RESSI, Adeodato
RESSI, Adeodato. – Nacque a Cervia il 4 settembre 1768 dal conte Giuseppe e dalla nobile Teresa Mazzolani.
Studiò inizialmente al collegio dei nobili di Ravenna, ma poi si trasferì all’Università di Pavia, dove si laureò in utroque jure. Fin da giovane mostrò predilezione per gli studi letterari, segnalandosi per la traduzione in italiano, con lo pseudonimo di Adrasto Ideseo, di un poema didascalico dell’abate Pietro Antonio Zanoni, che corredò della biografia dell’autore e che venne lodato con un breve anche dal pontefice Pio VI (De salinis cerviensibus libri tres, quos amplissimo viro Jo. Baptistae Donato Episcopo Cerviensis D.D.D. Petrus Antonius Zanonius regensis inter Hypocondriacos Logisticus, Cesenae 1786). Ma fu con la discesa delle armate francesi in Italia che Ressi iniziò a imporsi sulla scena pubblica, facendo mostra di un’adesione partecipe ai nuovi principi rivoluzionari. In occasione dell’apertura del Congresso di Modena, che sanciva la costituzione della Confederazione Cispadana, dette alle stampe i Principi universali per un piano di costituzione democratica (Ferrara 1797), seguiti a breve distanza da un Saggio politico-filosofico (Ferrara 1797), offerto ai deputati neoeletti dei comizi cispadani.
Nel primo, Ressi faceva sfoggio di un sensismo radicale, ponendo a base della propria proposta costituzionale il «sensibile interesse» dell’uomo e proponendosi di combinare l’aristocrazia e la democrazia: ammetteva cioè la partecipazione al governo dei maggiori possidenti, ma tassandoli a beneficio dei meno abbienti. Forse colpito dalle polemiche che i Principi avevano suscitato – nelle Riflessioni d’un filosofo all’autore dei Principj universali per un piano di costituzione democratica stampati in Ferrara nell’anno 1797, Ferrara 4 ventoso anno V (22 febbraio 1797) venne tacciato di essere un discepolo di Claude-Adrien Helvétius – Ressi ritornò in maniera più analitica su questi temi nel Saggio politico-filosofico, indicando le riforme necessarie a consolidare il nuovo assetto repubblicano. Tra queste, oltre a una incisiva riforma degli istituti del diritto civile e di quello penale, con la previsione dell’abolizione della pena di morte, proponeva alla neocostituita Repubblica di adottare la religione evangelica, dichiarandosi tuttavia favorevole alla libertà dei culti. In maniera pionieristica, poi, si dichiarò a favore dell’unificazione politica dell’intera penisola. A tale scopo auspicava che le singole repubbliche promosse dai francesi adottassero tutte la medesima costituzione e che la Cispadana si facesse promotrice della formazione di un esercito nazionale su base volontaria.
All’indomani dell’unione della Cispadana alla Cisalpina, il 27 novembre 1797 Ressi venne nominato dallo stesso generale Napoleone Bonaparte membro del Consiglio dei Juniori in rappresentanza del dipartimento del Rubicone. Chiamato a far parte del comitato di costituzione si occupò soprattutto di finanza, prendendo più volte parte alla discussione relativa ai beni ecclesiastici e all’organizzazione del credito. Probabilmente durante questo suo primo soggiorno milanese Ressi si unì in matrimonio con Anna Moscati, figlia di Pietro, celebre medico, membro del primo Direttorio cisalpino e futuro senatore del napoleonico Regno d’Italia: durante l’interregno austro-russo fu proprio Ressi a stendere la memoria difensiva in suo favore, all’indomani dell’arresto subito da parte degli austriaci il 4 maggio 1799.
A seguito della vittoria di Marengo e del ritorno dei francesi in Italia iniziò la sua lunga carriera universitaria a Pavia, venendo a ricoprire la nuova cattedra di scienze politico-economiche.
La prolusione al corso, pronunciata il 27 ventoso anno 9 (17 gennaio 1801), fu tutta volta a dimostrare che la scienza economica era la disciplina più adatta a promuovere un rinnovato rapporto tra cittadini e governanti, poiché «ella disvela le fallaci operazioni della finanza, combatte l’arte insensibile e cruda dei fermieri, l’arte di tirannizzare sulle classi dei più miseri» (Allocuzione inaugurale del Cittadino Ressi per l’apertura della nuova cattedra di scienze politico-economiche nell’Università di Pavia, in Rava, 1923, p. 65). Tuttavia Ressi stentava a far propria quell’ottica individualistica che nel frattempo stava connotando gli studi economici, declinando piuttosto l’economia in senso organicistico come ‘governo del popolo’ e affidandone le sorti, in sintonia con quanto stava avvenendo con la dominazione napoleonica, a un saggio amministratore.
Sempre nel 1801 fu deputato ai Comizi di Lione per la costituzione della Repubblica Italiana in rappresentanza dell’Università di Pavia e l’anno dopo fu eletto membro del Collegio dei dotti di Bologna. Con la proclamazione del Regno entrò a far parte del Consiglio legislativo e dal 1808 venne nominato rettore dello Studio, in sostituzione di Luigi Cerretti, nel frattempo deceduto. In quello stesso anno, in applicazione della riforma dell’istruzione varata dal Regno d’Italia il 15 novembre, assunse l’insegnamento di economia pubblica del Regno e diritto commerciale secondo il codice di commercio.
Negli ultimi anni del dominio napoleonico si fece invano promotore, tramite la stesura di appositi progetti di legge, dell’istituzione di istituti di credito a livello locale e nazionale, al fine di rendere meno cogente la pressione fiscale e di finanziare altrimenti le costose guerre napoleoniche. Dopo la caduta dell’imperatore (che in una memoria postuma attribuì essenzialmente all’inettitudine militare del viceré Eugenio) continuò a insegnare nell’Ateneo pavese, assumendo prima la cattedra di statistica europea (1814-16), poi di economia e statistica (1816-18), e infine, all’indomani della soppressione di quest’ultima, di diritto mercantile austriaco e diritto marittimo: la sua Breve esposizione di alcuni principi intorno alla scienza del diritto mercantile (Pavia 1818) venne pubblicata proprio al fine di concorrere alla titolarità della cattedra.
In quella stagione uscì anche la sua opera più poderosa, Dell’economia della specie umana (I-IV, Pavia 1817-1820), il cui quinto volume rimase incompiuto.
Declinando il termine economia in un’accezione molto estesa, Ressi lo equiparava a «quel sistema di funzioni che guida la specie umana al conseguimento del suo fine» (I, p. 10), vale a dire la creazione di beni, la loro distribuzione, il loro consumo, e la garanzia politica necessaria all’espletamento di queste funzioni, elementi tutti considerati nella loro sommatoria fondamento sia del benessere materiale sia laicamente della stessa morale. Dal punto di vista del pensiero economico in senso proprio, Ressi seguiva in maniera quasi pedissequa l’insegnamento contemporaneo di Melchiorre Gioia, ponendo il piacere e il dolore a motore dell’attività umana, esaltando l’industrialismo, considerando il consumo un fattore dinamico dell’intero processo produttivo, privilegiando l’associazione dei lavori all’assioma smithiano della loro divisione. Tuttavia, a differenza di Gioia, inseriva le proprie convinzioni economiche all’interno di una compiuta filosofia della storia intonata al progresso e alla perfettibilità della specie umana. La via verso il perfezionamento della specie non appariva un ideale astratto e utopico, ma era garantita, a suo dire, dalle leggi della natura, le cui forze operano in perfetta armonia per produrre questo risultato, fine eterno e indeclinabile della ragione. Era compito delle istituzioni adeguarsi a questo meccanismo universale, promovendo un progresso che dunque era prima di tutto sociale: il miglioramento a cui egli mirava non era un mero allargamento delle conoscenze fine a se stesse, ma comportava l’acquisizione di condizioni di vita più umane, l’allargamento del possesso dei beni e dell’esercizio dei godimenti fino a raggiungere le classi più umili del popolo. Sebbene recensita positivamente sia dalla Biblioteca italiana sia dal Conciliatore (a firma di Giovanni Arrivabene), l’opera, pubblicata per sottoscrizione, a parere di Giuseppe Pecchio, ebbe scarso riscontro nei dibattiti economici contemporanei.
Ressi fu uno dei primi intellettuali chiamati a collaborare al Conciliatore; consegnò al foglio azzurro tre contributi fra il settembre del 1818 e il maggio del 1819 anche se altri quattro erano già pronti per la stampa al momento della soppressione del periodico da parte delle autorità austriache.
Critico nei confronti del Congresso di Vienna, che aveva interrotto quel parziale processo di unificazione della penisola apportato dalla dominazione napoleonica, nei primi anni della Restaurazione non ebbe a soffrire da parte della polizia austriaca. Tuttavia, alcuni suoi interventi più espliciti delle sue convinzioni politiche – come il discorso pronunciato al termine delle sue lezioni del 1817-18 in cui affermava che «colma è la misura de’ mali per la misera Italia» (Pavia, Biblioteca Universitaria, Mss. Ticinesi, 338 n. 5, f. 4r) o l’Orazione in lode del Conte Pietro Verri (Pavia 1818) pronunciata in apertura dell’anno accademico del 1818, in cui elogiava l’opera riformatrice di Maria Teresa d’Austria senza fare alcun cenno alla nuova dominazione asburgica – dovettero suscitare intorno a lui un clima di sospetto: quando nel 1819 alcuni studenti decisero di far coniare in suo onore una medaglia come segno di stima, le autorità proibirono l’iniziativa, perché convinti che fosse un omaggio alle sue idee liberali.
La sua attività didattica fu interrotta dall’arresto, avvenuto il 29 giugno 1821, con l’accusa di non aver denunciato un suo allievo (da molti identificato con il faentino Giacomo Laderchi) che egli sapeva affiliato alla carboneria. Peraltro, proprio alla legittimità dell’attività cospiratoria e soprattutto al diritto di insurrezione in quello stesso anno Ressi aveva dedicato alcuni «ammaestramenti» manoscritti rivolti al figlio Giovanni in una sorta di testamento spirituale.
Venne condannato in prima istanza al carcere duro a vita e morì a Venezia il 18 gennaio 1822 nella prigione dell’isola di S. Michele.
Il 21 febbraio successivo vennne pubblicata la sentenza con cui l’imperatore commutava la pena in cinque anni di reclusione da scontarsi a Lubiana.
Fonti e Bibl.: Pavia, Biblioteca Universitaria, Mss. Ticinesi 336-338; Forlì, Biblioteca comunale Aurelio Saffi, Fondo Piancastelli, Carte Romagna, 387, 1-62; Roma, Museo centrale del Risorgimento, 60.41 (lettera a Luigi Porro Lambertenghi, s.d.) e 500.16-17 (copia dattiloscritta di documenti relativi a Ressi); Archivio di Stato di Milano, Studi, p.m., cart. 969; Archivio di Stato di Pavia, Studi, p.m., cart. 951.
L. Corradi, A. R. da Cervia, in Memorie e documenti per la storia dell’Università di Pavia, Pavia 1878, pp. 337-340; O. Pasquini, Un martire del 1821: A. R., Schio 1922; L. Rava, A. R. (1768-1821), con scritti inediti, Bologna 1923, p. 65; S. Canzio, La prima Repubblica Cisalpina e il sentimento nazionale italiano, Modena 1944, pp. 256-271; “Il Conciliatore” foglio scientifico letterario, a cura di V. Branca, I-III, Firenze 1953-1954, ad ind.; F. Rigotti, L’umana perfezione. Saggio sulla circolazione e diffusione dell’idea di progresso nell’Italia del primo Ottocento, Napoli 1980, pp. 111-116; M. Bianchini, Una difficile gestazione: il contrastato inserimento dell’economia politica nelle università dell’Italia nord-orientale (1769-1866). Note per un’analisi comparativa, in Le cattedre di economia politica in Italia. La diffusione di una disciplina «sospetta» (1750-1900), a cura di M.M. Augello et al., Milano 1988, pp. 69-72, 89 s.; A. Andreoni - P. Demuru, La Facoltà politico legale di Pavia nella Restaurazione (1815-1848). Docenti e studenti, Bologna 1999, pp. 124-128; M.M. Augello (con la collab. di F. Celiano) - G. De Santi, Gli economisti accademici italiani dell’Ottocento. Una storia «documentale», I, Pisa-Roma 2013, pp. 1321-1328.