Additivi alimentari
Gli additivi alimentari sono sostanze prive di potere nutritivo che vengono aggiunte agli alimenti per esaltarne sapore, aspetto, odore ecc. ed evitarne il precoce deterioramento. Contrariamente a quanto si può pensare, non sono un'invenzione recente: sin dall'antichità, infatti, l'uomo ha dovuto conservare gli alimenti da un raccolto all'altro, migliorarne l'aspetto e l'appetibilità. L'azione conservante dell'anidride solforosa e le proprietà coloranti e aromatizzanti di alcune sostanze erano già note agli antichi egizi, mentre gli antichi romani utilizzavano il sale e il salnitro per salvaguardare gli alimenti dalla contaminazione microbica. Durante il Medioevo, inoltre, si diffuse il commercio delle spezie, che trovarono subito impiego non solo perché gradevolmente aromatizzate, ma anche per la loro efficacia contro lo sviluppo di microrganismi. Anche nelle conserve alimentari preparate in casa secondo le più tradizionali ricette è prevista l'aggiunta di sostanze che garantiscono un globale miglioramento in termini di conservabilità, aroma e consistenza. Ne sono un esempio lo zucchero e il sale, che ad alte concentrazioni svolgono un'azione antimicrobica, le spezie, utilizzate come aromatizzanti, e le mele, che conferiscono una migliore consistenza alle confetture a base di frutta.
Negli ultimi decenni l'evoluzione dello stile di vita ha portato alla diminuzione del tempo dedicato alla preparazione del cibo con conseguente aumento del consumo di prodotti di origine industriale. Ciò ha portato allo sviluppo della produzione alimentare su larga scala grazie al progresso tecnologico e all'utilizzo degli additivi alimentari, che consentono innanzitutto di aumentare il grado di sicurezza igienica, prevenendo fenomeni di contaminazione microbica o di ossidazione, di conservare il valore nutrizionale degli alimenti, impedendo la degradazione dei componenti essenziali, quali vitamine, aminoacidi e acidi grassi insaturi, e di mantenere inalterate le loro qualità organolettiche come consistenza, sapore, odore e colore. L'uso degli additivi, inoltre, facilita il condizionamento, il trasporto e l'immagazzinamento degli alimenti stessi e permette di conservare inalterate nel tempo sia le eccedenze sia i prodotti stagionali. Un ulteriore vantaggio conferito dagli additivi consiste nell'opportunità di offrire al consumatore alimenti dietetici che possano essere consumati da soggetti affetti da patologie legate all'alimentazione, quali il diabete. Il diffondersi delle preparazioni industriali ha reso necessario l'approfondimento delle conoscenze su queste sostanze dal punto di vista sia sanitario sia economico. In Italia il d.m. 31 marzo 1965 è stato il primo documento ufficiale a fornire la definizione di 'additivi chimici', disciplinandone l'aggiunta agli alimenti. Successivamente sono state apportate diverse modifiche, di cui la più recente è stata introdotta con il d.m. 27 febbraio 1996, nr. 209, che disciplina l'uso degli additivi alimentari in attuazione di alcune direttive UE. L'additivo alimentare viene quindi definito come "qualsiasi sostanza normalmente non consumata come alimento, in quanto tale, e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente dal fatto di avere un valore nutritivo, che aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico, nelle fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o immagazzinamento degli alimenti, si possa ragionevolmente presumere diventi, essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti, direttamente o indirettamente".Esiste però anche una definizione tecnica che consente di individuare due tipi di additivi, intenzionali e non intenzionali. Al primo tipo appartengono tutte le sostanze la cui aggiunta a un prodotto è vincolata al raggiungimento di un determinato scopo. Gli additivi non intenzionali comprendono invece i residui di quelle sostanze utilizzate per l'ottenimento della materia prima, come per es. residui di pesticidi nei vegetali e di farmaci veterinari nelle carni.
Gli additivi intenzionali o volontari vengono classificati in funzione della loro destinazione nell'alimento. Esistono quindi composti conservanti, che agiscono contro le alterazioni di origine microbica o contro gli irrancidimenti dei grassi e l'imbrunimento (antiossidanti), composti utilizzati per il controllo della qualità reologica dei prodotti, composti ad azione varia, quali esaltatori di sapidità, agenti di rivestimento, acidificanti, e composti coloranti, aromatizzanti, nutrienti ed edulcoranti (o dolcificanti). Tutti i composti per essere aggiunti agli alimenti devono soddisfare determinati requisiti (Cerutti 1993, p. 163). L'additivo deve essere innanzitutto necessario alla produzione dell'alimento, non deve presentare rischi di tossicità per l'uomo, anche se il consumo dura per tutta la vita, e non deve interagire con nutrienti presenti nell'alimento distruggendoli o dando origine a prodotti tossici. Le sostanze aggiunte volontariamente agli alimenti, inoltre, non devono mascherare processi di alterazione né costituire frodi commerciali. I prodotti autorizzati sono elencati in una lista, detta 'positiva', approvata a livello europeo, dove sono anche indicati i casi e le dosi massime d'impiego: poiché è vietato l'uso di sostanze non comprese in essa, tale lista è un valido strumento di tutela del consumatore.
Molto spesso l'informazione a proposito degli additivi alimentari non è corretta e contribuisce ad accrescere allarmismi nell'opinione pubblica. Esistono organismi internazionali che fissano, per ciascun composto, i valori limite giornalieri definiti 'dose giornaliera accettabile' (DGA) o Acceptable daily intake (ADI).
I protocolli tossicologici previsti per ciascun additivo e contaminante chimico si basano sulla sperimentazione animale e sulle osservazioni cliniche e vengono vagliati da organismi internazionali quali il JEFCA (Joint FAO-WHO expert committee on food additives) e il Comitato scientifico dell'alimentazione umana dell'Unione Europea. Il criterio di giudizio si basa sulla valutazione rischio/beneficio, che si conclude con la definizione della 'dose giornaliera accettabile'. La DGA per l'uomo, espressa in milligrammi per chilogrammo di peso corporeo, è la quantità di un additivo alimentare che può essere ingerita, considerando l'intero quadro dell'alimentazione, durante tutta la vita di un individuo senza che ciò comporti qualche rischio per l'individuo stesso. In primo luogo viene determinato quello che si chiama 'livello senza effetti' (o NOEL, No observed effect level), cioè la dose dell'additivo alimentare in esame, in milligrammi per chilogrammo di peso corporeo, che, in studi di tipo cronico, non ha effetti tossici sulla specie animale più sensibile tra quelle impiegate per gli esami tossicologici. Tale valore, per una maggior salvaguardia della salute del consumatore, viene corretto di un 'fattore di sicurezza' (SF, Safety factor) generalmente pari a 100. Tale fattore tiene conto della sensibilità dell'uomo, considerata dieci volte superiore a quella degli animali da esperimento, e della variabilità esistente tra i diversi individui: stato di salute, alimentazione, età (Galli-Marinovich-Restani 1992, p. 289). La formula utilizzata per calcolare la DGA è quindi: DGA = NOEL / SF. È importante sottolineare che la DGA non rappresenta una soglia di tossicità, ma un livello il cui consumo non comporta danni. Gli individui possono superare la DGA occasionalmente, l'importante è che il consumo medio a lungo termine sia inferiore al limite stabilito.
Un alimento deteriorato a causa di una crescita microbica o di una reazione di tipo chimico (ossidazione) risulta alterato rispetto al suo potere nutrizionale, oltre che dal punto di vista tossicologico. Un conservante viene definito dalla legislazione come una sostanza che prolunga il periodo di conservazione dei prodotti alimentari proteggendoli dal deterioramento provocato da microrganismi e da reazioni di ossidazione (irrancidimento dei grassi e variazioni di colore o imbrunimento).
La scelta di un agente conservante dipende dalle condizioni di produzione, dal tipo di microrganismo che può contaminare l'alimento e dalle caratteristiche del prodotto quali acidità e attività dell'acqua, cioè la quantità di acqua presente nell'alimento e disponibile per la crescita microbica.Alcuni composti antimicrobici sono normali costituenti di alimenti e bevande e non trovano obiezioni dal punto di vista tossicologico-sanitario. Tra queste sostanze troviamo l'acido acetico, normalmente presente nell'aceto e utilizzato soprattutto nelle conserve vegetali, l'acido sorbico e i relativi sali (sorbati), presenti in bacche e frutti, che viene aggiunto in diversi prodotti come il pane in cassetta, i ravioli, gli oli e i grassi. Si ricordano inoltre l'acido benzoico, anch'esso presente in alcune bacche, e l'acido lattico, prodotto della fermentazione del lattosio e caratteristico di yogurt e prodotti lattiero-caseari. Queste sostanze possono essere utilizzate come tali o come sali (benzoato e lattato) in semiconserve di pesce o bevande analcoliche.
Gli additivi antimicrobici utilizzati in base al rapporto rischio/beneficio sono sostanze che possono presentare un potenziale rischio, ma che vengono utilizzate a dosi tali da apportare notevoli benefici alla conservazione del prodotto e assicurare perciò una maggiore sicurezza dell'alimento cui sono aggiunti. Tra questi composti dobbiamo ricordare l'ossido di etilene e l'ossido di propilene, che vengono aggiunti a spezie e droghe per la loro azione antimuffa, e l'anidride solforosa, ampiamente utilizzata in enologia poiché possiede un'azione antimicrobica selettiva nei confronti dei microrganismi del mosto e impedisce un eventuale proseguimento della fermentazione nelle fasi di maturazione e stoccaggio del vino.
Nelle conserve di carne vengono invece aggiunti nitrati e nitriti che, pur se classificati come sostanze destinate principalmente ad altri usi (il loro ruolo fondamentale è infatti quello di mantenere il colore rosso caratteristico degli insaccati e delle carni in generale), presentano un effetto conservante secondario, quello di non consentire lo sviluppo del Clostridium botulinum, responsabile di una tossinfezione alimentare (il botulismo) che può essere letale. I tossicologi hanno posto particolare interesse nello studio degli effetti di questi additivi nell'organismo umano. I nitrati vengono ridotti, grazie a enzimi batterici presenti nel tratto gastrointestinale, a nitriti che possono a loro volta reagire con le amine secondarie presenti nel tubo digerente producendo nitrosamine, sostanze a elevato potenziale mutageno e cancerogeno. Ad alte dosi, inoltre, il nitrato può legarsi all'emoglobina trasformandola in metemoglobina, forma in cui l'emoglobina non può svolgere nell'organismo l'importante funzione di trasportatore di ossigeno. Nel 1995 gli esperti del JEFCA hanno revisionato i dati relativi agli effetti negativi di nitrati e nitriti ed è stata stabilita un'opportuna DGA per entrambi (JEFCA 1996, pp. 269 e 325). È inoltre vietata l'aggiunta di entrambi i composti in cibi destinati a bambini di età inferiore a tre mesi, trattandosi di soggetti particolarmente sensibili, nei quali la reazione di formazione della metemoglobina avviene più facilmente rispetto agli organismi adulti. Per limitare i rischi, questi additivi vengono utilizzati in associazione con l'acido L-ascorbico, antiossidante che inibisce la formazione di nitrosamine.
Gli antiossidanti sono un'ulteriore classe di conservanti la cui funzione è quella di impedire che alcuni costituenti degli alimenti subiscano reazioni, chiamate di irrancidimento o di imbrunimento, che possono portare alla formazione di sostanze tossiche, sgradevoli o prive di valore biologico, in grado di alterare le caratteristiche organolettiche degli alimenti o delle bevande fino a renderli non commestibili. Il settore degli oli e dei grassi risulta particolarmente interessato da questo tipo di alterazione, in modo specifico gli oli di semi il cui processo di produzione prevede un'estrazione con solvente e una raffinazione che privano questi prodotti degli antiossidanti naturali (tocoferoli) presenti nelle parti lipidiche di semi e frutti. Per preservare l'olio da fenomeni di ossidazione, e in particolare per gli oli di semi destinati a subire trattamenti termici piuttosto drastici come la frittura, si aggiungono antiossidanti tra cui il butilidrossianisolo (BHA) e il butilidrossitoluolo (BHT), particolarmente indicati per la loro termostabilità. Su questi composti si è concentrata l'attenzione degli esperti a causa di un loro presunto effetto tossico. Allo stato attuale delle conoscenze è noto che l'effetto cancerogeno indotto dal BHA ad alte dosi si rivela solo nel ratto e soltanto in un organo che non ha un analogo corrispondente nell'uomo, il prestomaco. Per il BHT le considerazioni sono analoghe: dosi elevate provocano l'insorgenza di tumori al fegato in ratti esposti durante la vita intrauterina. Alla luce di tali considerazioni sono state fissate le DGA relative a questi composti da parte del JEFCA (1989, p. 3; 1996, p. 3).
Anche alcuni composti vitaminici quali l'acido ascorbico (vitamina C) e i tocoferoli (vitamina E) hanno potere antiossidante e vengono aggiunti in prodotti come marmellate, succhi di frutta, omogeneizzati di frutta, che subiscono un blando trattamento termico (pastorizzazione). Le vitamine infatti sono termolabili e vengono distrutte da trattamenti termici drastici, quali la sterilizzazione e la frittura. I tocoferoli, inoltre, sono gli unici antiossidanti permessi nell'olio d'oliva.
Oltre alla qualità nutrizionale, tossicologica e organolettica di un alimento sono molto importanti le proprietà fisiche di consistenza e aspetto. Esistono alcune sostanze in grado di fornire la giusta consistenza ai prodotti alimentari, definite come addensanti, gelificanti e stabilizzanti. Nel d.m. 27 febbraio 1996, nr. 209, i gelificanti sono definiti come sostanze che danno consistenza a un prodotto alimentare tramite la formazione di un gel, gli stabilizzanti come sostanze che rendono possibile il mantenimento dello stato fisico-chimico di un prodotto alimentare e gli addensanti come sostanze che aumentano la viscosità di un prodotto alimentare. Ogni alimento presenta una propria consistenza e richiede l'impiego di uno specifico additivo. Nelle marmellate e gelatine di frutta, nei budini, nei gelati e nei dessert a base di latte vengono spesso aggiunte le pectine, gli alginati, l'agar-agar e le carragenine, composti in grado di assorbire una grande quantità di acqua conferendo ai prodotti alimentari la consistenza di gel. Nelle caramelle gommose, nelle pastiglie, nei gelati, nelle salse e nei prodotti dolciari possono inoltre essere aggiunte le gomme: gomma adragante, gomma arabica, gomma tara o di carruba per ottenere la caratteristica 'gommosità' di questi prodotti. Dal punto di vista tossicologico i gelificanti non presentano particolari problemi. Gli emulsionanti rendono possibile la formazione o il mantenimento di una miscela omogenea di due o più fasi immiscibili, come olio e acqua, in un prodotto alimentare. Essi possono essere di origine naturale o sintetica e hanno un impiego vastissimo: vengono aggiunti in maionese, gelati, creme, cioccolato, margarina, polvere di latte e prodotti di pasticceria da forno. Tra gli emulsionanti naturali i più impiegati sono la lecitina, presente nel tuorlo d'uovo e nell'olio di soia, e i derivati degli acidi grassi (sali degli acidi grassi, monogliceridi, miscela di mono- e digliceridi degli acidi grassi). Gli esperti della FAO e dell'Organizzazione mondiale della sanità hanno ritenuto tali composti non pericolosi per la salute umana.
Tra gli additivi denominati 'ad azione varia' ricordiamo gli acidificanti, che aumentano l'acidità di un prodotto alimentare e conferiscono a esso un sapore aspro, e i correttori di acidità, che modificano e controllano l'acidità o l'alcalinità di un prodotto alimentare. Vengono normalmente aggiunti ai succhi di frutta, alle bevande gassate e non (acido citrico), ai prodotti dolciari, alle bevande analcoliche, agli sciroppi di frutta, alle salse e ai gelati (acido tartarico). Il fatto che la legge consente di utilizzarli in ragione di qualche g/l o secondo 'buona tecnica' lascia intuire che non sono pericolosi per l'organismo umano.Gli esaltatori di sapidità vengono definiti come sostanze che accentuano il sapore e la fragranza di un prodotto alimentare: il più conosciuto è sicuramente il monosodioglutammato, l'ingrediente principale del comune 'dado' da cucina. Il suo impiego è così vasto che non è qui possibile elencare tutti gli alimenti in cui è aggiunto, come per es., salatini, cracker, ripieni di paste alimentari, salse, preparazioni a base di carne.Bisogna ricordare infine gli agenti di rivestimento che, applicati alla superficie esterna di un alimento, conferiscono un aspetto brillante o forniscono un rivestimento protettivo. Per confetti e cioccolato è utilizzata per es. la cera carnauba, mentre la gomma arabica riveste prodotti di riso e mais soffiati e la cera d'api i pastigliaggi.
Tra gli additivi ad azione varia possono essere incluse anche alcune sostanze, come le vitamine, gli aminoacidi e alcuni sali, che aggiunti agli alimenti permettono di contrastare problemi dovuti alla loro carenza. L'esempio più tipico per l'Italia è l'aggiunta di iodio al sale da cucina al fine di prevenire e curare il gozzo, malattia ancora diffusa in alcune zone montane.
I coloranti alimentari sono da sempre soggetti a numerosi e approfonditi studi poiché considerati inutili ed eventualmente dannosi, ragione per cui quelli in uso sono senza dubbio sicuri. Negli anni Settanta è stato vietato l'uso alimentare di alcuni coloranti sintetici considerati pericolosi per la salute umana e ancora oggi alcuni composti sono sotto osservazione allo scopo di ottenere dati conclusivi che permettano di stabilire una DGA definitiva. I coloranti possono essere di origine naturale (xantofille, clorofille, carotenoidi) o sintetica (amaranto, azorubina, nero brillante) e vengono aggiunti in svariati alimenti e bevande per donare loro un aspetto caratteristico oltre che invitante. La scelta e la gradevolezza di un cibo sono determinate però anche dall'aroma. Da sempre, infatti, vengono utilizzate nelle preparazioni casalinghe di cibi sostanze in grado di esaltarne il sapore. La più nota è il sale da cucina, ma sono ampiamente diffuse anche erbe aromatiche quali prezzemolo, rosmarino e salvia. Con i progressi della chimica sono stati prodotti anche aromatizzanti di sintesi di cui un esempio è l'aroma di tartufo. Le definizioni e gli usi di tali aromatizzanti sono riportati nel d.m. 27 febbraio 1996, nr. 209.
Gli edulcoranti possono essere considerati additivi che permettono di ottenere alimenti destinati a consumatori che abbiano l'esigenza di limitare, per vari motivi, il consumo di zuccheri. Possono infatti essere utili nella dieta di soggetti diabetici, nelle diete ipocaloriche e nella prevenzione della carie. Sono composti a potere calorico ridotto o nullo e possono essere di origine sintetica o naturale. Tra i più noti sono compresi la saccarina, l'aspartame e lo xilitolo. Per alcuni di essi gli esperti del JEFCA hanno stabilito una DGA 'senza limite'.
Il coadiuvante tecnologico è una sostanza che non viene consumata come ingrediente alimentare in sé e che è volontariamente utilizzata nella trasformazione di materie prime, prodotti alimentari o loro ingredienti, per rispettare un determinato obiettivo tecnologico in fase di lavorazione o trasformazione; può dar luogo alla presenza non intenzionale, ma tecnicamente inevitabile, di residui di tale sostanza o di suoi derivati nel prodotto finito, a condizione che questi residui non costituiscano un rischio per la salute e non abbiano effetti tecnologici sul prodotto finito.Sono considerati coadiuvanti tecnologici i solventi utilizzati per l'estrazione degli oli o i chiarificanti e i demetallizzanti utilizzati nel settore delle bevande alcoliche. Anche alcuni additivi addensanti, gelificanti o emulsionanti possono essere classificati in questa categoria.
Secondo alcuni tossicologi americani (Kotsonis-Burdock-Flamm 1996, p. 917) possono essere considerati additivi molte sostanze che si ritrovano in un prodotto alimentare finito senza essere state aggiunte intenzionalmente. Si tratta di residui di sostanze utilizzate durante la produzione dell'alimento o di contaminanti accidentali. Si potrebbero quindi ritrovare nel prodotto finito tracce di contaminanti tecnologici o residui di fitofarmaci, utilizzati in agricoltura, o presidi veterinari (farmaci e ormoni) impiegati nell'allevamento degli animali da macello. Gli alimenti possono inoltre contenere contaminanti accidentali naturalmente presenti nel terreno o nell'atmosfera o derivanti da scarichi industriali. Esistono comitati internazionali che esaminano, anche per queste sostanze, gli effetti tossici e fissano le relative DGA.
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F.N. Kotsonis, G.A. Burdock, W.G. Flamm, Food toxicology, in Casarett and Doull's Toxicology. The basic science of poison, ed. C.D. Klaassen, New York, MacGraw-Hill Health Professions Division, 1996.