Addio giovinezza!
(Italia 1940, bianco e nero, 94m); regia: Ferdinando Maria Poggioli; produzione: ICI/SAFIC; soggetto: dall'omonimo testo teatrale di Sandro Camasio e Nino Oxilia; sceneggiatura: Salvator Gotta, Ferdinando Maria Poggioli, Giacomo Debenedetti; fotografia: Carlo Montuori; montaggio: Ferdinando Maria Poggioli; scenografia: Gastone Medin; costumi: Gino C. Sensani; musica: Enzo Masetti, Giuseppe Blanc.
Torino, primo decennio del secolo scorso. Mario, studente di medicina all'Università, conosce una sartina, Dorina, e se ne innamora. Per starle più vicino affitta una camera ammobiliata nell'appartamento in cui Dorina vive con sua madre. L'idillio tra i due è promettente, ma un giorno Mario incontra Elena, una signora del gran mondo, ne subisce il fascino e ha un'avventura con lei. Dorina viene a sapere dello sbandamento di Mario, cerca di salvare il suo amore e ha una franca spiegazione con Elena. L'intervento di Dorina fa arrabbiare Mario, che lascia la camera d'affitto, va a vivere altrove e stringe i tempi degli studi. Dopo qualche mese si laurea, e mentre è a tavola con gli amici per festeggiare l'evento si trova davanti Dorina, venuta a salutarlo e a portargli in dono un portafogli ricamato da lei stessa. Il gesto addolcisce il momento della definitiva separazione. Mario lascerà Torino per tornare con i genitori al proprio paese di provincia, dove eserciterà la professione di medico. Dorina continuerà a fare il lavoro di sartina.
Quando, nella primavera del 1940, Ferdinando Maria Poggioli dà il via alle riprese di Addio giovinezza! sono passati trent'anni dalla prima rappresentazione del lavoro teatrale di Camasio e Oxilia ambientato nella Torino principio di secolo e costruito su un idillio giovanile destinato a sciogliersi, senza drammi, ma con una sua toccante mestizia, in vista soprattutto delle differenti prospettive sociali di questo Mario e di questa Dorina, simbolo di un'infinità di altri studenti e di altre sartine protagonisti di brevi storie d'amore. In quei trent'anni c'è stata la Prima guerra mondiale ‒ durante la quale Oxilia ha chiuso la sua breve esistenza, al fronte, nel 1917, mentre Camasio se n'è già andato, giovanissimo anch'egli, nel 1913, ucciso da una malattia fulminante; sono cambiati profondamente i costumi; qualche rivoluzione l'ha vissuta anche il teatro; ma la commedia sentimentale e crepuscolare lasciata da Camasio e Oxilia ha continuato a godere dei favori popolari. È diventata un passaggio obbligato nei repertori delle filodrammatiche, e più d'una compagnia di giro la tiene in serbo per qualche matinée. La parte sua l'ha fatta anche il cinema: da subito (1913) con un film diretto dallo stesso Camasio, cosceneggiato da Oxilia e interpretato da Letizia Quaranta, Amerigo Manzini e Lydia Quaranta, e successivamente con due edizioni firmate entrambe da Augusto Genina, una nel 1918, con Maria Iacobini, Lido Manetti ed Elena Makowska, e l'altra nel 1927, con Carmen Boni, Walter Slezak ed Elena Sangro. Per quest'ultimo film Genina ha trasportato l'azione dagli anni di fine belle époque alla metà degli anni Venti, regalando alla vicenda una cornice di modernità che poco le giova. Non sorprende, dunque, se Poggioli e i suoi sceneggiatori scartano la via d'un eventuale, ulteriore aggiornamento e puntano decisamente a ricollocare l'intreccio nell'epoca e nelle atmosfere entro cui esso fu originariamente immaginato: ossia in quella Torino cerimoniosa e operosa, un poco casalinga e un poco gaudente, curiosa di novità (una battuta del film celebra, per bocca di Dorina, persino la meraviglia del cinematografo) e tuttavia attaccata alle tradizioni, credibilmente rispecchiata negli slanci e nei ripensamenti di Mario e Dorina così come nei goffi interventi dell'amico Leone e nelle pose da mannequin della tentatrice Elena.
Ma Poggioli non si accontenta di reimmergere le giornate dei due giovani innamorati nei luoghi deputati a tramandare la leggenda degli studenti e delle sartine torinesi d'un tempo (i portici di via Po, certi caffè, i viali del Valentino, eccetera). Punta a un profumo d'epoca che vada oltre l'apparato scenografico o sartoriale, che faccia scoccare tra ambienti e comportamenti un alito di verità, che favorisca la freschezza dei modi e il calore delle passioni senza celare la malinconia di fondo diffusa dietro la provvisoria spensieratezza goliardica del futuro medico come dietro il candore della giovane innamorata inesperta della vita.
Il film rievoca insomma con gusto e intelligenza un piccolo mondo passato, ne srotola con tocco affettuoso i rituali e le convenzioni, ne trae personaggi e figurette dotati d'un loro elementare ma apprezzabile spessore; sarà un po' ingenuo e tenero come la commedia da cui trae origine, ma al quadro umano e ambientale riesce a dare un'amabile consistenza venata di ironia, contenendo anche la commozione in toni gentili, mai sopra le righe. Certo, alla riuscita concorrono la morbida fotografia di Montuori (che aveva già contribuito al secondo Addio giovinezza! di Genina), la sapiente scenografia di Medin, i bei costumi di Sensani, le musiche d'epoca di Blanc e quelle, nuove, di Masetti. Ma essenziale è la personalità di Poggioli, la cui filmografia ampiamente volta alla letteratura (da Luigi Capuana per Gelosia, 1942, a Flavia Steno per Sissignora, 1942, da Emilio De Marchi per Il cappello da prete, 1943, ad Aldo Palazzeschi per Le sorelle Materassi, 1944) è segnata da una capacità di riscrittura cinematografica finemente in equilibrio tra rispetto del testo letterario e autonomia del linguaggio filmico. Addio giovinezza! ne è un esempio felice. Così come un esempio probante della sua capacità di dirigere gli interpreti: la sensibilità di Maria Denis si traduce in calore ben modulato, in tenera passionalità. Adriano Rimoldi ha galanterie e scatti credibili, mentre il ruolo dell'amico Leone viene giocato da Carlo Campanini con buffonerie e inciampi che diventeranno una sua cifra personale nel corso d'una lunga carriera. La gran dama della breve sbandata di Mario è una Clara Calamai fataleggiante, ma non priva, per fortuna, di autoironia. Il contorno è colorito ma non macchiettistico, in linea con i bisogni d'un cinema popolare di buon livello, nitido nel racconto e curato nei dettagli. Qualità che al film riconoscono prontamente sia la critica sia il pubblico.
Interpreti e personaggi: Maria Denis (Dorina), Adriano Rimoldi (Mario), Carlo Campanini (Leone), Clara Calamai (Elena), Bella Starace Sainati (madre di Dorina), Bianca Della Corte (Emma), Paolo Carlini (Pino), Carlo Minello (Paolo), Aldo Fiorelli (Ernesto), Mario Giannini (Giovanni), Vera Carmi (fidanzata di Giovanni), Mario Casaleggio (padre di Mario), Franca Volpini (fidanzata di Ernesto), Arturo Bragaglia (Marco, il ciabattino).
V. Calvino, Studenti e sartine (intervista con Ferdinando Maria Poggioli), in "Film", 21 settembre 1940.
G. Isani, Film di questi giorni, in "Cinema", n. 110, 25 gennaio 1941.
G.C. Castello, Retrospettive, in "Cinema" n.s., n. 39, 30 maggio 1950.
L. Solaroli, Anche i film di Poggioli prepararono il 25 luglio, in "Cinema nuovo", n. 54, 10 marzo 1955.
M. Gromo, Film visti, Roma 1957, poi in Davanti allo schermo, Torino 1992.
F. Savio, Ma l'amore no, Milano 1975.
F. Savio, Cinecittà anni Trenta, 2° vol., Roma 1979.