Abstract
Premessi alcuni cenni storici sull’evoluzione della nozione di adempimento delle obbligazioni, viene trattato il rapporto tra adempimento, pagamento ed interesse del creditore (con particolare riguardo alle fattispecie dell’adempimento del terzo e del pagamento al creditore apparente). Si affronta poi il tema dell’oggetto della prestazione (nell’alternativa tra realizzazione del diritto di credito e realizzazione della prestazione secondo condotte dovute) nonché quello del rapporto tra obbligo di condotta diligente e responsabilità per inadempimento ex art. 1218 c.c. Seguono una breve trattazione della natura (se negoziale o meno) dell’adempimento, una sintesi delle regole sulla legittimazione ad adempiere e a ricevere l’adempimento (destinatari dell’adempimento) e delle regole sull’imputazione del pagamento in presenza di pluralità di debiti. Chiude la voce la presentazione della disciplina inerente tempo e luogo dell’adempimento e delle norme sulla quietanza.
In epoca arcaica “obbligazione” (da ob-ligatio, ob-ligatus) non designava il concetto di debito ma quello di garanzia per debito proprio o altrui: obligatio significava, letteralmente ed anche metaforicamente, il legame di asservimento da sciogliere con atto solenne di solutio, anche qui sia letteralmente sia simbolicamente; ed il nexus – che si asserviva sottoponendosi al potere domestico del creditore (Arangio Ruiz, V., Istituzioni di diritto romano, Napoli, 1983, 286) – lo faceva per garantire (inizialmente anche mettendo il proprio corpo a disposizione del creditore, fino alla Lex Poetelia Papiria del 326 a.C.: cfr. Sanfilippo, C., Istituzioni diritto romano, Catania, 1964, 235) l’adempimento di un debito di dare o fare, proprio o altrui, mentre l’adempimento in sé – diverso dall’atto di asservimento a fini di garanzia – poteva poi provenire tanto dal debitore originario quanto dal garante vincolato (obligatus, che perciò «non è un debitore nel senso moderno ma una persona sulla quale il creditore può soddisfarsi in caso d’inadempimento … è … un pegno, o un ostaggio»: Arangio Ruiz, V., op. loc. ultt. citt.). In questo quadro l’adempimento da parte di soggetto diverso dal garante (ma vero debitore) corrispondeva ad un’ipotesi normale, in quanto normale era la dissociazione tra debitore ed obligatus. Il pagamento del debito effettuato da parte del debitore (e non del garante/obligatus), se estingueva il debito non estingueva invece il vincolo di garanzia (la obligatio) dell’obligatus, per la cui estinzione era invece necessaria una procedura uguale e contraria, ed altrettanto solenne, di quella messa in atto nella fase della sua costituzione (cfr. Branca, G., Adempimento - diritto romano e intermedio, in Enc. dir., I, Milano, 1958, 548 ss.).
Pomponio, Gaio ed Ulpiano riferiscono infine dell’affermarsi in età classica dell’adempimento dell’obbligazione-debito come metodo normale e automatico di scioglimento dell’obbligazione-garanzia (Pomp., D. 46, 3, 80; Gaio, III, 168; Ulp., D, 50, 16, 176), di pari passo con la crescente astrazione dei concetti di obligatio e di quidque contractum (Schiavone, A., Jus. L’invenzione del diritto in occidente, Torino, 2005, 1833 ss.).
Valevano poi in età classica regole speciali per obbligazioni di dare/facere con riguardo alla capacità del solvens, la disponibilità dei beni o mezzi di pagamento-adempimento, l’adempimento del terzo (cfr. Branca, G., op. cit., 550 s.), e si svilupparono comunque regole sull’oggetto della prestazione (esclusione dell’adempimento parziale e dell’aliud pro alio), sul luogo dell’adempimento (luogo pattuito, domicilio del debitore, luogo di nascita dell’obbligazione), del tempo (esigibilità immediata in assenza di termine convenuto, ammissibilità del termine implicito), sulla prova del pagamento, sull’imputazione del pagamento in caso di pluralità di debiti (Arangio-Ruiz, V., op. cit., 391 ss.).
L’età giustinianea accolse l’acceptilatio verbale come modo normale di estinzione dell’obbligazione, e vide il fiorire di una tendenza al favor debitoris attraverso varie regole nuove (ammissibilità dell’adempimento parziale e dell’aliud pro alio in alcuni casi di impossibilità di pagamento pecuniario, diritto alla moratoria e alla quietanza, imputazione dei pagamenti sottratta alla discrezionalità del creditore accipiente).
Gli storici non accreditano all’età medioevale sviluppi particolarmente innovativi ad eccezione del principio nominalistico per le obbligazioni pecuniarie, ed alcune raffinazioni delle regole sul luogo di pagamento, ma è da segnalare l’affermazione del termine pacamentum (da pacare, soddisfare) per indicare l’adempimento. Un importante momento di consolidamento del pensiero giuridico sull’adempimento si ha con il Traité des obligations di Pothier, in cui è agevole reperire richiami alle consuetudini per giustificare la regola dell’efficacia liberatoria del pagamento al creditore apparente, quella del potere giudiziale di dilazionare il pagamento, dell’accessorietà all’adempimento (e dunque della debenza da parte del debitore) delle spese dell’adempimento, oltre ad alcuni nuovi profili di favor debitoris (come la rifiutabilità da parte del creditore della richiesta del terzo-solvens di essere surrogato contro il debitore).
Il codice civile equipara pagamento ad adempimento, sottintendendo che il pagamento, estinguendo l’obbligazione, sia la principale caratteristica dell’adempimento (e si è visto come questa acquisizione derivi dall’evoluzione registrata nella storia del diritto romano; cfr. Uda, G., La prova del pagamento, Padova, 2008, 1 ss. nonché Bianca, C.M., Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1990, 261). Ma è acquisizione più moderna quella per cui i due elementi, attivo e passivo, che compongono l’obbligazione non sono necessariamente corrispondenti tra loro, potendo non corrispondere al diritto di credito l’obbligo del debitore, come risulta considerando le fattispecie da cui consegue la liberazione dall’obbligo senza conseguimento del diritto da parte del creditore nei casi dell’offerta reale, del pagamento al creditore apparente e dell’adempimento del terzo (cfr. Nicolò, R., Adempimento - diritto civile, in Enc. dir., I, Milano, 1958, 555, Bozzi, G., Comportamento del debitore e attivazione del rapporto obbligatorio, in Tratt. dir. civ. Lipari-Rescigno, III, Obbligazioni, t. I, Il rapporto obbligatorio, Milano, 2009, 141 ss.). In quest’ultimo caso l’art. 1180 c.c. subordina comunque l’effetto liberatorio alla mancanza di un interesse del creditore all’esecuzione da parte del debitore (interesse che non solo è riscontrabile nelle obbligazioni intuitu personae ma in generale in tutti i casi in cui manchino i requisiti oggettivi affinché sia raggiunto il risultato dovuto; sulla necessità di valutazione in concreto rispetto alle tipologie di rapporto, e sulla necessità di escludere – nei contratti non intuitu personae – legittimità all’interesse al rifiuto nei casi di impuntamento per ragioni personali, v. Bozzi, G., op. cit., 154; a favore del rifiuto per ragioni di natura morale v. Di Majo, A., Obbligazioni e contratti, L’adempimento dell’obbligazione, Bologna, 1993, 68). La legittimità del rifiuto da parte del creditore lo esenta dalla mora accipiendi.
Quanto al contenuto dell’obbligazione, dall’impianto normativo si ricavano indicazioni decisive per ritenere che al debitore incomba, più che realizzare il diritto del creditore, di realizzare una prestazione: «la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore», recita l’art. 1174 c.c.; l’art. 1177 c.c. si riferisce all’obbligazione di consegna e prescrive che la prestazione di custodia sia implicita (per la distinzione tra custodia, vigilanza ed amministrazione v. ancora Nicolò, R., op. cit., 562; Trimarchi, P., Istituzioni di diritto privato, Milano, 2016, 362); l’art. 1178 c.c. disciplina la prestazione di cose generiche, richiedendo la prestazione di cose di qualità non inferiore alla media; l’art. 1179 c.c. prevede la prestazione di garanzia reale o personale o di altro genere, a scelta del debitore, qualora non ne sia stata convenuta una specifica; l’art. 1181 si riferisce alla prestazione divisibile quando esclude il diritto del debitore di adempimento parziale, l’art. 1196, co. 2, c.c. prevede come implicita nell’obbligazione consistente nel trasferimento della proprietà o di un altro diritto, la prestazione di garanzia per evizione e vizi della cosa secondo le norme sulla vendita (salvo il diritto del creditore di esigere la prestazione originaria chiedendo nel contempo il risarcimento del danno).
Viene qui in considerazione la regola sull’obbligo di prestazione completa (art. 1181 c.c.), superabile solo ove la legge (per es. in materia cambiaria: art. 45, co. 2, l. camb.; art. 37 l.ass.) o gli usi consentano una condotta diversa (nel qual caso l’adempimento parziale estinguerà l’obbligazione per la quota di prestazione eseguita: cfr. Bianca, C.M., op. cit., 271) e coincidente con quella dovuta (divieto di liberarsi eseguendo una prestazione diversa anche se di uguale o maggior valore, salvo che il creditore vi consenta: art. 1197 c.c.; in questo caso vi sarebbe anche dissociazione tra liberazione del debitore ed esecuzione della prestazione, come suggerito dalla formula «prestazione in luogo dell’adempimento»: Bozzi, G., op. cit., 139), nonché la regola sulle spese (a carico del debitore in applicazione di un principio presente anche in materia extracontrattuale: Bianca, C.M., op. cit., 272; si tratta di una regola comunque destinata a coordinarsi con altre speciali sempre di fonte legale: es. artt. 1475, 1510, 1719 e 1720 c.c.). Si è ritenuto in giurisprudenza che sia comportamento contrario a buona fede quello del creditore che pur potendo richiedere l’adempimento dell’intera obbligazione frazioni senza ragione oggettiva evidente la richiesta di adempimento in una pluralità di giudizi di cognizione o monitori davanti a giudici diversi (v. Cass., S.U., 15.11.2007, n. 23726; Cass., 2.10.2013, n. 6664; ma già in precedenza v. Cass., 8.8.1997, n. 7400; Cass., 23.7.1997, n. 6900; in senso contrario Cass., S.U., 10.4.2000, n. 108; Cass., 19.10.1998, n. 10326). In dottrina si è invece negato al creditore il diritto a richiedere l’adempimento parziale (Giorgianni, M., Pagamento, in Nss. D.I., XII, Torino, 1965, 323; secondo Cass., 12.1.1976, n. 76 l’adempimento parziale, se da un lato legittima il rifiuto del creditore ex art. 1181, non costituisce necessariamente presupposto per la risoluzione del contratto quale inadempimento grave ex art. 1455 c.c.).
Inoltre è accreditata l’opinione per cui oltre alla prestazione obbligo del debitore sia quello di adempiere con modalità comportamentali precise, disciplinate a partire dall’art. 1176 c.c. Questa norma andrebbe colta nella sua centralità proprio rispetto alla definizione dell’oggetto dell’obbligazione, che non potrebbe intendersi limitata alla garanzia di risultato ex art. 1218 c.c.; qualora infatti il risultato non si verifichi a causa di impossibilità oggettiva incomberà comunque al debitore di provare l’assenza di comportamento negligente, ossia l’adozione di comportamenti diligenti rivolti ad evitare comunque la mancata esecuzione della prestazione (Natoli, U., L’attuazione del rapporto obbligatorio, II, Il comportamento del debitore, Milano, 1984, 53). Lo stesso dicasi quando l’adempimento presupponga il compimento di negozi giuridici con soggetti terzi, che non riescano a prodursi, per. es., per mancata collaborazione del terzo (come accade nei contratti di cooperazione nella sfera giuridica altrui): in questi casi non si potrà dire «che il debitore ha regolarmente adempiuto, anche se dovrà escludersi il suo inadempimento e, quindi, la responsabilità, alla quale ai sensi dell’art. 1218 c.c. egli andrebbe altrimenti incontro» (Natoli, U., op. cit., 40).
Il tema si incrocia con quello della definizione delle caratteristiche del regime di responsabilità per inadempimento e con quello del rapporto tra regola ex art. 1218 c.c. e regola di diligenza ex art. 1176 c.c.; ci si è chiesti, tra l’altro, se il debitore, dando la prova di aver adottato un comportamento conforme al criterio ex art. 1176 c.c., pur in presenza di mancato conseguimento del risultato utile prefigurato nel programma contrattuale, possa sfuggire a responsabilità ex art. 1218 c.c.; in caso positivo – cioè in caso di prevalenza del criterio di diligenza – come si sanerebbe l’apparente contrasto con la regola che prescrive, per la liberazione del debitore, la prova di una «impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile»? E se invece prevalesse comunque la regola di responsabilità, quale sarebbe la funzione residua della regola di condotta?
La questione si è posta anche nei termini dell’alternativa tra l’inquadramento della responsabilità per inadempimento quale responsabilità basata sulla valutazione del grado di diligenza, dunque conferendosi all’art. 1176 c.c. funzione integrativa della regola di responsabilità (Natoli, U., op. cit., 47 e 56; v. anche Nicolò, R., op. cit., 555; Giorgianni, M., Obbligazioni - dir. priv., in Nss. D.I., XI, Torino, 1957, 59; Santoro Passarelli, F., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966, 80 ss.; Barbero, D., Sistema del diritto privato italiano, II, Torino, 1962, 9 ss, Rescigno, P., Obbligazioni - nozioni generali, in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 184 ss.; Alpa, G., Manuale di diritto privato, VIII ed., Padova, 2013, 382), oppure quale responsabilità basata unicamente sulla verifica oggettiva del conseguito o mancato risultato convenuto, rispetto a cui non troverebbe spazio alcuna valutazione sulla maggiore o minore o inadeguata diligenza, e aprendosi – in tale seconda ipotesi ricostruttiva – il campo a valutazioni varie sull’opportunità o congruenza della disposizione dell’art. 1176 c.c. (cfr. Osti, G., Deviazioni dottrinali in tema di responsabilità per inadempimento, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, 593; Id., Impossibilità sopravveniente, in Nss. D.I., VIII, Torino, 1967, 287 ss.; Visintini, G., La responsabilità contrattuale, Napoli, 1979, 205 ss). Si è ritenuto di trarre supporto alla tesi della responsabilità soggettiva e della integrazione delle due regole, di responsabilità e di contegno tra loro saldate, nella Relazione al progetto preliminare di codice civile (n. 63): «di vero casus non si potrà più parlare quando risulti che non fu osservata la dovuta misura di diligenza»: in questa prospettiva il caso fortuito sarebbe una sottospecie di causa non imputabile al debitore (Natoli, U., op. cit., 69), ove l’impossibilità esoneratrice non andrebbe intesa come impossibilità oggettiva e assoluta ma come impossibilità relativa alle modalità attuative concrete dovute volta per volta alla luce del criterio di diligenza (Natoli, U., op. cit., 72; Betti, E., Teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1954, 4; Mengoni, L., Gli acquisti “a non domino”, Milano, 1975, 26 ss.).
Ma anche per chi ha sostenuto la posizione ora riferita, definendo la diligenza come «misura dell’attenzione, della cura … dello sforzo psicologico che il debitore deve adoperare per attuare la prestazione nel modo stabilito, cioè esattamente», è poi apparso comunque chiaro che «si tratta di un criterio elastico che si adatta in concreto alle singole situazioni e non di una misura fissa ed astratta», ove il livello di diligenza richiesta in via normale e generale dalla norma non si traduce però in un livello uniforme (Natoli, U., op. cit., 98). Prevale oggi in dottrina una visione eclettica, secondo cui «il concetto dell’impossibilità di cui all’art. 1218 c.c. si presenta come non rigido bensì variabile secondo la natura del rapporto regolato» (Trimarchi, P., op. cit., 294), posto che «i diversi tipi di rapporti contrattuali richiedono talvolta regimi diversi della responsabilità, spesso definiti da norme specifiche dettate per i singoli contratti», osservandosi anche come il legislatore abbia voluto «sintetizzare, più o meno felicemente, nella formula unica dell’art. 1218 c.c. le svariate regole di responsabilità», una responsabilità che talvolta si fonda sulla valutazione di impossibilità oggettiva talaltra su una valutazione di «impedimento superiore alla diligenza dovuta dal debitore in relazione con la natura dell’obbligazione assunta» (Trimarchi, P., op. cit., 295; nello stesso senso Roppo, V., Diritto privato, Torino, 2013, 263; nel senso che la diligenza vada intesa in senso oggettivo quale criterio astratto e mediano di individuazione dell’impegno che ci si può attendere dal debitore, derogabile dalle parti o dalla legge, v. Bozzi, G., op. cit., 114 ss., anche per la discussione dei limiti alla diligenza dei professionisti ex art. 2236 c.c.; sullo stesso tema Cass., 28.1.2003, n. 1228 e Cass., 1.8.1996, n. 6937).
Quanto alla natura dell’adempimento si è sostenuta la tesi per cui, pur avendo indubbiamente l’attività del debitore un «sostegno volitivo», tuttavia il sistema parrebbe concepito per riconnettere al comportamento oggettivamente considerato (a prescindere dall’animus solvendi) l’effetto automatico dell’estinzione dell’obbligazione (Nicolò, R., op. cit., 556); inoltre una natura negoziale dell’adempimento contrasterebbe con il carattere non libero ed autonomo del contegno del debitore (che al contrario non ha scelta) ed anche con l’eventualità dell’adempimento in assenza di capacità (art. 1191 c.c.; v. nello stesso senso Bianca, C.M., Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1990, 263 ss., ove ampi riferimenti alla dottrina tedesca; contra, e dunque nel senso della natura negoziale dell’adempimento Betti, E., op. cit., 113 ss.; Stolfi, G., Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961, 10 ss.; Barbero, A., Sistema istituzionale del diritto privato, Torino, 1962, 23 ss.; nel senso della natura di atto giuridico Barassi, L., Teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1964, 35 ss.; Oppo, G., Adempimento e liberalità, Milano, 1947, 35 ss.; Messineo, F., Manuale di diritto civile e commerciale, III, IX ed., Milano, 1959, 470 ss.; Trimarchi, P., op. cit., 350 ss.; nel senso del comportamento non volontario ed esteriore Mirabelli, C., L’atto non negoziale nel diritto privato italiano, Napoli, 1955, 240 ss.).
Tali considerazioni peraltro sembrano non valere in relazione all’adempimento del terzo, che non potrebbe ritenersi atto dovuto verso il creditore ma atto libero e volontario (e dunque negoziale «se ed in quanto l’adempiente dispone della propria sfera giuridica»: Bianca, C.M., op. cit., 288); e si è anche sostenuto che si tratterebbe di fattispecie negoziale bilaterale laddove dal creditore provenga una esplicita dichiarazione di accettazione dell’adempimento del terzo qualora invece il debitore abbia manifestato la sua opposizione ex art. 1180, co. 2, c.c. (Nicolò, R., op. cit., 566; peraltro, se l’art. 1180, co. 1, c.c. prevede l’ipotesi di adempimento del terzo invito creditore, è segno che è quantomeno possibile, in relazione al caso previsto al co. 1, un inquadramento in termini di fattispecie non negoziale; per Di Majo, A., op. cit., 548, si tratterebbe di atto reale di adempimento in esecuzione di causa preesistente; nel senso della natura negoziale unilaterale v. Bozzi, G., op. cit., 157).
La tesi della natura negoziale è stata rivitalizzata mettendo in luce come negli ordinamenti civilistici moderni in ogni caso l’autonomia privata incontri limiti e vincoli di natura legale (e si è fatto riferimento alla struttura dell’art. 1322 c.c.) che tuttavia non farebbero venir meno la natura negoziale degli atti; non vi sarebbe dunque incompatibilità tra carattere dovuto e natura negoziale dell’adempimento (Natoli, U., op. cit., 8 ss.).
In senso contrario si è ancora obbiettato che anche in questi casi «l’atto sarà identificato e valutato quale adempimento non in quanto manifestazione di autonomia privata, ma in quanto vicenda conforme al programma obbligatorio» (Bianca, C.M., op. cit., 267). Pare da condividere la tesi di sintesi secondo cui le varie ipotesi di adempimento sfuggono ad una riconduzione unitaria (il che non toglie che in concreto l’adempimento «possa presentarsi con la diversa struttura del comportamento materiale o dell’atto giuridico, a sua volta, assumente o no, a seconda dei casi, la veste del negozio giuridico o, quanto meno, di momento strutturale di una fattispecie negoziale complessa qual è il contratto» (Natoli, U., op. cit., 39; così come, al contrario, qualora il debitore non esprima alcuna manifestazione di volontà negoziale, l’adempimento resterebbe confinato nella dimensione dell’atto meramente esecutivo: Alpa, G., op. cit., 376; ancora nel senso che da vari luoghi normativi sia ricavabile l’intenzione del legislatore di garantire un equilibrio tra le ragioni del creditore e del debitore, anche senza ricorrere alla teoria negoziale, ma in ogni caso avendo di mira il fenomeno dell’adempimento nel suo complesso e in un’ottica che trascenderebbe la considerazione isolata dei singoli atti di adempimento quali meri fatti, Bozzi, G., op. cit., 145).
Mentre nel codice è leggibile una previsione (art. 1188 c.c.) che sottende il tema generale della legittimazione a ricevere l’adempimento, manca una previsione speculare dal lato attivo dell’obbligazione, il che però non ha impedito la riflessione dogmatica sul tema; cosicché si ritiene pacificamente che sia requisito soggettivo dell’adempimento la legittimazione “attiva” (da non confondere con la titolarità del rapporto obbligatorio: cfr. Bianca, C.M., op. cit., 274), ravvisabile principalmente in capo al debitore (salvo che sia dichiarato fallito, ex art. 44 l. fall.) ed ai suoi ausiliari o rappresentanti (purché nell’esercizio del potere rappresentativo), che siano tali per conferimento di procura o in virtù del loro ufficio, e dunque in genere in capo alle persone autorizzate dalla legge (e la stessa eventualità dell’adempimento del terzo ex art. 1180 c.c. sarebbe da far rientrare in questa categoria: «il terzo, precisamente, è un legittimato ad adempiere, che si sostituisce al debitore nell’adempimento dell’obbligazione», Bianca, C.M., op. cit., 286) o dal giudice.
Quanto alla regola di cui all’art. 1191 c.c., anch’essa si spiega innanzitutto alla luce dell’obbligo di diligenza ex art. 1176 c.c.: è questa seconda la sede da cui ricavare lo standard di condotta dovuta dal debitore, ed essa esaurisce lo spazio di valutazione di tale condotta, senza consentire una valutazione dello stato psicologico-soggettivo. Inoltre l’esclusione dell’impugnabilità del pagamento (e questa impugnazione è «esercizio di un potere stragiudiziale di rigetto» mediante il quale la parte «priva di efficacia l’adempimento» obbligando la controparte a rinnovarlo: Bianca, C.M., op. cit., 270) da parte del debitore si spiega alla luce della mancanza di pregiudizio giuridicamente rilevante (il solvens incapace è comunque prima o poi tenuto al pagamento, cosicché se il debitore paga egli non subisce uno svantaggio che l’ordinamento intenda tutelare né il creditore consegue alcun arricchimento indebito: v. Bozzi, G., op. cit., 54) che possano fondare l’interesse all’impugnazione (Natoli, U., op. cit., 12; Roppo, V., op. cit., 231). La dottrina prevalente sostiene l’applicabilità della regola anche all’ipotesi di incapacità naturale, ma solo al pagamento e non in relazione ad altre fattispecie solutorie più complesse.
Anche rispetto a questo tema l’obbligo generale di diligenza illumina la ratio della norma: il debitore non può impugnare il pagamento ormai già eseguito con cose di cui non poteva disporre, perché l’effetto automatico dell’estinzione dell’obbligazione deriva dalla condotta tenuta in ossequio al modello previsto dalla legge; tuttavia, l’adempimento con mezzi altrui può bensì essere rimesso in discussione quando il debitore offra di ri-eseguire questa volta con cose di cui ha la disponibilità. Il creditore che abbia ricevuto la prestazione sapendo dell’indisponibilità dei mezzi usati dal debitore non può impugnare il pagamento, ma ove abbia ricevuto il pagamento in buona fede potrà impugnarlo (e ove poi abbia restituito la prestazione ricevuta tornerà creditore, oltre a poter pretendere un risarcimento del danno; così pure come tornerà creditore qualora – pur non avendo impugnato il pagamento – abbia subito l’evizione o la rivendicazione da parte di un terzo titolare di diritti sulle cose illegittimamente utilizzate dal debitore per l’adempimento: v. ancora Nicolò, R., op. cit., 559 s.).
La regola si applica al pagamento inteso come atto solutorio unilaterale, mentre non si applica al caso in cui per l’adempimento dell’obbligo debitore e creditore concordino su un negozio bilaterale traslativo di diritti su cose (eventualmente altrui): in tal caso il vizio riguarderebbe l’intero negozio, non solo l’atto solutorio.
Oltre alle ipotesi normali di pagamento al creditore o suo rappresentante o a soggetto indicato (al di fuori di un rapporto di rappresentanza) dal creditore (cd. adiectus solutionis causa, nel cui ambito può rientrare il cd. procuratore all’incasso ma non anche un generico procuratore ad litem: cfr. Natoli, U., op. cit., 136; l’indicazione può essere espressa o tacita, non conferisce legittimazione processuale attiva e non rende l’indicatario parte del rapporto obbligatorio; cfr. Basile, M., Indicazione di pagamento, in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 126 ss., analogamente circa la differenza con l’espromissione v. ancora Bozzi, G., op. cit., 153) o dal giudice (compiendosi così una identificazione del nuovo titolare del credito: Natoli, U., op. cit., 134; o un mutamento subbiettivo della titolarità: Nicolò, R., op. cit., 561) o dalla legge (come accade nei casi di cui agli artt. 494 c.p.c; 528 c.c., curatore dell’eredità giacente; 703 c.c., esecutore testamentario; 48 c.c., curatore dello scomparso) il codice civile disciplina i casi, comunque pressoché tutti riconducibili ad un genere specifico di obbligazioni, quali quelle implicanti la traditio rei, del pagamento fatto al non legittimato ed in assenza di apparenza di legittimazione, al creditore apparente e infine il pagamento al creditore incapace. Sono invece da distinguere rispetto al creditore quei soggetti titolari di un autonomo e concorrente diritto a ricevere la stessa prestazione a lui dovuta ma in base a titoli del tutto autonomi rispetto alla causa legittimante i primi: il creditore pignoratizio, l’usufruttuario del credito, il cessionario dei beni ex art. 1977 c.c., il mandante ex art. 1705, co. 2, c.c. verso i terzi, il locatore verso il sublocatore per il prezzo della sublocazione ex art. 1595, co. 1, c.c., gli ausiliari dell’appaltatore verso il committente ex art. 1676 c.c.
Il pagamento al non legittimato non libera il debitore salvo che il creditore lo ratifichi o ne abbia approfittato (art. 1188, co. 2, c.c.). In dottrina si è oscillato tra la riconduzione della “ratifica” ai principi generali in tema di rappresentanza (Nicolò, R., op. cit., 571) e la messa in dubbio della natura del richiamo a tale istituto (Natoli, U., op. cit., 129; Schlesinger, P., Il pagamento al terzo, Milano, 1961, 169; Bozzi, G., op. cit., 51 e 166). Secondo un’opinione il requisito del “profitto” (per il creditore) va concettualmente tenuto distinto da quello del “vantaggio” (per il creditore incapace nell’art. 1190 c.c.): il primo sarebbe nozione vaga ed elastica, il secondo invece nozione da vagliare con metro più rigoroso in considerazione dell’esigenza di amministrazione degli interessi dell’incapace (Natoli, U., op. cit., 130; Bozzi, G., op. cit., 166).
Il pagamento al creditore apparente libera il debitore purché l’apparenza sia fondata su “circostanze univoche” e purché il debitore provi – con onere a suo carico, in deroga al principio ritenuto generale di presunzione (cfr. Cass., 22.5.2000, n. 6648) di essere stato in buona fede (sulle diverse opinioni circa il grado di approfondimento che il debitore deve compiere per verificare l’apparenza in questione v. Mengoni, L., op. cit., 106, secondo cui il debitore non può spingere oltre certi limiti il controllo della titolarità del credito senza esporsi al rischio di subire l’esecuzione forzata; analogamente Natoli, U., op. cit., 120; nel senso che la prova della buona fede può essere data per presunzioni v. Bianca, C.M., op. cit., 311; Bozzi, G., op. cit., 50). Resta comunque fermo l’obbligo di restituzione del percipiente non legittimato in favore del vero creditore, ex art. 2033 c.c. (art. 1189, co. 2, c.c.).
La regola che provoca la liberazione del debitore in caso di pagamento al creditore apparente, espressione del principio di tutela dell’affidamento (Trimarchi, P., op. cit., 351) si applica correntemente anche al pagamento al legittimato apparente ed in particolare al rappresentante apparente (Cass., 4.3.1993, n. 2645; Cass., 15.6.1991, n. 6774; Cass., 24.9.1986, n. 5741; Cass. 28.7.1983, n. 5215, in Arch. civ., 1983, 1045; contra, Cass., 7.5.1992, n. 5436; Cass., 4.3.1993, n. 2645; Cass., 7.3.1997, n. 2093, per le quali la regola sarebbe bensì applicabile al pagamento al falsus procurator ma solo quando il debitore adempiente fornisca la prova non solo dell’apparenza – e dunque di un comportamento difforme dai canoni della correttezza in capo all’accipiens – anche di un comportamento colposo del creditore che abbia negligentemente favorito l’apparenza decettiva per il debitore, cd. apparenza colposa; tesi criticata da Cannata, C.A., Le obbligazioni in generale, in Tratt. Rescigno, IX, Torino, 2005, 96; Bozzi, G., op. cit., 173). Se il debitore ha motivo di dubitare della legittimazione del creditore apparente potrà dunque rifiutare l’adempimento, il che sembra valere anche nei casi di legittimazione contesa in situazione di conflitto pure se stragiudiziale (cfr. Bozzi, G., op. cit., 174).
Il pagamento al creditore incapace non libera il debitore, se questi non prova che quanto pagato è stato rivolto a vantaggio dell’incapace (art. 1190 c.c.), vantaggio che si declina in termini economici sub specie di arricchimento patrimoniale (cfr. Nicolò, R., op. cit., 560) o in termini non patrimoniali quale «ragionevole utilizzazione della prestazione tenuto conto dell’interesse e dell’autonomia dell’incapace» (Bianca, C.M., op. cit., 294).
Alle regole codicistiche va aggiunta quella di cui all’art. 44 l. fall., come modificato dal d.lgs. 5.1.2006, n. 5.
Analogamente non hanno effetti nei confronti del sequestrante e del creditore pignoratizio del credito, rispettivamente ex artt. 2906 e 2917 c.c., i pagamenti fatti dal debitore successivamente al sequestro ed al pignoramento (ma Natoli, U., op. cit., 117, distingue quest’ultima ipotesi, qualificata in termini di «temporanea paralisi della legittimazione a ricevere», dal vero e proprio difetto di legittimazione a ricevere di cui agli artt. 1188, 1189 e 1190 c.c.).
Sono poi da ricordare i casi di perdita della legittimazione a ricevere da parte del creditore a favore del creditore pignoratizio (art. 2803 c.c.) e di perdita dell’esclusività della legittimazione, in caso di usufrutto di credito (art. 1000, co. 1, c.c.).
Sono disciplinate le tre ipotesi in cui la scelta di imputazione sia operata dal debitore, dal creditore o non sia effettuata da nessuno dei due. In principalità il legislatore riserva al debitore la facoltà di imputare (con atto unilaterale recettizio aformale) un pagamento insufficiente ad estinguere più debiti (art. 1193, co. 1, c.c.), ma tale facoltà non può spingersi fino ad imputare il pagamento al capitale anziché agli interessi (l’art. 1194 c.c. direziona il pagamento prioritariamente a deconto degli interessi, e il rilascio di una quietanza per capitale fa presumere che siano stati pagamenti anche gli interessi stessi: art. 1199, co. 2, c.c.).
È poi disciplinato il caso in cui il debitore, pur potendo, ometta di scegliere ma scelga invece il creditore: in tal caso spetta ancora al debitore il diritto di opporsi all’imputazione a parte creditoris, ma ove il debitore non si opponga non potrà poi pretendere un’imputazione diversa, salvo che – in nome del principio di correttezza – vi sia stato un inganno da parte del creditore (art. 1195 c.c.; in tema v. Bellellli, A., L’imputazione volontaria del pagamento, Padova, 1989, 87; nel senso che il dolo e la sorpresa di cui alla disposizione siano da equiparare ai vizi del consenso v. Nicolò, R., op. cit., 563; Di Majo, A., op. cit., 326, Bozzi, G., op. cit., 180; Cass., 29.10.1982, n. 5707).
In terza istanza, ove manchi un’indicazione di preferenza da parte dei due lati del rapporto, il pagamento si imputerà al debito scaduto; tra più debiti scaduti al meno garantito (nel senso che debba trattarsi necessariamente di debito sfornito di garanzia, reale o personale, o caratterizzato da un grado di prelazione minore v. Cass., 30.5.1993, n. 3708; per una nozione più elastica v. Cass., 1.6.1974, n. 1572); tra più debiti scaduti e garantiti al più oneroso per il debitore; tra più scaduti garantiti e onerosi al più antico; ed infine – a parità di caratteristiche dei debiti – l’imputazione sarà proporzionale (in deroga all’art. 1181 c.c.).
La regola suppletiva ora ricordata può operare però solo in presenza di «più debiti della medesima specie», cioè debiti che costituiscano oggetto omogeneo e fungibile rispetto a più obbligazioni (dunque innanzitutto si tratta di regola applicabile solo a crediti certi, liquidi ed esigibili: cfr. Bozzi, G., op. cit., 177; Cass., 21.4.2006, n. 9356; Cass., 26.6.1997, n. 5707). Ove infatti si consentisse l’operare della regola legale di imputazione in presenza di più obblighi eterogenei e di oggetto infungibile si rischierebbe di imporre al creditore di sopportare un pagamento (e dunque un adempimento) parziale in spregio al diritto di rifiuto ex art. 1181 c.c. (così Natoli, U., op. cit., 147).
È infine sempre possibile un pactum de imputando, che può essere raggiunto anche per dichiarazioni unilaterali o per facta concludentia.
La prestazione è di regola immediatamente esigibile, salvo che per la sua esigibilità sia necessario porre un termine (necessità che l’art. 1183 c.c. mette in relazione agli usi, alla natura della prestazione, al modo o al luogo dell’esecuzione; si è posto il dubbio se gli usi abbiano solo la funzione di indicare la necessità della fissazione del termine – come farebbe pensare la formula di cui all’art. 1183 c.c. – la cui determinazione sarebbe comunque rimessa solo al giudice; oppure se gli usi, quale fonte integrativa del contratto, possano spingersi a colmare direttamente la lacuna impedendo che il problema venga posto all’attenzione del giudice in sede di fissazione del termine: in tale secondo, e condivisibile senso, Bianca, C.M., op. cit., 228).
Se il termine è rimesso alla volontà del debitore, l’art. 1183, co. 2, c.c. intende evitare che la facoltà si tramuti in arbitrio in danno del creditore e consegna al giudice il potere di fissare il termine «secondo le circostanze» (Natoli, U., L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, Il comportamento del creditore, Milano, 1974, 108, v. anche Bianca, C.M., op. cit., 225). Ancora, spetta al giudice fissare il termine rimesso alla volontà del creditore qualora questi non si pronunci mettendo in difficoltà il debitore «che intende liberarsi». Il termine fissato dalle parti o dal giudice nel quadro della competenza di cui all’art. 1183, co. 1, c.c. si presume a favore del debitore (art. 1184 c.c.), il che significa che il debitore ha facoltà di non adempiere prima della scadenza del termine (che dunque limita l’esigibilità), così come di anticipare l’esecuzione rispetto al termine, mentre il creditore deve attendere la scadenza prima di agire per l’adempimento. Si tratta di una presunzione relativa, superabile ove risulti che il termine sia fissato a favore del creditore o di entrambi (art. 1184 c.c.).
Sempre in caso di termine pro-debitore, ove questi adempia prima della scadenza non potrà ripetere quanto pagato ma potrà pretendere l’arricchimento goduto dal creditore, nei limiti della propria perdita subita (cd. interusurium: art. 1185, co. 2 ,c.c.; Giorgianni, M., Pagamento, cit., 325; Di Majo, A., op. cit., 562). Se invece il termine è a favore del creditore, questi ha facoltà di rifiutare l’adempimento prima del termine (e quindi non risulta limitata l’esigibilità della prestazione: cfr. Cian, G., Pagamento, in Dig. civ., XIII, Torino, 1995, 247), mentre se il termine è fissato in favore di entrambi, l’adempimento non può essere chiesto dal creditore o effettuato dal debitore prima della scadenza (art. 1185 c.c.).
Alla luce dell’inciso «per fatto proprio» si è ritenuto che la decadenza dal beneficio del termine fissato a proprio favore sia espressione del principio per cui «il fatto del debitore che mette in serio pericolo il soddisfacimento del credito rende immeritevole il suo interesse ad attendere la scadenza del termine» (Bianca, C.M., op. cit., 223; Cass., 15.4.1949, n. 897; in senso contrario Cian, G., op. cit., 248 e Trib. Roma, 12.6.1960, in Banca borsa, 1961, II, 281) e colpisce il debitore consentendo al creditore l’immediata esazione della prestazione quando il debitore sia divenuto insolvente (purché in modo stabile e permanente: un inadempimento episodico non dovrebbe implicare decadenza: Cass., 26.8.1975, n. 3010, in Giur. it., 1976, I, 1, 1553; ma per Cass., 28.1.1999, n. 5371 e Cass., 2.7.1994, n. 3865 la decadenza non deriva automaticamente dall’insolvenza, essendo necessaria una richiesta di adempimento di talché, se il creditore omette di esigere immediatamente la prestazione, dovrebbe con ciò ritenersi la perdurante efficacia dei termini) o abbia diminuito per fatto proprio le garanzie date o non abbia dato le garanzie promesse (art. 1186 c.c.) (secondo Bianca, C.M., op. cit., 222, la richiesta di adempimento deve rivestire necessariamente la forma dell’atto di costituzione in mora dunque per iscritto; peraltro, quantomeno in caso di prestazione da eseguirsi al domicilio del creditore – caso che corrisponde perlomeno ai debiti pecuniari ex art. 1182, co. 3, c.c. – l’atto scritto di costituzione in mora potrebbe non essere necessario ai fini di integrare comunicazione di richiesta di prestazione).
Oltre al caso dell’insolvenza e delle criticità inerenti le garanzie, la decadenza dovrebbe applicarsi pure alla dichiarazione anticipata di intenzione di non adempiere, purché seria e fatta per iscritto (Bianca, C.M., op. cit., 223 s.; in giurisprudenza, Cass., 17.3.1982, n. 1721; Cass., 4.3.1970, n. 529). La ratio dell’opinione può condividersi solo in parte: un debitore potrebbe avere buone ragioni oggettive per rifiutare un adempimento in via anticipata rispetto alla scadenza, così come potrebbe decidere, prima della scadenza del termine, di ritrattare l’anticipatory breach: ritenerlo decaduto per il solo fatto che ha preso la prima posizione prima della scadenza, quando la lettera della legge non lo prevede e privandolo della possibilità di ritrattare ,pare una forzatura della lettera dell’art. 1186 c.c., su cui è difficile convenire (v. Natoli, U., L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, cit., 139; Rubino, D., Risoluzione giudiziale in pendenza di termine contrattuale, in Giur. compl. cass. civ., 1949, I, 62; Mirabelli, C., Richiesta e rifiuto di adempimento, in Foro it., 1954, IV, 31).
In materia di debiti pecuniari tra imprese o nei confronti della pubblica amministrazione il d.lgs. 9.10.2002, n. 231 ha introdotto regole speciali con riferimento ai termini pagamento e agli interessi di mora (cfr. Benedetti, A.M., I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Profili sostanziali e processuali, Torino, 2003; sulla fissazione di un termine ex art. 1183 quando la parte obbligata è una pubblica amministrazione cfr. ancora Natoli, U., op. ult. cit., 111 ss.).
Le norme fissate all’art. 1182, co. 2, c.c. sono suppletive rispetto a criteri di determinazione del luogo dell’adempimento costituiti dalla volontà contrattuale, degli usi (normativi, secondo la tesi prevalente anche in giurisprudenza a partire da Cass., 26.6.1964, n. 1687), della natura della prestazione e delle circostanze (cui Bianca, C.M., op. cit., 242 aggiunge altri titoli, come il testamento o la sentenza) e fatte salve regole legali speciali (come quelle in tema di luogo del pagamento del prezzo in materia di vendita ex art. 1498 c.c.), e si tratta delle seguenti: la regola generale indica il domicilio del debitore al tempo della scadenza come luogo preferenziale per l’adempimento; le regole speciali valgono per l’obbligazione di consegna di cosa certa e determinata (che si adempie nel luogo dove si trovava la cosa quando è sorta l’obbligazione) e per l’obbligazione pecuniaria (che si adempie al domicilio del creditore al tempo della scadenza, a differenza della disciplina previgente: cfr. Nicolò, R., op. cit., 564; ma se il domicilio è variato e l’adempimento al nuovo domicilio è più gravoso per il debitore di quanto non sarebbe stato al domicilio precedente il debitore ha diritto di adempiere al proprio, previa dichiarazione alla controparte; per una previsione analoga nella Convention des Nationes Unies sur le contrats de vente internationale de merchandises, v. art. 57). Per quest’ultimo genere di prestazioni, dette portabili, vale peraltro la precisazione che da tale novero sono da escludere le obbligazioni illiquide, come quelle risarcitorie (cfr. Bianca, C.M., op. cit., 249; Di Majo, A., op. cit., 134; Cass., 8.6.1999, n. 5627; Cass., 27.1.1996, n. 633; Cass., 18.3.1994, n. 2596; Cass., 4.12.1992, n. 12920; Cass. 15.12.1986, n.7516; Cass., 20.2.1954, n. 461). Secondo un orientamento peraltro non rientrerebbero nella nozione di obbligazioni illiquide quelle in relazione alle quali l’oggetto possa essere determinato attraverso operazioni di mero calcolo aritmetico o comunque sulla base di criteri certi e prestabiliti dal titolo stesso o presumibili dalla legge (Cass., 15.12.2000, n. 15849; Cass., 21.1.1999, n. 535; Cass., 3.12.1994, n. 10422/1994; Cass., 2.4.1992, n. 3988).
La regola residuale del domicilio del debitore vale invece pacificamente per le obbligazioni di fare e non fare (cfr. Di Maio, A., op. cit., 149; Bianca, C.M., op. cit., 257; Cass., 22.5.1986, n. 3411; Cass., 10.7.1968, n. 2391).
Il codice attribuisce al debitore il diritto a ottenere a proprie spese una quietanza. La dottrina prevalente ritiene che in ipotesi di prestazione in luogo dell’adempimento il diritto alla quietanza non sussista poiché esso è previsto maturare solo al momento dell’effettivo pagamento o dell’esecuzione della prestazione promessa, il che farebbe pensare che il legislatore abbia voluto escluderlo in ipotesi di adempimento difforme dal programma obbligatorio (in senso opposto Cass., 5.2.1997, n. 1108). È unanime la qualificazione della quietanza come atto unilaterale recettizio formato dal creditore e diretto al debitore, in forma scritta (di atto pubblico o di scrittura privata) (Cannata, C.A., op. cit., 115; Bozzi, G. op. cit., 182). Si è escluso che possa rivestire la funzione di quietanza la semplice fattura inviata dal creditore al debitore priva dell’annotazione “pagato” o altra equivalente (Cass. 19.3.1996, n. 2298) ma si è riconosciuta la natura di quietanza in capo alla ricevuta fiscale proveniente dal creditore dati alcuni riferimenti contabili e grafici univoci (Cass. 12.7.1991, n. 7722). Si discute sulla natura della quietanza, se equiparabile alla confessione stragiudiziale da parte del creditore (Cannata, C.A., op. cit., 114; Breccia, U., Le obbligazioni, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 1991, 575; Cass., 14.2.2006, n. 3186; Cass., 3.6.1998, n. 5459) o quale mezzo di prova autonoma (Bianca, C.M., op. cit., 322; Di Majo, A., op. cit., 369). Secondo un’opinione, il diritto alla quietanza spetta anche al terzo adempiente (Cannata, C.A., op. cit., 97).
Secondo Cass., 17.7.1979, n. 4199 e Cass., 6.7.1977, n. 2987, il debitore al quale non venga rilasciata quietanza ha diritto di rifiutare il pagamento a meno che la tenuità del debito renda l’obbligo di rilascio del documento irrilevante; in ogni caso si ritiene che l’inadempimento del creditore rispetto all’obbligo di rilascio legittimi il debitore ad un’azione per il rilascio o ad un’azione risarcitoria (Di Majo, A., op. cit., 365; Bianca, C.M., op. cit., 329; Cian, G., op. cit., 249).
Contro la tesi del valore confessorio Di Majo (op. cit., 368), per il quale il creditore che ha rilasciato quietanza avrebbe legittimazione a provare la non autenticità delle dichiarazioni in essa contenute o comunque la loro non veridicità anche al di fuori delle ipotesi di vizio del consenso (in tal senso v. anche Cass. 12763/1993; Cass 4913/1987.
Artt. 1176-1200 c.c.
Barassi, L. Teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1964; Bellelli, A., L’imputazione volontaria del pagamento, Padova, 1989; Betti, E., Teoria generale delle obbligazioni, I-IV, Milano, 1953-1955; Bianca, C.M., Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1990; Bigliazzi Geri, Buona fede del diritto civile, in Dig. civ., II, Torino, 1988, 176 ss.; Breccia, U., Le obbligazioni, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 1991; Cannata, C.A., Le obbligazioni in generale, in Tratt. Rescigno, IX, Torino, 2005; Di Majo, A., Obbligazioni e contratti. L’adempimento dell’obbligazione, Bologna, 1993; Di Majo, A., Adempimento in generale (artt. 1177-1200), in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1994; Galgano, F., Diritto civile e commerciale. Le obbligazioni e i contratti, II, 1, Padova, 1993; Giorgianni, M., Obbligazione, in Nss. D.I., XI, Torino, 1965, 148 ss.; Mirabelli, C., Dei contratti in generale, in Comm. c.c. Utet, IV, Torino, 1958; Natoli, U., L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Tratt. Cicu-Messineo, XVI, Milano, 1984; Nicolò, R., Adempimento, in Enc. dir., I, Milano, 1958; Oppo, G., Adempimento e liberalità, Milano, 1947; Perlingieri, P., Le obbligazioni tra vecchi e nuovi dogmi, Napoli, 1990; Rescigno, P., Obbligazioni: a) nozioni generali, in Enc. dir., XXIX, Milano, 1970, 133 ss.; Visintini, G.-Cabella Pisu, L., L’inadempimento delle obbligazioni, in Tratt. Rescigno, IX, Torino, 1984.
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