Adelrico di Corvey
Miniatore attivo nel sec. 9°, identificato in base all'invocazione "Miserere mei D(eu)s se [...] Adelricus me fecit". A questa firma confusa nel fregio dell'edicola con le maschere, nel frontespizio dell'Andria, è legata la decorazione di uno splendido esemplare carolingio delle commedie di Terenzio: il Terentius Vaticanus (Roma, BAV, lat. 3868). Il codice, tra i più noti manoscritti classici medievali, costituisce uno degli episodi più significativi dell'aperta vocazione antiquaria che improntò l'estetica del libro carolingio. L'opera, che riflette sino all'imitazione i caratteri di un modello tardoantico, conserva un'edizione integralmente illustrata delle commedie di Terenzio, corredata da una ricca compagine decorativa distribuita secondo lo schema del papyrus-style - derivato dal prototipo tardoantico del codice - in corte strips all'interno del testo. Di quest'insieme A. avrebbe eseguito tuttavia soltanto il frontespizio dell'Andria, a c. 3r, il ritratto dell'autore e le poche miniature del primo fascicolo, probabilmente sino alla c. 8v, dove, su una traccia rimasta incompiuta, sarebbe intervenuto il primo dei due maestri che conclusero il ciclo illustrato. Stilisticamente l'intera decorazione del Terenzio si rivela fortemente influenzata dal modello tardoantico del codice, generalmente attribuito al sec. 5°-6°, al punto da renderne problematica la collocazione nel panorama delle scuole carolinge.
Difatti al nome di A. e con esso a quello di Hrodegarius, lo scriba che si firmò nell'explicit del codice, è connessa una discussa questione attributiva tuttora irrisolta. Al momento della sua scoperta, a opera di Morey (1926a), la firma nel frontespizio dell'Andria sembrò confermare l'attribuzione ancora ottocentesca del manoscritto allo scriptorium dell'abbazia carolingia di Corvey, formulata in base all'identificazione dello scriba con un Hrodegarius vissuto nel monastero tra l'826 e l'856. La presenza di un Aldricus fra i monaci della stessa comunità nel breve abbaziato precedente, dallo studioso senz'altro identificato con il miniatore in questione, fu ritenuta un elemento risolutivo in proposito, dando fra l'altro origine al nome critico dell'artista. Tuttavia pochi anni più tardi, nel tornare nuovamente sulla questione, Morey (1931) riteneva opportuno spostare l'esecuzione del Terenzio nello scriptorium di Corbie, invocando a sostegno di questa seconda ipotesi la lunga permanenza medievale del manoscritto in un monastero della Francia settentrionale, a suo avviso identificabile con l'abbazia piccarda dove egli riteneva fosse stato eseguito nel sec. 10° il Terentius Basilicanus (Roma, BAV, Arch. S. Pietro, H.19), copia medievale del primo. In base a queste considerazioni, il Vaticano lat. 3868 doveva ritenersi eseguito a Corbie entro la fine del secondo decennio del sec. 9°, comunque prima del probabile trasferimento di A. e poi di Hrodegarius presso la piccola fondazione di Corvey. L'ipotesi, anticipata da un'osservazione di Goldschmidt (1928), sollevò riserve da parte di Köhler (Köhler, Mütherich, 1971) soprattutto in merito all'identificazione del miniatore con il monaco Aldricus, a suo giudizio tutt'altro che pacifica. A questa prima obiezione si doveva aggiungere l'assoluto isolamento del codice nel quadro della produzione certamente riferita allo scriptorium di Corbie, in contrasto con le assonanze grafico-formali che legano il Terenzio ad altri manoscritti classici carolingi originari delle regioni orientali dell'impero. A quest'annotazione un contributo di Bischoff (1966) ha unito non trascurabili argomenti codicologici e paleografici circa la sostanziale estraneità del codice vaticano allo scriptorium di Corbie, sottolineando per altro verso l'obiettiva difficoltà a sostenere la provenienza da quest'ultimo anche del Terenzio Basilicano, per il quale, come per il Terenzio Vaticano, dovrebbe ritenersi più appropriata una generica attribuzione alle regioni del nord-est della Francia.
Bibliografia
Edizioni in facsimile:
Terentius. Codex Vaticanus Latinus 3868 picturis insignis ex auctoritate procuratorum Bybliothecae Apostolicae Vaticanae phototypice editus, a cura di G. Jachmann (Codices e Vaticanis selecti, 18), Leipzig 1929.
Letteratura critica:
C. R. Morey, The signature of the miniaturist of the Vatican Terence, Philologische Wochenschrift 46, 1926a, coll. 879-880.
Id., I miniatori del Terenzio illustrato della Biblioteca Vaticana, RendPARA 4, 1926b, pp. 27-58.
A. Goldschmidt, Die Deutsche Buchmalerei, I, Die Karolingische Buchmalerei, Firenze-München 1928, pp. 19, 35-36, tavv. 17-18.
L. Webber Jones, C. R. Morey, The Miniatures of the Manuscripts of Terence prior to the Thirteenth Century, Princeton-London-Leipzig 1931, II, pp. 27-45, 51.
H. Swarzenski, s.v. Adelricus, in DMMR, 1949, p. 2.
B. Bischoff, Hadoard und die klassiker Handschriften aus Corbie, in Mittelalterliche Studien, I, Stuttgart 1966, pp. 49-63: 60 n. 34.
W. Köhler, F. Mütherich, Die Karolingischen Miniaturen, IV, Die Hofschule Kaiser Lothars, Berlin 1971, I, pp. 74-76, 85-100; II, tavv. 28-61 (con bibl.).
J. N. Grant, Γ and the Miniatures of Terence, Classical Quarterly, n.s., 23, 1973, pp. 88-103.
K. Weitzmann, Late Antique and Early Christian Illumination, New York 1977, pp. 13, 30, tavv. VIII-X.