BEI, Adele
Adele Bei nacque, terza di undici figli, il 4 maggio 1904 a Cantiano (Pesaro e Urbino); il padre, Davide, faceva il boscaiolo e la madre, Angela Broccoli, la casalinga. La famiglia era poverissima e così già a dodici anni Adele iniziò a lavorare nei campi come salariata agricola. Fin dall’adolescenza si manifestò in lei un sentimento di ribellione verso le ingiustizie sociali, alimentato anche dal clima che respirava in famiglia: i Bei erano infatti socialisti e vivevano intensamente le tensioni e i drammi del primo dopoguerra italiano. In questi anni cominciò a maturare una profonda avversione contro il fascismo, che anche nel piccolo borgo marchigiano diffondeva violenza e paura. Tale avversione venne rafforzata dall’incontro con Domenico Ciufoli. Questi, appartenente a una famiglia di piccoli proprietari terrieri costretti spesso, dalla povertà dei proventi della propria terra, al lavoro stagionale dei taglialegna, faceva parte dell’organizzazione giovanile socialista e, delegato al congresso di Livorno del 1921, fu tra i fondatori del Partito comunista d’Italia. I due si sposarono il 29 ottobre 1922, cioè all’indomani della marcia su Roma.
L’avvento di Benito Mussolini al governo segnò per gli antifascisti l’inizio di lunghi anni di difficoltà. Tra i molti che scelsero l’esilio ci furono anche i coniugi Ciufoli che, alla fine del 1923, abbandonarono l’Italia per recarsi in Belgio, dove nel giugno 1924 nacque la prima figlia, Angela; si trasferirono poi in Lussemburgo, dove nel dicembre 1926 venne alla luce Ferrero, e quindi in Francia (prima a Marsiglia e poi a Parigi). Domenico Ciufoli lavorò in fabbrica e in miniera, ma sempre più intenso era il suo impegno nel Partito comunista, che anche all’estero operava in clandestinità. Adele si occupava dei figli, ma lavorò anche come sarta e, per un certo periodo, come operaia in una fabbrica di conserve. Intanto maturò il convincimento di impegnarsi personalmente nella lotta antifascista e nel 1931 aderì al Partito comunista. Conosciuta con il nome di Battistella, svolse compiti di propaganda verso le donne con l’incarico di diffondere il giornale clandestino L’Operaia, ma presto si rese disponibile anche come corriere per i collegamenti del centro estero del partito con l’Italia.
Adele Bei nel 1933 fu inviata a Roma per riorganizzare le fila del partito, falcidiato da arresti e condanne, e il 18 novembre venne arrestata e rinchiusa per cinque mesi nel carcere delle Mantellate. Ferma nel non voler rivelare alcunché dell’organizzazione comunista, fu deferita al Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Nel corso del processo, celebrato nel luglio 1934, fronteggiò le accuse con la fierezza e la determinazione che le derivavano dai propri convincimenti. Condannata a diciotto anni di reclusione, venne rinchiusa nel carcere femminile di Perugia.
Furono anni di dura prigionia ma anche di studio e di vaste letture. Conosciuta fino ad allora in una ristretta cerchia, dopo il processo, in considerazione dell’atteggiamento assunto di fronte ai giudici, la sua figura venne celebrata dai giornali comunisti. Inoltre, la sua forza nel resistere alle condizioni carcerarie e la sua fiducia nella sconfitta del fascismo, incisero positivamente anche sul comportamento delle altre detenute e tra le comuniste emerse come una leader.
Intanto, i figli furono accolti in Russia, presso la Casa internazionale dei bambini di Ivanovo, un istituto per i figli delle vittime del fascismo, nel quale rimasero fino alla fine della seconda guerra mondiale. Il marito, che sempre più impegnato nel partito si divideva tra gli incarichi a Parigi e quelli presso l’Internazionale comunista a Mosca, fu arrestato nel 1939 e quindi trasferito nel campo di Buchenwald, dove rimase fino alla Liberazione.
Nel 1941, scontati otto anni nel carcere di Perugia, Adele Bei fu assegnata al confino di polizia a Ventotene, dove ebbe modo di prendere contatto con esponenti di rilievo del Partito comunista e di rafforzare i legami con quelli conosciuti negli anni dell’esilio. In particolare, instaurò con Giuseppe Di Vittorio un’intesa umana e politica, probabilmente scaturita dalla comune origine contadina, che si rafforzò poi negli anni dell’impegno sindacale. In quei mesi di isolamento dal mondo, Bei seppe essere un punto di riferimento per i compagni, pronta a dare loro assistenza nelle necessità quotidiane e a infondere fiducia con il suo carattere sereno e coraggioso.
Il 25 luglio 1943, la caduta di Mussolini portò alla liberazione dei confinati e Adele Bei il 18 agosto arrivò a Roma. Dopo l’8 settembre iniziò nella capitale l’occupazione nazista, contrastata dalla Resistenza. A Roma, Adele fu una partigiana combattente e alla fine del conflitto le fu riconosciuto il grado di capitano e concessa la Croce di guerra al valor militare. In quei nove mesi di lotta partigiana si dedicò in particolare all’organizzazione del movimento femminile di resistenza e fu tra le fondatrici dei gruppi di difesa della donna. Questi gruppi, che univano donne di ogni età, ceto sociale, tendenza politica e fede religiosa, si muovevano in città facendo propaganda antifascista e partecipando ad azioni contro le forze tedesche di occupazione. Al loro interno si venne costruendo una trama di relazioni che, intessuta di solidarietà e complicità, costituì poi il fondamento di una vivace presenza femminile nella politica romana del dopoguerra. Per Adele Bei questi mesi segnarono l’inizio del suo impegno a favore dei diritti delle donne.
Dopo la liberazione di Roma, il 4 giugno 1944, si aprirono per lei mesi di un’attività frenetica, durante i quali cominciò a intrecciare il lavoro tra le donne con l’impegno sindacale. Mentre nel Nord del Paese si continuava a combattere, nelle zone liberate si trattava di fronteggiare le necessità immediate della popolazione e di ricostruire un tessuto democratico. Bei assunse l’incarico di responsabile della commissione consultiva femminile della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) e nel settembre 1944 collaborò alla fondazione dell’Unione donne italiane (UDI). Con le sue iniziative, questa associazione, aperta alle esponenti di tutti i partiti antifascisti, divenne lo specchio della volontà delle donne di partecipare alla vita politica e sociale del Paese, rivendicando il diritto al voto, al lavoro e alla parità salariale. Al primo congresso dell’UDI, tenutosi a Firenze nell’ottobre 1945, Bei venne eletta nel consiglio nazionale e si trovò subito in prima linea nelle iniziative a favore delle famiglie che vivevano condizioni di miseria e di degrado durante i difficili anni della ricostruzione del Paese.
Nel luglio del 1945 si era recata in Unione Sovietica con una delegazione sindacale e così aveva avuto la possibilità di riabbracciare i figli e di riportarli in Italia, ma questa gioia fu presto oscurata dal dolore per l’improvvisa morte di Ferrero, perdita cui si aggiunse un’altra grave cesura nella sua vita privata con la separazione dal marito: i numerosi anni di distacco e di sofferenze avevano evidentemente scavato un abisso tra i due e le loro strade si divisero. Molto probabilmente, questa separazione fu all’origine delle incomprensioni che in seguito resero difficile il rapporto con la figlia Angela. Questa, ormai giovane donna, aveva molto sofferto negli anni del collegio in Russia – senza che la madre se ne potesse rendere pienamente conto – e visse in modo traumatico la morte del fratello e il distacco dei genitori; con il trascorrere del tempo sentì poi sempre maggiori affinità con il padre, mentre la distanza dalla madre si accentuava. Domenico Ciufoli, nel dopoguerra, dopo alcuni anni di impegno nel Partito comunista, entrò nell’ombra, dedicandosi ai libri e alla musica; erano le stesse passioni di Angela, il cui carattere difficile e riservato era quanto di più lontano da quello aperto, concreto e irruento della madre, la quale, pur dedicando la sua esistenza all’impegno politico, sentiva molto forte il legame con la famiglia e non si perdonò mai la difficoltà di comunicare affettivamente con la figlia.
Con il 1945 iniziò per Adele Bei l’impegno nelle istituzioni. Venne infatti designata dal sindacato nella Consulta nazionale, un organismo non elettivo che inaugurò i suoi lavori il 25 settembre 1945 per dare pareri sui provvedimenti legislativi del governo e costruire il percorso giuridico per condurre il Paese all'elezione delle amministrazioni locali e di un’Assemblea costituente. Ne facevano parte rappresentanti dei partiti presenti nel Comitato di liberazione nazionale, del sindacato, delle organizzazioni imprenditoriali e delle professioni liberali; Bei, nella piccola pattuglia delle tredici donne consultrici, e l’unica a non essere designata da un partito politico, fu inserita nella Commissione industria e commercio e iniziò così a sperimentare il dibattito e il confronto politico in un consesso di livello nazionale.
Nei primi mesi del 1946, con il ritorno a casa di circa un milione di ex combattenti, si cominciò a ventilare la possibilità di licenziamento delle donne che, durante la guerra, avevano sostituito i richiamati nelle industrie e negli uffici pubblici. In molte città cortei di reduci chiesero l’allontanamento delle donne dai posti di lavoro, ma queste rivendicarono il loro posto nella società su un piano di parità con gli uomini, anche perché erano state anch’esse protagoniste della lotta partigiana. Adele Bei, al loro fianco, intrecciando l’impegno istituzionale con quello di responsabile femminile della CGIL, chiese che fosse rispettato il diritto al lavoro per le donne, progettando politiche di sviluppo economico tali da garantire occupazione a tutti i cittadini.
In questo periodo fu inoltre attivamente impegnata dal Partito comunista nel lavoro di organizzazione delle donne. A questo scopo venne inviata per qualche tempo in Calabria, ma il centro delle sue iniziative erano le contadine, le operaie e le casalinghe della sua regione. In diverse occasioni rivolse a queste donne le sue appassionate parole per indurle a impegnarsi in politica, a uscire da una dimensione esclusivamente privata per far valere la presenza femminile nella società e contribuire in tal modo alla rinascita dell’Italia. Si incontrava con loro, anche informalmente, per ascoltare le loro storie e per chiarire la posizione dei comunisti pur nella complessità della situazione politica. Con ferma determinazione si rivolgeva anche ai compagni del suo partito perché facilitassero l’ingresso delle donne in politica, superando l’idea, allora largamente presente anche tra i comunisti, secondo cui le donne potevano avere un ruolo solo all’interno della famiglia.
Il 2 giugno 1946 fu nella schiera delle ventuno donne elette all’Assemblea costituente. Queste elezioni, come quelle amministrative della primavera, videro una massiccia partecipazione delle donne che esercitarono entusiasticamente il diritto di voto appena conquistato.
Adele Bei fu eletta nella lista del PCI per il XVIII collegio delle Marche (relativo alle province di Ancona, Pesaro, Macerata e Ascoli Piceno) e assunse la carica di segretario della terza Commissione per l’esame dei disegni di legge. Significativo fu il suo intervento nella seduta plenaria del 18 febbraio 1947, durante la quale si discusse della soppressione del ministero dell’Assistenza postbellica, con conseguente taglio di fondi alle opere assistenziali svolte per iniziativa pubblica: Bei si dichiarò contraria alla decisione del governo sebbene il suo partito, che in quel momento ne faceva parte, avesse dato l’assenso a tale soppressione, e motivò la sua contrarietà per l’opera svolta da quel ministero a favore delle famiglie più bisognose, dei giovani disoccupati, dell’infanzia abbandonata; tratteggiò poi un quadro desolato del Paese, con particolare riferimento a episodi e situazioni della sua regione, e sostenne con fermezza la necessità di far riemergere rapidamente dai disastri della guerra un’Italia ancora disperata, guardando, senza tenere in alcun conto questioni di schieramento o di disciplina di partito, ai problemi dei più poveri.
Tale autonomia di giudizio, che fu una costante delle sue scelte e della sua azione politica, Adele Bei ebbe modo di manifestarla anche in occasione del primo congresso della CGIL, che si tenne a Firenze nel giugno 1947. Qui, nella veste di responsabile femminile del sindacato, presentò la Carta della lavoratrice, in cui chiedeva che la donna godesse degli stessi diritti degli uomini relativamente al lavoro, al contratto, alla retribuzione e all’assistenza. Nel suo intervento stigmatizzò quindi l’operato del sindacato diretto da Giuseppe Di Vittorio, che aveva firmato un accordo con gli industriali che prevedeva per le lavoratrici una retribuzione inferiore del 30% rispetto a quella dei lavoratori.
Nel febbraio del 1948, lasciato l’incarico nella commissione femminile della CGIL, Bei diventò presidente dell’Associazione donne della campagna, una delle strutture in cui si articolò l’UDI in quegli anni. Affrontò con slancio questo nuovo incarico, organizzando convegni, incontri e comizi in tutta Italia, con l’obiettivo di fare uscire dall’isolamento le donne della campagna e di renderle consapevoli dei loro diritti. La sua azione fu coronata da successo: nel 1949 furono ben centomila le iscritte all’Associazione. Ma l’esito più significativo di questo impegno fu quello di aver gettato le basi affinché le donne della campagna non fossero più viste come figure indistinte all’interno della famiglia colonica, ma riconosciute come lavoratrici, titolari di specifici diritti.
Nella prima legislatura repubblicana, Bei fu l’unica donna senatore di diritto, tra i 106 nominati, in virtù della terza disposizione transitoria della Costituzione, che prevedeva tale carica per i deputati dell’Assemblea costituente che avevano rivestito cariche istituzionali in epoca prefascista o erano stati imprigionati per più di cinque anni. Quale componente della 10ª commissione Lavoro, emigrazione e previdenza sociale del Senato, si fece portavoce delle proteste per la mancanza di lavoro, che si verificavano in varie parti d’Italia, e della situazione disumana in cui vivevano alcune categorie di lavoratrici come le mondariso. Con parole appassionate ed efficaci, intervenne poi per chiedere al governo iniziative capaci di far superare la condizione di vera e propria miseria di moltissime famiglie, nonché, il 13 ottobre 1948, una riforma del sistema carcerario, retto ancora dalle norme di epoca fascista. Facendo leva sulla sua esperienza di detenuta, insistette sul carattere corruttivo del carcere, quando invece questo avrebbe dovuto avere una funzione di correzione e redenzione del condannato; il suo discorso assunse poi toni elevati quando propose l’abrogazione dell’ergastolo, sostenendo che dopo trent'anni di carcere con buona condotta, il reo aveva diritto a rientrare nella vita e nel mondo.
Cessato l’impegno di presidente dell’Associazione donne della campagna a seguito dello scioglimento delle associazioni differenziate dell’UDI, nel 1951 Adele Bei assunse nel sindacato l’incarico di segretario nazionale delle lavoratrici del tabacco. Si era allora in una fase cruciale dello sciopero che le lavoratrici sostenevano per l’applicazione del loro primo contratto collettivo di lavoro, stipulato nel 1947, con il quale avevano ottenuto aumenti salariali non ancora praticati dai datori di lavoro. Lo sciopero coinvolse centomila lavoratrici e duecentoventimila famiglie, essendo vaste le aree di coltivazione del tabacco in quegli anni in Italia. Le fasi di lavorazione della foglia di tabacco erano molto complesse e molto dure le condizioni di lavoro di queste donne: definite comunemente tabacchine, venivano impegnate nella selezione, impacchettamento ed essiccamento delle foglie di tabacco, utilizzate poi dalle Manifatture per la confezione del prodotto finito, lavorando in grandi stanzoni a una temperatura generalmente superiore ai 30 gradi, con le mani costantemente bagnate e respirando polvere di tabacco. Queste condizioni di lavoro favorivano la compattezza e la combattività di queste donne, che, oltre agli aumenti salariali, denunciavano il sistema del cottimo, chiedevano una diminuzione dei ritmi di lavoro e l’inquadramento tra i lavoratori dell’industria per beneficiare di una maggiore tutela previdenziale e assistenziale. Volevano inoltre che lo stesso sindacato non le considerasse lavoratrici agricole organizzate nella Confederterra, ma le riconoscesse come una categoria autonoma, aderente in quanto tale alla CGIL.
Adele Bei si pose immediatamente alla testa delle rivendicazioni di queste lavoratrici che, grazie alla sua determinazione, nel 1952 celebrarono il congresso del nuovo Sindacato nazionale delle tabacchine. In breve tempo diventò il punto di riferimento delle tabacchine, l’ambasciatrice dei loro problemi, esaltandone la combattività e la fierezza, quasi in una sorta di identificazione con loro e con la loro vita. In ogni occasione e con ogni mezzo fece conoscere le loro condizioni di lavoro. Rilasciò interviste, scrisse articoli, presentò interrogazioni parlamentari, fondò il giornale La Tabacchina, bollettino mensile del sindacato e mezzo di informazione e di coesione delle lavoratrici. Anche per il suo impegno, nel 1957 le tabacchine riuscirono finalmente a ottenere un significativo adeguamento salariale e il riconoscimento di un trattamento previdenziale e assistenziale assimilabile a quello dei lavoratori dell’industria. Già nel 1960 si concluse però la storia del loro sindacato che, in seguito a una nuova scelta organizzativa della CGIL, venne inquadrato nella Federazione italiana lavoratori alimentaristi. A questa data si concluse anche la storia di Adele Bei sindacalista. Il suo forte legame personale con le lavoratrici, di cui era diventata il simbolo, e il suo impegno nel tutelare l’autonomia del loro sindacato erano stati sicuramente guardati con sospetto all’interno di una CGIL che si muoveva all’epoca come una falange compatta non ammettendo atti di indisciplina. Bei, invece, aveva dimostrato in diverse occasioni di non accettare un ruolo da soldato disciplinato e acquiescente. Pagò quindi con l’emarginazione proprio quella determinazione e volontà appassionata che, in tutta la sua vita, l’avevano spinta a lottare contro le ingiustizie sociali, per affermare i diritti dei lavoratori e delle donne, seguendo una propria autonomia di giudizio.
Nel corso degli anni Cinquanta, Adele Bei aveva continuato a intrecciare il suo impegno di sindacalista con quello di parlamentare. Eletta per due volte alla Camera dei deputati per il collegio di Ancona, nel 1953 e nel 1958, continuò a rivolgere il suo sguardo ai diritti delle lavoratrici, presentando proposte di legge sulla parità retributiva tra uomini e donne, sulla tutela per le lavoratrici madri e per introdurre il divieto di licenziamento delle donne a causa di matrimonio. In questi anni, portò in Parlamento la voce delle lavoratrici più sfruttate e, in particolare, delle ‘sue’ tabacchine, con interventi diretti anche a stigmatizzare l’operato dell’Ispettorato del lavoro, che giudicava carente nell’effettuare controlli o nel comminare sanzioni alle aziende, anche a fronte di inadeguate misure di sicurezza, spesso causa di incidenti con ferimenti e ricoveri ospedalieri.
Fu molto attenta anche ai problemi della sua regione. Tra l’altro, nel 1959 presentò una proposta di legge per il ripristino della facoltà di veterinaria nell’Università di Camerino, che era stata soppressa nella fase di trasformazione di quella libera Università in statale. Nel 1960 presentò un’interrogazione parlamentare per conoscere le ragioni della mancata attribuzione della medaglia al valore alla città di Tolentino, che pure si era distinta nella lotta di liberazione dal nazifascismo.
Con la conclusione del terzo mandato parlamentare, Bei non ebbe più incarichi politici né sindacali. Non si rifugiò però nella vita privata. Nel 1968 venne eletta nel comitato esecutivo dell’Associazione perseguitati politici italiani antifascisti. Continuò a impegnarsi nel suo partito come una semplice militante, come era stata in anni lontani, rivolgendo sempre la sua attenzione alla condizione delle donne. Ancora componente del consiglio nazionale dell’UDI, si rese disponibile per iniziative verso le donne della sua regione, con le quali si incontrava e discuteva per capirne i problemi e per sollecitarle a far sentire la loro voce, convinta fino alla fine che una forte presenza della donna nella società e nelle istituzioni è condizione perché un Paese possa dirsi davvero democratico.
Morì a Roma il 15 ottobre 1976.
Perché i giovani sappiano, in Antifascismo e Resistenza nelle Marche (1919-1944). Testimonianze, documenti, interpretazioni, intr. di W. Tulli, pres. di S. Zavatti, a cura del Consiglio della Regione Marche, Ancona 1974; Episodi di vita in un carcere femminile, in Il Ponte di Piero Calamandrei (1945-1956), a cura di M. Rossi, I-II, Firenze 2005-2007; Discorsi parlamentari, con un saggio di N. Ciani, Bologna 2015.
Per un puntuale resoconto dell’attività parlamentare di Adele Bei, è possibile consultare i portali istituzionali della Camera dei deputati (http://storia.camera.it/deputato/adele-bei-19040504#nav) e del Senato della Repubblica (http://www.senato.it/leg/01/BGT/Schede/Attsen/00009191.htm). I Congressi della Cgil, Roma 1970, pp. 181-183; C. Ravera, Diario di trent’anni: 1913-1943, Roma 1973, ad ind.; Gli itinerari antifascisti per conoscere la storia della Resistenza nel Lazio, a cura di M. Mammucari, Milano 1980, ad ind.; L. Mariani, Quelle dell’idea: storie di detenute politiche. 1927-1948, Bari 1982, ad ind.; UDI: laboratorio di politica delle donne. Idee e materiali per una storia, a cura di M. Michetti - M. Repetto - L. Viviani, Roma 1984, ad ind.; D. Ermini, Bambina, operaia, donna nella storia, Milano 1991, ad ind.; Donne e Costituente. Alle origini della Repubblica, a cura di M. Addis Saba - M. De Leo - F. Taricone, Roma 1996, ad ind.; È brava, ma… Donne nella Cgil 1944-1962, a cura di S. Lunadei - L. Motti - M.L. Righi, Roma 1999, ad ind.; Le Marche dalla ricostruzione alla transizione: 1944-1960, a cura di P. Giovannini, B. Montesi, M. Papini, Ancona 1999, ad ind.; P. Gabrielli, Fenicotteri in volo. Donne comuniste nel ventennio fascista, Roma 1999, ad ind.; C. Capponi, Con cuore di donna, Milano 2000, ad ind.; A. Jacometti, Ventotene, pref. di U. Terracini, Genova 2004, ad ind.; L. Lombardo Radice - C. Ingrao, Soltanto una vita, Milano 2005, ad ind.; Le donne della Costituente, a cura di M.T.A. Morelli, Roma-Bari 2007, ad ind.; G. Marturano, Giovanna. Memorie di una famiglia nell’Italia del Novecento, Roma 2008, ad ind.; O. Bianchi, Le lavoratrici del tabacco nella storia del sindacalismo italiano, in Mondi femminili in cento anni di sindacato, a cura di G. Chianese, Roma 2008, ad ind.; M. Rodano, Del mutare dei tempi, 1, L’età dell’inconsapevolezza, il tempo della speranza. 1921-1948, Roma 2008, ad ind.; F. Gargiulo, Ventotene, isola di confino: confinati politici e isolani sotto le leggi speciali 1926-1943, Genova-Ventotene 2009, ad ind.; P. Gabrielli, Il primo voto. Elettrici ed elette, Roma 2016, pp. 112-116, 199-200.