RISTORI, Adelaide
La maggiore attrice del suo tempo, nata a Cividale il 29 gennaio 1822, morta a Torino l'8 ottobre 1906. Discendeva da famiglia d'attori. Il nome Ristori figura fra quelli dei "comici dell'arte" dei secoli XVII e XVIII (si ricordano un Tommaso e un Giacomo, se però non sono la stessa persona). Una Teresa Canossa maritata a un Ristori di cui s'ignora il nome di battesimo, fu attrice lodata al principio del sec. XIX. Il figlio di lei, Antonio, prima impiegato e poi mediocre attore, e sua moglie Maddalena Ricci-Pomatelli, anch'essa modesta attrice, furono i genitori di Adelaide. La quale apparve per la prima volta in teatro, non pure bimba come di solito i "figli d'arte", ma neonata, in fasce, entro un paniere recato sulla scena in una commediola, dove la presenza della piccola doveva commuovere un vecchio restio a benedire le nozze del figlio. A tre o quattro anni d'età comincio a sostenere le minime parti di fanciulletti e fanciullette, che non mancavano nelle "commedie lagrimose" care al gusto dell'epoca. Entrata come "ingenua" nella compagnia Moncalvo, a quattordici anni ebbe un memorabile successo assumendo eccezionalmente la parte della protagonista nella Francesca del Pellico; ma suo padre rifiutò per lei le offerte di scritture come "prima attrice assoluta", e la collocò come "amorosa" e "attrice giovine" (1837-1838) nella Compagnia reale sarda, dove ebbe a guida Carlotta Marchionni (v.). A questa succedette nel ruolo di prima attrice "a vicenda" con la Bettini, l'anno 1840, ossia appena diciottenne; poi passò, sempre più ammirata, nelle compagnie Mascherpa (1841) e Domeniconi (1846). Per la Marchionni, ritiratasi ancor valida dalle scene, la R. serbò sempre la venerazione che si ha per una maestra: e si dovettero probabilmente all'influenza di quella insigne artista e donna esemplare le note del carattere non solo estetico ma anche morale che contraddistinsero in seguito l'attrice, la quale fu donna di pure virtù domestiche, patriottiche, religiose. Fedele tutta la vita ai più nobili ideali, ella tenne mirabilmente anche il suo nuovo rango di gran dama dacché nel 1846, recitando in Roma al teatro Metastasio, il figlio del patrizio romano ch'era proprietario di quello stabile, marchese Capranica del Grillo, dopo avere vinto le opposizioni familiari attraverso romantiche vicende, la fece sua sposa. Allontanatasi dal teatro, vi ritornò dopo circa due anni per uno scopo benefico, cioè per salvare dalla prigione un povero capocomico indebitato, il Pisenti; poi riprese a recitare, ma riservandosi il diritto di rifiutare le parti da lei giudicate non convenienti alla sua dignità (e tra queste fu, più tardi, La signora dalle camelie). Nel 1855 fece il suo primo viaggio artistico a Parigi, dove sostenne vittoriosamente il confronto con la grande tragica dell'ora, la Rachel: fra il plebiscito dei suoi ammiratori figurarono, con versi e prose, il Vigny, il de Musset, il Lamartine, lo Scribe, Georges Sand, il Guizot, lo Janin, lo Halévy, A. Dumas padre, il Sanson, la Georges, la Allan, ecc. In seguito, intraprese altri viaggi trionfali per tutto il mondo; fu a Dresda e a Berlino, a Vienna, ancora a Parigi, a Londra, a Varsavia, a Madrid (dove ottenne dalla regina la grazia a un condannato a morte), a Budapest, in Olanda, in Portogallo, a Mosca, in Grecia, in Svezia, in Norvegia, in Danimarca: in molti di questi paesi, e specie a Parigi, tornò poi più volte. Infine passò l'oceano, per le due Americhe, per l'Australia e la Nuova Zelanda. A Parigi recitò anche in francese; e a Londra sostenne, in inglese, le parti di lady Macheth e di Elisabetta d'Inghilterra. Circondata dall'universale riverenza, colmata d'onori anche dalle autorità politiche (è nota la lettera direttale dal Cavour durante un viaggio di lei a Parigi nel 1861, in cui il grande statista la definisce collaboratrice della sua politica), prediletta dalla regina Margherita che la nominò sua dama d'onore, onorata d'una visita del re Vittorio Emanuele III nell'occasione del suo ottantesimo compleanno, la vegliarda si spense fra l'universale compianto.
La R. fu l'attrice gentildonna. Ella riuscì ad attuare, nella sua esistenza, una ideale conciliazione fra le qualità della donna - sposa, madre, e dama - e quelle dell'artista. Il suo repertorio, composto di opere insigni come di lavori mediocri ma sempre tali da offrirle occasione a nobili composizioni sceniche, fu costantemente improntato alla più alta dignità. Di fisionomia regolare ed espressiva, e di figura scultorea, ella fu artista classica per eccellenza: voce d'oro, dizione nitidamente incisa, movenze statuarie (per le quali ultime si disse che andava a studiare la scultura greca e romana nei musei vaticani); ma la sua arte non ebbe, a giudizio dei contemporanei, nulla dello scolastico o dell'accademico, anzi apparve animata da una caldissima, seppure disciplinata, passionalità. E la sua versatilità le consentì di grandeggiare così nelle già citate opere shakespeariane come in quelle dei tragici italiani e stranieri: Fedra di Racine, Rosmunda e Mirra di Alfieri, Maria Stuarda di Schiller, Medea di Legouvé, Francesca di Pellico, Lucrezia Borgia di Hugo, Pia de' Tolomei di Marenco, ecc.; nonché nei drammi e commedie di Giacometti (Maria Antonietta, Elisabetta d'hghilterra), di Ferrari (Marianna), di Goldoni (La locandiera), di Gherardi del Testa (Nel regno d'Adelaide, scritto per lei), ecc. La R. pubblicò un volume intitolato Ricordi e studi artistici (2ª ed., Torino 1888) che, oltre al racconto della sua vita, contiene sei studî della stessa attrice sulle sue più famose interpretazioni sceniche, e i principali giudizî dei più illustri contemporanei sull'arte sua.