Addome
L'addome, che costituisce la parte inferiore del tronco, interposta tra torace e bacino, è una cavità splancnica (dal greco σπλάγχνον, "viscere") che contiene visceri rivestiti da una membrana sierosa, il peritoneo. A seconda del loro rapporto con il peritoneo, i visceri addominali si distinguono in intraperitoneali e retroperitoneali. I primi, completamente rivestiti dal peritoneo nella loro superficie esterna, si trovano entro la cavità peritoneale; i secondi sono localizzati nella parte posteriore dell'addome, dietro il peritoneo parietale. La forma dell'addome varia a seconda del tipo costituzionale, dell'età, del sesso e dello stato nutrizionale, nonché in rapporto ad alcune affezioni. Nel bambino, l'addome è proporzionalmente più voluminoso e globoso; nella donna è conico, con base inferiore, a causa della maggiore ampiezza del bacino.
Regioni dell'addome
L'addome è separato dal torace dalla linea toracoaddominale. Tale linea inizia anteriormente in corrispondenza della base dell'apofisi ensiforme dello sterno, prosegue lateralmente sfiorando l'arcata costale e il margine inferiore della dodicesima costa, per terminare sull'apice del processo spinoso della dodicesima vertebra dorsale. Il confine divisorio con il bacino è rappresentato dalla linea addominopelvica, che, partendo dalla sinfisi pubica, decorre lungo il margine superiore del pube, la piega inguinale e la cresta iliaca, per terminare posteriormente in corrispondenza dell'ultima vertebra dorsale. Sulla parete dell'addome si possono tracciare delle linee convenzionali, alcune delle quali sono di estremo interesse clinico. Per quanto riguarda la parete anteriore, si possono tracciare sei linee ideali: due linee ortogonali passanti per la cicatrice ombelicale, una verticale, la xifopubica (dall'apofisi ensiforme, o processo xifoide, dello sterno alla sinfisi pubica), e l'altra orizzontale, la ombelicale trasversa, consentono di indicare una prima suddivisione dell'addome in quattro quadranti, due superiori, destro e sinistro, e due inferiori, destro e sinistro. Le altre quattro linee, due verticali e due orizzontali, consentono una divisione della parete addominale più dettagliata. Le due linee verticali sono tracciate, per ogni lato, dal punto di mezzo della clavicola al tubercolo pubico; le due orizzontali sono la sottocostale, che sfiora l'arcata costale, e la bispinoiliaca, che unisce le spine iliache anteriori superiori. Queste quattro linee permettono di suddividere la parete addominale in nove settori, tre superiori, tre medi e tre inferiori, le cui pareti laterali, anteriore e posteriore, sono le pareti addominali stesse. I tre superiori sono l'ipocondrio destro, l'epigastrio e l'ipocondrio sinistro; i tre medi sono il fianco destro, il mesogastrio e il fianco sinistro; i tre inferiori sono la fossa iliaca destra, l'ipogastrio e la fossa iliaca sinistra.
La parete anterolaterale dell'addome è costituita dal piano cutaneo, dal sottocutaneo con gli organi superficiali, dallo strato muscolomembranoso e, infine, dalla fascia trasversale, dal connettivo preperitoneale e dalla sierosa peritoneale parietale anterolaterale. La cute è sottile e, inferiormente, nella regione del pube, è ricoperta da peli; il sottocutaneo ha spessore variabile in rapporto al sesso, al tipo costituzionale e alla condizione del soggetto. Nel tessuto connettivo sottocutaneo, particolarmente importante appare la rete venosa, che forma, intorno alla cicatrice ombelicale, un fitto intreccio di anastomosi tra il sistema della vena cava superiore e il sistema della vena cava inferiore. Profondamente al sottocutaneo, la parete anterolaterale dell'addome è costituita da muscoli ricoperti da robuste fasce. Anteriormente sono situati i muscoli retti, che si estendono dall'arcata costale al pube. Lateralmente a essi si dispongono tre muscoli larghi sovrapposti, che dall'esterno all'interno sono: l'obliquo esterno, l'obliquo interno e il trasverso; anteriormente e in prossimità dei muscoli retti, questi tre muscoli continuano con robuste aponeurosi, che, avvolgendo i muscoli retti stessi, ne formano la guaina. Sulla linea mediana dell'addome, le tre aponeurosi si fondono insieme per costituire un cordone fibroso chiamato linea alba. Inferiormente, l'aponeurosi dell'obliquo esterno va a fissarsi sulla spina iliaca anteriore superiore, lateralmente, e sulla spina del pube, medialmente, costituendo il legamento inguinale. Superiormente al legamento inguinale, nello spessore della parete, è situata una fessura denominata canale inguinale. Tale canale, che mette in comunicazione la cavità addominale con il sottocutaneo della parete stessa, è delimitato in basso dal legamento inguinale, in alto dal margine inferiore dei muscoli piccolo obliquo e trasverso, anteriormente dall'aponeurosi dell'obliquo esterno e posteriormente dalla fascia trasversale, e contiene nell'uomo il funicolo spermatico con il deferente, e nella donna il legamento rotondo dell'utero. La parete posteriore dell'addome è costituita internamente dai rilievi dei corpi vertebrali lombari, sulla linea mediana, e dai muscoli psoas e quadrato dei lombi, sui lati. Su questi muscoli decorrono, in parte, i nervi che derivano dal plesso lombare.
Gli organi contenuti nell'addome sono rivestiti da una membrana sierosa, il peritoneo, che è la più estesa del corpo umano (circa 1700 cm2) e suddivide la cavità addominale in spazi, logge e recessi. Il peritoneo è una lamina continua che può essere distinta in due porzioni: il peritoneo parietale, che riveste la superficie interna della parete addominale, e il peritoneo viscerale, che riveste più o meno completamente la superficie degli organi. Il peritoneo forma inoltre particolari strutture, i mesi, i legamenti e gli epiploon, che uniscono gli organi stessi alla parete o tra di loro. I mesi uniscono gli organi cavi alla parete addominale, i legamenti collegano gli organi pieni alla parete addominale e gli epiploon connettono due o più organi tra loro. Nel determinare il rivestimento degli organi e la formazione di mesi, legamenti ed epiploon, il peritoneo suddivide la cavità peritoneale (intendendo per cavità peritoneale quella parte della cavità addominale delimitata dal peritoneo parietale) in una porzione superiore, o spazio sopramesocolico, contenente lo stomaco, il fegato e la milza, e in uno spazio sottomesocolico, che contiene l'intestino tenue e l'intestino crasso. Il peritoneo parietale, infine, delimita con le pareti addominali spazi che rimangono al di fuori della cavità peritoneale e contengono organi che vengono indicati, per la loro posizione, come retroperitoneali o sottoperitoneali. Con la parete addominale posteriore, esso circoscrive infatti lo spazio retroperitoneale, in cui si trovano organi vascolari e, soprattutto, organi dell'apparato urinario. Con il pavimento pelvico, invece, delimita lo spazio sottoperitoneale, in cui sono situati alcuni organi degli apparati urinario e genitale. A livello dello spazio sopramesocolico, il peritoneo, nel rivestire gli organi contenuti nello spazio stesso, definisce una fessura virtuale, che viene a essere compresa tra il fegato in alto e a destra, la milza a sinistra, lo stomaco in avanti e il colon trasverso in basso. Tale spazio, a cui è attribuito il nome di retrocavità degli epiploon, è praticamente chiuso, avendo come unico accesso il foro epiploico di Winslow, disposto sagittalmente a destra, al di sotto del fegato.
Lo stomaco è un organo cavo che fa parte dell'apparato digerente; è disposto tra l'esofago in alto e il duodeno in basso ed è contenuto nello spazio sopramesocolico della cavità peritoneale. Esso è avvolto quasi completamente dal peritoneo per mezzo di due lamine, una anteriore e l'altra posteriore, che formano inoltre pieghe di unione con i visceri vicini. Si presenta come una dilatazione sacciforme del canale alimentare; forma e dimensioni variano in rapporto al tipo costituzionale, al sesso e allo stato di riempimento gastrico. Solitamente, ha una lunghezza di 25 cm e una capacità media di 1300 cm3. Nello stomaco si possono distinguere: una faccia anteriore, in corrispondenza dell'ipocondrio sinistro, dell'epigastrio e della faccia viscerale del lobo sinistro del fegato; una faccia posteriore, che è rivolta verso la retrocavità degli epiploon ed è disposta davanti al corpo e alla coda del pancreas; due margini, uno destro o piccola curvatura, interamente coperto dal fegato, e uno sinistro o grande curvatura, che è situato in corrispondenza della milza e in basso del colon trasverso. L'orifizio superiore di comunicazione con l'esofago, o cardias, è segnato sulla superficie esterna del viscere dalla incisura cardiale; quello inferiore di comunicazione con il duodeno, o piloro, da un solco anulare, il solco pilorico. Convenzionalmente, lo stomaco viene suddiviso in tre porzioni: il fondo, il corpo e l'antro pilorico. La sua superficie interna è rivestita da un epitelio di tipo cilindrico, che in superficie mostra caratteristici microvilli e presenta inoltre grossi rilievi intervallati da depressioni, le fosse e le fossette gastriche, nel fondo delle quali si aprono le ghiandole gastriche. Queste sono di due tipi: le ghiandole cardiali, a secrezione ormonale, e le ghiandole gastriche propriamente dette (circa 15 milioni), che con i loro quattro tipi cellulari secernono muco (cellule del colletto), zimogeno, pepsinogeno e renina (cellule principali), fattore intrinseco e acido cloridrico (cellule parietali), nonché gastrina, istamina e serotonina (cellule di tipo endocrino). Lo stomaco è irrorato dalle arterie gastriche e gastroepiploiche che derivano direttamente o indirettamente dall'arteria celiaca.
Allo stomaco fa seguito il duodeno, che è la prima ansa dell'intestino tenue, cioè di quella parte del canale alimentare che va dallo stomaco all'intestino crasso. Il duodeno ha la forma di una C con la concavità rivolta verso la colonna vertebrale, sul lato destro di questa, all'altezza della prima e della seconda vertebra lombare. Lungo circa 24 cm, è suddiviso in quattro porzioni: superiore, discendente, inferiore, ascendente. Esso termina a livello del lato sinistro della seconda vertebra lombare, continuando nel digiuno. A livello della seconda porzione, sulla sua parete mediale, riceve lo sbocco dei dotti pancreatici e del coledoco. Il dotto pancreatico minore termina nella papilla minore, sotto la quale si trova un rilievo di maggiori dimensioni, la papilla maggiore, in cui vanno a sfociare il dotto pancreatico maggiore o di Wirsung e il coledoco; quando i due dotti escretori si aprono assieme, si forma una piccola cavità interna alla papilla, detta ampolla duodenale o di Vater. Con la sua concavità, il duodeno circonda la testa del pancreas. La sua faccia posteriore poggia sulla loggia renale. Anteriormente è rivestito dal peritoneo; la sua prima porzione è coperta dal fegato e contrae rapporti anche con la colecisti.
La funzione dello stomaco è quella di immagazzinare temporaneamente il cibo che a esso perviene a seguito della deglutizione e di immetterlo in piccole quantità nel duodeno, dopo una parziale digestione. Il grado di digestione nello stomaco è alquanto limitato: in quest'organo, i grossi pezzi di alimenti deglutiti vengono rimescolati e impastati con il succo gastrico, fino a ottenere una mistura costituita da liquidi e cibo semidigerito, detta chimo. Poco tempo dopo l'ingresso del cibo nello stomaco, e quando è stata prodotta una quantità sufficiente di succo gastrico, dal fondo del viscere originano contrazioni ritmiche, dette onde peristaltiche, che si propagano fino al piloro. Inizialmente queste onde di contrazione, che insorgono all'incirca ogni 20 s, sono di debole intensità e servono a mescolare il cibo con il succo gastrico (onde di rimescolamento). Successivamente, le onde peristaltiche divengono più vigorose e, nella regione antrale, forzano il chimo contro lo sfintere pilorico, costringendo una piccola quantità di materiale a passare nel duodeno. La maggior parte del chimo contenuto nell'antro refluisce invece nel corpo dello stomaco, per essere ulteriormente rimescolato. Il quantitativo di chimo che viene immesso dallo stomaco nel duodeno dipende soprattutto dalla sua composizione chimica: i glucidi determinano un rapido svuotamento gastrico, mentre i cibi ricchi di lipidi inibiscono la motilità dello stomaco, ritardandone considerevolmente lo svuotamento (4 o più ore); gli alimenti ricchi di proteine hanno un'azione intermedia. La velocità di svuotamento gastrico viene controllata da meccanismi nervosi riflessi e da mediazioni ormonali, che intervengono prevalentemente quando il chimo viene sospinto nel duodeno. Il succo gastrico, prodotto nell'uomo in quantità di circa 2 l al giorno, è costituito da una soluzione di muco, enzimi proteolitici (pepsine), acido cloridrico e fattore intrinseco. L'acido cloridrico, prodotto dalle cellule parietali (cellule ossintiche) delle ghiandole gastriche, svolge numerose funzioni utili per la digestione. L'acidità del succo gastrico agisce denaturando le proteine, fino alla formazione di molecole solubili; essa ha inoltre un'azione disinfettante nei confronti dei batteri e di altri microrganismi presenti nel cibo ingerito. Un'altra funzione è quella di attivare gli enzimi del succo gastrico, promuovendo la conversione dei pepsinogeni in pepsine. Infine, l'acidità del succo gastrico svolge un'attività regolatrice: essa stimola la produzione di ormoni duodenali che controllano lo svuotamento gastrico, la liberazione della bile e la secrezione pancreatica. Sebbene nel succo gastrico vi siano numerosi tipi di enzimi, i soli ad avere efficacia digestiva sono gli enzimi proteolitici denominati pepsine. Essi sono secreti dalle cellule principali (cellule peptiche) delle ghiandole gastriche e agiscono sulle proteine, dando luogo alla formazione di frammenti proteici più piccoli, detti peptidi. Probabilmente questa azione non è cruciale per la digestione proteica, in quanto altri enzimi proteolitici prodotti dal pancreas svolgono un'azione analoga. Le pepsine sono secrete in forma inattiva, i pepsinogeni, che vengono convertiti in forma attiva sia dall'acido cloridrico sia dalla stessa pepsina neoformata, la quale agisce con meccanismo autocatalitico. Il muco viene prodotto dalle cellule del colletto delle ghiandole gastriche (cellule mucipare) e, oltre ad avere proprietà lubrificanti analoghe a quelle del muco salivare, si distribuisce sulla superficie della mucosa gastrica, formando un rivestimento protettivo contro l'azione corrosiva dell'acido cloridrico presente nel succo gastrico. L'erosione di questo strato protettivo può determinare, in concomitanza con altri fattori, la formazione di ulcere. La mucosa gastrica secerne altresì il fattore intrinseco, una proteina che ha la funzione di combinarsi con la vitamina B₁₂ per facilitarne l'assorbimento nell'intestino tenue.
Il pancreas è una ghiandola a secrezione sia interna sia esterna; è disposto trasversalmente nello spazio retroperitoneale, a livello della seconda vertebra lombare, che incrocia. Ha una lunghezza di circa 20 cm e un peso di circa 70 g. Di colore bianco-grigiastro, o roseo quando è in stato di intensa attività, è costituito da una testa, accolta nella concavità del duodeno, un corpo, che incrocia la colonna vertebrale, e una coda, che raggiunge l'ilo della milza. Il pancreas esocrino è una ghiandola a secrezione sierosa di tipo tubuloacinoso. Le cellule di questa ghiandola producono il succo pancreatico, composto di numerosi enzimi deputati alla digestione dei vari nutrienti. Il pancreas endocrino è costituito da gruppi di cellule detti isole di Langerhans, secernenti ormoni, importanti soprattutto per la regolazione del metabolismo dei glucidi.
1.
Circa il 99% della massa del pancreas è costituito da strutture (acini e dotti pancreatici) deputate alla funzione digestiva. Tale componente esocrina produce due tipi di secrezioni: una, sintetizzata dagli acini pancreatici, è una soluzione contenente un gran numero di enzimi idrolitici in grado di demolire molte delle grandi molecole organiche presenti nei cibi; l'altra, prodotta dalle cellule dei dotti, contiene una forte concentrazione di bicarbonato di sodio. Tali secreti sono riversati in piccoli dotti, la cui confluenza dà origine al dotto pancreatico, che sbocca nel lume del duodeno. Gli enzimi del succo pancreatico agiscono su lipidi, proteine e glucidi. In analogia con quanto avviene nello stomaco, molti di questi enzimi sono secreti in forma inattiva (proenzimi) e vengono successivamente attivati nel duodeno a opera di altri enzimi ivi presenti. La secrezione di enzimi in forma inattiva è indispensabile, in quanto essi potrebbero in breve tempo, data la loro efficacia, digerire le stesse strutture pancreatiche durante il loro trasporto dalle cavità degli acini al lume intestinale. La presenza di bicarbonato di sodio nel succo pancreatico consente a quest'ultimo di neutralizzare l'elevata acidità del chimo proveniente dallo stomaco. La riduzione dell'acidità del contenuto duodenale presenta due aspetti positivi: diminuisce gli effetti nocivi dell'acido cloridrico sulla mucosa duodenale e rende inoltre l'ambiente duodenale sufficientemente alcalino, così da consentire l'attivazione degli enzimi pancreatici e intestinali.
2.
La componente endocrina del pancreas è costituita da circa 2 milioni di piccoli agglomerati di cellule, denominati isole di Langerhans, sparsi nella ghiandola tra le formazioni acinose. Nelle isole sono stati identificati tre principali tipi di cellule secernenti diversi tipi di ormoni: le cellule A (15-20% del totale), che producono l'ormone glucagone; le cellule B, le più numerose (70-75%), che producono l'ormone insulina; le cellule D, il cui numero è relativamente ridotto (2-5%) e che secernono l'ormone somatostatina. Tra i prodotti della secrezione interna della ghiandola vi è anche il polipeptide pancreatico, ormone che viene liberato dalle cellule PP. L'insulina e il glucagone regolano il metabolismo dei glucidi e assicurano il mantenimento nel sangue di una concentrazione ottimale del glucosio (glicemia). A digiuno, il valore normale della glicemia è di 80 mg/dl di sangue. L'insulina, facilitando il trasporto del glucosio attraverso le membrane cellulari, ne aumenta l'utilizzazione da parte delle cellule; essa agisce pertanto come ormone ipoglicemizzante, cioè in grado di diminuire la glicemia. La funzione del glucagone, invece, è quella di mobilizzare il glucosio immagazzinato nel fegato. Così facendo, il glucagone agisce come ormone iperglicemizzante, cioè è in grado di aumentare la glicemia. La secrezione di insulina e di glucagone è regolata dalla concentrazione glicemica. Gli aumenti della glicemia, quali abitualmente si verificano dopo i pasti, vengono rilevati dalle cellule B, che agiscono incrementando la secrezione di insulina: l'effetto ipoglicemizzante di questo ormone contribuisce a ristabilire la normale glicemia. Lo stimolo primario per la secrezione di glucagone, al contrario, è costituito dalla diminuzione della normale glicemia; ciò avviene abitualmente nell'intervallo tra i pasti, oppure nel digiuno; la riduzione del livello di glucosio ematico, rilevato dalle cellule pancreatiche A, determina un aumento della secrezione di glucagone e, di conseguenza, una maggiore immissione di glucosio nel sangue. Sebbene gli effetti dell'insulina e del glucagone siano antitetici, l'azione di questi ormoni deve essere considerata complementare e appare finalizzata a una più precisa regolazione del metabolismo glucidico. La somatostatina, ormone secreto anche dai neuroni ipotalamici, è un potente inibitore della secrezione di insulina e di glucagone. Il suo meccanismo di azione non è stato ancora precisato, ma le particolari relazioni anatomiche esistenti tra cellule A, B e D hanno fatto ipotizzare che i tre ormoni pancreatici abbiano la capacità di influenzarsi reciprocamente mediante effetti locali. La somatostatina agisce inoltre sul tratto intestinale, diminuendo la velocità di assorbimento di tutti gli alimenti. Tale azione sembra essere finalizzata alla prevenzione di un troppo rapido sovraccarico ematico di elementi nutritivi.
1.
Il fegato è una ghiandola annessa all'apparato digerente, preposta all'elaborazione della bile, che fluisce nelle vie biliari extraepatiche e si versa nel duodeno facilitando l'emulsione dei grassi e la loro digestione. Il fegato inoltre svolge la funzione di deposito di gran parte dei metaboliti assorbiti a livello intestinale, regolandone l'immissione nel sangue. Infine ha la funzione di sintetizzare varie proteine e di neutralizzare ed eliminare ormoni, farmaci e sostanze tossiche. Il fegato è situato nella cavità addominale, al di sotto del diaframma, più precisamente nella regione sopramesocolica destra dello spazio peritoneale. Sulla superficie anteriore del corpo si proietta nell'ipocondrio destro, nell'epigastrio e, in parte, nell'ipocondrio sinistro. Individualmente inteso, il fegato è il più grosso degli organi viscerali del corpo umano, con un peso di circa 1500 g nell'uomo e 1400 nella donna; tali valori sono calcolati nel cadavere, per cui nel vivente a questo peso va aggiunto quello del sangue che circola nell'organo, pari a 400-800 g. Il suo parenchima ha un tipico colore rosso-brunastro e una consistenza notevole, nonostante sia facilmente modellabile dagli organi circostanti. La forma dell'organo è complessa e mal definibile geometricamente; esso, comunque, presenta una faccia anterosuperiore o diaframmatica, e una posteroinferiore o viscerale, divise da due margini: un margine inferiore e anteriore, tagliente, e uno posteriore, arrotondato e convesso.
La faccia diaframmatica presenta un lungo solco, il solco sagittale superiore, che la divide in due lobi: uno destro, che risulta molto più esteso, e uno sinistro, che è più piccolo e grossolanamente triangolare. Tramite il muscolo diaframma, cui aderisce strettamente in alcuni punti, la faccia diaframmatica del fegato è in rapporto con la base polmonare e la pleura di destra, nonché con il pericardio e con la faccia inferiore e l'apice del cuore. Inoltre, nella regione epigastrica è in contatto diretto con la parete anteriore dell'addome. La faccia viscerale dell'organo è più complessa, e si modella strettamente sugli organi vicini. Essa presenta tre solchi, sagittale sinistro, trasverso e sagittale destro, uniti tra loro a forma di H, che individuano quattro lobi: il sinistro e il destro, rispettivamente a sinistra del solco sagittale sinistro e a destra del solco sagittale destro; il lobo quadrato, posto anteriormente al solco trasverso, tra i due solchi sagittali; infine, il lobo caudato, situato posteriormente al solco trasverso. Nel solco sagittale sinistro si trovano, anteriormente, il legamento rotondo del fegato e, posteriormente, il residuo fibroso del dotto venoso di Aranzio, vasi appartenenti alla circolazione fetale e obliterati dopo la nascita.
Il solco sagittale destro accoglie, in avanti, la cistifellea e, posteriormente, la vena cava inferiore, che qui, a stretto contatto con il parenchima, riceve lo sbocco delle vene epatiche. Nel solco trasverso, che rappresenta l'ilo dell'organo, è situato l'ingresso, o l'uscita, degli elementi costitutivi del peduncolo epatico: la vena porta e l'arteria epatica, con le loro diramazioni; le vie biliari extraepatiche, costituite dai dotti epatici destro e sinistro, confluenti nel dotto epatico comune; i nervi diretti al fegato; i vasi linfatici e i linfonodi dell'ilo epatico. La faccia viscerale del fegato si modella sugli organi sottostanti con cui contrae rapporto: con lo stomaco e l'esofago addominale, a sinistra; con la regione pilorica e il duodeno, a livello del lobo quadrato; con i pilastri diaframmatici, la vena cava inferiore e la regione celiaca, a livello del lobo caudato; con il surrene, il rene e la flessura destra del colon, a destra.
Il fegato è rivestito in larghissima parte dalla sierosa peritoneale, la quale in alcuni punti si solleva in pliche. Queste, essendo dirette verso gli altri visceri o verso la parete dell'addome, vanno a formare i legamenti del fegato: il legamento coronario, tra il margine posteriore dell'organo e il diaframma (al suo interno si riscontra un'ampia area, detta area nuda, in cui il fegato, privo di rivestimento peritoneale, si pone in diretto contatto con il muscolo diaframma); i legamenti triangolari, destro e sinistro, i quali prolungano ai lati il legamento coronario; il legamento falciforme, teso tra la parete anteriore dell'addome e la superficie diaframmatica dell'organo; il legamento rotondo, che è posto alla base di quello falciforme, tra la cicatrice ombelicale e il solco sagittale sinistro, e rappresenta il residuo fibroso della vena ombelicale; il piccolo omento (o epiploon), teso dal solco trasverso alla piccola curvatura dello stomaco (pars flaccida) e alla prima porzione duodenale (pars densa, in cui decorrono gli elementi del peduncolo epatico); i legamenti epatorenale ed epatocolico, dalla faccia inferiore del lobo destro alla parete posteriore dell'addome e alla flessura destra del colon, rispettivamente.
Dal punto di vista strutturale, il fegato è ricoperto da un rivestimento mesoteliale poggiante su una capsula connettivale (capsula del Glisson), che circonda il parenchima dell'organo e invia, a livello dell'ilo, delle propaggini che seguono i vasi e le loro diramazioni, fino alle più sottili. In sezione, il fegato risulta costituito da una serie di aree grossolanamente esagonali, delimitate in alcuni animali (per es. il maiale) da setti di tessuto connettivo. Tali unità strutturali, tridimensionalmente di forma piramidale, prendono il nome di lobuli epatici. Ogni lobulo presenta al centro una sottile vena collettrice, la vena centrolobulare; agli apici del lobulo, invece, sono presenti spazi connettivali (spazi portobiliari) contenenti un ramo della vena porta, un ramo dell'arteria epatica, un ramo dei dotti biliari, nonché le strutture nervose e linfatiche interlobulari. All'interno del lobulo, il parenchima è costituito da lamine di cellule epatiche (epatociti), disposte radialmente dalla periferia verso la vena centrolobulare. Tra le lamine di epatociti è contenuta una rete di capillari modificati, i sinusoidi epatici, che si dirigono dai rami terminali della vena e dell'arteria, situati nello spazio portobiliare, verso la vena centrolobulare (circolazione sanguigna a flusso centripeto).
Ciascun epatocita si trova quindi ad avere due facce: una, all'interno della lamina, unita agli epatociti adiacenti, in cui è scavato un sottile canalicolo ove viene riversata la bile prodotta da ciascuna cellula epatica (canalicolo biliare); e una faccia vascolare, che si trova a stretto contatto con il sinusoide e, quindi, con il flusso ematico. Il sinusoide epatico è un particolare tipo di capillare sanguigno modificato, caratterizzato dalla tortuosità del decorso, dalla discontinuità del rivestimento endoteliale e dall'assenza di una membrana basale continua. Le cellule più importanti che costituiscono la struttura dei sinusoidi epatici sono: le cellule endoteliali, che ne determinano il rivestimento; le cellule di von Kupffer, veri e propri macrofagi dotati di attività ameboide e fagocitaria, che esplicano importanti funzioni di difesa aspecifica e specifica intraepatica; le cellule di Ito, o fat storing cells, le quali in condizioni fisiologiche accumulano lipidi e vitamina A, mentre in condizioni patologiche possono acquistare capacità fibrillogenetiche. Mentre il flusso sanguigno all'interno del lobulo epatico si svolge in senso centripeto, la bile prodotta dai singoli epatociti e riversata all'interno dei canalicoli biliari viene invece convogliata verso la periferia del lobulo e defluisce, quindi, tramite sottili condotti o dottuli di Hering, nei dotti biliari interlobulari, dai quali, per confluenza, si dipartono le vie biliari propriamente dette (circolazione biliare centrifuga).
2.
Nell'uomo, le vie biliari di maggior calibro vanno via via a radunarsi, all'interno del fegato, in due grossi gruppi, facenti capo ai dotti epatici destro e sinistro, che fuoriescono dall'ilo dell'organo e, davanti alla vena porta, confluiscono tra loro per formare il dotto epatico comune, della lunghezza media di 2,5 cm, che fa parte del peduncolo epatico e decorre all'interno del legamento epatoduodenale; successivamente il dotto epatico comune, unendosi al dotto cistico proveniente dalla cistifellea, va a formare il dotto coledoco. Questo, della lunghezza media di 7 cm, decorre dapprima al disopra e poi posteriormente alla prima porzione del duodeno e alla testa del pancreas, che attraversa per andare a sboccare nella faccia mediale della seconda porzione duodenale, unendosi il più delle volte al dotto pancreatico maggiore, o di Wirsung, nell'ampolla duodenale o di Vater. La cistifellea o colecisti, invece, situata nella fossa cistica della faccia viscerale del fegato, è un serbatoio lungo circa 9 cm e largo 4 cm, capace di contenere 50-60 ml di bile. Ha grossolanamente la forma di una pera, con un fondo, un corpo e un collo che continua nel dotto cistico, il quale a sua volta, dopo un decorso di 3-4 cm, va a confluire nel dotto coledoco. Dal punto di vista microscopico, la cistifellea è costituita dalla sovrapposizione di tre tonache: una tonaca sierosa, incompleta, all'esterno; una tonaca muscolare, intermedia; una tonaca mucosa, sollevata in pliche sottili e anastomizzate tra loro, costituita da un epitelio di rivestimento formato da cellule ricche di microvilli, che sono deputate al riassorbimento e alla concentrazione della bile.
3.
La vena porta, che conduce il sangue al fegato, raccoglie il flusso ematico refluo della circolazione dello stomaco, dell'intestino tenue e crasso, della milza, del pancreas e della cistifellea. Essa si forma, dietro alla testa del pancreas e davanti alla vena cava inferiore, per confluenza della vena lienale con la vena mesenterica inferiore e poi con la vena mesenterica superiore; quindi, decorre all'interno del legamento epatoduodenale e, dopo un percorso di circa 8 cm, si getta nell'ilo del fegato. Qui si divide in due rami, destro e sinistro. Nel suo decorso riceve, quali affluenti, le vene gastriche destra e sinistra, le vene della cistifellea e, prima della nascita, la vena ombelicale. Altri piccoli gruppi di vene, invece, sboccano nel fegato senza confluire nella vena porta (vene porte accessorie). Infine, particolare importanza rivestono alcuni territori di anastomosi tra il territorio portale e quello della vena cava inferiore, come per es. quelli individuabili a livello rettale, esofageo e peritoneale. Sistema della vena porta La vena porta, che conduce il sangue al fegato, raccoglie il flusso ematico refluo della circolazione dello stomaco, dell'intestino tenue e crasso, della milza, del pancreas e della cistifellea. Essa si forma, dietro alla testa del pancreas e davanti alla vena cava inferiore, per confluenza della vena lienale con la vena mesenterica inferiore e poi con la vena mesenterica superiore; quindi, decorre all'interno del legamento epatoduodenale e, dopo un percorso di circa 8 cm, si getta nell'ilo del fegato. Qui si divide in due rami, destro e sinistro. Nel suo decorso riceve, quali affluenti, le vene gastriche destra e sinistra, le vene della cistifellea e, prima della nascita, la vena ombelicale. Altri piccoli gruppi di vene, invece, sboccano nel fegato senza confluire nella vena porta (vene porte accessorie). Infine, particolare importanza rivestono alcuni territori di anastomosi tra il territorio portale e quello della vena cava inferiore, come per es. quelli individuabili a livello rettale, esofageo e peritoneale.
4.
La formazione della bile (circa 0,5 l al giorno nell'uomo) costituisce la più importante funzione esocrina del fegato. La bile è costituita da una soluzione acquosa contenente sali biliari, pigmenti biliari e altre sostanze disciolte, come per es. cloruro di sodio e bicarbonato di sodio. Tutte queste sostanze sono prodotte dall'epatocita, il quale si avvale del continuo apporto di costituenti più semplici, che a esso pervengono attraverso l'ampio e complesso sistema vascolare del fegato. I sali biliari sono sali di sodio e di potassio degli acidi biliari; i principali tra questi, l'acido colico e l'acido desossicolico, vengono formati nelle cellule epatiche a partire dal colesterolo. I pigmenti biliari derivano dal metabolismo della bilirubina, un prodotto che si forma nei tessuti per scissione dell'emoglobina liberata in conseguenza della distruzione dei globuli rossi. La produzione dei pigmenti biliari avviene nell'epatocita, il quale, prelevata la bilirubina dal sangue, provvede a coniugarla con acido glicuronico. Il composto che si forma per effetto di questa coniugazione, il bilirubinglicuronide, è solubile in acqua, e può pertanto essere escreto con la bile; da esso dipende il caratteristico colore giallastro della bile epatica. Ogni giorno vengono secreti circa 4 g di sali biliari e 1,5 g di pigmenti biliari. Il 90-95% dei sali biliari viene riassorbito nell'intestino e ricondotto al fegato, per essere ulteriormente utilizzato nel processo digestivo dei lipidi; i pigmenti biliari sono prevalentemente escreti con le feci, mentre solo una piccola quantità di essi viene riassorbita e successivamente eliminata con le urine.
Dei principali costituenti della bile, solo i sali biliari svolgono un importante ruolo fisiologico, mentre i pigmenti biliari sono prodotti catabolici destinati all'escrezione. I sali biliari si combinano nell'intestino con i lipidi alimentari, in modo da formare complessi idrosolubili: in presenza di sali biliari, gli ammassi di materiale lipidico che si trovano nel chimo subiscono una fine dispersione, che porta alla formazione di più piccoli aggregati lipidici. Questo processo, detto assorbimento, è dovuto alla riduzione della tensione superficiale vigente alla superficie delle masserelle lipidiche, e il suo effetto è una più facile digestione dei lipidi da parte dell'enzima idrosolubile lipasi, secreto dal pancreas. I prodotti della digestione lipidica (gliceridi e acidi grassi) formano speciali aggregati lipidici, detti micelle, che vengono agevolmente assorbiti dalle cellule della mucosa intestinale. In assenza di bile, la digestione dei lipidi diminuisce invece marcatamente, malgrado la presenza della lipasi.
La cistifellea svolge la funzione di contenitore della bile, la quale, pur prodotta continuamente dal fegato, viene tuttavia riversata nel duodeno solo in concomitanza dei pasti. Quando non è in atto il processo digestivo, lo sfintere di Oddi (situato in corrispondenza dello sbocco del coledoco nel duodeno) è chiuso, e la bile passa così nella cistifellea, dove viene concentrata per riassorbimento di acqua. Tale concentrazione determina una riduzione di circa il 10% del contenuto idrico del secreto biliare. La bile contenuta nella cistifellea viene inoltre acidificata. Quando ha inizio la digestione, il materiale lipidico che raggiunge il duodeno con il chimo stimola la secrezione dell'ormone colecistochinina, il quale provoca la contrazione della muscolatura liscia presente nella parete della cistifellea. La bile viene quindi immessa nel duodeno, dove può esercitare la sua azione digestiva.
5.
Il fegato svolge un ruolo fondamentale nella regolazione del metabolismo dei glucidi e, in modo specifico, della omeostasi glicemica. Esso dispone di enzimi che favoriscono la conversione del glucosio in glicogeno e viceversa, come pure la sintesi del glucosio a partire dagli aminoacidi e da altri substrati, come per es. il lattato (gluconeogenesi). I processi di sintesi, immagazzinamento e liberazione del glucosio sono favoriti dal sistema della vena porta, attraverso il quale il fegato riceve direttamente i glucidi assorbiti nell'intestino tenue. Il fegato, essendo munito dell'enzima glucosio-6-fosfatasi, che scinde il glucosio-6-fosfato in glucosio libero, è l'unico organo in grado di immettere glucosio nel sangue (glicogenolisi) quando i livelli della glicemia scendono al di sotto di quelli normali. Questa proprietà consente al fegato di svolgere un ruolo primario nel controllo omeostatico della glicemia. Per quanto riguarda il metabolismo dei lipidi, anche il fegato, al pari del tessuto adiposo, è in grado di sintetizzare, scindere e immagazzinare lipidi. Queste sue proprietà funzionali sono rese possibili dalla presenza negli epatociti di enzimi che catalizzano le reazioni chimiche di interconversione tra lipidi, glucidi e proteine. Per es., l'eventuale glucosio in eccesso può essere trasformato in acidi grassi accumulabili sotto forma di trigliceridi, oppure gli acidi grassi possono essere trasformati in aminoacidi, e viceversa; gli aminoacidi, inoltre, sono impiegati nel fegato per formare le proteine. L'unica conversione metabolica che il fegato, come in generale tutte le cellule animali, non è in grado di eseguire è quella degli acidi grassi in glucosio.
Un'altra importante funzione del fegato nell'ambito del metabolismo lipidico è la sintesi del colesterolo e dei corpi chetonici. All'interno degli epatociti, gli aminoacidi costituiscono un substrato utilizzabile sia per la sintesi delle proteine sia per la formazione di glucosio o di acidi grassi. Il fegato è infatti il più importante organo deputato alla sintesi e alla degradazione delle proteine. Oltre a formare le proteine necessarie al proprio funzionamento (per es. gli enzimi), esso provvede anche alla sintesi e alla immissione nel circolo sanguigno delle proteine plasmatiche: albumine, globuline e fibrinogeno; il fegato umano è in grado di sintetizzare fino a 50 g al giorno di tali proteine. Oltre a costituire la materia prima per la formazione delle proteine, nel fegato gli aminoacidi possono essere utilizzati anche quale materiale combustibile per la sintesi dell'adenosintrifosfato (ATP). Nel caso di dieta iperproteica, peraltro, l'eccesso di aminoacidi può essere convertito nel fegato in glucosio o in acidi grassi. Durante il catabolismo epatico degli aminoacidi, in seguito al processo di deaminazione si forma ammoniaca, una sostanza che in concentrazioni elevate può essere dannosa sia per il fegato sia per altri tessuti. Per evitare questo inconveniente, all'interno dell'epatocita l'ammoniaca viene trasformata in urea, un catabolita idrosolubile molto meno tossico. La formazione dell'urea è il risultato di una complessa serie di reazioni chimiche, che nel loro insieme costituiscono il ciclo dell'urea. L'urea prodotta dal fegato diffonde nel torrente circolatorio e viene infine escreta dal rene.
La milza è il più grande organo linfoide (gli altri sono il timo, i linfonodi e il midollo osseo) dell'organismo umano. Situata nella cavità peritoneale dell'addome, più precisamente nell'ipocondrio sinistro dello spazio sopramesocolico, ha la forma di un ovoide e presenta una faccia esterna, convessa, in stretto rapporto con il diaframma, e una faccia interna, o viscerale, in rapporto anteriormente con lo stomaco e posteriormente con il rene sinistro. Sulla superficie esterna del corpo, la milza si proietta in una zona situata nell'ipocondrio sinistro, tra la nona e l'undicesima costa, tra la linea ascellare anteriore e la linea angoloscapolare. Al suo ilo arriva l'arteria splenica, o lienale, compresa nel legamento pancreaticolienale, la quale dà origine a piccoli rami (arterie gastriche brevi) che, tramite il legamento gastrolienale, vanno a irrorare il fondo dello stomaco.
L'organo, che pesa circa 250 g, ha colorito rosso scuro e consistenza molle. È avvolto da una capsula connettivale, dalla quale si dipartono trabecole. Le funzioni della milza sono in relazione ai tre tipi di tessuto che la costituiscono: il tessuto reticoloendoteliale, la polpa rossa e la polpa bianca. Il tessuto reticoloendoteliale della milza contiene numerose e grosse cellule con funzione fagocitaria, il cui compito è quello di depurare il sangue (emocateresi). Tali cellule rimuovono dalla circolazione detriti di varia natura, quali batteri, globuli rossi invecchiati, globuli bianchi e piastrine che hanno esaurito la loro funzione. La fagocitosi operata dalla milza assume particolare importanza nelle malattie che implicano una elevata distruzione di globuli rossi e piastrine: in queste circostanze, i macrofagi si moltiplicano e la milza aumenta progressivamente il suo volume.
Alla polpa rossa, costituita da cordoni cellulari intercalati a seni venosi dilatati, si deve il compito di costituire un serbatoio per il sangue dell'organismo. Nell'uomo, tuttavia, a differenza di altri animali, il contenuto di sangue della milza rappresenta soltanto il 2% del volume di sangue dell'intero organismo (volemia) e pertanto, la sua funzione di serbatoio è di importanza relativamente scarsa. Il volume di sangue che si raccoglie nei seni venosi e nella polpa rossa può essere ridotto per effetto della contrazione della muscolatura liscia presente nella capsula: la contrazione, dovuta a stimolazione simpatica e adrenalinica, consente di rimettere in circolo una quantità non trascurabile di sangue. Tale capacità è importante durante l'esercizio vigoroso, in cui è necessario un aumento del volume del sangue circolante, e in caso di emorragie.
Nella polpa bianca, costituita dall'aggregazione di guaine e follicoli linfatici attorno alle diramazioni dell'arteria splenica, è presente un gran numero di linfociti e plasmacellule. In analogia con quanto avviene nelle linfoghiandole, queste cellule possono produrre anticorpi in risposta ad antigeni circolanti. Il ruolo della milza nel sistema immunitario si rende manifesto dopo la sua rimozione chirurgica (splenectomia), a seguito della quale, soprattutto nei soggetti giovani, il rischio di infezioni aumenta. Durante la vita fetale, e in minor misura in quella neonatale, la polpa splenica e il fegato hanno il compito di produrre gli elementi figurati del sangue, cioè hanno una funzione emopoietica. Dopo la nascita, tale proprietà viene conservata esclusivamente dal midollo rosso delle ossa.
Nel compartimento sottomesocolico della cavità addominale sono collocati l'intestino tenue mesenteriale e l'intestino crasso, che rappresentano l'ultimo tratto dell'apparato digerente.
1.
L'intestino tenue mesenteriale (che costituisce la seconda parte dell'intestino tenue, essendo la prima rappresentata dal duodeno) si estende dall'angolo duodenodigiunale, situato sul lato sinistro della seconda vertebra lombare, fino alla fossa iliaca destra, dove, per mezzo della valvola ileocecale, si apre nell'intestino crasso. Ha una lunghezza media di 6,5 m ed è distinto in due porzioni: il digiuno, così chiamato perché solitamente nel cadavere viene ritrovato vuoto, che ne rappresenta i 2/5 superiori, e l'ileo, che ne costituisce la restante parte. Nell'insieme, questo tratto del tubo digerente è completamente rivestito dalla sierosa peritoneale, il mesentere, che lo fissa alla parete posteriore dell'addome. Tale mezzo di fissità ha la forma di un ventaglio con un margine fisso breve (13 cm), la radice del mesentere, e un margine che segue l'intestino per tutta la sua estensione. Tra le due lamine peritoneali che costituiscono il mesentere sono disposte le arterie digiunoileali, rami dell'arteria mesenterica superiore. Nello spessore del mesentere sono inoltre presenti vasi linfatici, linfonodi, nervi, nonché le vene ileali, che confluiscono nella vena mesenterica superiore, affluente della vena porta. La parete dell`intestino tenue è formata da 4 strati o tonache: lo strato superficiale, sieroso; la tonaca muscolare, costituita da due strati di muscolatura liscia, longitudinale esterno e circolare interno; la sottomucosa; infine, lo strato mucoso, più interno. Caratteristiche di quest'ultimo strato sono delle pieghe a disposizione circolare, le valvole di Kerckring, nonché delle estroflessioni, i villi intestinali (circa 1000/cm2), alla cui base si aprono le ghiandole intestinali di Lieberkühn. Nel fondo di queste ghiandole sono presenti dei gruppi di cellule, dette di Paneth, che producono una sostanza lipoproteica e altre ad attività antibatterica. Nella sottomucosa dell'intestino tenue si trovano le ghiandole di Brunner, la cui attività può essere legata alla produzione dell'urogastrone, ormone dotato di attività inibitoria sulla secrezione gastrica. Le cellule che costituiscono la mucosa dell'intestino tenue sono di tre tipi: gli enterociti di forma cilindrica, le cellule caliciformi mucipare, le cellule argentaffini. Nella lamina propria della mucosa dell'intestino tenue sono presenti degli aggregati linfoidi, che formano le placche di Peyer.
2.
L'intestino crasso inizia nella fossa iliaca destra e termina con il retto. Ha una lunghezza di circa 140-170 cm e viene suddiviso in tre porzioni principali: cieco, colon e retto. La porzione iniziale è il cieco, che sulla sua parete mediale riceve l'ileo e presenta l'inserzione dell'appendice cecale. Al cieco fanno seguito il colon (ascendente, trasverso e discendente), il sigma (o colon ileopelvico) e il retto. Sulla sua superficie, il colon mostra dei rilievi intervallati da depressioni. I rilievi sono le bozzellature, che in profondità corrispondono alle cosiddette austra, così come le depressioni in profondità corrispondono alle pieghe semilunari. Sulla superficie dell'intestino crasso si possono notare tre nastri paralleli longitudinali, le tenie, che sono residui della muscolatura longitudinale, nonché delle piccole formazioni contenenti tessuto adiposo, le cosiddette appendici epiploiche. La parte terminale dell'intestino crasso è costituita dal retto, la cui porzione superiore, o ampolla rettale, è contenuta nel piccolo bacino, mentre quella inferiore o perineale, il canale anale, attraversa il pavimento pelvico e si apre con l'ano nel perineo posteriore. Il retto è disposto tra la vescica e il sacro nell'uomo, e tra l'utero, la vagina e il sacro nella donna. L'intestino crasso ha rapporti diversi con il peritoneo, a seconda della porzione considerata: sono rivestiti completamente dal peritoneo il cieco, il colon ascendente, il colon trasverso e il sigma, mentre lo sono solo parzialmente il colon discendente e il retto. Per quanto riguarda la circolazione, il cieco, il colon ascendente e la metà destra del colon trasverso sono irrorati da tre arterie coliche che originano dall'arteria mesenterica superiore; la metà sinistra del colon trasverso, il colon discendente e la porzione superiore del retto da rami dell'arteria mesenterica inferiore; i due terzi inferiori del retto, infine, da rami dell'arteria iliaca interna. Il circolo venoso è sostenuto dalle vene rettali, che si scambiano numerose anastomosi e hanno due territori ben distinti di drenaggio: le superiori confluiscono nel circolo portale, le medie e le inferiori nella cava inferiore.
3.
Nella prima parte dell'intestino, l'intestino tenue, hanno luogo il completamento del processo digestivo e l'assorbimento della maggior parte dei nutrienti. Quando il chimo acido proveniente dallo stomaco raggiunge l'intestino, viene sottoposto ad azioni meccaniche che ne assicurano sia il rimescolamento con le varie secrezioni digestive riversate nel lume intestinale, sia la progressione in direzione distale o aborale. L'attività meccanica della muscolatura liscia della parete intestinale genera due tipi di movimenti: movimenti di segmentazione e movimenti peristaltici. I primi consistono in contrazioni locali finalizzate al rimescolamento e alla frammentazione del chimo, i secondi in onde di contrazione circolari che si propagano lungo la parete intestinale e servono per la progressione del chimo; per effetto di queste contrazioni, il chimo percorre l'intero intestino tenue in alcune ore. Durante tale tragitto, il chimo subisce l'azione non solo delle secrezioni prodotte dal pancreas e dal fegato, ma anche degli enzimi presenti nelle cellule della mucosa intestinale. Queste ultime vanno incontro a un continuo rinnovamento, che in pochi giorni porta alla sostituzione dell'intera popolazione cellulare. Lo sfaldamento delle cellule nel lume intestinale (nell'uomo circa 20 milioni di cellule al giorno) e la loro disintegrazione consente la liberazione degli enzimi digestivi in esse contenuti.
Oltre al completamento del processo digestivo, nell'intestino tenue avviene anche l'assorbimento dei nutrienti, della maggior parte delle vitamine e dell'acqua. Il processo di assorbimento è enormemente potenziato dalla conformazione della mucosa dell'intestino tenue, ricchissima di pliche la cui superficie è ricoperta dai villi intestinali; i villi, inoltre, sono tappezzati da cellule epiteliali dotate di microvilli. Per la presenza di tutte queste strutture, la superficie assorbente dell'intestino tenue risulta aumentata di circa 600 volte, ed è stato calcolato che l'area dell'intera superficie dell'intestino tenue umano sia di circa 200 m2.
Durante l'assorbimento, i nutrienti vengono trasportati attraverso le cellule epiteliali fino al centro del villo, in cui si trova una rete capillare che si dirama da un'arteriola e confluisce in una venula. Il sangue refluo dai villi intestinali viene immesso nel sistema portale che trasporta i nutrienti al fegato. I nutrienti lipidici sono invece raccolti da un piccolo capillare linfatico, detto vaso chilifero, situato anch'esso al centro del villo. I vasi chiliferi confluiscono nei vasi linfatici più grandi, i quali, ascendendo lungo il tronco, sboccano nelle grandi vene e riversano nella circolazione sanguigna i lipidi assorbiti nell'intestino. Nel villo intestinale sono presenti anche fibre nervose e cellule muscolari lisce, che ne controllano il flusso sanguigno e l'attività contrattile. L'incremento dei movimenti del villo si accompagna a un maggior flusso della linfa lungo i vasi lattei.
L'assorbimento dei nutrienti attraverso le cellule epiteliali della mucosa intestinale avviene mediante meccanismi di trasporto di natura fisica (diffusione) e fisiologica (trasporto attivo e diffusione facilitata). Dopo aver superato la mucosa epiteliale, i nutrienti idrosolubili vengono immessi nella circolazione attraverso i capillari ematici, mentre i nutrienti liposolubili, prima di entrare nel torrente circolatorio, vengono raccolti dai vasi chiliferi e dal sistema linfatico. I trigliceridi entrano nei vasi chiliferi sotto forma di minute goccioline lipidiche, dette chilomicroni. Queste formazioni sono costituite da un nucleo centrale lipidico ricoperto da un sottile strato proteico che ne impedisce la coalescenza nel torrente circolatorio. L'assorbimento intestinale si completa definitivamente nell'intestino crasso, il quale ha una superficie assorbente che corrisponde a circa 1/30 soltanto di quella dell'intestino tenue. La mucosa dell'intestino crasso non secerne enzimi digestivi, e la sua funzione principale è l'assorbimento di acqua, sodio e altri minerali. L'assorbimento di acqua nel colon è particolarmente importante nell'economia idrica del corpo, in quanto ammonta a circa 2 l al giorno. L'acqua viene assimilata per osmosi, in seguito all'assorbimento attivo di sodio. Anche alcune vitamine sono assorbite, mentre altre sono sintetizzate dai batteri presenti in gran numero sulla mucosa.
I movimenti del colon comprendono contrazioni di segmentazione e onde peristaltiche simili a quelle del tenue. Per effetto di queste ultime, i resti del pasto transitano alquanto lentamente, completando il percorso verso il retto in circa 18-24 ore. Un altro tipo di contrazione, che ha luogo solo nel colon, è la contrazione massiva, che interessa simultaneamente ampi segmenti del colon e per effetto della quale il materiale fecale viene sospinto nel retto, dando luogo al riflesso della defecazione. Tale riflesso viene avviato dalla distensione della parete del retto, che determina la contrazione del sigma e del retto stesso. Il simultaneo rilasciamento dello sfintere anale consente l'evacuazione delle feci. Nell'adulto, il controllo volontario della defecazione viene attuato tramite il muscolo sfintere anale esterno, che è un muscolo striato. Ogni giorno vengono eliminati circa 150 g di feci, di cui il 75% è costituito da acqua. La componente solida è solo in parte di origine alimentare (fibre indigeribili, sostanze inorganiche); altri componenti sono batteri e detriti cellulari provenienti dal rinnovo dell'epitelio intestinale.
4.
I processi di digestione e di assorbimento si attuano mediante numerosi meccanismi. Alcuni di essi sono in rapporto con le proprietà intrinseche della muscolatura liscia presente nelle pareti del canale alimentare, altri implicano l'intervento del sistema nervoso, altri ancora dipendono da agenti ormonali che, per essere prodotti e secreti da ghiandole e cellule endocrine della mucosa dello stomaco e di quella dell'intestino, prendono il nome di ormoni gastrointestinali. L'attività contrattile e secretoria dell'apparato digerente è in gran parte regolata da una fitta rete neuronica locale, che è situata nello spessore della parete del canale alimentare e si estende dall'esofago all'ano. Le cellule costituenti questo contingente nervoso locale rappresentano una componente periferica alquanto peculiare del sistema nervoso autonomo. Esse sono distribuite nella parete intestinale in modo tale da formare due plessi nervosi principali: il plesso mioenterico, incluso nella tunica muscolare liscia, e il plesso sottomucoso, situato in diretta prossimità della mucosa. I neuroni dei plessi nervosi intestinali possono stabilire rapporti sinaptici tra loro, oppure con le cellule ghiandolari o muscolari della parete o, infine, con i neuroni dell'altro plesso. Mediante questa fitta rete di connessioni, i plessi nervosi possono influenzare l'attività della muscolatura liscia e delle ghiandole. Per es., i movimenti atti a sospingere il bolo intestinale lungo il canale alimentare e a rimescolarlo con i succhi digestivi sono dovuti sia ad attività spontanea della muscolatura liscia (attività miogena), sia alle sollecitazioni esercitate su di essa dai plessi nervosi (attività neurogena). Il controllo che viene operato dai plessi consente un'attività motoria coordinata tra i vari tratti intestinali, attività che permane anche in assenza totale della innervazione estrinseca.
L'apparato gastrointestinale riceve infatti anche una duplice innervazione dai centri del sistema nervoso autonomo (innervazione estrinseca): l'innervazione simpatica e quella parasimpatica. Le due componenti operano congiuntamente per realizzare un controllo equilibrato di eventi, e le loro azioni sono antagoniste. L'innervazione parasimpatica, per lo più costituita da fibre del vago, è in grado di stimolare l'attività contrattile e secretoria della parete intestinale e di inibire la contrazione degli sfinteri. L'innervazione simpatica, al contrario, inibisce la muscolatura e le ghiandole intestinali, ma stimola la contrazione degli sfinteri.
Come si è detto, l'attività dell'apparato digerente è regolata anche da ormoni prodotti dalle cellule endocrine situate nella mucosa che tappezza la parete del canale alimentare. Tali cellule secernono gli ormoni nella rete vascolare della parete intestinale. Gli ormoni, trasportati nel torrente circolatorio, giungono infine a specifici effettori dell'apparato gastrointestinale, regolando l'attività contrattile della muscolatura liscia e la secrezione dei succhi digestivi. I principali ormoni gastrointestinali sono la gastrina, la secretina e la colecistochinina. La gastrina, prodotta da cellule situate in una porzione specifica della mucosa gastrica, ha il compito di stimolare la secrezione di succo gastrico e la contrazione dello sfintere che separa lo stomaco dall'esofago. Quest'ultima azione impedisce il reflusso nell'esofago del succo gastrico ricco di acido cloridrico. La secretina e la colecistochinina sono ormoni secreti da cellule endocrine situate nella mucosa duodenale. Il loro principale organo bersaglio è la componente esocrina del pancreas, sulla quale esercitano un'intensa azione stimolante. Gli stessi ormoni determinano anche l'immissione nel duodeno della bile accumulata nella colecisti.
Il retroperitoneo è lo spazio disposto posteriormente al peritoneo parietale, tra questo e la parete addominale posteriore, nel quale sono collocati i reni, le ghiandole surrenali e parte degli ureteri.
1.
I reni sono organi pari situati nella regione lombare, hanno forma di fagiolo e pesano circa 170 g. Sono disposti nello spazio retroperitoneale della regione lombare, nella cosiddetta loggia renale, delimitata dalle fasce renali, strutture connettivali che dipendono dal connettivo retroperitoneale: si distinguono una fascia prerenale, continua da destra a sinistra, e una fascia retrorenale, che per ogni lato si fissa sulla colonna vertebrale. Tra la fascia renale e la superficie del rene si trova una notevole quantità di tessuto connettivo, il corpo adiposo perirenale di Gerota, che rappresenta il vero mezzo di fissità dell'organo. La quantità di connettivo che costituisce il corpo adiposo varia da soggetto a soggetto, in rapporto al tipo costituzionale, al sesso e anche allo stato nutrizionale. Infatti, un improvviso e notevole dimagrimento, che riduca la quantità di connettivo del corpo adiposo, può determinare una mobilità del rene e il suo spostamento verso il basso nella stazione eretta (ptosi renale).
Ciascun rene presenta una faccia anteriore e una posteriore, un margine laterale convesso e un margine mediale concavo, un polo superiore e un polo inferiore. Nel margine mediale si trova l'ilo del rene, dove sono collocati gli elementi del peduncolo renale, e cioè l'arteria, la vena e il bacinetto renale. Profondamente all'ilo del rene, all'interno dell'organo stesso, si trova una cavità, il seno renale, in cui si dispongono i rami di origine della vena renale, le diramazioni terminali dell'arteria renale e le prime vie urinifere, cioè i calici minori e maggiori. Sul polo superiore di ciascun rene sono localizzati il surrene destro e il surrene sinistro.
L'architettura del rene è chiaramente visibile se viene praticata una sezione frontale dell'organo. Osservando la superficie di sezione, si può infatti notare come il parenchima renale sia costituito da una porzione periferica più chiara, la corticale del rene, e da una interna più scura, la midollare. Nella corticale sono presenti le unità funzionali del rene, cioè i nefroni, che hanno il compito di produrre l'urina e sono costituiti dai corpuscoli renali, composti di una parte vascolare, il glomerulo renale, e di una porzione tubulare. I corpuscoli renali, o corpuscoli di Malpighi, in numero di circa 1 milione per rene, sono costituiti da capillari arteriosi avvolti da una struttura epiteliale, la capsula di Bowman, che presenta un foglietto viscerale, in intimo contatto con i capillari, e un foglietto parietale. Tra i due foglietti della capsula di Bowman si trova uno spazio, la camera glomerulare, dove si raccoglie il primo filtrato renale, cioè la preurina. La camera glomerulare comunica con il sistema tubulare, il quale è composto di quattro porzioni: il tubulo contorto prossimale, l'ansa di Henle, il tubulo contorto distale e il tratto reuniente, che unisce il sistema tubulare ai dotti collettori. Il nefrone è dotato di una particolare struttura, la macula densa, situata nella parete del tubulo contorto distale, laddove quest'ultimo entra in contatto con l'arteriola afferente al glomerulo. Questa struttura possiede la facoltà di condizionare la pressione arteriosa, regolando così la filtrazione renale. Caratteristica è la distribuzione dell'arteria renale all'interno del rene. Nel seno renale, essa si divide in più rami che, penetrando nel parenchima renale, si dispongono tra le piramidi di Malpighi, cioè tra le varie parti della midollare del rene: sono, queste, le arterie interlobari. Raggiunta la base delle piramidi di Malpighi, le arterie interlobari piegano ad arco e continuano con le arterie arciformi, che decorrono sulla base delle piramidi stesse. Dalle arterie arciformi nascono arterie ascendenti e discendenti: le prime, che si approfondano nella corticale del rene, sono le arterie interlobulari, dalle quali derivano le arteriole afferenti ai glomeruli; le seconde, che decorrono all'interno delle piramidi di Malpighi, sono le arterie rette vere. Le arteriole efferenti hanno diverse destinazioni: esse, infatti, possono esaurirsi irrorando il nefrone, o portarsi nella midollare del rene come arterie rette spurie, oppure fuoriuscire addirittura dal rene per andare a irrorare il corpo adiposo perirenale.
2.
Le vie urinarie originano dai calici minori (in numero di 8-12) e maggiori che si trovano nel seno renale. A essi fa seguito il bacinetto renale, che ha la forma di un imbuto con apice rivolto verso il basso e la capacità di 6-7 ml. Il bacinetto si continua con l'uretere, canale muscolomembranoso della lunghezza di circa 30 cm, che consente il passaggio dell'urina dal bacinetto alla vescica. Esso è diviso in più porzioni (lombare, pelvica e intramurale) e sbocca nella vescica in corrispondenza della sua parete posteroinferiore. Al pari di tutti gli organi dell'apparato urinario che hanno sede extraperitoneale, l'uretere si trova nel retroperitoneo. Ciascun uretere termina nella vescica, situata nel piccolo bacino; essa è un organo cavo, della capacità media di 250-300 ml; forma, dimensioni e spessore delle pareti variano in rapporto allo stato di riempimento. Nella vescica si distinguono una base, un fondo, un corpo e un apice a disposizione inferiore. Anteriormente, la vescica è separata dal pube dallo spazio di Retzius. Posteriormente a essa, si trovano il retto nell'uomo, l'utero e la porzione superiore della vagina nella donna. La vescica è dotata di legamenti: il legamento ombelicale medio, i legamenti ombelicali laterali, e quelli vescicali anteriori e posteriori. Caratteristico della struttura della parete vescicale è l'epitelio della mucosa, che prende il nome di epitelio di transizione e consente la distensione dell'organo. Nell'uomo, al di sotto della vescica è situata la prostata, che viene attraversata dall'uretra: questa rappresenta l'ultimo tratto delle vie urinarie. L'uretra maschile, piuttosto lunga, può essere suddivisa in tre porzioni: prostatica, membranosa e cavernosa; la porzione cavernosa è contenuta nel pene ed è perciò detta peniena. L'uretra femminile, più breve, si apre nel vestibolo della vulva, 2 cm posteriormente al clitoride.
3.
Il rene ha la funzione di regolare la composizione chimica dei liquidi extracellulari, che rappresentano l'ambiente in cui si svolgono le funzioni cellulari. Esso assolve inoltre una funzione endocrina, producendo ormoni che partecipano alla regolazione della pressione arteriosa (sistema renina-angiotensina) e alla produzione dei globuli rossi (eritropoietina). La regolazione della composizione del liquido extracellulare avviene nel nefrone, il quale estrae dal plasma le sostanze di rifiuto e le elimina con l'urina. La formazione dell'urina è un processo che si attua attraverso tre meccanismi: la filtrazione glomerulare del plasma, il riassorbimento di sostanze fisiologicamente utili dal filtrato glomerulare e la secrezione di alcune sostanze nel liquido che viene escreto come urina.
Filtrazione glomerulare. - L'intimo rapporto di vicinanza tra i capillari glomerulari e l'epitelio della capsula di Bowman rappresenta la premessa anatomica del processo di filtrazione glomerulare. Con questo termine si intende il passaggio del plasma, pressoché totalmente privato della sua componente proteica, dal lume dei capillari glomerulari allo spazio delimitato dalla capsula di Bowman. Perché questo trasferimento sia possibile, il plasma deve poter superare la membrana glomerulare, costituita dallo strato di cellule che formano le pareti delle due strutture in intimo contatto. La conformazione della membrana glomerulare è tale da rendere selettivo il passaggio delle molecole dal plasma alla capsula di Bowman. Il fattore limitante di maggior rilievo è rappresentato dalle dimensioni delle molecole: quelle superiori a 70.000 dalton non possono passare, sicché il filtrato glomerulare è quasi del tutto privo di proteine (e ha, pertanto, una pressione oncotica ‒ pressione osmotica di soluzioni colloidali complesse ‒ ridotta rispetto al plasma), mentre, al contrario, contiene tutte le piccole molecole plasmatiche, e pressoché nella stessa concentrazione.
Se la composizione del filtrato glomerulare dipende dalle caratteristiche della membrana glomerulare, la portata di filtrazione, detta anche impropriamente velocità di filtrazione, dipende dal gradiente pressorio vigente tra capillari e capsula di Bowman e dalla superficie disponibile per la filtrazione. Nel glomerulo sono presenti condizioni particolarmente favorevoli alla filtrazione: la pressione effettiva di filtrazione è all'incirca di 15 mmHg (negli altri capillari è generalmente di 7 mmHg) e la permeabilità dei capillari glomerulari è di circa 100 volte superiore rispetto a quella degli altri capillari sistemici. Per tali motivi, la capacità filtrante del rene è straordinaria, tanto che il volume di liquido che filtra dal plasma alla capsula di Bowman è, nell'uomo, di 180 l al giorno (pari a 125 ml/min). Tale valore corrisponde a circa il 20% del flusso plasmatico renale, che nell'uomo è di 600 ml/min. Il controllo della portata di filtrazione glomerulare è uno dei fattori determinanti il corretto funzionamento del rene. Esso viene attuato attraverso una regolazione nervosa e ormonale del flusso e della pressione del sangue che scorre nei capillari glomerulari. Il sistema nervoso simpatico è in grado di inviare impulsi vasocostrittori, che hanno un diverso effetto a seconda di quale delle due arteriole glomerulari (afferente o efferente) è più soggetta alla vasocostrizione. La costrizione della arteriola afferente determina una riduzione del flusso e della pressione del sangue glomerulare e, di conseguenza, una diminuzione della portata di filtrazione. Anche la costrizione della arteriola efferente riduce il flusso di sangue, ma non la pressione dei capillari glomerulari, che al contrario aumenta; la conseguenza è un incremento della portata di filtrazione.
La filtrazione glomerulare può essere inoltre controllata con un meccanismo a feedback negativo operante localmente in ciascun nefrone. Mediante tale meccanismo, la portata di filtrazione viene regolata in modo da rendere ottimale il volume di ultrafiltrato che raggiunge il tubulo distale. A questo controllo partecipa l'apparato iuxtaglomerulare, che regola il grado di costrizione dell'arteriola afferente, probabilmente mediante la liberazione di piccole quantità di un ormone vasocostrittore, la renina. Peraltro, la stessa renina, liberata in quantità maggiori nella circolazione sistemica, agisce enzimaticamente sulla proteina plasmatica angiotensinogeno, avviandone la trasformazione in angiotensina II. Quest'ultima ha una potente azione vasocostrittiva generalizzata e agisce inoltre sulla porzione corticale della ghiandola surrenale, stimolando la secrezione di aldosterone.
Assorbimento e secrezione tubulare. - Poiché la quantità di urina escreta nelle 24 ore è mediamente di circa 1,5 l, il processo di riassorbimento tubulare non è meno imponente di quello di filtrazione. Esso è dovuto alle cellule che costituiscono le pareti del tubulo del nefrone, le quali svolgono un'azione di riassorbimento che assume connotati diversi a seconda della porzione di tubulo cui esse appartengono. A misura che scorre lungo il tubulo verso la pelvi renale, il filtrato glomerulare viene profondamente modificato, fino a dar luogo all'urina.
Il riassorbimento tubulare consiste nel trasferimento dell'acqua e dei soluti, che costituiscono il filtrato glomerulare, dal lume tubulare al plasma, al quale erano stati sottratti mediante il processo di filtrazione. Il completamento di questo processo viene assicurato dalla presenza, nelle immediate vicinanze del tubulo, di una fitta rete di capillari, detti capillari peritubulari. Essi hanno il compito di accogliere le sostanze che, asportate continuamente dal filtrato glomerulare a opera delle cellule tubulari, vengono riversate nell'interstizio peritubulare. Il riassorbimento avviene prevalentemente a livello del tubulo prossimale, dove vengono recuperati circa l'80% dell'acqua e degli elettroliti, e pressoché tutti i nutrienti. Questo cospicuo trasporto di sostanze è facilitato dalle particolari proprietà morfofunzionali delle cellule del tubulo prossimale, che sono dotate di un orletto a spazzola molto sviluppato e di numerosi sistemi di trasporto attivo e di trasporto facilitato. Il principale processo di trasporto attivo del tubulo prossimale è quello che riguarda lo ione sodio (Na⁺); il trasferimento di questo ione elettricamente positivo dal lume tubulare all'interstizio cellulare implica anche il trasferimento, per gradiente elettrico, degli ioni dotati di carica elettrica negativa, soprattutto dello ione cloruro (Cl⁻), che è il più abbondante ione negativo dei liquidi extracellulari. Inoltre, per effetto del trasporto di Na⁺ e Cl⁻ viene a crearsi, tra il lume tubulare e il liquido peritubulare, un gradiente osmotico che a sua volta determina il riassorbimento di acqua e di altri ioni diffusibili. Il tubulo prossimale partecipa anche al controllo dell'equilibrio acido-base dell'organismo. In effetti, esso ha il compito di riassorbire l'80-90% dello ione bicarbonato (HCO₃⁻) che viene filtrato dal glomerulo renale, e di eliminare circa il 90% degli ioni idrogeno liberi (H⁺).
Il tubulo distale e il dotto collettore provvedono al riassorbimento del rimanente 18-19% del filtrato glomerulare, mediante meccanismi che sono alquanto più complessi e articolati di quelli operanti nel tubulo prossimale. Essi sono i principali artefici del controllo omeostatico renale del mezzo interno. L'aspetto funzionale più peculiare di questi segmenti del nefrone riguarda la possibilità di riassorbire disgiuntamente l'acqua e gli elettroliti, in modo da produrre urina più concentrata o, viceversa, più diluita rispetto al plasma, in rapporto alle esigenze estremamente variabili dell'equilibrio idrico ed elettrolitico dell'organismo. Per es., l'assunzione di elevate quantità di liquidi con la dieta comporta la necessità di produrre urine diluite, cioè a basso contenuto di soluti. Viceversa, gli individui che vivono in ambiente povero di acqua hanno la necessità di assicurare l'escrezione dei prodotti di rifiuto con la minima eliminazione possibile di acqua (urine concentrate). La regolazione dell'osmolarità delle urine (cioè della concentrazione osmoticamente attiva per unità di volume) è affidata all'aldosterone e all'ormone antidiuretico (ADH). L'aldosterone, agendo sul tubulo distale, aumenta il riassorbimento di sodio determinato dalle pompe membranarie presenti nelle cellule tubulari, mentre l'ADH favorisce il riassorbimento di acqua nel tubulo distale e nel dotto collettore. Quest'ultimo effetto si verifica perché l'ADH aumenta la permeabilità all'acqua delle cellule tubulari. La vicinanza dei capillari peritubulari alle cellule tubulari consente a queste ultime di dar luogo alla secrezione tubulare, che consiste nel trasporto di sostanze dal sangue che scorre nei capillari peritubulari al lume tubulare, cioè in direzione opposta rispetto a quella del riassorbimento. Mediante la secrezione tubulare, numerose sostanze vengono eliminate con l'urina senza transitare attraverso il glomerulo renale. Tra le sostanze che sono fisiologicamente presenti nell'organismo e che vengono riversate nei tubuli mediante secrezione, le più importanti sono gli ioni idrogeno (H⁺) e potassio (K⁺). Inoltre, mediante la secrezione tubulare vengono eliminate sostanze estranee all'organismo, come per es. numerosi farmaci.
Raccolta ed espulsione dell'urina. - L'urina, formata continuamente dai reni, viene trasportata dalla pelvi renale alla vescica mediante regolari contrazioni peristaltiche, che insorgono nella muscolatura liscia delle pareti degli ureteri alla frequenza di circa 2-5 al min. L'urina entra nella vescica a piccoli fiotti, distendendola senza peraltro produrre in essa un marcato aumento della pressione, sino a che il volume del viscere non raggiunge i 150 ml circa. Superato questo valore, si avverte il desiderio di urinare, che diviene impellente quando la vescica raggiunge il volume di 400 ml. L'urina viene espulsa mediante la minzione, un atto riflesso spinale che è sottoposto al controllo dei centri superiori del cervello. A misura che l'urina distende la vescica, i recettori di stiramento presenti nella sua parete inviano segnali a centri nervosi situati nella regione lombare del midollo spinale; questi, a loro volta, sono connessi con neuroni parasimpatici che innervano la muscolatura vescicale. Quando la stimolazione dei recettori vescicali ha raggiunto la necessaria intensità, gli impulsi motori inviati lungo le fibre parasimpatiche che innervano la vescica ne determinano la contrazione. Simultaneamente vengono inibiti lo sfintere uretrale interno e quello esterno, e può così avere inizio la minzione. Durante le prime fasi della vita divengono attivi sistemi di connessione corticospinali, mediante i quali si acquisisce un controllo volontario che consente di ritardare l'atto della minzione.
4.
Le ghiandole surrenali sono disposte sul polo superiore di ciascun rene. Hanno forma irregolarmente piramidale a base inferiore; la surrenale di destra, più alta, ricorda un berretto frigio, mentre quella di sinistra tende ad assumere una forma semilunare. Ciascuna pesa circa 7-8 g. Le ghiandole surrenali sono organi endocrini complessi, costituiti sostanzialmente da due componenti funzionalmente diverse: una parte esterna, o corticale ‒ a sua volta organizzata in tre zone sovrapposte: esterna glomerulare, media fascicolata, interna reticolare ‒, che controlla principalmente l'omeostasi idrosalina e il metabolismo; e una parte interna, o midollare, che può essere considerata un grosso ganglio nervoso simpatico che, mediante la liberazione di catecolamine (adrenalina e noradrenalina), esercita diversi effetti su quasi tutti gli organi e apparati.
Ormoni della corticale surrenale. - La corticale secerne numerosi ormoni, noti complessivamente come corticoidi, che sono tra loro chimicamente imparentati per la comune struttura steroidea, avendo come precursore il colesterolo. Questo viene accumulato nel citoplasma sotto forma di gocciole lipidiche e poi utilizzato per la sintesi degli ormoni. In base all'effetto prevalente di ciascuno, i corticoidi sono distinti in mineralocorticoidi, glicocorticoidi e androgeni surrenali. I mineralocorticoidi sono prodotti dalla zona glomerulare della corticale, e il principale di essi è l'aldosterone. L'azione di questi ormoni, finalizzata al controllo dell'omeostasi idrica e salina, viene esercitata sui tubuli renali, dove promuovono la ritenzione di Na⁺ e la secrezione di K⁺. Al riassorbimento di sodio si accompagna quello di acqua. La produzione di mineralocorticoidi, e in particolare di aldosterone, è in rapporto con il metabolismo del sodio. Il controllo della concentrazione plasmatica dell'aldosterone è mediato dal sistema renina-angiotensina. L'attivazione di questo sistema produce un aumento della secrezione di aldosterone.
I glicocorticoidi (i principali sono il cortisolo e il corticosterone) sono prodotti dalla zona fascicolata della corticale e hanno effetti sul metabolismo dei glucidi, dei lipidi e delle proteine; essi sono così denominati per la loro specifica proprietà di attivare la gluconeogenesi, cioè la sintesi del glucosio e la sua immissione in circolo; gli ormoni glicocorticoidi, infatti, hanno un'azione iperglicemizzante, antagonista rispetto a quella dell'insulina. Per quanto riguarda il metabolismo proteico, invece, essi rallentano la sintesi delle proteine. Complessivamente, hanno un ruolo assai importante nella risposta dell'organismo allo stress, cioè all'esposizione a condizioni potenzialmente o realmente nocive. In questa evenienza, i loro principali effetti sono l'aumento della disponibilità del glucosio ematico, il potenziamento del processo epatico di conversione degli aminoacidi in glucosio, la mobilizzazione di acidi grassi dal tessuto adiposo. Quanto invece agli effetti non metabolici generali degli ormoni glicocorticoidi, questi hanno la proprietà di ridurre le risposte infiammatorie e immunitarie, e tale proprietà è diffusamente sfruttata nella terapia di molte comuni patologie, per es. quelle di natura allergica; grazie alla ricerca farmacologica sono oggi disponibili numerose molecole derivate dai glicocorticoidi, capaci di agire selettivamente, minimizzando gli effetti metabolici indesiderati. La secrezione dei glicocorticoidi surrenalici è regolata dall'ormone adrenocorticotropo (ACTH) prodotto dall'adenoipofisi. La parte più interna della corticale, detta zona reticolare, secerne ormoni sessuali, principalmente androgeni, e piccole quantità di estrogeni e progesterone. Questi ormoni sono imparentati con l'ormone sessuale maschile prodotto dai testicoli, il testosterone, e con gli ormoni sessuali femminili prodotti dalle ovaie. Il ruolo degli androgeni surrenali non è ancora precisamente definito, in quanto essi non esercitano chiari effetti mascolinizzanti, quando sono secreti in quantità normali; se invece lo sono in grandi quantità, come in caso di errori metabolici congeniti o di tumori corticosurrenalici, possono avere effetti virilizzanti. La secrezione di androgeni surrenali non è controllata dalle gonadotropine ipofisarie, che regolano la sintesi e la secrezione degli ormoni sessuali, bensì dall'ormone adrenocorticotropo.
Ormoni della midollare surrenale. - La midollare del surrene è essenzialmente parte della componente simpatica del sistema nervoso autonomo. Le cellule secretrici della midollare, dette cellule cromaffini, sono funzionalmente equivalenti ai neuroni simpatici postgangliari. Le cellule cromaffini producono le amine biogene adrenalina e noradrenalina, indicate collettivamente con il termine catecolamine. A seguito di stimolazione da parte del simpatico, le catecolamine vengono immesse nel torrente circolatorio e raggiungono i loro molteplici organi bersaglio. Nell'uomo, la secrezione delle catecolamine è costituita per l'80% da adrenalina, e per la parte rimanente da noradrenalina. Le catecolamine si legano con specifici recettori, detti adrenergici, distinti in recettori α e recettori β e situati sulle membrane cellulari degli organi bersaglio. La noradrenalina si lega prevalentemente ai recettori α, mentre l'adrenalina può legarsi a quelli di entrambi i tipi. La risposta degli organi bersaglio dipende dal tipo e dal numero dei recettori presenti nelle loro cellule. Le catecolamine hanno effetti molteplici, che generalmente servono a preparare l'individuo ad affrontare condizioni di stress, come quelle di attacco o di fuga oppure di esercizio strenuo. In queste situazioni, le catecolamine favoriscono gli aggiustamenti funzionali che si attuano nei sistemi respiratorio (aumento della ventilazione polmonare) e circolatorio (aumento della gettata cardiaca, vasodilatazione nel miocardio e nei muscoli scheletrici, vasocostrizione cutanea e viscerale), e a carico del metabolismo energetico (mobilizzazione di glucosio e acidi grassi). Inoltre, le catecolamine agiscono sul cervello, aumentandone lo stato di allerta e di eccitabilità. La regolazione della secrezione midollare surrenale avviene tramite il sistema nervoso; la secrezione, ridotta in condizioni di riposo assoluto, diminuisce ulteriormente durante il sonno. Al contrario, un aumento dell'attività midollare si verifica tipicamente, come già detto, in condizioni di emergenza come quelle in cui l'individuo si prepara all'attacco o alla fuga.