adequare (aequare)
La forma ‛ aequare ', più che latinismo, sarà da mettere in relazione con i vari ‛ aombrare ', ‛ aontare ', ‛ aunare ', ecc. Il verbo ricorre in Rime CIII 21 'l peso che m'affonda / è tal che non potrebbe adequar rima, tale che nessuna poesia lo potrebbe " pareggiare ", " esprimere compiutamente ". In If XXVIII 20, per dare idea della punizione a cui i seminatori di scandalo e di scisma sono sottoposti da parte dei diavoli, D. ricorre a un'ipotesi: se tutti i combattenti caduti nella seconda guerra punica, nelle guerre contro Roberto il Guiscardo e in quelle tra gli Angioini e gli Svevi si adunassero e mostrassero le loro membra ferite e mutilate, d'aequar sarebbe nulla / il modo de la nona bolgia sozzo, si sarebbe ancora lontani dall'eguagliare la condizione della nona bolgia. È probabile che il vocabolo derivi da un luogo dell'Eneide che ha qualche analogia a quello dantesco: " quis cladem illius noctis, quis funera fando / explicet aut possit lacrimis aequare labores? " (II 361-362).
Poco testimoniata dai codici è in questo passo la forma ‛ adequare '. Il Porena legge ad equar, variante non recata dai manoscritti antichi (v. Petrocchi, ad l.). Le stampe antiche avevano preferito la variante d'agguagliar, che compare, ad es., nel codice Eg.