FERRARIS, Adamo
Figlio primogenito di Luigi, farmacista, e di Antonia Messia, nacque il 30 giugno 1838 a Livorno Piemonte (ora Livorno Ferraris, in provincia di Vercelli). Il F. crebbe, insieme con il fratello Galileo, nato nel 1847, e a due sorelle, in una famiglia di liberali anticlericali.
Fece i suoi primi studi in paese, proseguendoli poi a Torino, dove frequentò la facoltà di medicina per quattro anni. I suoi biografi sottolineano la sua grande sensibilità artistica. Suonava il Pianoforte, disegnava, dipingeva, plasmava la creta, recitava. Era anche estremamente sensibile.
Nel 1859 gli fu impedito di partire volontario perché troppo alto e magro; la sua salute non era delle migliori. E sempre per motivi di salute si trasferì all'università di Parma. appena annessa al Regno di Sardegna, dove si laureò due anni dopo. Qui, scrive il Faldella, "la sua italianità piemontese cavouriana ricevette l'innesto dell'italianità emiliana garibaldina". A Parma divenne amico di G. L. Basetti, cui rimase legato per tutto il resto della vita, e incontrò Giuseppe Garibaldi. Maturava così la posizione politica che lo avrebbe portato sul fronte repubblicano e dichiaratamente anticlericale.
Diventato medico, tornò a Torino, dove cominciò ad esercitare la professione. Nell'agosto del 1865, temendosi in città un'epidemia di colera, il F. fu nominato medico assistente presso l'ospedale succursale della sezione Monviso. Nel 1866, dichiarata la guerra all'Austria, si arruolò volontario con Garibaldi. Il 22 giugno combatté a Gargnano sul lago di Garda.
Nell'estate del 1867, scoppiata un'epidemia di colera a Borgo d'Ale, in provincia di Vercelli, vi si recò meritandosi la gratitudine della popolazione soprattutto per essere riuscito a "dissipare i pregiudizi e indurre i malati a ricevere i rimedi suggeriti". Articoli d'elogio al suo operato furono pubblicati sulla Gazzetta piemontese, sul Vessillo d'Italia e sulla Gazzetta del popolo.
I primi di ottobre del 1867, impaziente di "accorrere in aiuto de' Romani", su suggerimento di T. Riboli, partì per Firenze, dove contava di trovare molti compagni e di ricevere istruzioni per la campagna garibaldina nell'Agro romano. Dietro vaghe segnalazioni, raggiunse Terni, dove era stato stabilito l'ufficio d'arruolamento di una legione di volontari che fu chiamata "romana". Il F. fu incaricato di vagliare l'idoneità al servizio militare dei giovani che si presentavano. Trattenutosi solo pochi giorni, con l'amico D. Narratone e pochi altri partì per Rieti diretto a Nerola, dove sperava di trovare Menotti Garibaldi. Nei pressi di Montorio Romano incontrò la colonna del colonnello F. Salomone e fu inserito nel suo stato maggiore. Con loro raggiunse Menotti Garibaldi, che andava ad attestarsi tra Civitella e Licenza e successivamente, rientrando in territorio italiano, si acquartierava ad Orvigno.
Nel pomeriggio del 22 ottobre i volontari ricevevano da Garibaldi, che era fuggito da Caprera e si era brevemente fermato a Firenze, l'ordine di radunarsi tra Monte Maggiore e Passo Corese, dove li raggiungeva il 24. All'alba del 25 ottobre fu sferrato l'attacco a Monterotondo. La colonna Salomone si attestò oltre la stazione del paese, lungo la via Salaria, per controllare la strada che portava a Roma. Fallito il primo assalto, Garibaldi la mandava di rinforzo agli attaccanti. Dopo ripetuti tentativi i garibaldini occupavano la cittadina alle due dopo mezzanotte, mentre i pontifici ripiegavano nel castello, arrendendosi la mattina seguente.
Il F., nelle memorie che ha lasciato di quegli avvenimenti, descrive non la battaglia, ma i suoni e l'eco dei combattirnenti. Si era arruolato per combattere e si ritrovò a medicare i feriti, senza neanche avere gli strumenti indispensabili di pronto soccorso. "Più di trecento arditi e generosi guerrieri della civile democrazia, furono colpiti a Monterotondo" (Memorie, p. 62). Secondo G. Guerzoni e A. Bertani il numero sarebbe notevolmente inferiore; E. Kanzier parla di quattrocento tra morti e feriti.
Solo a combattimento terminato e su sua insistenza il F. veniva iscritto nella 1ª compagnia del III battaglione, insieme con Narratone. Il 26, all'imbrunire, gli avamposti della colonna Salomone vennero respinti dagli zuavi del colonnello E. G. Allet. 1 garibaldini dovettero lasciare la stazione di Monterotondo, dove il F. fu costretto ad abbandonare alcuni feriti gravi, che vennero passati per le armi dai Papalini. Il 3 novembre, nello scontro con i soldati pontifici, la compagnia in cui militava il F. fu messa in riserva all'entrata nord di Mentana, prendendo parte al combattimento quando già si delineava l'insuccesso.
Tornato a fare il medico a Torino, collaborò a promuovere la formazione di una sezione di Cacciatori piemontesi nei primi mesi del 1868, e costituì, nell'estate dello stesso anno, la Società di mutuo soccorso fra i volontari, che aveva lo scopo di "difendere e promuovere la libertà". Della Società fu nominato presidente Narratone e vicepresidente il F. stesso. Assecondando le insistenze di Riboli, scrisse e pubblicò le memorie della campagna del 1867, col titolo Memorie di un volontario della campagna dell'Agro romano (Torino 1868).
Scoppiata la guerra franco-prussiana, il F. decise di raggiungere Garibaldi in Francia, dove questi, sia pure con qualche difficoltà, aveva ottenuto il comando "di tutti i corpi franchi della zona dei Vosgi". L'amico Riboli, medico garibaldino, che era appena rientrato in Italia, "pensò che in quei giorni della sua forzata assenza dal campo, nessuno meglio dei dottor Ferraris potesse tenerne il posto presso Garibaldi; epperciò, sapendolo disposto a partire, lo pregò di tal cosa" (Delvecchio, p. 15). L'organismo del generale era infatti profondamente logorato; a dicembre fu colpito da un grave attacco di gotta e a stento si reggeva col bastone; la ferita al piede, ricordo di Aspromonte, gli impediva a volte di montare a cavallo. Il F. partì nella seconda settimana di ottobre per Chambéry; da lì si recò a Dole, dove fu addetto al quartier generale come medico di Garibaldi.
Scrivendo all'amico G. L. Basetti motivava la presenza in Francia dei garibaldini: "mettere argine all'irrompente reazione europea, sostenendo una grande repubblica: gettare una tavola sull'abbisso, dai coronati scavato, fra due popoli fratelli l'un l'altro necessari". Nei tre mesi della sua permanenza nell'armata dei Vosgi fu corrispondente del giornale torinese di ispirazione garibaldina Democrazia, diretto da G. Beghelli.
Seguì le forze volontarie ad Autun. A Digione, alla fine della terza giornata di combattimenti che si conclusero con la sconfitta dei Prussiani, il F. moriva il 23 genn. 1871.
Fonti e Bibl.: P. Delvecchio, A. F., Mondovì 1871; G. Faldella, Gatileo e A. F. Ricordi di giovinezza, in Nuova Antologia, 16 sett. 1897, pp. 285-297; T. Grandi, Un giornalista repubblicano nell'Ottocento piemontese: G. Beghelli. Con app. e doc. ined., Pisa 1970, ad Indicem.