TADOLINI, Adamo
Nacque a Bologna il 21 dicembre 1788 da Giovanni Carlo, commerciante, e da Agata Dall’Orso, e fu battezzato due giorni dopo nel battistero della cattedrale di S. Pietro (Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, ms. B.880, p. 21).
Importante fonte di notizie sulla sua vita sono i Ricordi autobiografici di Adamo Tadolini, pubblicati dal nipote Giulio nel 1900, ma non sempre attendibili. Tra le prime informazioni compare la perdita dell’occhio sinistro all’età di due anni, a causa del vaiolo, probabile motivo dell’assenza di suoi ritratti, che non impedì tuttavia ad Adamo di esercitare con successo l’arte scultorea.
Superando le resistenze paterne, nel 1803, grazie al sostegno del conte Astorre Hercolani, entrò nell’Accademia di Bologna e dopo i corsi serali di ornato fu allievo dello scultore neoclassico Giacomo De Maria. Alunno brillante, vinse i premi Curlandesi per tre anni di seguito (1811-13) e il «Concorso dell’Anonimo» di Antonio Canova nel 1813, con Ajace che s’uccide in atto di bestemmiare gli dei. Con la fine del governo napoleonico i sussidi furono però sospesi, e per mantenersi alla scuola del nudo, in palazzo Venezia a Roma, Tadolini ricorse all’aiuto della contessa Cornelia Martinetti Rossi, finché nel 1814 si aggiudicò una nuova vittoria al medesimo concorso, con una copia ridotta dei Dioscuri del Quirinale.
Tadolini fu chiamato subito da Canova nel suo studio e fino al 1822, quando il maestro di Possagno morì, fu tra i suoi più stretti collaboratori, lasciando al capobottega, secondo il metodo di lavoro da lui messo a punto, solo i tocchi finali (Pisano, 2000). Iniziò col porre mano alla statua della Religione, cui seguirono il monumento a George Washington, Venere che carezza Marte, Endimione, i monumenti equestri di Carlo III di Borbone e di Ferdinando I, il monumento funebre del marchese Francesco Berio, il Cenotafio degli Stuart, fino al Pio VI orante (Hufschmidt, 1996, p. 193), in cui Canova ritoccò appena il volto e le mani (Ricordi, 1900, pp. 140 s.). In questa mimesi si pone l’emblematico passo in cui Tadolini narra la polemica col principe Giovanni Torlonia sull’Ercole e Lica canoviano, trattato come se fosse un’opera propria (p. 115).
L’innato senso della bella forma, insieme a una notevole abilità tecnica e a una non comune conoscenza dell’anatomia, fecero di Tadolini il perfetto interprete e continuatore dello stile di Canova (Hartmann, 1996); ma se la capacità di adesione al linguaggio accademico lo portò a essere uno degli artisti più ricercati nel suo tempo, fu anche il motivo della sua svalutazione da parte della critica successiva.
Tra le prime opere eseguite in forma autonoma si pongono i busti, inviati a Bologna, di Pio VII (1816, Biblioteca dell’Università) e di Clotilde Tambroni (1818, certosa), cattedratica e sorella di Giuseppe Tambroni; e quelli per il Pantheon di Roma, di Giambattista Morgagni (1817) e di Ludovico Antonio Muratori (1818) (Protomoteca Capitolina).
Nel 1817 Tadolini concorse nuovamente al premio Canova, con il gruppo di Giasone e Medea, che fu vinto però da Francesco Benaglia (Hufschmidt, 1996, pp. 154-157).
Lasciato lo «studiolo» in via della Fontanella (Ricordi, 1900, p. 97), nel 1818, insieme al mosaicista Nicola Albacini, e con le garanzie di Canova, prese in affitto alcuni locali all’angolo tra via de’ Greci e via del Babuino (Carloni, 2005); una condivisione di fatto breve, perché Albacini morì appena un anno dopo. Lo studio fu occupato da Tadolini e dai suoi discendenti fino al 1967, e, a tutela del patrimonio storico e artistico ancora presente, nel 2000 vi è stato istituito il cosiddetto Museo Atelier Canova Tadolini, benché non sia mai stato uno studio di Canova.
Per i festeggiamenti in onore dell’imperatore d’Austria Francesco II, nell’aprile 1819, il principe Torlonia gli commissionò quaranta statue della Giardiniera e quaranta della Flora, portacandele, da collocare in forma di galleria in piazza Venezia (Hufschmidt, 1996, pp. 146-151).
Pochi giorno dopo, il 2 maggio 1819, in casa di Canova, Adamo si sposò con Serafina Passamonti (1799-1848), intagliatrice di cammei e di rame al bulino; dal matrimonio nacquero Cornelia (1820-95), Scipione (1822-98), Tito (1825-1909), Elena (1829-30), Augusto (1832-57) e Giuditta (1838-1915) (Roma, Archivio del Vicariato), citati con qualche imprecisione nei Ricordi (1900, pp. 228, 232 s.). I tre figli maschi seguirono tutti le orme paterne, ma Augusto morì giovane, Tito ebbe poco successo e non si sposò, per cui la conduzione dello studio, dopo la morte del padre, passò a Scipione (Pisano, 2000).
Nel 1821 Adamo divenne socio della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon, e nel 1825 vi fu ammessa pure la moglie, tra le prime artiste donne (Genovese, 2015, pp. 223, 242 s.).
Dopo la morte di Canova eseguì un soggetto biblico, Adamo ed Eva, che il marchese José María de Salamanca y Mayol cercò poi di vendere al Museo del Prado, nel 1881, senza successo (Azcue, 2009, p. 154); ma soprattutto proseguì la produzione mitologica, di gran moda. Dal modello in gesso dell’Amore e Psiche, ricevuto in dono da Canova nel 1816, realizzò molte copie, compresa quella per il conte Giovan Battista Sommariva nel 1823 (Como, villa Carlotta) (Hufschmidt, 1996, pp. 174-183).
Nel 1825 portò a compimento varie opere; a giugno spedì a Bologna il gruppo di Venere che scherza con Amore, per il conte Hercolani (Notizie del giorno, 1825), di cui sono note una versione a Roma (coll. F. Apolloni) e un’altra a Budapest (Szépművészeti Múzeum), molto sofferta. Nel mese di ottobre espose il Teseo e Arianna per Lady Margaret Beaumont, che suscitò le invidie del collega e storico rivale Pietro Tenerani; e a dicembre fu nominato accademico di S. Luca (Diario di Roma, 1825).
Nello stesso anno copiò la Ebe di Canova per María Francisca de Beaufort y Toledo duchessa di Osuna, oggi al Museo del Prado (Azcue Brea, 2008, pp. 117 s.); questa iconografia, insieme alla Danzatrice, sempre di Canova, gl’ispirò la Baccante che danza, replicata più volte a partire dal 1828 (Roma, palazzo Braschi, gesso), anche per la villa pinciana del principe Francesco Borghese Aldobrandini (Odescalchi, 1840), dove rimase almeno fino al 1870 (Barbier de Montault, 1870).
Il conte russo Nicola Demidov fu uno dei committenti che Tadolini ereditò da Canova; per lui scolpì repliche del maestro e il gruppo originale del Ganimede rapito da Giove (San Pietroburgo, Ermitage), che suscitò l’entusiasmo della critica per la composizione innovativa e l’effetto di levità della figura (Lovery, 1825). Tornò più volte sul tema, con semplici varianti o inventando composizioni diverse, come il Ganimede che offre da bere a Giove (Chatsworth House, Derbyshire), di eguale successo (Cardinali, 1826).
Nicola Demidov gli ordinò anche una serie di busti: dello Zar Nicola I, di sé stesso (alcune decine) e della moglie Elisabetta Stroganov. I ritratti dei coniugi, caratterizzati da una resa naturalistica e uno sguardo vivace (quello di Nicola è transitato nel 2017 per la Brafa Art Fair di Bruxelles), furono firmati per esteso da Tadolini e vanno distinti da quelli più idealizzati di Bertel (Alberto) Thorvaldsen, con i quali sono stati confusi a causa del monogramma «A T» (Hufschmidt, 1996, pp. 140 s., A6-7; Indianapolis Museum of Art at Newfields), usato dal maestro danese in alcune opere romane (Kai Sass, 1963; Ead., 1965).
Dopo la morte di Demidov, Tadolini scolpì il busto del figlio Anatolio Demidov, abbozzato a Pisa, occasione in cui il conte più giovane gli chiese un monumento per il padre a Firenze, in seguito affidato a Lorenzo Bartolini. Per Paolo, fratello maggiore di Anatolio, eseguì il busto della moglie Aurora Stjernwall e del figlioletto Paolo II Demidov, nato nel 1839, quindi dopo la data del 1836 indicata nei Ricordi (1900, p. 170).
Nei finissimi busti dei coniugi inglesi Georg Bering e Harriet Rochfort, eseguiti nel 1828 e battuti da Sotheby's nel 2014, per nobilitare i soggetti Tadolini li ammantò di panneggi classici, trasformandoli in due antichi romani (p. 169).
Alcuni monumenti funebri caratterizzano l’attività della fine del terzo decennio: di Flavia Boschi (1826) ai Ss. Vincenzo e Anastasio a Trevi, con un medaglione-ritratto vicino allo stile delle matrone di età flavia (Lilli, 1991, pp. 136 s.); di monsignore Alessandro Buttaoni (1826) in S. Croce dei Lucchesi, ancora ispirato alla statuaria romana (p. 137); dell’ambasciatore spagnolo Antonio Vargas y Laguna (1827) in S. Spirito in Sassia (p. 138), un pastiche di stili.
Nel 1827 si rivolsero a Tadolini la contessa Anna (nipote del principe Josef Poniatowski) e il marito Stanislao Wąsowicz, del quale scolpì il busto (Ricordi, 1900, p. 194), giunti in Italia per riprendersi dal lutto della figlioletta Julia Wąsowiczowa e ordinarne il monumento funebre per la cattedrale di Varsavia (Potocka, 1899). Il bassorilievo di Tadolini, sormontato dalla statua della bambina orante di Luigi Pampaloni (Skowron, 1994), raffigura la madre nelle vesti dell’Arianna addormentata, analoga, nella parte inferiore del corpo, all’antico reperto nei Musei Vaticani, che conferma l’interesse dell’autore per la statuaria classica, sempre più distante dal neoclassicismo canoviano.
Su disegno di Giuseppe Valadier, nel 1829 Tadolini realizzò il Catafalco funebre per Leone XII, in S. Pietro in Vaticano (Corpus delle feste, 1997), che lo introdusse nella serie delle sculture pubbliche monumentali di soggetto sacro.
Al 1832 risale la statua di S. Pietro d’Alcantara, richiesta dall’imperatore del Brasile don Pedro per la cattedrale di San Paolo, il cui modello in gesso nel 1904 fu donato dal nipote Giulio Tadolini alla chiesa accademica dei Ss. Luca e Martina a Roma (Archivio dell’Accademia di S. Luca, vol. 189, c. 28). Tre anni dopo Adamo scolpì la statua colossale del Cristo benedicente, ordinata dal cardinale Luigi Tosti per la chiesa dell’Ospizio di S. Michele, dove lo scultore insegnava dal 1831, oltre che all’Accademia di S. Luca.
Nel 1835 circa terminò la statua di S. Marino per l’omonima basilica nella Repubblica di San Marino. In segno di stima il governo locale gli conferì il patriziato, esteso ai figli (Ricordi, 1900, p. 190), e pochi anni dopo gli commissionò la stele funebre del cittadino Antonio Onofri (La Pallade, 1839).
La statua colossale di S. Paolo, ordinatagli nel 1833 per la basilica di S. Paolo fuori le Mura, modellata con plasticismo vigoroso e un panneggio di derivazione rinascimentale, fu terminata solo nel 1842, a causa di un difetto riscontrato dalla Commissione, che ne provocò la sospensione (Bagnarini, 2015); nel 1847, infine, Pio IX ne decise il trasferimento sul sagrato di S. Pietro in Vaticano, insieme al S. Pietro di Giuseppe De Fabris.
Nel frattempo il re Carlo Alberto di Savoia gli aveva ordinato il S. Francesco di Sales per la basilica Vaticana (1840-45), oltre ad offrirgli una cattedra di scultura a Torino, da lui rifiutata, così come rifiutò la stessa offerta fattagli per Bologna. Il S. Francesco di Sales, pendant del S. Alfonso Maria de’ Liguori di Pietro Tenerani, fu interessato anch’esso da una controversia, risolta grazie all’intercessione di Carlo Finelli presso il re (Hufschmidt, 1996, pp. 168-170).
Guai giudiziari procurò a Tadolini pure il monumento del cardinale Alessandro Lante, il cui primo incarico risaliva al 1818. A causa del mancato saldo, Tadolini lo riadattò per la memoria del medico Domenico Morichini, in S. Marcello al Corso a Roma (1836), fino a quando non fu preteso che lo portasse a compimento, consegnando infine nel 1858 una stele di tradizione neoclassica, collocata nella cattedrale di S. Pietro a Bologna (Randolfi, 2005).
Per il Monumento della principessa Giovanna Begum Sombre (1842, Sardhana, India, Nostra Signora delle Grazie) Tadolini riprese il progetto per Nicola Demidov, il cui bozzetto era piaciuto al colonnello David Sombre, che lo scelse per la zia deceduta nel 1836, dopo aver visto un’altra opera di Tadolini, il Monumento funebre del conte Ercole Mosti Trotti (1837) nella certosa di Ferrara. Il mausoleo indiano, a causa del riadattamento alle esigenze della nuova committenza, finì per diventare poco armonioso; più equilibrata, invece, la composizione del tumulo che Tadolini realizzò per le esequie della principessa, nel gennaio1839, in S. Carlo al Corso a Roma (Corpus delle feste, 1997).
Tra il 1840 e il 1842, tramite acquisti ed enfiteusi, Tadolini entrò in possesso di quattro casupole in via de’ Greci, e dopo averle demolite fece edificare al loro posto «un molto decente fabricato ad ornato della città» (Archivio di Stato di Roma, Notaio Angelo Monti, Uff. 30, 1840, vol. 738, cc. 336r-344r; ibid., 1842, vol. 740, cc. 11r-16v) per la propria famiglia e a scopo d’investimento.
È negli anni 1840-41 che l’autobiografia di Tadolini pone l’esecuzione dei busti di Gioacchino Rossini e di Giulio Perticari (Ricordi, 1900, p. 214), in realtà d’epoca anteriore: del 1820 è la commissione del Rossini, proposto all’Accademia di Pesaro da Perticari e vent’anni dopo collocato nel teatro Rossini (Tambroni, 1822; Emiliani, 1993); e del 1825 il busto di Perticari, voluto da Francesco Cassi, desideroso di porlo sulla tomba del cugino (Notizie del giorno, 1825; Cassi, 1826).
Dopo il bombardamento del Gianicolo nel 1849 per porre fine alla Repubblica Romana, Tadolini fu incaricato dal cardinale Tosti di restaurare i marmi di S. Pietro in Montorio, probabile occasione in cui ottenne uno spazio sepolcrale (Forcella, 1874), dove fu sepolto il figlio Augusto prima di lui.
Nel 1850 vinse il concorso per il Monumento equestre di Simon Bolivar, a Lima, in cui l’eroe, non più un personaggio senza tempo, è raffigurato nella sua specificità storica. Il modello della statua col suo cavallo rampante, al quale collaborò il figlio Scipione, fu inviato a Monaco di Baviera per la fusione in bronzo e poi spedito in Perù dal porto di Amsterdam (L’Artista, 1859). Una replica fu installata nel 1874 a Caracas e un’altra a San Francisco in California nel 1984.
Frutto di una lunga meditazione, come dimostrano le differenze col bozzetto, è l’ispirata figura del Re David (1855-56) per la colonna romana dell’Immacolata Concezione presso piazza di Spagna, l’ultima sua opera monumentale (Hufschmidt, 1996, pp. 170-173).
Tadolini si spense a Roma il 16 febbraio 1868 nella casa in via dei Greci n. 10.
Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, ms. B.880, p. 21; Roma, Archivio del Vicariato: parr. S. Lorenzo in Lucina, Battesimi, 1798-1803, c. 51v (Serafina); ibid., Matrimoni, 1810-25, c. 74r; ibid., Battesimi, 1815-22, c. 120r (Cornelia), c. 176v (Scipione); parr. S. Maria del Popolo, Battesimi, 1818-35, II parte, c. 1r (Tito), c. 45r (Elena), c. 73r (Augusto); ibid., Morti, 1818-35, II parte, c. 32v (Elena); parr. S. Giacomo in Augusta, Battesimi, 1835-43, p. 70 (Giuditta); ibid., Morti, 1840-76, p. 93 (Serafina), p. 185 (Augusto), p. 285 (Adamo); Archivio del Comune di Roma, Morti, 1895, atto n. 1236 (Cornelia); ibid., 1909, atto n. 1026 (Tito); ibid., 1915, atto n. 1380 (Giuditta); Archivio di Stato di Roma, Notaio Angelo Monti, Uff. 30, 1840, vol. 738, cc. 336r-344r; ibid., 1842, vol. 740, cc. 11r-16v; Roma, Archivio dell’Accademia di S. Luca, vol. 189, c. 28. G. Tambroni, T. A. Bolognese, in Giornale arcadico, XIV (1822), pp. 433 s.; Notizie del giorno, 1825, n. 24, p. 1; Diario di Roma, 1825, nn. 34, p. 4, 84, p. 4, 99, p. 2; E. Lovery, Ganimede rapito, statua grande al vero di A. T., in Memorie romane di antichità e di belle arti, Roma 1825, pp. 253 s.; L. Cardinali, Ganimede con l’aquila, ibid., 1826, pp. 431-435; F. Cassi, A tutti quelli che hanno in onore le virtù e il nome degl’illustri defunti..., Pesaro 1826, p. 2; Il Tiberino, 15 giugno 1833, p. 86; La Pallade, 21 dicembre 1839, p. 354; P. Odescalchi, Elogio del principe D. Francesco Borghese Aldobrandini..., Roma 1840, p. 12; L’Artista, 3 febbraio 1859, pp. 38 s.; X. Barbier de Montault, Le musées et galeries de Rome..., Roma 1870, p. 502; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edificii di Roma..., V, Roma 1874, p. 288; A. Potocka, Voyage d’Italie (1826-1827)..., Paris 1899, pp. 1, 4; Ricordi autobiografici di A. T. scultore (vissuto dal 1788 al 1868), pubblicati dal nepote Giulio, Roma 1900; E. Kai Sass, Thorvaldsens Portrætbuster, I, Copenhagen 1963, pp. 268-275; ibid., III, 1965, pp. 72-75; I. Panicelli, A. T., in Quaderni sul Neoclassico, III (1975), pp. 157-166; M.S. Lilli, Aspetti dell’arte neoclassica: sculture nelle chiese romane, 1780-1845, Roma 1991, passim; V. Emiliani, Raffaello, Rossini e il bello stile, Urbino 1993, p. 93; D. Skowron, Odnowienie Kaplicy Swietej Trojcy w katedrze na Wawelu przez Franciszka Marie Lanciego, in Studia Waweliana, III (1994), pp. 69 s., 73; T.F. Hufschmidt, Tadolini: A. Scipione. Giulio. Enrico..., Roma 1996; J.B. Hartmann, Lo studio Tadolini, ibid., pp. 23-31; Corpus delle feste/2: il Settecento e l’Ottocento, a cura di M. Fagiolo, Roma 1997, pp. 313 s., 333 s.; C.L. Pisano, Lo studio di A. T., scultore a Roma, in Ricerche di storia dell’arte, LXX (2000), pp. 51-63; R. Carloni, Per Gioacchino Falcioni, Ferdinando Lisandroni e Gaspare Sibilla, in Antologia di belle arti, n.s., 2004, nn. 67-70, pp. 96-112 (in partic. p. 111); R. Randolfi, A. T. e la complicata storia del monumento sepolcrale del cardinal Alessandro Lante a Bologna, in Neoclassico, XXVII-XXVIII, 2005, pp. 159-172; L. Azcue Brea, La escultura italiana del siglo XIX y el coleccionismo privado en Madrid..., in Academia: Boletín Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, CVI-CVII (2008), pp. 83-129; ibid., CVIII-CIX (2009), pp. 141-192; N. Bagnarini, La basilica di San Paolo fuori le Mura […] e i Ss. Pietro e Paolo dell’arco di Placidia, in Annali della P. I. Accademia dei Virtuosi al Pantheon, XV (2015), pp. 241-263; A.L. Genovese, Diario 1800-1834, in La Congregazione dei Virtuosi al Pantheon da Pio VII a Pio IX, a cura di V. Tiberia, Galatina 2015, passim.