ADEMARO (Ademario)
Di origine francese, "gallus natione",come dicono le cronache, era già abate del monastero di S. Maria in Cosmedin a Ravenna, quando fu nominato da Innocenzo V, il 7 genn. 1353, abate del monastero di S. Scolastica in Subiaco (Reg. Vat.219, fol. 55, ep. XI), allora in un periodo di grave turbamento.
Dopo gli anni di riorganizzazione, di benessere e di regolata vita monastica, dovuti all'abate Bartolomeo II e continuati dal successore Giovanni IX, s'assiste, verso la metà del secolo, ad un decennio di disgregazione della vita spirituale e della vita associata nel monastero e nel territorio. Alcune cause di ciò si possono ricercare nella peste del 1348 e nei terremoti, che in questo e nell'anno seguente, avevano aggiunto alle morti le distruzioni.
Gli abati di quegli anni (1348-62), Pietro, Angelo, A. e Corrado, sono tutti ricordati infatti dalla tradizione come abati indegni, preoccupati più di altri interessi, di potenza personale, di ricchezza della propria famiglia, che del monastero. A. è al centro di questo periodo. Le fonti, per lui, ricordano la frase della Bibbia per Ismaele "Hic erit ferus homo, manus eius contra omnes, et manus omnium contra eum" (Gen.XVI, 12) e Caterina da Siena ne avrebbe parlato come di un diavolo in figura umana.
Favorito dalle condizioni in cui versava lo Stato della Chiesa, prima della venuta dell'Albornoz, A. si preoccupò di garantirsi il dominio della valle dell'Aniene; per questo limitò con feroci rappresaglie l'autonomia di Subiaco, si ritirò per meglio difendersi nella rocca di Ienne, e, sospettoso di possibili cospirazioni dei monaci, ne mise a morte alcuni. Che malcontento e anarchia esistessero lo dimostra anche la totale assenza in questi anni di donazioni per la ricostruzione del monastero. Nella lotta contro le città vicine, pare avesse ottenuto una vittoria contro iTiburtini nel 1356 (la battaglia è descritta nella Cronaca del Mirzio, pp. 380-381; ma ne contesta la notizia il Viola, II, pp. 226-231). L'opera di riordinamento dell'Albornoz e soprattutto del suo successore, Androino di Cluny, che incaricò Andrea, vescovo di lodi, di indagare sulla attività dell'abate sublacense, costrinse A., dopo qualche tentativo di resistenza, a lasciare la valle e a recarsi ad Avignone. Si ebbe così la sua rinuncia: Innocenzo VI lo nominò, tra il marzo e il luglio 1358,abate del monastero di Pulsano, sito nel Gargano nel territorio della diocesi di Siponto. Non si hanno notizie del suo governo nell'abbazia pugliese, né si conosce l'anno della sua morte.
Dell'attività di A. si ricorda la costruzione del ponte di S. Francesco a valle di Subiaco dopo la vittoria sui Tiburtini (ma a questo proposito c'è qualche incertezza, come si è visto, nel Viola) e la donazione del monastero e della chiesa di Sant'Erasmo al Celio fatta ai monaci dello Speco, perché vi ristabilissero il culto divino (doc. in Federici, MCCCCIII).
Fonti e Bibl.: Chronicon Sublacense, in Rer. Italic. Script.,XXIV, 6, 2 ediz., a cura di R. Morghen, pp. 44-45;C. Mirzio, Cronaca Sublacense a cura di P. Crostarosa e L. Allodi, Roma 1885, pp. 378-382, 383-384; S. Viola, Storia di Tivoli, II, Roma 1819, pp. 226-231; P. Egidi, Notizie storiche, in I monasteri di Subiaco, Roma 1904, I, pp. 126-127, 215; G. Giovannoni, L'architettura dei monasteri sublacensi, ibid., p. 293; V. Federici, La biblioteca e l'archivio, ibid., II, pp. 138-143; L. Mattei Cerasoli, La congregazione benedettina degli eremiti pulsanesi, Cava dei Tirreni 1938, p. 49; C. Angelillis, Pulsano e l'ordine monastico pulsanese, in Arch. stor. pugliese,VI (1953), pp. 462-463.