dell'ariete gutturato, Firenze 1792; Simulacro di una nuova Venere, ibid. 1796; Aeliosi. Considerazioni e congetture sopra una dubbia statua del Museo Capitolino, ibid. 1799. Tra le opere agronomiche del periodo perugino è interessante il Della educazione del filugello e della coltivazione del gelso, Perugia 1784.
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio dell'Opera del Duomo, Registri battesimali, Maschi, 1748-1751, atto di battesimo, 8 dic. 1748; Arch. di Stato di Firenze, Acquisti e doni, b. 209 ins. b (17 lettere a R. Coppoli); Ibid., Carte Sebregondi, n. 2045; Ibid., Ceramelli Papiani, n. 1870; Ibid., Carte Gianni, b.16 ins. 331, cc. 209-254; Ibid., Fondo Fabbroni, f. III, ins. k/4, f. IV ins. O (carte relative all'eredità del F.); ibid., cartelle 28 s.; Ibid., Segreteria di Finanze, f. 234 (materiali relativi alla premiazione della Dissertazione sulle stime dei terreni); Firenze, Arch. d. Galleria degli Uffizi, Carte Bencivenni Pelli, ff. 32-39; Arch. di Stato di Lucca, Archivio Sardini, f. 141, nn. 293-330 (lettere al march. G. Sardini, 1793-1803); Ibid., Legato Cerù, vol. 80; Firenze, Arch. dell'Accademia dei Georgofili, b. 58 ins. 28, Risposta ad alcune obiezioni relative al metodo di misurare la base dei terreni; b. 58 ins. 137; b. 107 ins. 14 (a) e (b) (originale della Dissertazione sulle stime); Firenze, Bibl. naz., N. A. 1050: G. Bencivenni Pelli, Efemeridi, 2 serie, XV, cc. 2775v-2776, 2784v; Ibid., Autografi Gonnelli, cart. 13, nn. 153-154; Firenze, Bibl. Riccardiana, Carteggi vari, cass. 5.16; Perugia, Bibl. Augusta, ms. 1516; Bologna, Archiginnasio, Aut. Pallotti, XII, n. 685; Modena, Bibl. Estense, Autografoteca Campori; Lucca, Bibl. statale, Ins. 769 (sei lettere a vari); Roma, Bibl. Angelìca, ms. 2285 (13 lettere a A. Cavalli); Torino, Accademia delle scienze, nn. 32371-2, 3237-4; Pistoia, Bibl. Forteguerriana, B. 173 (lettera a B. Vitoni, 18 marzo 1777); Cortona, Bibl. comunale, Accademia Etrusca, cod. 460; Firenze, Istituto e Museo di storia della scienza, Fondo Fabbroni, II, f. 30 (Secondo libro di ricordi); Ibid., Fondo Corsini, f. 2; Filadelfia, American Philosophical Society, Fabbroni Papers, BF 113 e BF 113 n. 1 (lettere sue al fratello e lett. di altri a lui dirette, tra cui V. Dandolo, F. S. Zelada, A. Cavalli). Nove lettere di G. B. Vasco al F. e due minute di responsive sono conservate presso il Dipartimento di discipline storiche dell'Università di Bologna.
Per la biografia del personaggio cfr. G. Sarchiani, Elogio d'A. F., in Continuazione degli atti della I. e R. Accademia dei Georgofili, I, Firenze 1818, pp. 197-206. Elementi di giudizio sulla sua attività sono in: M. Lastri, Biblioteca georgica, Firenze 1787, pp. 52 s.; A. Young, Travels during the years 1787, 1788 and 1789, Bury St. Edmunds 1792, p. 238; F. Re, Dizionario ragionato di libri d'agricoltura, II, Venezia 1808, pp. 234-237; F. Francolini, Delle stime dei beni stabili e del modo di renderne conto, in Giornale agrario toscano, XIII (1839), pp. 20-50; I. Guareschi, Supplemento alla Enciclopedia chimica, 1911-1912, Torino 1912, pp. 448 ss.; F. Venturi, Elementi e tentativi di riforme nello Stato pontificio del Settecento, in Riv. stor. ital., LXXV (1963), pp. 806 s.; F. Diaz, F. M. Gianni. Dalla burocrazia alla politica sotto Pietro Leopoldo di Toscana, Milano-Napoli 1965, pp. 189 s.; R. Zangheri, I catasti, in Storia d'Italia (Einaudi), V, I documenti, t. 1, Torino 1973, pp. 761-806; B. Vecchio, Ilbosco negli scrittori italiani del Settecento e dell'età napoleonica, Torino 1974, passim; G. Biagioli, L'agricoltura e la popolazione in Toscana all'inizio dell'Ottocento, Pisa 1975, p. 71 n.; M. Mirri, La Fisiocrazia in Toscana: un tema da riprendere, in Studi di storia medievale e moderna per E. Sestan, Firenze 1980, II, pp. 725 n., 742. Sui rapporti del F. con il Nord America, cfr. A. Pace, The American Philosophical Society and Italy, in Proceedings of the Am. Phil. Soc., XC (1946), pp. 387-421 (pubblica una lettera a J. Logan, in inglese, Perugia, 15 genn. 1784); P. Del Negro, Eruditi toscani e Nuova America in un concorso accademico del tardo Settecento, in Italia e America dal '700 all'età dell'imperialismo, a cura di A. M. Martellone e altri, Padova 1976, pp. 99-126; R. Pasta, America, Toscana e Inghilterra: note in margine a un elogio settecentesco di Amerigo Vespucci, in Fra Toscana e Stati Uniti..., a cura di A. U. Martellone-E. Vezzosi, Firenze 1989, pp. 129-158.