ADIAFORA (plur. neutro del gr. ἀδιάϕορος "indifferente")
Termine usato dai cinici e dagli stoici per indicare ciò che lascia l'animo assolutamente indiffereme. Risponde all'ideale del saggio chi considera tali tutte le cose, all'infuori dell'unico bene, che è la virtù, o dell'unico male, che è il vizio: e cioè τὰ μεταξὺ ἀρετῆς καὶ κακίας (Diogene Laerzio, VI, 104).
In senso religioso anziché filosofico questo nome fu usato in due controversie, sorte entrambe nella cristianità riformata. La prima, che ha le sue radici nel dissidio latente fra Lutero e Melantone, sorse quando, dopo l'Interim di Augusta (1548), Melantone ed altri teologi, per iniziativa dell'Elettore Maurizio di Sassonia, redassero la formula nota come "Interim di Lipsia" (22 dic. 1548) in cui si dichiaravano adiaphora, cioè indifferenti, perché non decisi dalla Scrittura, alcuni punti come la giurisdizione vescovile, certe costumanze (digiuni, feste, ecc.), mentre si affermava che la giustificazione è opera della fede, ponendo l'aggettivo sola (caratteristico del luteranesimo) tra gli adiaphora. Nei Loci theologici Melantone giunse ad asserire che le opere, dovendo di necessità seguire la conciliazione, sono indispensabili per la salvezza; mentre la confessio Augustana (art. VI) si limitò a dire che dalla fede devono scaturire opere di bontà, e che, in omaggio a Dio, è necessario compiere le opere comandate da lui. Flaccio Illirico (Mattia Vlacich, di Albona, 1520-1575), lasciata Wittemberg per Magdeburgo, si mise a capo dell'opposizione, che diede ai sostenitori dell'Interim di Lipsia il nome di adiaforisti, mentre la controversia continuò nella polemica tra G. Maior (Norimberga 1802-1574) e N. von Amsdor (Torgau 1483-1565). Se la pace religiosa di Augusta (1555) troncava la questione dal lato politico, la polemica teologica durava fino alla Formula di concordia, e oltre. trasferendosi in altri campi.
La seconda controversia sorse con il movimento pietista, quando lo Spener e i suoi seguaci denunciarono musica, danza, ecc. come cose indegne del cristiano, mentre l'ortodossia le dichiarava cose indifferenti. I problemi soggiacenti alla controversia erano quelli già discussi nella Chiesa antica, del rapporto tra cristianesimo e cultura, e quello, di portata filosofica, se, anche ammesso che nulla si svolge all'infuori di Dio, vi siano cose semplicemente permesse.
Bibl.: Per la prima controversia, v. F. H. R. Frank, Theologie der Konkordienformel, IV, 1865, pp. 1-120; E. Buonaiuti, Lutero e la Riforma in Germania, Bologna 1926, c. VI; per la seconda, A. Ritschl, Geschichte des Pietismus, II, 1884, pp. 174 segg.