Abstract
Si fornisce la definizione di addizionali e quella di sovrimposte per poi individuare entro quali limiti il legislatore può ricorrere a tali istituti ed entro quali limiti l’interprete può avvalersi di tali categorie. Il lavoro si conclude con l’analisi di alcune specifiche ipotesi di addizionali e di sovrimposte, particolarmente interessanti per gli spunti di riflessione da esse offerti.
Essendo il presupposto di fatto del tributo, cioè quel fatto assunto dall’ordinamento ad indice dell’esistenza di una determinata capacità contributiva, un elemento centrale della fattispecie impositiva, esso vale in linea generale a distinguere tra loro i tributi presenti nel nostro ordinamento. È in base al presupposto di fatto del tributo ed alle regole di determinazione della base imponibile (cioè le regole che “misurano”, ai fini impositivi, il presupposto di fatto) che una determinata imposta assume una sua specificità sotto il profilo della capacità contributiva. Normalmente quindi, è il tipo di capacità contributiva assoggettata ad imposizione che consente di distinguere tra loro i diversi tributi (sul reddito, sul consumo, sul patrimonio ecc.).
Tuttavia, nel sistema tributario sono conosciute anche delle ipotesi di sovrapposizione di presupposti. Si tratta di casi in cui un medesimo presupposto viene preso in considerazione come elemento costitutivo anche di una fattispecie impositiva distinta rispetto al tributo base.
Nell’ambito di tali ipotesi si suole distinguere tra due categorie: le addizionali e le sovrimposte.
Si ha “addizionale” quando, sulla base imponibile di una determinata imposta, si prevede l’applicazione di un’ulteriore aliquota rispetto a quella già prevista per l’imposta principale.
Si ha invece “sovrimposta” quando presupposto e imponibile di un’imposta costituiscono anche presupposto e imponibile di un’altra (per tali definizioni si rinvia a Falsitta, G., Manuale di diritto tributario, pt. gen., Padova, 2010, 245). L’essere in presenza di un’imposta autonoma deriva, in questo caso, dal fatto che la sovrimposta ha una sua autonoma disciplina che ben può essere differente – salve appunto le regole sul presupposto e quelle sulla base imponibile – rispetto alla disciplina dell’imposta principale. Normalmente tale autonomia si manifesta nella diversità dei soggetti attivi ma può riguardare anche aspetti sostanziali della disciplina del tributo (Lorenzon, G., Sovrimposte e supercontribuzioni, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 231).
Prima di procedere con l’analisi è bene sottolineare che, tanto le addizionali quanto le sovrimposte, sono categorie concettuali che certamente svolgono una funzione importante per l’inquadramento di determinate fattispecie, ma che non debbono, in quanto tali, costituire un troppo rigido vincolo per l’interprete.
Si intende dire che potrebbero darsi delle ipotesi in cui una determinata norma si rispecchi solo in parte con le definizioni sopra offerte. Ciò non necessariamente significherebbe che le soluzioni che vengono offerte nella riflessione avente ad oggetto le predette categorie, non possano svolgere una loro utilità anche per le eventuali ipotesi non pienamente riconducibili ad esse.
D’altro canto, anche tale suggerimento non può essere accolto senza limiti. Talvolta si verificano delle forme più attenuate di dipendenza come quando elementi della struttura del tributo principale concorrono con altri fattori alla formazione della base imponibile del tributo dipendente (su tale ipotesi si veda Fedele, A., Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 177). In questi casi l’interprete dovrà valutare, in base ad un criterio “quantitativo”, di quanto ci si allontani rispetto all’ipotesi della sovrimposizione per comprendere se e fino a che punto sia utile (e legittimo) utilizzare le riflessioni svolte in tema di sovrimposte.
Con l’espressione «doppia imposizione giuridica» ci si riferisce, nel diritto tributario, all’ipotesi in cui venga assoggettato ad imposizione per due volte il medesimo presupposto di fatto del tributo (se il medesimo fenomeno si verifica per più di due volte, si parlerà di plurima imposizione).
Si tratta di un fenomeno che non si verifica nel caso delle addizionali nelle quali, come si è detto sopra, non vengono applicate due distinte imposte ad un medesimo presupposto, ma semplicemente si incrementa di una percentuale l’aliquota di un certo tributo.
Lo stesso non può essere affermato per le sovrimposte nella quali vi è appunto una sovrapposizione tra due imposte che colpiscono il medesimo presupposto di fatto. Si ha dunque, in questo caso, un’ipotesi di doppia imposizione seppure diversa da quella che si ha quando è la medesima imposta ad essere applicata due volte (come accade ad es. nella doppia imposizione internazionale). Si tratta dunque di una diversità che non consente di espungere la sovrimposizione dall’area della doppia imposizione (contra, Milone, A., La sovrimposizione nell’imposta sul reddito delle società, Napoli, 2012, 25-26). La definizione di doppia imposizione è quella generale che si è fornita sopra, e tale nozione è in grado di riferirsi anche alle sovrimposte.
La sovrimposizione dunque, propone tutti i dubbi che vengono sollevati con riguardo al tema generale della doppia imposizione giuridica. Si tratta in particolare di comprendere se il fenomeno della doppia imposizione sia in qualche modo vietato nel nostro ordinamento. Il quesito è di carattere costituzionale dal momento che, se un limite esiste per il legislatore, in questo caso non può che derivare dal principio di capacità contributiva (art. 53, co. 1, Cost.).
Se si ritenesse che dall’art. 53, co. 1, Cost. deriva il divieto, per il legislatore, di introdurre forme di doppia imposizione giuridica, tale divieto si tradurrebbe in quello di introdurre le sovrimposte.
Senza pretesa di affrontare approfonditamente il tema in questa sede, valga qui rilevare che la tesi secondo cui dall’art. 53, co. 1, Cost. derivi il divieto di doppia imposizione giuridica, seppure autorevolmente sostenuta (si veda per tutti, Berliri, A., Il testo unico delle imposte sui redditi, Milano, 1960, 13; Fedele, A., Appunti,cit., 183) non sembra trovare argomenti convincenti a suo sostegno. L’art. 53, co. 1, Cost. prevede infatti quale unico limite per il legislatore l’esigenza di assoggettare ad imposizione solo presupposti di fatto che denotino l’esistenza di una capacità contributiva. Se poi il legislatore sceglie di assoggettare ad imposizione un determinato fatto indice di capacità contributiva anziché attraverso un unico tributo, attraverso la combinazione di un tributo base e, ad esempio, di una sovrimposta, ciò rientra nella sfera di libertà di scelta del legislatore (sulla inesistenza di una divieto di doppia imposizione ricavabile dall’art. 53, co. 1, Cost. si veda Falsitta, G., Manuale, cit., 246, nota 18).
L’unico limite che potrà eventualmente porsi, ma sul punto si tornerà nel paragrafo successivo, è il divieto di superamento di un limite massimo all’imposizione.
Come si evince da quanto affermato nella parte finale del precedente paragrafo, un'altra questione che si pone nel diritto tributario è quella dell’esistenza di un divieto di superamento di un limite massimo all’imposizione. Ci si è chiesti cioè se il legislatore sia completamente libero, una volta che abbia individuato un presupposto di fatto del tributo e delle relative regole di determinazione della base imponibile, di agire sull’aliquota senza alcuna limitazione o se, invece, non incontri un limite di carattere quantitativo non potendo superare una certa soglia.
La ragione per cui si accenna in questa sede a tale questione è evidente. Tanto l’addizionale quanto la sovrimposta si scontrano inevitabilmente ‒ essendovi in entrambi i casi un aggravamento del prelievo su un medesimo presupposto ‒ con il tema del cd. limite massimo all’imposizione. Ovviamente, quand’anche un tale limite fosse considerato esistente (sul punto si tornerà tra breve), non è affatto scontato che laddove vi sia una addizionale o una sovrimposta tale limite debba considerarsi per ciò solo travalicato. Ben potrebbe essere l’imposizione complessiva (derivante dalla somma di quanto dovuto a titolo di imposta principale, da un lato, e a titolo di sovrimposta o addizionale, dall’altro lato) quantitativamente inferiore a quella di una singola imposta.
Tuttavia, come si diceva, gli istituti qui analizzati fanno emergere con forza il problema del limite massimo perché, in un ordinamento quale il nostro dove attualmente le aliquote delle imposte, (soprattutto dell’imposta sui redditi delle persone fisiche) sono già di per sé piuttosto elevate, introdurre un’addizionale o prevedere una sovrimposta significa aggravare (con riferimento al medesimo presupposto di fatto) l’imposizione che già con riguardo alla sola imposta principale potrebbe essere considerata vicina al limite massimo.
Non è questa la sede per affrontare approfonditamente il tema dell’esistenza di un limite massimo all’imposizione. Oltre a limitarci a segnalare che tale problema può porsi con riguardo alle addizionali ed alle sovrimposte possiamo comunque accennare al fatto che si tratta di un limite la cui esistenza non è così facilmente dimostrabile. Non pare affatto corretto l’argomento addotto da parte della dottrina secondo cui l’esistenza del limite massimo può essere dedotta dall’esistenza, tradizionalmente fatta discendere dall’art. 53, co. 1, Cost., di un limite minimo oltre il quale l’imposizione non può spingersi (cd. minimo vitale) (Falsitta, G., I divergenti orientamenti in Italia e in Germania sulla incostituzionalità delle imposte dirette che espropriano l’intero reddito del contribuente, in Riv. dir. trib., 2010, I, 159). A differenza di quanto sostenuto da tale dottrina, “limite minimo” e “limite massimo” non possono essere messi sullo stesso piano. Il principio del minimo vitale viene soddisfatto operando non sull’aliquota, ma sulla base imponibile. Tutelare il minimo vitale significa stabilire che una porzione di base imponibile non debba essere intaccata dall’imposta a prescindere da quale sia l’aliquota del tributo. Il tema del limite massimo attiene invece – di qui l’interesse che tale tema suscita in questa sede – all’individuazione dei limiti relativi all’aliquota. Se l’aliquota supera determinati limiti, si potrebbe incorrere nel divieto di superamento del limite massimo – laddove esso sia considerato esistente – anche se nello stesso tempo il legislatore si sia premurato di tutelare il minimo vitale.
Tornando agli istituti dell’addizionale e della sovrimposta, se si condivide quanto appena affermato, si deve ritenere che, laddove si ritenga esistente il divieto di superamento del limite massimo, di esso dovrà tenere conto il legislatore quando ricorra a tali istituti, anche nel caso in cui l’imposta principale preveda la non imponibilità di una porzione di base imponibile (tutela del minimo vitale).
Un’area del nostro ordinamento in cui tipicamente si ricorre sia all’istituto delle sovrimposte che a quello dell’addizionale è quella della finanza locale (cfr. D’Alessio, U., Sovrimposte, Nss. D. I., XVII, Torino, 1970, 1060; Manzoni, I.-Vanz, G., Il diritto tributario, Torino, 2007, 138). L’ipotesi è quella dell’ente locale che introduca una sovrimposta assumendo come imposta principale un’imposta erariale, oppure introduca un’addizionale su un’imposta erariale (sul tema si veda Amatucci, F., a cura di, Il nuovo sistema fiscale degli enti locali, Torino, 2008. Per i riferimenti normativi si veda l’art. 50 del d.lgs. 15.12.1997, n. 446 che ha istituito l’addizionale regionale IRPEF e l’art. 1 del d.lgs. 28.9.1998, n. 360 sulla addizionale comunale e provinciale IRPEF).
In questo caso si ripropongono naturalmente tutte le questioni già affrontate sopra relativamente all’esistenza di un divieto di doppia imposizione giuridica o di superamento del limite massimo (sul tema del cumulo tra tributo erariale e tributo locale si rinvia a Perrone, L., Appunti sulle garanzie costituzionali in materia tributaria, in Riv. dir. trib., 1997, I, 586 ss.; Fedele, A., Appunti, cit., 180 ss.).
Pertanto, se si ritiene ad esempio che discenda dall’art. 53, co. 1, Cost. un divieto di doppia imposizione giuridica, si dovrà coerentemente ritenere (come fa Fedele, A., op. cit., 183) che non sia concesso all’ente locale introdurre una sovrimposta (del resto se si aderisce a questa impostazione, la sovrimposta dovrà essere considerata sempre incostituzionale). Resta aperta in questo caso la possibilità dell’addizionale atteso che, come si è ricordato sopra, questa non si traduce nell’introduzione di un nuovo tributo e non comporta quindi problemi di doppia imposizione giuridica.
Se invece si dovesse ritenere esistente soltanto un divieto di superamento del limite massimo, si dovrà allora ammettere che sia possibile per l’ente locale avvalersi tanto dello strumento della sovrimposta, quanto di quello della addizionale, purché si tenga conto dell’imposizione complessiva che deriverà sommando l’imposta erariale con la sovrimposta o con l’addizionale dell’ente locale.
Resta naturalmente la possibilità che si ritenga che dall’art. 53, co. 1 Cost. non derivi né l’esistenza di un divieto di doppia imposizione giuridica né l’esistenza del divieto di superamento del limite massimo.
Tuttavia, affermare che il divieto non discende dalla Costituzione, non equivale ad affermare che il divieto non esiste affatto.
E così, la dottrina che si è occupata ex professo del tema del federalismo fiscale – nell’affrontare la questione successivamente alla modifica del titolo V della Costituzione – ha affermato che «la possibilità che le Regioni creino nuove imposte che abbiano gli stessi presupposti» delle imposte erariali sarebbe impedita dai «principi fondamentali di razionalità, di semplificazione e di unitarietà della finanza pubblica» (Gallo, F., Federalismo fiscale e ripartizione della basi imponibili tra Stato, Regioni ed enti locali,in Rass. trib., 2002, 2008). È questa una delle categorie di principi fondamentali desumibili «dall’ordinamento giuridico generale» cui le Regioni dovrebbero prestare osservanza nel caso in cui il legislatore statale dovesse omettere di individuarli con legge ordinaria (così ancora Gallo, F., Prime osservazioni sul nuovo art. 119 della Costituzione, in Rass. trib., 2002, 595 ss.). Se ben si interpreta il pensiero di tale Autore, i principi cui esso si riferisce (e a cui, quindi, si riferisce l’art. 119, co. 2, Cost.) sono i principi fondamentali desumibili (non dalla Costituzione ma) «dall’ordinamento giuridico statale» (Gallo, F., Prime osservazioni, cit., 596). Secondo questa impostazione quindi il divieto di doppia imposizione giuridica – qual è quello che si avrebbe in caso di sovrimposte regionali – va annoverato tra i principi fondamentali dell’ordinamento statale e non, quindi, tra i principi costituzionali qual è quello della capacità contributiva. Si tratta di una tesi assai rilevante ai fini della trattazione del tema delle sovrimposte in quanto da essa discende il divieto per le Regioni di introdurre sovrimposte, ma (escludendo che il divieto di doppia imposizione discenda dall’art. 53, co. 1, Cost.) sempre da essa discende anche la teorica possibilità di introdurre sovrimposte statali rispetto a tributi principali anch’essi statali.
Sul tema del rapporto Stato-Regioni è intervenuta la sentenza 24.4.2008, n. 102 della Corte costituzionale affermando che la normativa risultante dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione vieta alle Regioni a statuto ordinario, «in difetto di una legislazione statale sui principi fondamentali di coordinamento, di disciplinare tributi già istituiti da legge statale o di istituirne altri aventi lo stesso presupposto dei preesistenti tributi statali». Lo stesso limite, derivante appunto dal Titolo V della Parte II della Costituzione non opererebbe invece per le Regioni a statuto speciale per le quali lo statuto di autonomia è l’unico parametro applicabile nella specie.
Solo per le Regioni a statuto ordinario dunque, opera – in difetto di una legislazione statale sui principi fondamentali di coordinamento – un vero e proprio divieto di sovrapposizione rispetto ai tributi statali (sul punto si veda, per tutti, Fantozzi, A., a cura di, Diritto tributario, Torino, 2013, 158 ss.).
Al fine di colmare il vuoto normativo segnalato dalla Corte costituzionale è intervenuta la l. 5.5.2009, n. 42 che ha conferito la delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 Cost. (cfr. Gallo, F., I principi del federalismo fiscale, in Dir. prat. trib., 2012, I, 13 ss.). Per quanto qui interessa tale legge delega ha previsto, all’art. 2, co. 1, lett. q), la possibilità per la legge regionale di «1) istituire tributi regionali e locali; 2) determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che comuni, province e città metropolitane possono applicare» solo «con riguardo ai presupposti non assoggettati a imposizione da parte dello Stato» e, all’art. 2, co. 2, lett. o), la «esclusione di ogni doppia imposizione sul medesimo presupposto, salvo le addizionali previste dalla legge statale o regionale». Lo stesso legislatore esclude dunque che possa aversi una sovrimposta regionale che sia tale rispetto ad una imposta statale, mentre fa salva la possibilità di ricorrere all’istituto dell’addizionale. Ma, come osservato da attenta dottrina, il divieto di doppia imposizione non opera mai, essendo assorbito dalla regola che istituisce la riserva di presupposto. Tale regola resta dunque applicabile «nei rapporti fra più tributi regionali o fra tributi regionali e tributi locali» (Fransoni, G., Il presupposto dei tributi regionali e locali. Dal precetto costituzionale alla legge delega, in Riv. dir. trib., 2011, I, 282 ss.).
Non sarebbe di alcuna utilità ai nostri fini effettuare una rassegna completa delle singole sovrimposte e addizionali previste nel nostro ordinamento. Sennonché, al fine di comprendere meglio come tali istituti vengano utilizzati oggi e siano stati utilizzati in passato dal legislatore tributario, si rende opportuno analizzare brevemente alcune fattispecie di particolare interesse. Altre, pure particolarmente interessanti (si pensi alla cd. Robin Hood tax disciplinata dall’art. 81, commi da 16 a 18, del d.l. 25.6.2008, n. 112 convertito, con modificazioni, dalla l. 6.8.2008, n. 133), dovranno essere tralasciate per ragioni di spazio ma non è escluso che le riflessioni che si svolgeranno di seguito non possano essere in parte utilizzate anche per altre ipotesi di sovrimposte o addizionali (si rinvia comunque a Salvini, L., Nomen dei tributi e capacità contributiva, in L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva, a cura di L. Salvini e G. Melis, Padova, 2014, 67 ss. per l’indicazione di altre addizionali e per ulteriori riflessioni sui profili di carattere costituzionale).
Secondo parte della dottrina (Lorenzon, G., Sovrimposte, cit., 239), un’ipotesi di sovrimposizione piuttosto rilevante – seppure non più esistente nel nostro ordinamento – era stata realizzata con l’ILOR. In base all’art. 115 (in vigore fino al 31.12.1997) del d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (TUIR) infatti, il presupposto di tale imposta era «il possesso di redditi fondiari, di capitale, d’impresa e diversi prodotti nel territorio dello Stato, ancorché esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche o dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche». Oltre ad assoggettare ad imposizione il medesimo presupposto dell’IRPEF e dell’IRPEG (possesso del reddito), l’ILOR condivideva con tali tributi le regole di determinazione della base imponibile, come risulta dall’art. 118 TUIR (anch’esso nella versione in vigore fino al 31.12.1997).
Altra parte della dottrina aveva invece negato che l’ILOR potesse essere considerata una sovraimposta a causa della non perfetta coincidenza sia delle norme riguardanti il presupposto, sia delle regole di determinazione della base imponibile. È stato quindi osservato, per escludere che l’ILOR dovesse considerarsi una sovrimposta, che «la sovraimposizione postula identità di imponibile, mentre nell’ILOR la natura reale del tributo e la esclusione dal presupposto dei redditi di lavoro e dei redditi derivanti dalla partecipazione in società di ogni tipo e in enti soggetti ad Irpeg determina la non coincidenza dell’imponibile stesso rispetto alle predette imposte reali» (Miccinesi, M., Redditi (imposta locale sui), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 187).
Senza la pretesa di entrare nel merito di tale contrasto dottrinale (non più rilevante del resto, essendo l’ILOR un tributo non più esistente nel nostro ordinamento), torna qui ad assumere rilievo quanto affermato sopra. Quella di sovrimposta (al pari di quanto può dirsi per l’addizionale) è una categoria concettuale che non deve spingere l’interprete ad un atteggiamento eccessivamente rigido. Tra l’alternativa della perfetta coincidenza di presupposto e base imponibile, e quella di una totale non sovrapponibilità di due tributi, ben possono darsi delle ipotesi intermedie. Un tributo potrà dunque essere considerato sovrimposta anche se differisca in parte dal tributo principale. Spetterà all’interprete stabilire, volta per volta, quando le differenziazioni rispetto al tributo principale siano tali da non consentire più di considerare esistente il fenomeno della sovrimposizione. Ciò detto, in linea generale si può osservare se le due fattispecie sono per buona parte sovrapposte, salvo alcuni aspetti in cui si differenziano, potrebbe risultare eccessivo rinunciare a parlare di sovrimposta. Peraltro, nel caso dell’ILOR, che il presupposto fosse costituito anche dai redditi “esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche o dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche” non pare sufficiente per escludere la sovrimposizione in quanto l’esenzione, come è ben noto, non equivale all’esclusione, con la conseguenza che anche il presupposto nei cui confronti è prevista l’esenzione può considerarsi “presupposto del tributo”. L’esenzione presuppone che un determinato fatto sia presupposto di fatto del tributo, e su questa premessa la norma agevolativa interviene.
Queste considerazioni, suggerite dall’ILOR ma valide in via generale, assumono una loro importanza quando si pensi al tema della doppia imposizione, ed ai limiti sopra segnalati che le Regioni incontrano nell’introdurre sovrimposte che abbiano il medesimo presupposto di un’imposta erariale.
In questi casi non sarebbe condivisibile la tesi secondo cui, la pur minima differenza di disciplina ad es. della base imponibile, determini il venir meno del problema lasciando libera la Regione di prevedere un’imposta in larga parte sovrapposta a quella statale.
Un caso particolarmente interessante di addizionale esistente attualmente nel nostro ordinamento è la cd. porno tax, introdotta dall’art. 1, co. 466, l. 23.12.2005, n. 266. Secondo quanto stabilito dalla norma si tratterebbe di una «addizionale alle imposte sul reddito dovuta dai soggetti titolari di reddito di impresa e dagli esercenti arti e professioni, nonché dai soggetti di cui all'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi». La peculiarità di tale addizionale è che essa non si applica sull’intera base imponibile, ma solo sulla parte di reddito netto proporzionalmente corrispondente ai ricavi o compensi derivanti dalla produzione, distribuzione, vendita e rappresentazione di materiale pornografico e di incitamento alla violenza (in base all’art. 31, co. 3, primo periodo del d.l. 29.11.2008, n. 185 a tali attività si sono poi aggiunte le trasmissioni televisive aventi il medesimo contenuto e le trasmissioni televisive volte a sollecitare la credulità popolare). Ciò ha indotto parte della dottrina ad escludere che ci si trovi in presenza di una vera e propria addizionale (Milone, A., Sulla legittimità costituzionale della “addizionale” alle imposte sui redditi ex art. 1, co. 466, L. n. 266/2005, in Rass. trib., 2010, 1269).
Certo è che, sia che la si consideri un’addizionale, sia che si ritenga che ci si trovi in presenza di un tributo autonomo, i problemi che tale addizionale presenta risultano sempre i medesimi. In particolare, il fatto che essa gravi solo sul reddito prodotto da determinate attività pone il problema – su cui non possiamo intrattenerci in questa sede – della eventuale violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.). Tanto più tale problema è accentuato dal fatto che l’aliquota della addizionale in parola è del 25 per cento e dunque aggrava il prelievo fiscale in modo decisamente elevato.
Inoltre, un’addizionale con una aliquota così elevata presenta con forza il problema, di cui si è parlato sopra, dell’eventuale superamento del limite massimo all’imposizione.
Tornando al primo dei due profili di criticità della disciplina, quello relativo al rispetto del principio di uguaglianza, è interessante sottolineare che evidentemente per il legislatore la giustificazione di una tale previsione normativa è di carattere etico. Si tratterebbe dunque di comprendere come possa, una scelta di carattere etico compiuta dal legislatore ordinario, comportare così rilevanti discriminazioni (che incidono su un principio costituzionale, quale è quello sancito dall’art. 3 Cost.) tra diversi operatori economici i quali, è bene sottolinearlo, agiscono tutti nello svolgimento di attività non vietate dall’ordinamento. Pur non potendo essere approfondito il tema in questa sede, va sottolineato che l’unico modo di considerare non incostituzionale tale addizionale, sarebbe quello di ravvisare nell’ambito della stessa Costituzione dei principi in grado di giustificare la discriminazione in parola (Milone, A., Sulla legittimità costituzionale,cit.,1256 sembrerebbe ravvisarli nella «tutela del progresso materiale e spirituale della società, ex art. 4; promozione dello sviluppo culturale, ex art. 9; tutela del buon costume, ex art. 21; tutela della famiglia, ex art. 29; tutela dell’infanzia e della gioventù, ex art. 31; tutela della salute, ex art. 32; garanzia di un’esistenza libera e dignitosa della persona e della famiglia, ex art 36»).
Assaimeno criticabile sul piano della conformità ai principi costituzionali, rispetto alla cd. porno tax, risulta essere la cd. addizionale (ma diremo tra poco che non si tratta di un’addizionale) prevista per le cd. società di comodo dall’art. 2, co. 36 quinquies del d.l. 13.8.2011, n. 138 (conv. con modificazioni dalla l. 14.9.2011, n. 148). Tale disposizione prevede un inasprimento dell’aliquota sull’imposta dovuta da tali società del 10,5 per cento. In primo luogo si deve rilevare che, come si è appena accennato, non siamo in presenza di una addizionale in quanto l’imposta sulle società di comodo, formalmente considerata dal legislatore come imposta sul reddito, è in realtà una imposta sul patrimonio delle società stesse ed è dunque un tributo autonomo rispetto all’IRES (per una dimostrazione di tale assunto si rinvia a Peverini, L., Società di comodo e imposta patrimoniale: il contrasto all’utilizzo distorto della forma societaria, in Giur. comm., 2013, I, 260 ss.). L’art. 2, co. 36 quinquies del d.l. n. 138/2011, lungi dall’introdurre un’addizionale, si limita pertanto a prevedere che l’aliquota dell’imposta patrimoniale sulle società di comodo debba essere di 10,5 punti percentuali maggiore di quella dell’IRES.
In ogni caso, se anche si ritenesse di essere in presenza di un’addizionale, i dubbi sulla violazione del principio di uguaglianza (conseguenti al fatto che solo nei confronti delle società di comodo si applica tale maggiorazione di aliquota) dovrebbero essere facilmente superabili potendo il legislatore considerare (e trattare di conseguenza come) non omogenee, la situazione in cui si trova la società che svolge un’attività economica da quella in cui si trova la società che svolge un’attività di mero godimento (è necessario sul punto rinviare ancora a Peverini, L., Società di comodo, cit., 260 ss).
Art. 3, co. 1, Cost.; art. 53, co. 1, Cost; art. 119, co. 2, Cost.; l. 5.5.2009, n. 42; art. 1, co. 466, l. 23.12.2005, n. 266; art. 50, d.lgs. 15.12.1997, n. 446; art. 1, d.lgs. 28.9.1998, n. 360; art. 2, co. 36 quinquies, d.l. 13.8.2011, n. 138 (conv. con modificazioni dalla l. 14.9.2011, n. 148).
Amatucci, F., a cura di, Il nuovo sistema fiscale degli enti locali, Torino, 2008; Berliri, A., Il testo unico delle imposte sui redditi, Milano, 1960; D’Alessio, U., Sovrimposte, Nss. D.I., XVII, 1970, 1060; Falsitta, G., I divergenti orientamenti in Italia e in Germania sulla incostituzionalità delle imposte dirette che espropriano l’intero reddito del contribuente, in Riv. dir. trib., 2010, I, 159; Falsitta, G., Manuale di diritto tributario, pt. gen., Padova, 2010; Fantozzi, A., a cura di, Diritto tributario, Torino, 2013; Fedele, A., Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005; Fransoni, G., Il presupposto dei tributi regionali e locali. Dal precetto costituzionale alla legge delega, in Riv. dir. trib., 2011, I, 282 ss.; Gallo, F., Federalismo fiscale e ripartizione della basi imponibili tra Stato, Regioni ed enti locali, in Rass. trib., 2002, 2008; Gallo, F., Prime osservazioni sul nuovo art. 119 della Costituzione, in Rass. trib., 2002, 595 ss.; Gallo, F., I principi del federalismo fiscale, in Dir. prat. trib., 2012, I, 13 ss.; Lorenzon, G., Sovrimposte e supercontribuzioni, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990; Manzoni, I.-Vanz, G., Il diritto tributario, Torino, 2007, 138; Miccinesi, M., Redditi (imposta locale sui), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988; Milone, A., La sovrimposizione nell’imposta sul reddito delle società, Napoli, 2012; Milone, A., Sulla legittimità costituzionale della “addizionale” alle imposte sui redditi ex art. 1, comma 466, L. n. 266/2005, in Rass. trib., 2010; Perrone, L., Appunti sulle garanzie costituzionali in materia tributaria, in Riv. dir. trib., 1997, I, 586 ss.; Peverini, L., Società di comodo e imposta patrimoniale: il contrasto all’utilizzo distorto della forma societaria, in Giur. comm., 2013, I, 260 ss.; Salvini, L., Nomen dei tributi e capacità contributiva, in L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva, a cura di L. Salvini e G. Melis, Padova, 2014, 67 ss.